ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 31 maggio 2019

Un Dio preciso

VERITA' E NOSTALGIA DEGLI DEI


Nostalgia degli dèi? e la verità? Dio è il Creatore che liberamente crea l'uomo e il mito è il modo in cui Dio parla all'uomo per ricondurlo a Sé. Credere nella Verità implica l'umiltà del pensiero ma anche l'audacia della fede 
di Francesco Lamendola  

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Nel suo ultimo libro, Marcello Veneziani sostiene, come recita il titolo, che l'umanità odierna ha nostalgia degli dèi. La sua tesi è che,nel corso dei secoli, le divinità si sono fatte idee, principi fondamentali per la vita e per la morte, amore per ciò che è superiore, permanente e degno di venerazione; e che una società schiacciata sul presente, come l'attuale, sembra averli spazzati via. Le divinità che sono state cacciate sono, per Veneziani, dieci, o lui ne elenca dieci: la Civiltà, la Patria, la Famiglia, la Comunità, la Tradizione, il Mito, il Destino, l'Anima, Dio e il Ritorno. In realtà, cacciati dalla porta, essi rientrano dalla finestra, proprio perché gli uomini ne hanno bisogno, non possono vivere senza; ma rientrano in forme impoverite, degradate, banalizzate: diventano i miti del consumismo, della popstar, dell'automobile, del vestito firmato.

Questa tesi ha una certa apparenza di verosimiglianza, ma, considerata più da vicino, non regge. Prima di tutto, si basa su una confusione concettuale fra dèi e miti; poi, su una ulteriore confusione fra il mito come creazione umana, e cioè come fiaba, e il mito come conoscenza di una verità assoluta, che è il significato forte della parola, quello adoperato, ad esempio, da Platone. Se il mito, infatti, altro non fosse che l'espressione di un bisogno umano, non si vede perché il mito di Atlantide dovrebbe valere più del mito della motocicletta: ogni epoca ha i suoi miti, e ogni società li esprime alla sua maniera. In tal caso, non esisterebbe alcuna differenza, né alcuna gerarchia: i miti sarebbero tutti "sacri", ma nel senso debole della parola, cioè degni di venerazione in base a dei presupposti meramente umani. Venerare gli dèi o venerare un oggetto prodotto dalla tecnologia, che differenza ci sarebbe?
Gli dèi non sono miti, parlano all'uomo per mezzo dei miti; e i miti non sono proiezioni del fantasticare umano, e sia pure di un nobile fantasticare, anche perché, una volta adottata la prospettiva immanentista e storicista, è opinabile se vi siano fantasticherie nobili o ignobili. Anche i nazisti esoterici fantasticavano di una Thule  iperborea e primordiale, patria della razza ariana, così come i bolscevichi fantasticavano di una società senza classi, senza proprietà, senza conflitti né sfruttamento: ed erano, a loro modo, dei miti:dei miti che si sono trasformati in incubi, i cui fantasmi continuano a perseguitarci, a decenni di distanza dal disastroso tentativo di realizzarli. Non è sufficiente che gli uomini abbiamo bisogno di dèi, per affermare che gli dèi esistono; né basta dire che gli uomini non possono fare a meno dei miti, per garantire a quei miti lo statuto della necessità. Solo ciò che è essenziale è veramente necessario: e l'uomo, checché se ne dica, può anche vivere senza dèi e senza miti, sia pure abbrutendosi; senza contare che qualcuno potrebbe porre la scomoda domanda: ma è essenziale, l'uomo? Leopardi, nel Dialogo di un folletto e di uno gnomo, osservava che, se un’improvvisa e misteriosa catastrofe si portasse via l'umanità intera, gli altri esseri viventi a stento se ne accorgerebbero, e senza dubbio parecchi se ne rallegrerebbero. Dunque, deve esserci qualcosa che rende essenziale l'esistenza dell'uomo; e qualcosa che rende essenziale l'esistenza del mito. E questo qualcosa è un Qualcuno: è Dio. Dio è il Creatore che liberamente crea l'uomo; e il mito è il modo in cui Dio parla all'uomo per ricondurlo a Sé. Il mito non è una creazione umana, e tanto meno lo è Dio. Affermare che, nel corso dei secoli, gli dèi si sono fatti idee e principi fondamentali per la vita e per la morte, significa ricadere nell'errore macroscopico dell'idealismo: immaginare che sia il Pensiero a creare l'Essere, mentre è l'Essere che crea il Pensiero. Anche perché Dio è il Pensiero, il Logos, il Verbo, la Parola: la parola umana non è che il riflesso della Parola divina; e i pensieri umani non sono che l'ombra del Pensiero divino. Perciò l'uomo è qualcosa se riconosce il suo statuto ontologico di creatura e si mette in cammino verso Dio; è niente se pretende di essere, lui, il creatore del divino. Gli uomini, perciò, sia individualmente, sia come società, devono scegliere se vogliono essere qualcosa oppure il nulla. E questo è il mistero della libertà. Se sceglie di essere qualcosa, l'uomo trova Dio e realizza se stesso; se sceglie di farsi dio, l'uomo si nullifica da se stesso.
Prendiamo il concetto di Dio nel pensiero di Veneziani (da: Nostalgia degli dèi, Venezia, Marsilio, 2019, p. 231):
Dio è il nome che diamo al mistero, e il sacro è il suo alone. Se gli dèi sono entità penultime, il mistero  di Dio è invece l'ombra  intorno alla verità ultima, definitiva.
L'itinerario della mente non può che concludersi in Dio, in cui si riconosce l'Inizio. L'amor di Dio è il colmo della vita, nel senso di culmine e pienezza.  Oltre, trabocca. Davanti al "Deus deorum", il Dio degli dèi, si addice il raccogliersi  in un atto di fede, d'amore e di preghiera.  Alla sua luce suprema, gli dèi appaiono scale  verso Dio, gradi per approssimarsi all'Uno. Dio  precede il cammino del pensiero e lo conclude, non coincide coi suoi passi, i suoi tormenti e le sue discese nella storia.
Il Dio a cui sono dedicate queste pagine è l'Intelligenza entro cui siamo e pensiamo, di cui non possiamo dir nulla perché  siamo dentro la sua Mente e il suo Ordine. Il Divino di cui qui trattiamo  coincide col sacro, è il suo apice, il suo manifestarsi, il suo travestirsi,  e il suo latitare.  Ed è il divino vissuto, ad altezza d'uomo, di società, nelle religioni, nelle tradizioni; il divino come a noi è apparso.
In termini strettamente filosofici, il discorso non è chiarissimo. Prima si dice che il sacro è l'alone che diamo al mistero chiamato Dio, poi si dice che Dio coincide col sacro, e subito dopo che è il suo apice (ma coincidere ed essere l'apice di qualcosa sono due cose differenti); inoltre, si precisa che questo è "il Dio di cui parliamo". Quest'ultima riserva mentale, tipicamente idealista, è la più significativa: dunque non stiamo parlando di Dio, ma di quel Dio che la nostra mente è in grado di definire, e sia pure per sottrazione ed esclusione: un Dio misterioso, del quale possiamo dire soltanto che è l'intelligenza entro la quale noi siamo e pensiamo. Questo è un punto decisivo. Non stiamo parlando di Dio, ma di "un" dio: quello che a noi sembra possibile (la creatura che giudica il Creatore!), quello che ci sembra essere la condizione per la nostra esistenza.  E invece potrebbe essere tutta una  nostra fantasticheria: perché no? Se noi fossimo parte del programma di un computer, Dio per noi sarebbe ciò che qualcun altro ha programmato che noi andiamo a cercare; più esattamente: Dio sarebbe, per noi, il software del computer: e dunque, parlando oggettivamente, una colossale illusione. Ma, obiettano gl’idealisti, noi non possiamo pensare e giudicare oggettivamente, perché  siamo parte di un qualcosa, di un tutto; di conseguenza, noi non siamo certi neppure di noi stessi, siamo uno, nessuno e centomila; figuriamoci se possiamo giungere fino a Dio in Sé e per Sé. E questa obiezione sarebbe giusta, se davvero noi avessimo la pretesa di innalzarci alla Verità, che è Dio, con le nostre sole forze. Veneziani, che segue i neoplatonici, e specialmente la metafisica di Plotino, non vede nulla di strano nel considerare gli dèi come scale verso il vero Dio; noi, come cristiani, ci vediamo molto di strano. Gli dèi che non sono il vero Dio non conducono da nessuna parte; così come i miti che non sono il Mito non rivelano alcuna verità; e noi abbiamo bisogno di Dio, perché abbiamo bisogno della Verità. Le verità, al plurale, non sono la Verità: sono la sua contraffazione. Veneziani parla di un atto di fede che si addice all'uomo; ma il punto di vista è sempre umano (troppo umano, direbbe il buon Nietzsche). Questo atteggiamento di “fede”, egli lo chiama amor di Dio; a noi pare amor di se stesso. È l’uomo che celebra se stesso, perché prega un dio al quale è giunto salendo le scale con i suoi piedi.
Altrove Veneziani dice che pensare il mito è pensare in grande; ma non è, ovviamente, una questione di dimensioni, bensì di verità. Il mito è il racconto, in forma simbolica, e perciò dal significato universale, di una verità trascendente; e la verità trascendente non è tale perché l'uomo si innalza fino ad essa, ma perché Dio la rivela agli uomini. Se il mito fosse una costruzione umana, per quanto grandiosa, sarebbe pur sempre una fiaba; ma noi non abbiamo bisogno di fiabe, abbiamo bisogno di verità.Ciò che caratterizza la struttura dell'essere umano è il bisogno di verità: non di una verità qualsiasi, non della verità che fa comodo in questa o quella circostanza, ma della Verità vera, della Verità assoluta. E siccome noi non siamo assolutamente in grado di arrivarci, quel che possiamo e che dobbiamo fare è supplicare Dio che ce la riveli: si veda l'ultimo canto della Divina Commedia e la preghiera di san Bernardo alla Vergine Maria, la quale, a sua volta, rivolge quella preghiera a Dio.
Il cristiano è colui che crede in un Dio preciso, un Dio che si è rivelato, un Dio che si è fatto carne per rivelarsi sino in fondo, sino alla morte, e alla morte sulla croce; e, nello stesso, per trasfigurare la carne mediante la Risurrezione, che è l’esito dell’adeguazione assoluta alla volontà di del Padre. Il dio cristiano non è un dio dei morti, ma dei vivi: e la Resurrezione è la sua ultima Parola sul destino umano. Chi crede questo, è un cristiano; chi non ci crede, chi pone mille distinguo, chi insinua mille dubbi, non lo è. L’uomo ha bisogno di verità e questo bisogno deve manifestarsi nell’adorazione del vero Dio, non verso gli dèi pagani o i miti di cartapesta della modernità: e non vi è una differenza sostanziale fra le due cose. In entrambi i casi, il paganesimo e il consumismo, si tratta di dèi e di miti fabbricati dall’uomo, dunque in una idolatria auto-celebrativa e narcisistica, in una radicale incapacità di dire: Tu. E questo accade sempre per la stessa ragione: l’ipertrofia dell’ego, che tiene l’uomo lontano da Dio, perché gli impedisce di accostarsi nel dovuto modo alla Verità. Chi è gonfio del proprio io non cerca veramente qualcos’altro, tanto meno sta cercando Dio; non cerca e non desidera altro che la propria gratificazione, vuol sentirsi al centro, vuol sentirsi dio. L’egocentrico è la negazione vivente dell’uomo di fede: l’uomo di fede si fa piccolo, l’egocentrico vuol farsi grande. L’uomo di fede, nella sua piccolezza, di cui è perfettamente consapevole, domanda a Dio si venirgli incontro; l’egocentrico pretende di arrivarci con le sue gambe, con la sua mente.

Abbiamo bisogno di fiabe o abbiamo bisogno di verità?

di Francesco Lamendola

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