Li sfidiamo a mostrare dove noi stiamo sbagliando. La vita cristiana è tutta nella lotta con l’Angelo: il problema essenziale della fede nel mondo contemporaneo è la perdita del senso del peccato ed è una sciagura per la Chiesa
di Francesco Lamendola
Il più grande peccato di oggi è che gli uomini hanno perduto il senso del peccato, ammoniva Pio XII in anni non sospetti, vale a dire settant’anni fa, ben prima che andasse in voga la teologia della misericordia a buon mercato del signore argentino che si è travestito da papa (nel radiomessaggio a conclusione del Congresso Catechetico degli Stati Uniti, Boston, il 26 ottobre 1946). E anche prima che Paolo VI - proprio lui, l’amico dei massoni, e massone lui stesso! - lanciasse il suo grido d’allarme sul fumo di Satana che si era infiltrato in Vaticano: dopo che la Chiesa stessa gli aveva aperto le porte, a partire dal conclave del 1958. La perdita del senso del peccato è, quindi, un problema che da molto tempo interroga la coscienza di credenti; ed è ben strano, e altamente significativo, che solo adesso un certo numero di essi se ne sia reso conto e vada cercando delle possibili spiegazioni, quando il fatto era lì, sotto gli occhi di tutti, e un grande papa, come Eugenio Pacelli, lo aveva posto all’ordine del giorno, richiamando su di esso la riflessione di tutti i cattolici pensosi della serietà della loro fede.
Li sfidiamo sin d’ora a mostrare dove noi stiamo sbagliando; in che cosa ci siamo scostati dal millenario Magistero della Chiesa; in che cosa stiamo alterando e travisando la divina Rivelazione!
Nel suo celebre romanzo Morte, dov’è la tua vittoria?, lo scrittore cattolico Henri Daniel Rops (1901-1965), accademico di Francia, faceva dire a uno dei suoi personaggi, l’abate Pérouze, queste parole (titolo originale: Mort, òu est ta victoire?, 1934; tradizione dal francese di Flavio Quaranta, Milano, Rizzoli, 1994, p. 186):
La sola vita è quella che ci viene dalla lotta per la nostra anima, la lotta contro l’angelo. Gli uomini di oggi disprezzano questa verità essenziale dell’essere che si vince, che si sorpassa. Hanno bandito il peccato dalla loro vita e dai loro libri, perché si sono perduti in lui, nel fiume fangoso senza sapere dove si dibattono. E invece si legano, si legano…
La verità essenziale dell’essere che si vince e si sorpassa era dunque oggetto di disprezzo da parte di molti, cattolici compresi, a giudizio di uno scrittore che ne parlava prima ancora di Pio XII, al principio degli anni ’30 del XX secolo: e siamo già risaliti indietro di quasi novant’anni. Dunque, sono almeno tre generazioni che i credenti, se sono disposti a guardarsi intorno, e soprattutto a guardarsi dentro, possono vedere in cosa consiste il problema essenziale della fede nel mondo contemporaneo: il progressivo smarrimento, l’attenuazione e infine la perdita del senso del peccato. Attenzione: bisogna guardarsi dalla frettolosa impressione che un simile evento sia semplicemente il frutto della progressiva secolarizzazione della società, del graduale, inesorabile distacco degli uomini dal Vangelo di Gesù Cristo, che si riflette e si ripercuote anche tra le file dei credenti. No, qui siamo in presenza di qualcosa di più profondo, e soprattutto di più malefico: se il tessuto della Chiesa, se la fede dei credenti si fossero conservati integri, non si sarebbe arrivati a questo punto; infatti, cosa si può immaginare di più devastante, di più contraddittorio, di più innaturale, per un credente, che smarrire il senso del peccato? Se si verifica una cosa del genere, non si tratta di un malessere periferico e secondario: è una malattia morale, che colpisce al cuore la fede e che è suscettibile di discutere e distruggere l’intero edificio della Chiesa. Che fede è, una fede che sia stata sbarazzata del senso del peccato? Se il peccato non viene più percepito come tale, allora la morale cattolica è stata tutto uno sbaglio, un errore, un malinteso; allora i credenti, per duemila anni, si sono affannati vanamente intorno a una cosa assurda e patetica, la ricerca della santità, e hanno combattuto contro un nemico evanescente, se non addirittura immaginario, il diavolo. La perdita del senso del peccato è la sciagura più grande che possa colpire la Chiesa, molto peggiore di una persecuzione scagliata dall’esterno, per quanto crudele e sistematica; e un clero che vi assista passivamente, senza reagire con tutte le sue forze, vuol dire che ha smarrito il senso della sua missione e ha abdicato al suo dovere, vuoi per debolezza, vuoi per complicità col mondo.
Il problema essenziale della fede nel mondo contemporaneo è il progressivo smarrimento, l’attenuazione e infine la perdita del senso del peccato! Ed è la sciagura più grande che possa colpire la Chiesa!
Henri Daniel-Rops, nel brano sopra citato, fa riferimento a un episodio misterioso dell’Antico Testamento, che ha affascinato molti artisti ed è stato raffigurato in un gran numero di tele e di affreschi: la lotta di Giacobbe con un Angelo del Signore, protrattasi per tutta la notte, oltre il guado del torrente Iabbok, presso Penuel (Genesi, 32, 25-32):
Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!». Gli domandò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». Giacobbe allora gli chiese: «Dimmi il tuo nome». Gli rispose: «Perché mi chiedi il nome?». E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel «Perché - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva». Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuel e zoppicava all'anca.
Oggi assistiamo alla responsabilità gravissima di una chiesa che ha smesso di lottare con l’Angelo; che ha smesso di esortare i fedeli alla lotta con l’Angelo; che ha smesso di cercare, di chiedere, di pretendere, la benedizione del Signore; che si rifiuta addirittura d’impartire la benedizione ai fedeli, in nome di un assurdo fraintendimento del rispetto della libertà religiosa, che si traduce in un vero e proprio tradimento delle pecorelle del gregge di Cristo!
Perché Giacobbe ha lottato con l’Angelo, per tutta la notte, fino allo stremo delle forze, e ne ha riportato una slogatura del femore, ma infine ha strappato la vittoria? Per ottenere una benedizione. Questo episodio pertanto vuol farci capire che la vita del credente è impegno, militanza, lotta, e prima di tutto lotta con se stesso, lotta senza quartiere per ottenere la benedizione del Signore. E chi può sperare di ottenere la benedizione del Signore, se non colui che è pronto e disposto a tutto pur di fare la Sua volontà, di lasciar andare il proprio io e di arrendersi alla potenza del Suo amore? E che altro è il peccato, se non l’adorazione del proprio io e il disprezzo dell’amore di Dio, il rifiuto di fare la sua volontà? Dunque la lotta di Giacobbe con l’Angelo è la lotta del credente contro le proprie passioni disordinate, contro la parte inferiore di se stesso, che brama le cose carnali, le cose di quaggiù, e non si cura delle cose eterne, della beatitudine celeste. Ma allora la vita è lotta, è rischio, è impegno totale; non è una passeggiata di piacere, non è un continuo indulgere alle proprie umane debolezze: è uno sforzo per superarsi, per oltrepassarsi. Aveva visto giusto Nietzsche, dopotutto, assai più di tanti altri spiriti moderni inebriati dall’edonismo banale e materialista; solo che non aveva compreso che l’uomo non si può oltrepassare da se stesso: sarebbe uno sforzo vano e impossibile, paragonabile alla pretesa del Barone di Münchhausen di tirarsi su, con tutto il cavallo, dal fango della palude in cui è sprofondato, afferrandosi, per i capelli e facendo forza con le braccia. Come potrebbe l’uomo essere piedistallo a se stesso? Come potrebbe puntare in alto, facendo forza sulla terra, lui che è fatto per aspirare al cielo? Come potrebbero, i suoi piedi, poggiare sul terreno solido e sorreggere tutto il peso della sua persona, tutta la tensione del suo slancio, se la terra è proprio ciò che lo trattiene in basso, che gli tarpa le ali e lo costringe a sentire tutto il peso di se stesso? La lotta di Giacobbe con l’Angelo ci ricorda che, per ottenere la benedizione del Signore, bisogna gettarsi allo sbaraglio, bisogna odiare le proprie comodità, bisogna disprezzare tutto ciò che ci suggerisce l’istinto della viltà, del risparmio, della prudenza malamente intesa. Dio non sa che farsene degli spiriti tiepidi, calcolatori, professionisti del temporeggiamento: no, Lui vuole degli spiriti eroici.Ci vuole eroi; ci vuole santi; oppure non ci vuole. Non si accontenta d’averci a metà, perché è come un amante geloso: ci vuole per Sé fino in fondo, in ogni nostro pensiero, in ogni nostra fibra, senza riserva alcuna. Chi cerca Dio, ma con cautela; chi vuol fare la Sua volontà, ma con riserva; chi è pronto a darsi a Lui, però alle proprie condizioni, non è pronto a lottare con l’Angelo, e dunque non è che un inciampo a se stesso, un pozzo prosciugato nel deserto, un coltello senza lama. A chi o a che cosa può servire? A nulla. Trascorrerà i giorni e gli anni della sua vita credendo d’aver fatto chissà cosa, ma non avrà fatto nulla, non avrà progredito d’un millimetro sulla strada che a ciascuno è data. Potrà anche aver fatto grandi cose agli occhi degli uomini; potrà aver riportato trionfi, aver riempito i suoi forzieri, aver strappato l’applauso delle folle: ma agli occhi di Dio sarà una delusione totale, una promessa mancata. Avrà fallito il suo scopo e non se ne sarà neppure accorto, perché avrà messo a tacere la voce salutare del rimorso, la voce stessa di Dio che ci richiama al nostro compito; perché ciascun uomo ne ha uno, fatto per lui.
Oggi, non ci troviamo più di fronte alla Chiesa fondata da Gesù Cristo per la salute delle anime, bensì di fronte a una "Entità degenerata e mostruosa": giungiamo così alla sconcertante conclusione che i sacerdoti di quella che si fa ancora chiamare la chiesa cattolica, in realtà sono i servi della sinagoga di Satana; dei servili adulatori dell’impostore sudamericano, paragonabili ai servi della Bestia dell’Apocalisse!
La vita cristiana è tutta nella lotta con l’Angelo
di Francesco Lamendola
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