ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 19 maggio 2019

Un perenne combattimento

COMBATTERE IL MALE PIU' GRANDE


La vita dell'uomo è combattimento contro la parte inferiore di se stesso. Il benessere? Che sia maledetto chi per primo ha inventato la formula del "Diritto al benessere": è colui che ha fatto il male più grande al genere umano 
di Francesco Lamendola  

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Abbiamo detto e ripetuto che la modernità è una malattia, un tumore maligno, e che il mondo moderno, le sue concezioni, i suoi stili di vita, in ciò che hanno di tipicamente moderno e non in ciò che in essi sopravvive, sia pure in forme attenute e travisate, della civiltà precedente, ossia della civiltà cristiana, è radicalmente incompatibile col Vangelo e con l'autentica vita cristiana. Abbiamo sempre affermato che ciò deriva essenzialmente dal fatto che la modernità esprime un rifiuto, sempre più lucido e intenzionale di Dio e la volontà di estrometterlo totalmente dalla vita dell'uomo. 

Dobbiamo ora spendere qualche riflessione sul modo in cui le masse sono state coinvolte nel progetto della modernità, nato nella mente di alcune élite e solo per gradi esteso alle classi popolari. Deve essersi trattato di un veleno alquanto sottile, e sapientemente confezionato e dolcificato, tanto è vero che non ha suscitato grosse reazioni, laddove un'azione esplicita e brutale da parte delle élite suscita sempre delle reazioni difensive da parte del popolo: tipico il caso della Vandea nel 1793, i cui contadini semplicemente non vollero piegarsi al cambio di paradigma imposto per decreto dalla Convenzione e dal Comitato di Salute pubblica. Ebbene quel veleno sottile è stato prima il mito del progresso, poi un mito più concreto, più pratico, quello del benessere. Un mito in apparenza innocente: che cosa c'è di sbagliato nel desiderare il benessere, specie dopo aver provato la povertà, la fame, e tutte le privazioni causate da uno sconvolgimento apocalittico come le due guerre mondiali? Nulla, in apparenza. E invece il veleno c'era, il veleno c'è, anche se non si vede, o se non lo si vede subito. Quel che di buono e di giusto gli uomini sono in grado di desiderare e di volere, nasce dal bisogno, dalla privazione, dalla difficoltà, dalla rinuncia: la natura umana è fatta così. Quando cessa la tensione morale dovuta al fatto di dover lottare per realizzare valori - il valore dell'onestà; il valore della famiglia; il valore del lavoro - e subentra uno stato prolungato di benessere, lì, come un serpente fra l'erba, si desta la tentazione. La tentazione, in senso cristiano, è la possibilità di seguire la strada più facile, quella di assecondare gli istinti, cercando non il bene vero, ma il bene apparente e immediato, servendosi di qualsiasi mezzo, anche illecito.

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 Non ci sono limiti alla ricerca del piacere, una volta che il piacere sia stato riconosciuto come il fine legittimo della vita, ma ci sarà sempre un Paperone che si dispera e si strappa i capelli perché gli manca uno spicciolo per fare un miliardo!

La tentazione è una realtà misteriosa e potentissima: chi la cerca, chi la sfida, chi la corteggia, prima o poi soccombe. Non esistono tentazioni del tutto innocenti; o, se pure ne esistono, non è innocente il fatto di stare a contemplarle. Chi si ferma ad ascoltarne il richiamo è perduto, perché nel suo intimo ha già deciso di arrendersi. Trovarsi in tentazione e cadere è una sola cosa, se colui che si trova in tentazione non fa appello al Solo che lo può aiutare, Dio. Con le sue forze, nessun uomo riuscirà mai a domare le tentazioni ma con la grazia di Dio tutto è possibile, perciò è possibile anche questo. Il benessere è uno stato o condizione di vita nel quale la tentazione è l'elemento costante e onnipresente. Quando l’anima è libera da sacrifici e difficoltà, quando non è messa alla prova, quando non deve fronteggiare situazioni di bisogno, di debolezza, di precarietà, si lascia carezzare da ogni sorta di tentazioni, perché la sua vigilanza si allenta, le sue difese s'indeboliscono, la sua padronanza del proprio io si attenua. Per essere ben presenti a se stessi, bisogna trovarsi nel fuoco della prova; l'indolenza e la pigrizia del benessere suscitano e fanno pullulare gli istinti inferiori, i bisogni fasulli, le curiosità malsane. La società del benessere non può essere altro, per sua natura ed essenza, che una società radicalmente anticristiana, perché la vita cristiana si regge e si alimenta di una continua tensione spirituale e morale, la tensione verso il Bene, cioè verso Dio. La società del benessere vuole sostituire le cose e le comodità a Dio, come oggetto cui tendere: perché l'uomo tende naturalmente verso il bene, ma è appunto nel discernimento del vero bene che si attua e si concretizza la sua dimensione  morale. Chi cerca il benessere, smette di cercare Dio; chi si pone come fine il possesso delle cose e delle comodità, non si pone come fine il bene vero, che si trova solamente in Dio e che, senza di Lui, non è più tale, ma si rivela per ciò che realmente è: una impostura e un tragico inganno.

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La modernità con il suo falso mito del progresso e del benessere è un "diabolico inganno": la società del benessere vuole sostituire le cose e le comodità a Dio! Una “realizzazione” che non conduca a Dio, ma che volti le spalle a Dio, è, per l’uomo, una contraddizione in termini. Ed è proprio questo che spiega lo stato di perenne angoscia e infelicità dell’uomo moderno!

È vero che, in teoria, il benessere può essere cercato come un mezzo, ma la pratica ci mostra come quasi sempre esso tende a impadronirsi della vita dell’anima e diventa un fine, davanti al quale ogni atro fine, se c’era, impallidisce e scompare. Per questo Gesù ha detto: Non potete servire due padroni: dovete scegliere fra Dio e Mammona. Nella dimensione concreta, non c’è un essere umano che sia capace di perseguire e ottenere il benessere, che non ne resti prigioniero: e ciò perché il benessere è un concetto relativo, non esiste un benessere assoluto, quindi chi ha raggiunto 100, subito desidera 150; e chi raggiunge 150, si convince che il vero benessere consiste nel possedere 200, 0 300, e così via. La ricerca del benessere è una ricerca senza fine: nessuno che abbia raggiunto un certo grado di benessere è anche capace di considerarsi soddisfatto e perciò di fermarsi, di auto-limitarsi e di ri-orientare la propria vita dalla dimensione materiale a quella spirituale. Le cose, che ci sono costate duri sforzi per lasciarsi conquistare, esigono poi di essere al centro del nostro mondo: con l’apparenza di lascarsi godere da chi le possiede, finiscono per diventare arbitre e padrone assolute. Ed è logico: sapersi limitare, saper riconoscere e perseguire degli obiettivi possibili, non per altra ragione che per puntare all’essenziale e non disperdersi in cose appetibili, però secondarie, richiede un grado di maturità e sobrietà da rasentare l’ascetismo; ma perfino un santo, posto che si lasciasse sedurre, anche solo per un momento, dal benessere, non sarebbe poi capace di riprendersi la sua libertà e finirebbe schiavo delle cose. Il benessere è di per sé un concetto relativo e indeterminato: non esiste una misura di esso, e poiché si tratta di una cosa apparentemente desiderabile, nessuno che tenda ad essa si riterrà mai pienamente appagato; ci sarà sempre un Paperone che si dispera e si strappa i capelli perché gli manca uno spicciolo per fare un miliardo. E chi si può permettere un vestito di lusso, poi vuole l’orologio di lusso; e poi l’automobile di lusso; e poi la casa di lusso; e poi la crociera di lusso; e poi… poi non c’è una fine, la catena prosegue all’infinito. E chi ha una moglie giovane e bella, fra dieci anni, o fra un anno, o fra una settimana, si accorgerà che ci sono altre donne, ancora più giovani e più belle, più desiderabili, più sensuali, e le vorrà possedere; fossero pure le mogli dei suoi migliori amici, oppure le fidanzate dei suoi parenti più stretti. Non ci sono limiti alla ricerca del piacere, una volta che il piacere sia stato riconosciuto come il fine legittimo della vitae che altro è il benessere, se non uno stato di piacere permanente, che nessuno ha il diritto di contestarci, di limitarci, di rimproverarci? Abbiamo lavorato, abbiano faticato, pertanto abbiamo diritto al benessere: questa è la filosofia dell’uomo moderno. E lo è anche di quegli uomini che non devono lavorare, né faticare, ma che hanno trovato la pappa pronta, perché nati e cresciuti in famiglie molto benestanti, nelle quali non è mai stato chiesto loro d’impegnarsi seriamente a fare una qualsiasi cosa. Che sia maledetto chi per primo ha inventato la formula del diritto al benessere: è colui che ha fatto il male più grande al genere umano. Le società sane, per fortuna, non ci hanno creduto e non si sono lasciate sedurre; ma le società malate, profondamente infettate dal virus della modernità, con tutto il suo armamentario di materialismo, edonismo, relativismo, consumismo e deresponsabilizzazione dell’individuo, non vedevano l’ora di cogliere al volo un simile slogan e se ne sono fatte zelanti seguaci, divenendo, a loro volta, agenti patogeni in libertà.

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Che sia maledetto chi per primo ha inventato la formula del "Diritto al benessere: è colui che ha fatto il male più grande al genere umano! La beffa è che una tale strada non porta nemmeno alla felicità, e meno che mai alla realizzazione di sé: perché la sola realizzazione possibile, per l’uomo, è farsi tutt’uno con Dio.

Una riflessione mirabile sulla inconciliabilità di benessere e fede cristiana è stata scritta da sant’Agostino, il quale osserva che l’uomo sale in alto e si avvicina al suo vero fine, quindi alla perfetta felicità, solamente quando si annulla nella volontà di Dio, mentre la ricerca del benessere è precisamente ciò che lo allontana da Lui, quindi che lo distoglie dal proprio fine e di conseguenza lo rende infelice. Sant’Agostino osserva che ; nessuno ama ciò che è costretto a sopportare, anche se ama la sopportazione in se stessa.Viene subito in mente la preghiera di Gesù nell’Orto degli olivi: Padre, se è possibile, che si allontani da me questo calice; però sia fatta la Tua volontà, non la mia. Neppure Gesù amava la Croce in se stessa, quindi nessuno pretende da noi che amiamo le nostre sofferenze; tuttavia Gesù ha amato la propria obbedienza al Padre, quindi ha amato l’atto di abbandonarsi fiduciosamente alla sua Volontà. Questo è il perfetto atteggiamento del cristiano: amare e fare sempre la volontà del Padre; e se questo comporta la Croce, allora bisogna prendere la propria croce, non perché essa sia amabile in se stessa, ma perché ci avvicina a Lui e ci rende simili, sia pure molto alla lontana, al suo divino Figlio, che fece la stessa cosa.
Scrive dunque Sant'Agostino, nel capitolo XXVIII del decimo libro delle Confessioni (traduzione di Carlo Vitali, introduzione di Christine Mohrmann, Milano, Rizzoli, , 1958, 1978, p. 286):
Quando tutto il mio essere si sarà fuso completamente con il tuo, dolore e travaglio non esisteranno più per me, e la mia vita, veramente viva, sarà tutta ripiena di Te. Tu porti in alto l'essere umano quando lo riempi di Te; ma io non sono ancora ripieno di Te, e quindi sono di peso a me stesso. Gioie che dovrei deplorare contrastano in me con tristezze che mi dovrebbero dar gioia, ed ignoro da qual parte penda la vittoria.
Ahimè, Signore; abbi pietà. Peccaminose tristezze combattono con gioie sante, ed ignoro da qual parte penda la vittoria. Ahimè, ahimè, Signore, pietà di me. Ecco: non tengo nascoste le mie ferite: Tu sei il medico, io sono l'infermo; Tu sei misericordioso, io ho bisogno di misericordia. La vita dell'uomo su questa terra non è forse tentazione? Chi andrebbe in cerca di molestie e di difficoltà? Tu ne imponi la sopportazione, non l'amore; nessuno ama ciò che è costretto a sopportare, anche se ama la sopportazione in se stessa. Cioè: è lieto di esercitare la pazienza, preferirebbe però che non esistesse ciò che gliela fa esercitare. Nelle avversità sospiro al benessere, nel benessere temo le avversità. C'è un medio tra questi estremi in cui la vita dell'uomo non sia tentazione? Guai alle prosperità del mondo doppiamente tristi, per il timore dell'avversità e per la corruzione della gioia! Guai anche alle avversità, due e tre volte guai, perché fanno desiderare la prosperità perché sono dure in se stesse, perché possono vincere la pazienza! La vita dell'uomo sulla terra non è dunque una tentazione senza intermissione?

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 Nelle avversità sospiro al benessere, nel benessere temo le avversità. C'è un medio tra questi estremi in cui la vita dell'uomo non sia tentazione? Il cristiano non cerca il benessere, cerca il bene che sono due cose completamente diverse!

La vita dell'uomo è combattimento

di Francesco Lamendola

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