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giovedì 6 giugno 2019

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Papa Francesco filosofo dell’inclusione


(Roberto de Mattei) Il 2 giugno, in Italia, la tradizionale parata militare per celebrare la festa della Repubblica è avvenuta nel segno dell’“inclusione”. «Il tema della inclusività, che ha caratterizzato la manifestazione, bene rappresenta i valori scolpiti nella nostra Carta costituzionale, che sancisce che nessun cittadino può sentirsi abbandonato, bensì deve essere garantito nell’effettivo esercizio dei suoi diritti», ha dichiarato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Lo stesso giorno a Blaj, in Romania, papa Francesco ha fatto un «mea culpa», a nome della Chiesa per le discriminazioni subite dalla comunità Rom: «Chiedo perdono – in nome della Chiesa al Signore e a voi – per quando, nel corso della storia, vi abbiamo discriminato, maltrattato o guardato in maniera sbagliata, con lo sguardo di Caino invece che con quello di Abele, e non siamo stati capaci di riconoscervi, apprezzarvi e difendervi nella vostra peculiarità». Nel corso della storia non ci sono tracce di persecuzioni o maltrattamenti dei Rom da parte della Chiesa, ma con queste parole papa Francesco ha voluto riaffermare quel principio di “inclusione”, di cui egli è oggi il teorico per eccellenza e a cui l’Unione Europea sottomette le sue politiche. 


L’insistenza con cui papa Francesco ritorna su temi come inclusione, non discriminazione, accoglienza, cultura dell’incontro, può sembrare a qualcuno come un’espressione di amore per il prossimo che, per usare una metafora dello stesso papa Bergoglio, fa parte della «carta di identità del cristiano». Chi pensa così, compie però un errore di prospettiva analogo a quello dei cattolici progressisti del tardo Novecento, secondo i quali l’attenzione di Marx per il proletariato nasceva dal suo amore per la giustizia sociale. Questi cattolici proponevano di scomporre il marxismo, rifiutandone la filosofia materialista ed accogliendone invece l’analisi economica e sociale. Essi non comprendevano che il marxismo costituisce un blocco inscindibile e che la sociologia marxista è una diretta conseguenza del suo materialismo dialettico. Marx non era un filantropo chino sulla miseria del proletariato per alleviarne le sofferenze, ma un filosofo militante che di queste sofferenze si serviva come strumento per realizzare il suo fine rivoluzionario.
In maniera analoga l’attenzione di papa Francesco verso le periferie e verso gli ultimi non nasce da spirito evangelico e neanche da un laico filantropismo, ma da una scelta che prima di essere politica è filosofica e che si può riassumere nei termini di un egualitarismo cosmologico. Francesco utilizza nella sua enciclica Laudato sì un neologismo: il termine di «inequità», che indica, nella sostanza, ogni forma di ingiusta disuguaglianza sociale. «Quello che noi vogliamo è la lotta contro le diseguaglianze, questo è il male maggiore che esiste nel mondo», ha dichiarato ad Eugenio Scalfari su Repubblica l’11 novembre 2016. Nella stessa intervista papa Bergoglio fa proprio il concetto di «meticciato» proposto da Scalfari. E Scalfari, in un editoriale sullo stesso quotidiano del 17 settembre 2017, afferma che, secondo papa Francesco: «nella società globale in cui viviamo, interi popoli si trasferiranno in questo o quel Paese e si creerà, man mano che il tempo passa, una sorta di “meticciato” sempre più integrato. Lui lo considera un fatto positivo, dove le singole persone e famiglie e comunità diventano sempre più integrate, le varie etnie tenderanno a scomparire e gran parte della nostra Terra verrà abitata da una popolazione con nuovi connotati fisici e spirituali. Ci vorranno secoli o addirittura millenni affinché un fenomeno del genere accada ma – stando alle parole del Papa – la tendenza è questa. Non a caso egli predica il Dio Unico, cioè uno per tutti. Io non sono credente, ma riconosco una logica nelle parole di papa Francesco: un popolo unico e un unico Dio. Non c’è stato finora nessun capo religioso che abbia predicato al mondo questa sua verità».
Il termine «meticciato», come quello di inclusione e di accoglienza, ritorna spesso nella pastorale papa Bergoglio. Il 14 febbraio 2019, in occasione del suo intervento al Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), a Roma, Francesco ha incontrato una rappresentanza di popolazioni indigene e, definendo queste comunità «un grido vivente di speranza», ha auspicato un «meticciato culturale» tra i «cosiddetti popoli civilizzati» e le popolazioni native, che «sanno ascoltare la terra, vedere la terra, toccare la terra». Il «meticciato culturale», ha spiegato è la rotta da seguire lavorando «per tutelare quanti vivono nelle zone rurali e più povere del pianeta, però più ricche nella saggezza del convivere con la natura». Il 19 gennaio 2018 a Puerto Maldonado, nel cuore dell’Amazzonia peruviana, papa Francesco, incontrando gli indigeni aveva detto loro: «Il tesoro che racchiude questa regione», non può essere compreso, capito, senza la «vostra saggezza» e le «vostre conoscenze». Per comprendere meglio questo riferimento alla «saggezza» e alle «conoscenze» degli indigeni bisogna ricorrere all’opera di un autore caro a papa Francesco qual è l’ex francescano Leonardo Boff. L’Amazzonia, spiega Boff, ha «un valore paradigmatico universale», perché rappresenta l’antitesi al modello di sviluppo moderno «carico di peccati capitali (del capitale) e antiecologici»; essa è «il luogo adatto per sperimentare un’alternativa possibile, in sintonia col ritmo di quella natura lussureggiante, rispettando e valorizzando la saggezza ecologica dei nativi che vi abitano da secoli» (Grido della terra e grido dei poveri. Per un’ecologia cosmica, Cittadella, Roma 1996, p. 183). Per Boff, «bisogna passare dal paradigma moderno al paradigma postmoderno, globale, “olistico” che propone “un nuovo dialogo con l’universo”, “una nuova forma di dialogo con la totalità degli esseri e delle loro relazioni”» (Grido della terra e grido dei poveri, pp. 26-27). 
L’Amazzonia non è solo un territorio fisico, ma un modello cosmologico in cui la natura è vista come un tutto vivente che ha in sé un’anima, un principio di attività interno e spontaneo. Con questa natura impregnata di divinità i popoli indigeni dell’America latina mantengono un rapporto che l’Occidente ha perduto. La sapienza dei nativi va recuperata, chiedendo perdono per le discriminazioni commesse contro di loro, senza attendere che essi chiedano perdono per il cannibalismo e i sacrifici umani che i loro antenati praticavano. I ponti che devono sostituire i muri sono solo unidirezionali. È questo il retroterra culturale del Sinodo che si aprirà in Vaticano il prossimo 6 ottobre. L’inclusione è un concetto filosofico prima che sociale: significa affermazione di una realtà ibrida, indistinta, “meticcia”, in cui tutto si fonde e si confonde, come la teoria del gender, che è la teoria dell’inclusione per eccellenza. Le persone LGBT, come i migranti o gli indigeni del Sud America vanno accolti e rispettati non in quanto persone, ma per le culture e gli orientamenti che veicolano.Questa cosmologia ricorda il Deus sive natura di Spinoza che predica l’identità di Dio con la sostanza infinita da cui tutti gli esseri derivano. Dio va incluso nella natura e la natura va inclusa in Dio, che non è causa trascendente, ma immanente del mondo, con cui coincide. Non c’è differenza qualitativa tra Dio e la natura, come non c’è differenza qualitativa tra lediverse società, religioni o culture, e neppure tra il bene ed il male che, secondo Spinoza, sono “correlativi” (Ethica, IV, prop. 68).
La dottrina dell’inclusione non è quella dell’Aeterni Patris di Leone XIII o della Pascendi di san Pio X, ma a questi documenti si opponePochi però osano dirlo apertamente. Fino a quando durerà questo ambiguo silenzio, comodo a molti, ma soprattutto a chi se ne serve per raggiungere fini estranei a quelli soprannaturali della Chiesa? (Roberto de Mattei)
Gotti Tedeschi a Church Militant: una Chiesa che si comporta così non è la Chiesa di Cristo
Ettore Gotti Tedeschi
(Marco Tosatti, Stilum Curiae – 5 giugno 2019) Cari amici e nemici di Stilum Curiae, vi invitiamo a leggere la bella intervista che Ettore Gotti Tedeschi ha concesso aChurch Militant, un sito cattolico americano, diretto da Michael Voris, molto impegnato nell’informare con chiarezza e onestà sulla vita della Chiesa, negli Stati Uniti e nel mondo.
L’intervista è incentrata soprattutto sul rapporto fra lavoro, ricchezza, religione e demografia. Ci piace tradurre gli ultimi tre paragrafi, in cui Gott Tedeschi ricorda il modo in cui fu allontanato dallo IOR probabilmente perché, aggiungiamo noi, il suo lavoro di pulizia dava fastidio a qualcuno. All’epoca ero ancora il vaticanista de La Stampa, e ricordo che quel pomeriggio ricevetti una strana, inusuale e mai ripetuta, né prima né dopo, telefonata da un diplomatico, un uomo di fiducia dell’allora Segretario di Stato Tarcisio Bertone, per incitarmi a scrivere un articolo critico di Ettore Gotti Tedeschi. Il fatto che il diplomatico in questione fosse uno dei pochissimi uomini di fiducia nella diplomazia di quello che io reputo la scelta umana più sventurata di Benedetto XVI   fa capire chi fossero i nemici della trasparenza allo IOR.
Ecco qualche brano:
Prima di tutto, sono “orgoglioso” di ricordare alla gente che sono stato io a lasciare la presidenza dello IOR. Una mozione di sfiducia mi è stata imposta da un consiglio che non aveva i poteri per farlo, e in effetti non è stato possibile ottenere un nuovo presidente per i successivi nove mesi; un nuovo presidente è stato installato solo dopo la rinuncia di Papa Benedetto XVI, nel febbraio 2013. Sono stato infamemente cacciato e perseguitato. Se dopo la mia cacciata, sono riuscito a mantenere la mia fede e ragione, è stato a causa di un nuovo legame indiretto stabilito con Papa Benedetto, e questo mi ha sempre consolato. Ma non è il momento di parlarne.
Per i miei fratelli della fede, i cattolici confusi, delusi, spaventati e arrabbiati, tutto quello che ho da dire è che la Chiesa che agisce in questo modo, o che permette quel tipo di comportamento, non è la Chiesa di Cristo. Invito tutti a leggere Delle Cinque Piaghe della Santa Chiesa del Beato Antonio Rosmini, che è illuminante. Ci sono molti santi sacerdoti, vescovi e cardinali a cui rivolgersi per un po’ di luce. Io sono solo uno che lo dice, perché sono solo un povero peccatore che cerca la santificazione.
Frequentavo spesso il Cardinale Caffarra [il cardinale dei Dubia Carlo Caffarra, ex responsabile dell’arcidiocesi di Bologna, deceduto a settembre 2017] quando era ancora vivo, ed era spesso commovente. Alla fine dei nostri incontri ho sempre visto la croce di Cristo ovunque – in realtà, più violenza vedevo, più vedevo la croce brillare. E così non ho mai perso la mia fede. Ma certamente, il mio più grande dolore è viverla in apparente disunione con Roma.
First of all, I am “proud” to remind people that I was the one who quit the presidency of the IOR. A motion of no-confidence was imposed on me by a board that had no powers to do so, and in fact they weren’t able to get a new president for the next nine months; a new president was installed only after the renunciation of Pope Benedict XVI, in February 2013. I have been infamously thrown out and persecuted. If after my ousting, I managed to keep my faith and reason, it was because of a new indirect bond established with Pope Benedict, and that has always consoled me. But this isn’t the time to speak of it.
To my brothers in the Faith, the confused, disappointed, scared, angry Catholics, all I have to say is that the Church that acts like this, or permits that sort of behavior, isn’t the Church of Christ. I invite everyone to read Of the Five Wounds of the Holy Church by the Blessed Antonio Rosmini, which is enlightening. There are many holy priests, bishops and cardinals to turn to for some light. I am actually one to tell, because I am only a poor sinner striving for sanctification.
I used to visit Cardinal Caffarra [Dubia Cardinal Carlo Caffarra, former head of the archdiocese of Bologna, deceased in September 2017] frequently when he was still alive, and it was often emotional. At the end of our meetings I always saw the Cross of Christ everywhere — actually, the more vileness I saw, the more I saw the Cross shining. And thus I have never lost my faith. But certainly, my greatest pain is to live it in apparent disunion with Rome.

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