Padre Cavalcoli: “Alla Sorella nascosta rispondo che…”
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Cari amici, qualche giorno fa ho pubblicato una lettera che mi è stata inviata da una monaca perplessa, scoraggiata e stanca, tanto da sentirsi “sradicata” in questa Chiesa che, scriveva, cede alle logiche del mondo, fa sua l’ideologia ecologista e pacifista e preferisce farsi paladina della Tolleranza anziché della Giustizia divina. Ora a quella lettera risponde il padre Giovanni Cavalcoli, con l’intervento che trovate qui sotto. Preciso che pubblicare la riflessione dell’amico padre Cavalcoli non significa che io la faccia mia. A essere sincero fino in fondo, la mia visione è molto più vicina a quella della Sorella nascosta, la quale da parte sua mi ha inviato una contro-replica. Buona lettura.
A.M.V.
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“Dobbiamo trovare il buono che c’è in Francesco”
Carissimo Aldo Maria, ho letto con vivo interesse ed una stretta al cuore le parole accorate della Sorella nascosta, che si sente a disagio o turbata per certe parole o atteggiamenti del Papa, mentre mi pare che le sfugga la percezione del buono che si può trovare in Francesco, magari sepolto sotto espressioni infelici o equivoche.
Mi par di vedere un’anima molto sofferente. Afferma: “Siamo in molti a sentirci scoraggiati e stanchi, ma soprattutto confusi, sradicati”. La monaca ha ragione quando dice: “C’è papolatria, assuefazione alla retorica in voga, desistenza supina, accecamento anche in monastero. E questo mi inquieta tantissimo, perché stiamo confondendo l’autentica obbedienza ecclesiale e quella del clericalismo totalitario”.
Qua e là, nella sua lettera, c’è una sottile ironia. Si nota un animo spaesato, ferito e amareggiato, ma con un fondo di patetica dolcezza e di carità, come si conviene a una onesta e nobile anima consacrata. È il dolore di una figlia che vede il padre comportarsi come non dovrebbe. La monaca tuttavia conclude con belle parole di speranza: “Mettiamoci sempre di nuovo nelle mani del Signore e chiediamogli di abbreviare questa notte oscura. Alla fine il suo Cuore trionferà mentre di già la Verità ci fa liberi”.
Vorrei dire che occorre cercare di comprendere con oggettività e lucidità, senza esagerare né per eccesso né per difetto, qual è il compito che lo Spirito Santo ha assegnato a questo Papa, quali sono le sue buone qualità, quale è la sua missione storica, qual è il bene che sta facendo alla Chiesa, nonostante i suoi difetti; occorre comprendere come intende guidare la Chiesa verso il Regno e seguirlo in ciò, senza rinunciare alle critiche legittime, perché anche lui è peccatore come tutti.
Così mi pare che certe espressioni del Papa, citate dalla Sorella, si possano intendere in senso buono e salutare, da vero pastore. Passiamole in rassegna. In corsivo sono le affermazioni sella Sorella, seguite dai miei commenti.
Chi è questo Dio nel nome del quale è stata siglata la dichiarazione emiratina? [di Abu Dhabi] Non può essere il Dio cattolico, che d’altra parte cattolico non è, come disse Bergoglio a Scalfari. Ha, piuttosto, tutte le sembianze del Dio modernista, prodotto della coscienza (o delle logge), che vive e parla dentro il sentimento religioso di ciascuno, che recluta ovunque i suoi adepti per farne una fratellanza universale; la cui volontà positiva è quella di forgiare una Nuova Religione della Tolleranza (multietnica, pacifista, ecologista e, già che ci siamo, pure vegan) che abbraccia tutte le religioni come altrettante esternazioni di un’intima esperienza religiosa da includere.
Rispondo dicendo che io credo che si tratti di quel Dio al quale si riferisce il Concilio trattando del Dio dei musulmani: “L’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini”[1]. È il Dio che può essere colto dalla ragione naturale, comune a tutti gli uomini.
Quanto alla famosa frase “non esiste un Dio cattolico”, probabilmente il Papa intendeva dire che non esiste un Dio esclusivamente proprio dei cattolici, ma che Dio è Dio di tutti, anche dei non-cattolici. Se invece per “Dio cattolico” intendiamo la concezione cattolica di Dio, è chiaro che esiste un Dio cattolico, che è il vero Dio al di sopra di quello di tutte le altre religioni.
Monsignor Schneider vorrebbe ermeneutizzare il documento di Abu Dhabi. A oggi, il testo non è stato né corretto né aggiornato, e mai lo sarà.
Anche questo testo, secondo me, ha bisogno di essere interpretato nel senso giusto, come ha tentato di fare monsignor Schneider. Dire che le diverse religioni, nella loro diversità, corrispondono alla volontà di Dio non è sbagliato, perché la diversità non è un male, ma è una ricchezza. Se il cristiano prega stando in ginocchio, il musulmano col capo a terra, l’ebreo presentando i palmi delle mani e il buddista stando accovacciato, tutto ciò rappresenta la volontà di Dio. Ciò che Dio non può volere nelle religioni sono i loro errori, che sono conseguenza del peccato originale, errori che sono assenti solo nella religione cristiana, perché fondata e guidata dal Figlio di Dio.
Per Bergoglio la Chiesa è un poliedro, con tutte le sue policrome e differenti sfaccettature che lo rendono così vario e interessante per la sua pluralità, non cattolicamente monolitico (cosa da aborrire).
L’immagine del poliedro non esclude l’unica fede, che viceversa ne è il centro di irraggiamento e di coordinamento. Più volte il Papa ha detto che la Chiesa è una sintesi di unità e di pluralità. Il poliedro rappresenta le varie modalità nelle quali l’unica fede è vissuta dalle varie componenti della Chiesa e da ciascun fedele. Pensiamo per esempio alla varietà degli istituti religiosi. Papa Francesco ovviamente non esclude l’unità e l’universalità della verità di fede, della quale egli è su questa terra sommo apostolo, interprete, custode, garante e difensore.
In più il Papa, oltre che abile a maneggiare il poliedro, è peronista. Secondo opportunità, dà ragione a tutti, sia a chi dice A sia a chi dice B, dove B è l’esatto contrario di A.
Più che altro si constata un’incoerenza fra quello che insegna e la sua familiarità inopportuna con ambienti e persone, amici e collaboratori, le cui idee ed i cui comportamenti contrastano apertamente con quanto egli insegna, seppure non sempre con chiarezza, non senza equivoci e reticenze. Certamente anche Cristo frequentava i peccatori, era comprensivo e misericordioso, ma da essi chiedeva anche la conversione e a volte li minacciava. Si ha invece l’impressione che Francesco ami la familiarità con i peccatori o devianti o eretici per se stessa, sì da considerarli semplicemente “diversi” e come tali da rispettare, anche nelle loro idee, senza che occorra correggerli.
Nel principio non cattolico (quello secondo cui la realtà è superiore all’idea) ci sono tutti gli ingredienti di una mente luciferina.
A parte il peronismo, sul quale posso essere d’accordo, qui la cara monaca fraintende gravemente e direi anche in modo offensivo, il pensiero del Papa. Infatti, il principio da lui enunciato non è altro che l’assioma del realismo gnoseologico, che San Tommaso d’Aquino enuncia nel famoso effato adaequatio intellectus et rei, che è la definizione stessa dell’essenza della verità.
Non dobbiamo dimenticare infatti che la realtà creata da Dio si presenta come superiore alle nostre idee, le quali saranno vere solo se si adegueranno alla realtà. Io, come accademico pontificio, ho scritto addirittura un articolo nella rivista dell’Accademia PATH per commentare questo principio di Papa Francesco[2].
La Chiesa è finita sotto il giudizio dei tribunali secolari. È di questi giorni la notizia che la Francia ha chiesto alla Santa Sede di levare l’immunità diplomatica al Nunzio, accusato di aggressioni sessuali.
Con l’affaire Barbarin, per non dire della versione australiana ancora più abbietta, la Chiesa lascia che sia lo Stato a decidere tutto. E tace. È divenuta una specie di azienda responsabile delle malefatte dei suoi sottoposti. Avendo tristemente venduto la sua sovranità e la sua inalienabile libertà, non ha più il coraggio di sfidare il giudizio dei tribunali del mondo. Si è dimenticata che non è il mondo a giudicare la Chiesa, ma la Chiesa a giudicare il mondo. “Ma chi sono io per giudicare?”. Diamo voce alla nostra Madre, libera, senza bavagli, imprendibile, indistruttibile, santa e vittoriosa.
Certi reati sessuali, come la pedofilia, sono di competenza anche del tribunale civile, per cui lo Stato ha qui tutto il diritto e il dovere di intervenire, perché davanti allo Stato e alla comunità internazionale in linea di principio un cattolico, fosse pure il Papa, anche se Capo di Stato, se si macchia di un delitto previsto dalla legge penale, è un cittadino perseguibile come tutti gli altri. La sovranità degli Stati non può prevalere sull’ordinamento internazionale comunitario della giustizia.
In una faccenda del genere non c’è alcuna prevaricazione dello Stato sulla Chiesa. Tuttavia è vero il male denunciato dalla monaca, e cioè un certo appiattirsi della legge canonica sulla legge civile, per cui, secondo il ben noto piano massonico, lo Stato tende a togliere alla Chiesa la sua libertà di svolgere la sua missione soprannaturale, nell’intento di ridurla a una semplice entità terrena politica, manovrabile dalla massoneria.
Così succede che nella Chiesa si sta perdendo di vista quella “giustizia” evangelica, che dev’essere “superiore a quella degli scribi e dei farisei” (Mt 5,20) e si sta diffondendo un concetto di giustizia adagiato nelle miserie di questo mondo, che così vengono legittimate, in una falsa misericordia e tolleranza, incapace di correggere le cattive tendenze e di “condurre in alto”, col soccorso della grazia, al di sopra di esse, per far tralucere fin da ora le primizie dell’uomo nuovo della resurrezione.
Un esempio che si potrebbe portare di questa acquiescenza alla morale del mondo, di quel mondo che la Chiesa dovrebbe vincere, purificare e salvare e non invece riverire come fosse il suo signore, è la gravissima questione della sodomia, oggi particolarmente diffusa anche nel clero. Il precedente diritto canonico puniva questo crimine; e invece esso, per un’idea veramente stolta, è stato espunto dal nuovo codice.
Da qui si evince quel cedimento al mondo della legge canonica, che è denunciato dalla monaca: siccome la legge civile non condanna la sodomia, anzi adesso l’ha legalizzata con le cosiddette “unioni civili”, assistiamo oggi nella Chiesa a una battaglia contro la pedofilia, ma non a una lotta contro la sodomia. Il Papa ha convocato i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, per trattare del problema della pedofilia, ma non di quello della sodomia.
È chiaro che non si tratta di tornare al Medioevo o di elevare, come fanno i musulmani, la sharìa a legge dello Stato. La Chiesa non ha bisogno di ottenere dallo Stato posizioni di favore o di privilegio o il riconoscimento del sacramento del matrimonio, benché ne riconosca gli effetti civili. Il sistema della religione di Stato è finito ed oggi lo Stato ha il dovere del rispetto della libertà religiosa.
Non spetta allo Stato ma alla Chiesa stabilire qual è la vera religione. Il cattolico è un leale servitore dello Stato, a patto che lo Stato non emani leggi disumane o contrarie alla legge naturale. Invece la Chiesa, grazie all’ordinamento canonico, deve organizzare al suo interno, in stretta collaborazione fra pastori e laici, un modello avanzato di società fraterna, egualitaria, giusta, ordinata, pluralistica, libera, pacifica e concorde: la civiltà cristiana.
Tale associazionismo cattolico, che può e deve esser anche politico, deve avere un ruolo trainante e d’avanguardia per tutta la società, deve destarne l’ammirazione, anche dei non credenti; dev’essere in prima fila, ovunque si promuovono e si rivendicano i valori dell’uomo e della civiltà, così come avveniva nei primi tempi del cristianesimo, nei quali i pagani restavano ammirati dell’alto livello morale di vita e del reciproco amore fraterno tra i credenti, tanto da dir tra di loro: “Guardate come si amano!”.
Quanto alla famosa frase “chi sono io per giudicare?”, dobbiamo dire che è stata fraintesa. Il Papa non ha assolutamente inteso legittimare la sodomia, che in sé è peccato grave, come alcuni erroneamente gli hanno fatto dire. Semplicemente ha voluto dire, e questo è molto importante, che anche un omosessuale può essere in grazia di Dio non certo per il suo peccato, ma per la volontà di guarire. Per cui posso forse io sentenziare in ogni caso che si trovi in peccato mortale davanti a Dio? Che ne so dell’intimo della sua coscienza?
Per zittirmi, mi dicono che non sono santa Caterina da Siena.
D’accordo, ma chi Le impedisce di imitarla? Le lettere che ella scriveva a Papa Gregorio XI e a Papa Urbano VI, con pochi adattamenti, potrebbero essere utili anche a Papa Francesco. Quello che dispiace è che mentre questi Papi avevano, al di là dei loro difetti umani, l’umiltà e la saggezza di ascoltare le parole ispirate della grande Santa, severe ma salutari, l’impressione che abbiamo è che Francesco preferisce ascoltare altre voci, che egli scambia per amiche o che si spacciano per amiche o per profetiche, ma che in realtà fingono una devozione che è piaggeria e lodano come virtù ciò che in Francesco è difetto.
Tuttavia, cara Sorella, come Lei sa bene, la sua vocazione non è tanto quella della parola, quanto quella del silenzio, un silenzio orante, meditante, adorante e contemplativo. Occorre infatti far silenzio quando parla Dio o per attendere che parli e per parlarGli non occorrono suoni articolati. Ma occorre anche far silenzio per ascoltare i fratelli, e tutti gli uomini, soprattutto i sofferenti nel corpo e nello spirito.
E vedo che Lei ha effettivamente questa capacità d’ascolto, sa immedesimarsi e vivere la sofferenza altrui. Sa comprendere anche la sofferenza del Papa, benché egli non lo dia a vedere col suo carattere estroverso e allegro. Come egli infatti non può soffrire per i mali che Lei denuncia? Stiamogli dunque vicini nella preghiera e nell’offerta di noi stessi perché egli guidi la Chiesa con il cuore di Dio.
Padre Giovanni Cavalcoli, OP
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[1] Dichiarazione Nostra aetate, n.3.
[2] La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’Evangelii gaudium di papa Francesco, in PATH, 2, 2014, pp.287-316.
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Ma San Tommaso e Bergoglio non dicono la stessa cosa
Ci sarebbe molto da dire e da commentare circa la lettera del padre Giovanni Cavalcoli. Mi concentro sul punto in cui il teologo attribuisce a San Tommaso il postulato secondo cui la realtà è più grande dell’idea (nella mia letterina avevo scritto “eccetera eccetera” perché i postulati bergogliani-neo-hegeliani, di sapore storicista, sono quattro. Ricordiamoli: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto ; il tutto è superiore alla parte; e quello già citato, la realtà è più importante dell’idea (Evangelii gaudium, 231, 233; Laudato si’, 201).
In effetti potrebbe sembrare che tale postulato – la realtà è superiore all’idea – si rifaccia al tradizionale realismo gnoseologico aristotelico-tomistico. E padre Cavalcoli, con entusiastico trasporto, comprende così le affermazioni di Francesco. L’approfondimento che Bergoglio fa di questo principio in Evangelii gaudium è in effetti attraente e, a prima vista, assolutamente condivisibile. Ma vorrei invitare padre Cavalcoli a una più attenta lettura, dalla quale emergono aspetti importanti.
1 – Il contesto in cui Francesco enuncia questo principio è sociologico e con ricadute pastorali. Evangelii gaudium non è un saggio di filosofia della conoscenza! Pur trattandosi di un principio filosofico, questo postulato viene utilizzato da Francesco in funzione dello sviluppo della convivenza sociale e della costruzione di un popolo (n. 221).
2 – Il linguaggio utilizzato da Francesco non è un linguaggio tecnico. I termini “idea” e “realtà” sono intesi in un significato diverso da quello in cui potrebbe intenderli la gnoseologia tradizionale. La “realtà” di cui parla Francesco non è la realtà metafisica, sinonimo di “essere”, ma una realtà puramente fenomenica. L’”idea” non è la semplice rappresentazione mentale dell’oggetto, ma sinonimo di “elaborazioni concettuali” (come si evince da Evangelii gaudium, 232), e quindi di “ideologia”.
Il postulato “la realtà è più importante dell’idea” non ha niente a che vedere con l’adaequatio intellectus ad rem. Esso significa piuttosto che dobbiamo accettare la realtà così com’è, senza pretendere di trasformarla, diciamo pure di redimerla, in base a principi assoluti, per esempio i principi morali che, secondo la logica bergogliana, sono mere idee astratte, che rischiano di trasformarsi in ideologie, o in pietre da scagliare. Non a caso, questo postulato è alla base delle continue polemiche di Francesco contro la dottrina.
Il pensiero cattolico non procede dialetticamente secondo l’aut – aut, ma secondo l’et – et. Il mondo è strutturalmente costituito da tempo e spazio, da unità e diversità, da realtà e idea, dal tutto e dalle parti. Nulla va escluso, né dialetticamente opposto, pena lo squilibrio della realtà, che può portare a conflitti devastanti.
Francesco polemizza sull’astrattezza della dottrina opponendola a una “realtà” a cui ci si dovrebbe semplicemente adeguare. Ma la realtà, se non è illuminata, guidata, compresa, ordinata da principi oggettivi, rischia di esplodere nel caos e di distruggere l’umano.
Le variegate situazioni esistenziali (la presunta “realtà”) vanno illuminate dal faro della Verità, per essere rettamente decifrate e redente.
I quattro postulati di Francesco sono il risultato della sua umana riflessione, presa magari a prestito da altri. La dottrina cattolica si fonda invece sulla divina Rivelazione. Che non abbia ad accadere a Bergoglio quanto già accaduto a Karl Marx, il quale, mentre tacciava di ideologia i pensatori che lo avevano preceduto, non si accorse che stava elaborando una delle ideologie più perverse e devastatrici della storia.
Altri punti andrebbero filialmente corretti, ma la Sorella nascosta non vuole tradire la missione che le spetta nel Corpo mistico: permettere, con il suo silenzio orante e adorante, che la Verità trionfi sull’errore, la Luce sulle tenebre, il Verbo eterno uscito dal Silenzio del Padre sulla cacofonia delle parole impazzite ed effimere. Il Verbo stesso manifesterà che la Verità (quella che procede dal Cuore di Dio, da non confondere con qualche idea appartenente a non so quale iperuranio) è più grande delle situazioni mutevoli delle realtà di quaggiù, le sovrasta, le normalizza, per la nostra eterna felicità.
Un caro abbraccio a Padre Giovanni.
La Sorella nascosta
DA LORETO
Il Papa spinge Verona: famiglia naturale insostituibile
«Nella delicata situazione del mondo odierno, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna assume un’importanza e una missione essenziali». Le parole del Papa ieri a Loreto corrispondono perfettamente allo spirito del Congresso mondiale delle Famiglie che si svolgerà a Verona nel fine settimana e che è oggetto di violentissime polemiche e accuse di oscurantismo, a cui si è accodata anche una parte del mondo cattolico.
Un'immagine della visita del Papa a Loreto
«Nella delicata situazione del mondo odierno, la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna assume un’importanza e una missione essenziali». Lo ha detto papa Francesco nella sua breve visita di ieri mattina a Loreto, dove ha anche firmato la Lettera post-sinodale ai giovani, «Christus vivit» (il testo sarà reso pubblico il prossimo 2 aprile).
Ma a colpire maggiormente sono state sicuramente le parole che, davanti alla folla riunita davanti alla Basilica che contiene la Santa Casa, il Papa ha dedicato al valore della famiglia, giustificate dal fatto che «la Casa di Maria è anche la casa della famiglia». «È necessario – ha detto ancora il Papa – riscoprire il disegno tracciato da Dio per la famiglia, per ribadirne la grandezza e l’insostituibilità a servizio della vita e della società. Nella casa di Nazaret, Maria ha vissuto la molteplicità delle relazioni familiari come figlia, fidanzata, sposa e madre. Per questo ogni famiglia, nelle sue diverse componenti, trova qui accoglienza, ispirazione a vivere la propria identità».
Anche se non c’è stato alcun riferimento diretto, le parole del Papa irrompono nel dibattito e sulle polemiche riguardo alla famiglia generate dal Congresso mondiale delle Famiglie (Wcf, secondo l’acronimo inglese) che si svolgerà a Verona il prossimo fine settimana. Stiamo assistendo a polemiche roventi sia dal mondo politico sia dall’associazionismo femminista e Lgbt in un crescendo di insulti e menzogne a cui si è accodato anche una parte del mondo cattolico.
Sul fronte politico si va dai distinguo del premier Giuseppe Conte, che ha ritirato il patrocinio della presidenza del Consiglio, agli insulti del vicepremier Luigi Di Maio, che ha addirittura utilizzato l'epiteto di "sfigati". Il neosegretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti, invece, ha annunciato il suo impegno per impedire quella che ha definito una «regressione culturale e civile», di cui sarebbe portatore il messaggio che è alla base del Congresso di Verona.
Ma se si riprendono le parole di papa Francesco non si può non notare la totale corrispondenza con l’obiettivo dichiarato degli organizzatori dell’evento veronese, che è quello di lavorare per «affermare, celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società». Nulla di così oscurantista, dunque, come invece vorrebbe lasciar intendere la macchina della propaganda laicista.
Del resto, come dimostra la quantità di odio scatenato sui social e nelle dichiarazioni di personalità pubbliche e commentatori vari, a dare più fastidio non è la scelta dei relatori o il colore politico delle autorità ospiti, ma la visione del matrimonio e della famiglia promossa dal Congresso e che corrisponde a quella insegnata dalla Chiesa. Ora, le parole del Papa pronunciate a Loreto, in un momento di pressioni mediatiche atte a legittimare la messa in discussione della famiglia naturale, arrivano forti ed inequivocabili, specialmente alla luce del contesto in cui sono state pronunciate.
D'altra parte, la Santa Sede si è già espressa sul Wcf con il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin che, non nascondendo «qualche differenza nelle modalità», nonostante la bufera mediatica scatenata sulla vicenda, aveva deluso chi magari auspicava una sconfessione «dall'alto» per l'evento di Verona: «Siamo d’accordo sul fondo, sulla sostanza», aveva detto il porporato.
Il discorso fatto ieri dal Papa a Loreto, fa anche tornare alla mente quello pronunciato da Giovanni XXIII sullo stesso tema e nello stesso luogo il 4 ottobre del 1962: «La famiglia - disse Roncalli ai pellegrini presenti - è il primo esercizio di vita cristiana, la prima scuola di fortezza e di sacrificio, di dirittura morale e di abnegazione. Essa è il vivaio di vocazioni sacerdotali e religiose, e anche di intraprese apostoliche per il laicato cristiano; la parrocchia prende dignità nuova e fisionomia inconfondibile, e si arricchisce di nuova linfa vitale di anime rigenerate, e viventi nella grazia del Signore».
Nel Santuario mariano, inoltre, papa Francesco è tornato a mettere in guardia da quelle che definisce le «molteplici colonizzazioni ideologiche che oggi ci attaccano». Il pontefice ha invitato a non cadere nella «cultura dello scarto» di cui sono le principali vittime le famiglie ed i malati. Un concetto, quello della cultura dello scarto, che Bergoglio ha più volte utilizzato anche in passato e di cui considera espressione pratiche come il suicidio assistito, l'aborto e l'eutanasia.
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