Ecco cosa pensa un cattolico, che prova attrazione per lo stesso sesso, dei “sermoni” pro LGBT di padre James Martin. Egli si sente guarito dall’abbraccio materno della Chiesa, un abbraccio che però non risparmia la verità.
Un articolo di Chris Watkins nella mia traduzione. 
(Foto Shutterstock, via LifeSiteNews)
(Foto Shutterstock.com, via LifeSiteNews)

Come uomo cattolico ravveduto dall’attrazione per lo stesso sesso, vorrei commentare l’influenza persuasiva del libro, “Building a Bridge” (“Costruire un ponte”), del padre pro-LGBT James Martin, e l’attuale desiderio eccessivo della gerarchia ecclesiastica di attirare nell’ovile tutti coloro che sono attivamente coinvolti nello stile di vita LGBT senza chiedere loro di lasciarsi alle spalle questo stile di vita.
Nella maggior parte della mia vita adulta ho lottato con la mia condizione e la mia identità. Da quando sono diventato cattolico 35 anni fa, la lotta si è intensificata mentre cercavo di conciliare queste inclinazioni con gli insegnamenti di Cristo. Mai, in tutto questo tempo, sono stato accolto con giudizio o severità opprimente, né ho subito una crudele emarginazione da parte dei sacerdoti cattolici – solo compassione e consigli premurosi e utili. La Chiesa non ha nulla di cui scusarsi, non nei miei libri comunque.
Molto prima che la Chiesa si avventurasse in un luogo vicino all’attuale soglia del dibattito, una volta ho camminato in quei corridoi familiari di pensiero che sacerdoti e vescovi stanno esplorando: Volevo che l’insegnamento della Chiesa cambiasse, che si adattasse a me e che si adattasse alla mentalità della psicologia moderna. Volevo che la Chiesa comprendesse e credesse che uomini (e donne) come me erano stati “fatti” così da Dio e quindi i nostri desideri, i nostri bisogni, il nostro diritto di avere un partner ed essere amati e apprezzati con intimità, erano tanto significativi, naturali, essenziali e validi quanto il matrimonio maschio/femmina.
Ho protestato. Sono stato furbo. Ho anche lasciato brevemente la Chiesa ad un certo punto, incensato dalla “resistenza dal collo rosso” all’aspetto antidiscriminazione della Riforma del Diritto Omosessuale.
Come Giacobbe, ho lottato con Dio. Per anni ho lottato con Lui, con la Scrittura, con gli insegnamenti magisteriali. E poi un giorno mi giudicò nei miei peccati. Mi sono pentito. Andai alla Confessione e le lacrime grondavano sulla mia faccia mentre mi confessavo. Sono stato trattato con la massima sensibilità, e quando sono uscito dal confessionale mi sono sentito purificato dalle mie lacrime e dall’assoluzione. Nelle 24 ore successive, mi sono sentito rinnovato, come se vent’anni mi fossero stati rimossi. La mia anima aveva “recuperato la sua originaria innocenza attraverso il sacramento della penitenza” (per citare Gesù che parlava a suor Josefa Menendez). È difficile da spiegare con precisione a parole, ma sentivo che un’ombra si era sollevata da me, liberato dal carico del peccato.
Ero una Nuova Creazione. Più tardi, nella preghiera, ho consegnato completamente la mia sessualità a Dio.
Siamo onesti: le attrazioni e i sentimenti non sono completamente scomparsi da quel giorno. Non ci sono illusioni nella mia vita. Non sto sublimando le cose o distaccandomi dalla realtà. Piuttosto, ho subito una tremenda guarigione (i miei problemi sono derivati dall’abbandono di mia madre da bambino), e questa guarigione è iniziata con la mia ammissione che la mia attrazione per lo stesso sesso è stata, come insegna la Chiesa nella sua saggezza, “intrinsecamente disordinata”.
Questa verità è aumentata di chiarezza nel tempo, man mano che l’ordine è stato gradualmente ristabilito nel mio cuore e nella mia mente. La caduta di Adamo ha lasciato all’umanità una razza danneggiata, e la mia condizione ne è parte integrante. La guarigione, tuttavia, è possibile solo grazie all’eredità vivente dei Sacramenti divini della presenza reale di Gesù, che Egli ha lasciato alla Sua Chiesa. Ogni volta che ricevo Lui nella Santa Comunione sono rafforzato; la Messa quotidiana e la preghiera, specialmente il Rosario, il digiuno e la confessione regolare – tutto questo fa parte dell’armatura per mantenere la castità e crescere in grazia.
Come san Paolo posso dire: “Sto operando la mia salvezza con paura e tremito”, ma sono oggi una persona più felice e più libera, più integrata, non più governata dai miei appetiti – più contenta, in pace, cosa che gli altri notano.
Quando di recente ho letto che un cardinale di spicco ha dichiarato che “vivere all’altezza degli ideali cristiani di questi tempi richiede virtù eroiche”, e aggiungendo poi: “il cristiano medio non può aspirare a ideali così alti”, mi sono sentito spinto a scrivere e confutare le sue parole perché negano lo straordinario aiuto dei Sacramenti. Io non sono nulla di speciale; i cambiamenti avvenuti nella mia vita non posso che attribuirli alla grazia di Dio, e questo è a disposizione di chiunque lo chieda con cuore sincero.
Accogliendo nella Chiesa coloro che sono immersi nello stile di vita LGBT, il peccatore e il peccato, la Chiesa sta camminando su un ghiaccio pericolosamente sottile – specialmente se le coppie dello stesso sesso, per esempio, sono accolte come quelle in rapporti adulteri per condividere la Coppa della Comunione. Questa è la sanzione ufficiale del sacrilegio e non portiamo “giudizio e condanna” su noi stessi con questo? Quando Gesù disse ai capi religiosi del suo tempo che le prostitute e gli esattori delle tasse li precedevano in cielo, intendeva dire che si pentivano.
Essere “inclusivi” è lodevole, e siamo tutti chiamati ad una profusione d’amore, ma considerare poco utile il cosiddetto linguaggio “duro” della Chiesa per perdonare i comportamenti dello stesso sesso, non può che portare ad escludere “gli esclusi” ancora di più dalla salvezza e dai reali benefici che Gesù ha da offrire!
Purtroppo, padre James Martin e i suoi sostenitori, che si lamentano dell’emarginazione della comunità LGBT da parte della Chiesa, sono ora colpevoli dello stesso atto di emarginazione quando parlano con disprezzo e intolleranza di persone come me, etichettandoci come “ex gay” e traditori della causa, mentre noi ci stiamo semplicemente dedicando a incarnare gli insegnamenti tradizionali di Cristo. 
Fonte: Lifesitenews

Quelle accuse rivolte agli ecclesiastici sudamericani

Almeno tre alti-ecclesiastici sudamericani, nel corso di questi anni, sono stati chiamati in causa da accuse varie. Tutti e tre possono essere definiti "bergogliani"


La Chiesa sudamericana, in questi sei anni e mezzo, ha espresso molto in termini di gerarchia vaticana. Nei pensieri dei cattolici "tradizionalisti" e dei critici di Jorge Mario Bergoglio non c'è solo il correntone progressista statunitense, quello composto dai cardinali Tobin, Farrell, Wuerl, Cupich e dall'ex consacrato McCarrick, ma anche un insieme di alti-ecclesiastici sudamericani, tutti considerati quantomeno collegabili con il pontificato di papa Francesco.
Stiamo parlando del cardinale Oscar Maradiaga, di mons. Juan Josè Pineda e del mons. Edgar Peña Parra. Quando si è trattato di eleggere il successore di Benedetto XVI, in molti si aspettavano che il pontefice venisse scelto tra i porporati dell'America meridionale. Tra i nomi più accreditati, figurava quello del cardinale Odilo Scherer, che è brasiliano. Ma non è andata così. Il Papa è argentino, mentre il Sud America ha iniziato a contare molto. Il Sinodo sull'Amazzonia di ottobre lo dimostra. Il relatore di quell'appuntamento sarà un altro carioca, il cardinale Claudio Hummes, che è a sua volta ritenuto un progressista.
La "Chiesa dal volto amazzonico" sta per fare la sua comparsa nella storia. E i conservatori, soprattutto in seguito alla pubblicazione dell' Instrumentum Laboris, che è stato perfino definito "eretico" dal cardinal Brandmueller, non sembrano disposti a mollare neppure un centimetro sul piano dottrinale. L'assemblea sinodale rischia così di raccontare una sorta di derby tra chi, nella Chiesa cattolica, ha una visione conservatrice e chi, all'interno dello stesso consesso, promuove una "Chiesa in uscita", specie tra i sudamericani. Ma non è l'unico ambito di cui si sta discutendo.
I tre ecclesiastici sudamericani citati in precedenza, e cioè Maradiaga, Pineda e Parra, erano già balzati agli onori delle cronache nei mesi precedenti. Non in relazione al Sinodo, che è una vicenda a sè stante, ma in funzione di una serie di circostanze, che sono state elencate in un articolo odierno de La Verità. Mons. Pineda, come si legge anche sulla Sir, si è dimesso nell'estate del 2018. Essendo stato incaricato a Tegucicalpa, dove c'è la diocesi di cui Oscar Maradiaga è titolare, quel vescovo è stato spesso accociato al cardinale, che presiede ancora il C9, cioè il consiglio ristretto dei cardinali che sta lavorando alla riforma della Curia romana. Come avevamo già messo in evidenza, le accuse per cui mons. Pineda si è fatto da parte sono relative a "comportamenti inappropriati". Si potrebbe trattare di accuse per abusi sessuali.
E Oscar Maradiaga? Il porporato che il Santo Padre ha scelto per coordinare il suo disegno riformista è stato tirato in ballo, al termine del 2017, da un'inchiesta de L'Espresso per la ricezione di 35mila euro mensili provenienti dall'Università della capitale dell'Honduras e per alcune accuse "per alcuni investimenti milionari in società londinesi poi scomparse nel nulla". In questo articolo è approfondibile l'intera questione.
Per quanto riguarda monsignor Parra, invece, vale la pena sottolineare anzitutto come papa Francesco lo abbia scelto per fare da sostituto, quindi da vice, della Segreteria di Stato del Vaticano. Poco dopo la nomina, è emerso un dossier in cui viene raccontato di come il monsignore sarebbe stato espuso da un seminario e di come sempre lo stesso Parra sarebbe stato accostato a "condotte immorali". Mons. Carlo Maria Viganò, l'ex nunxio apostolico negli Stati Uniti che l'estate scorsa ha scosso gli ambienti ecclesiastici e non con il suo memorandum, ha scritto che: "Lui (riferito a Parra, ndr) ha una connessione con l'Honduras, cioè con il cardinale Oscar Maradiaga. Peña Parra dal 2003 al 2007 ha prestato servizio presso la nunziatura di Tegucigalpa in qualità di consigliere". Il cardinal Maradiaga, mons. Parra e mons. Pineda, insomma, farebbero parte degli stessi ambienti ecclesiastici.
La Chiesa dell'America meridionale e gli ecclesiastici sudamericani, insomma, guidano le istituzioni ecclesiastiche verso il futuro, ma gli alti ecclesiastici vicini al vertice del cattolicesimo possono dirsi del tutto estranei al "collasso morale" citato di recente da Benedetto XVI?