ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 26 aprile 2019

La logica torna al suo posto



A dieci giorni dall’incendio di Notre-Dame, ne sappiamo quanto ne sapevamo all’indomani dell’evento, e non vi è da credere che il vuoto di notizie sia legato al riserbo dovuto alle indagini in corso: come vedremo, altro è il problema. Riassumiamo i pochi dati fino ad oggi acquisiti.
Punto primo: secondo la Procura di Parigi, la causa dell’incendio è colposa, legata cioè a errore o incuria, e non dolosa, di matrice vandalica o   terroristica.
Punto secondo: gli addetti alla sorveglianza hanno riferito che vi è stato un errore nel programma che gestisce i segnali dei sensori. Il computer ha infatti segnalato un focolaio di incendio in un’area della cattedrale dove però non stava accadendo nulla. Pochi minuti dopo è scattato un secondo allarme localizzato in altra area, e questa volta l’incendio c’era.
Punto terzo: secondo la Procura, l’origine più probabile dell’incendio è un corto circuito.

Ripercorriamo i punti a ritroso, a partire da quest’ultimo. Nessuno ha ancora capito – perché nessuno lo ha ancora spiegato – come abbia potuto andare in fiamme la “foresta”, come la chiamavano i parigini. Era l’architettura di legno che sosteneva il tetto della cattedrale, costituita dai tronchi di 1300 querce utilizzati in epoca medioevale dai costruttori di Notre-Dame. Centinaia di tonnellate di legno bruciate.
Cortocircuito? Un classico. Potevano anche ipotizzare un mozzicone di sigaretta, tanto entrambe le ipotesi mostrano lo stesso grado di verosimiglianza. Giudicate voi.
Al momento dell’incendio, non vi era alcun lavoro in corso, e non era presente nessuno dei quindici operai che hanno lasciato il cantiere tra le 17 e le 17.30. Questo significa che nessun macchinario alimentato ad energia elettrica era in funzione, dunque neppure la misteriosa “saldatrice” di cui rimbalza la notizia, presunta causa del corto circuito stesso. L’incendio è divampato infatti alle 18.43, a cantiere vuoto.
In quanto al cortocircuito, ricordiamone la definizione “La sovracorrente che si verifica in un circuito a seguito di un guasto, tra due punti di diverso potenziale in condizioni ordinarie di esercizio”. “Condizioni ordinarie di esercizio” significa con l’impianto elettrico acceso, e con macchinari accesi. Ma impianti e macchinari alle 18.43 erano spenti.
La nostra fede nella Procura di Parigi però è incrollabile e tiriamo dritto. Un cortocircuito si sviluppa a causa di un surriscaldamento dei fili elettrici di rame.  Il calore fonde le guaine di copertura dei fili stessi e determina la dispersione di gocce di rame incandescente.
Non ci soffermeremo sul fatto che le coperture (conduttori) dei fili, in un cantiere addossato ad una nervatura di centinaia di tonnellate di legno, dovrebbero essere di materiale speciale e ignifugo: il punto non è questo. Il punto è che non è materialmente possibile che un corto circuito sia stata la causa dell’incendio.
Ne prendiamo atto correlando i tempi che hanno scandito gli eventi e per farlo passiamo al secondo punto dei tre sopra elencati: l’errore del programma del sistema di controllo e gli allarmi scattati.
Il computer della sorveglianza ha dato il primo allarme alle 18.20, segnalando una situazione anomala in una certa area della cattedrale. Gli addetti si sono recati nell’area segnalata senza però riscontrare alcunché: il computer aveva fornito un dato non veritiero.
Gli addetti sono tornati quindi alla loro postazione senza rilevare, lungo il percorso, né bagliori, né fumo, né crepitii. Dunque, intorno alle 18.20, la cattedrale non mostrava alcuna anomalia.
Alle 18.43 scatta un secondo allarme, e questa volta il computer non si è sbagliato: nella zona indicata è scoppiato l’incendio che ridurrà in polvere l’intero soffitto della cattedrale e la guglia.
Questo significa che in 23 minuti è scoppiato un focolaio di incendio che ha interessato un’area non piccola del tetto, tanto violento e tanto rapido nel propagarsi, che i Vigili del fuoco, accorsi sul luogo alle 18.50, sette minuti dopo il secondo allarme, non sono riusciti a domarlo.
Noi quindi dovremmo supporre che in 23 minuti – il tempo che separa la verifica degli ambienti avvenuta a seguito del primo allarme, e lo scoppio dell’incendio – gocce di rame fuso, prendendo contatto con travi di quercia, abbiano attivato un incendio incontrollabile. Tutto questo in assenza di materiali come carta, cartone, plastica, moquette, liquidi infiammabili, che possano aver innescato, alimentato e propagato il fuoco. Solo travi di quercia.
Occorre intendersi. Chi scrive non ha intenzioni di improvvisarsi consulente, d’altro canto gli scenari di una calamità non sono tutti uguali. Ve ne sono alcuni che possono essere valutati solo ed esclusivamente da tecnici o addirittura da scienziati, ma non è questo il caso. Non stiamo parlando di un incidente in una centrale nucleare o in un acceleratore di particelle. Questo è l’incendio di una struttura di legno, dunque il buon senso e un’elementare esperienza di vita non perdono i loro diritti e possono almeno orientare una valutazione di fondo.
Poniamoci ancora la domanda: si può credere che gocce metalliche incandescenti, prendendo contatto con una superficie lignea, densa e levigata, provochino in 23 minuti un incendio di questa natura?
Ho presentato lo scenario ad un Vigile del fuoco di mia conoscenza (non un pivello: una vita trascorsa nel Corpo e due medaglie d’oro), il quale mi ha risposto: “Impossibile”. Appunto: le incongruenze della versione ufficiale sono irrisolvibili.
La logica torna al suo posto in una sola veste: quella del dolo. Quale sia stato l’innesco, un incendio di quella forza, propagatosi con quella velocità, si spiega solo con la presenza di sostanze acceleranti presenti nell’ambiente.
È proprio questa logica che la Procura di Parigi sta evitando come la peste, e con questo torniamo al primo punto dei tre elencati: le valutazioni degli inquirenti sulla natura dell’evento.
I magistrati francesi dicono di credere, e invitano a credere, che le cause dell’incendio siano accidentali, non procurate.
Il problema è che hanno dichiarato questo mentre le macerie erano ancora calde. Cosa ne sapevano? Erano sul posto, quando l’incendio è scoppiato? Come hanno potuto escludere la matrice terroristica?
La facciamo breve: il problema è che, per gli inquirenti, l’incendio non deve essere doloso, perché le ipotesi del dolo sono, per il sistema francese ed europeo, una peggiore dell’altra, devastanti quanto l’incendio.
La prima ipotesi è la più ovvia: quella islamica. In Francia non si fonda sul pregiudizio ma sulla cronaca: negli ultimi tempi sono stati contati 300 atti vandalici, di diversa entità, ai danni di simboli della Fede, ultimo l’incendio di un’altra Chiesa-simbolo di Parigi: S. Sulpice.
Non occorre soffermarsi sulle ragioni che consigliano ai magistrati un prudente silenzio: i francesi non perdonerebbero ai musulmani l’incendio della loro cattedrale e la comunità islamica francese è la più numerosa in Europa. Tutto il necessario per appiccare un incendio peggiore di quello di Notre-Dame.
La seconda ipotesi, di pari probabilità, secondo il parere di chi scrive, è peggiore della prima, ed è vietato soltanto pensarla: un auto-attentato, congegnato non da terroristi islamici ma da uomini del “Sistema” francese.
Questo poi no, si dirà. E con quale scopo? Si può concepire, da parte di uno dei “nostri”, una tale condotta? Domande legittime per chi, sia detto senza paternalismo, non conosce il mondo in cui vive.
Le ragioni di un auto-attentato ruotano intorno alle fortune dei poteri “liberal” oggi al lavoro per la creazione di un’Europa massonica, sulle rovine dell’Europa cristiana. Fortune che sono in gioco sul tavolo delle elezioni europee, sullo sfondo della Brexit e dell’emergente fronte politico sovranista. Come è noto, i poteri mondialisti “liberal”, con centro in America, hanno in Europa il loro punto di forza nell’asse franco-tedesco. Ora, fino a due settimane fa, tra fallimenti in politica interna, i “gilet gialli” e un indice di gradimento in caduta libera, per Macron, uomo di questi poteri, in vista delle elezioni europee non si profilava una sconfitta ma una catastrofe. Non vi sono dubbi che l’incendio di Notre-Dame trovi, in questo scenario, la sua “utilità”.
Macron ha raccattato una solidarietà e una benevolenza che non potranno non avere effetti sul piano politico ed elettorale. Ha rivestito un ruolo che sarebbe stato diversamente impensabile per uno della sua razza.
La sera stessa dell’evento, davanti alle telecamere, Macron ha ostentatamente ceduto la parola a un ecclesiastico. Il Venerdì Santo è stata concessa una processione pubblica a Parigi. Macron ha proclamato il valore simbolico di Notre-Dame per cristiani e non cristiani, in Europa. Ha attivato una raccolta di fondi che ha dato risultati straordinari. Si è gloriato di essere il primo costruttore della nuova Notre-Dame.
Non male per un individuo che, fino al giorno prima, a cristiani e non cristiani, non era decisamente simpatico.
Oggi Macron è l’uomo della ricostruzione di Notre-Dame, e può dunque mostrare a tutti che lui, e quelli come lui, sono capaci di rappresentare non solo l’Europa delle banche ma anche l’Europa dei popoli.
Tutto questo, come si ripete, non gli eviterà una sconfitta alle elezioni, ma potrebbe risparmiargli una catastrofe, ed è ciò che più importa, per il momento, ai poteri forti francesi e non solo francesi.
Tanto basta per pianificare l’incendio di Notre-Dame, e senza neppure avvertire Macron. Complottismo? Si ritorni alla vicenda delle Torri Gemelle, e si prenderà atto di due cose.
La prima è la criminalità inarrivabile dei poteri che silenziosamente governano l’Occidente. La seconda è l’inarrivabile capacità, da parte del sistema delle comunicazioni di massa, di raccontare balle.

– di Mario Di Giovanni

(1 – continua. Domani la seconda e ultima parte)

1 commento:

  1. Sul fatto che non ci fosse nessun circuito elettrico alimentato a quell'ora c'è qualche dubbio, il ponteggio poteva essere allarmato , oltre allo stesso sistema antincendio. La polvere depositata nel sottotetto rappresenta un potente innesco per un legno di quercia vecchio di 700 anni.

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