LA GRANDE IMPOSTURA PARTE 2 - RIFLESSIONI SULL’INGANNO DEI TEMPI PRESENTI
Vicino alla comoda e vecchia poltrona in cui leggo e recito il Breviario c’è un tavolino girevole, dotato di piccoli ripiani su cui tengo i libri di frequente consultazione: la Vulgata, l’Imitatio Christi, l’Année Liturgique di dom Guéranger, l’Enchiridion Patristicum, il Denzinger e qualche altro volume. Ci tengo anche un Rosario, i miei occhiali da lettura, le pastiglie per il cuore, una penna e un Moleskine su cui annoto le intenzioni delle Messe.
Durante il giorno, specialmente nelle prima ore della giornata, la luce entra dalla finestra proprio alle mie spalle, rendendomi facile la lettura; nel pomeriggio una gradevole penombra mi permette di riposare, talvolta socchiudendo le imposte, ma impone l’uso di una lampada se voglio dedicarmi allo studio o ricrearmi lo spirito: una piantana illumina il salottino senza ferirmi la vista. Il fiocco che scende dal paralume di seta è spesso oggetto delle attenzioni della mia gatta, la quale sa benissimo che i suoi divertimenti non sono apprezzati né da me, né tantomeno da mia sorella Giuseppina, che nel suo ruolo di perpetua e governante è l’unica ed incontrastata moderatrice della casa.
Fino ad alcuni anni orsono - dovrei dire fino al Concilio, ma per amore di verità credo che questo sia avvenuto fino agli anni Ottanta - le lampadine non venivano cambiate quasi mai, al punto che quasi ci si poteva dimenticare di averle. Poi, per altri venti o trent’anni, si fulminavano a turno, durando circa un anno. In quest’ultimo lustro, se durano un mese è troppo. E mentre una volta le lampadine erano sempre le stesse - a torciglione opaco per il lampadario del salotto e le appliques della cappella, Edison da 60 candele per la lampada dello studio - oggi ce ne sono sempre nuovi modelli: a basso consumo, a luce bianca, a luce gialla, a led. Ed è ogni volta un’impresa riuscire a trovare la mia vecchia e cara lampadina a pera da 40 candele per la piantana. Il negoziante al quale periodicamente mi rivolgo per le sostituzioni ha trovato una partita di lampadine preconciliari da un suo collega che ha chiuso bottega, e le tiene per quei pochi clienti insofferenti al progresso scientifico, specialmente quando esso impone - in nome di qualche assurdo regolarmento europeo - di deturpare la sobria eleganza di un lampadario di Murano con lampadine enormi, sproporzionate e che spandono una luce da sala anatomica.
Ieri mattina, dopo aver fatto il mio solito giro per la spesa sotto casa, sono passato anche a prendere un’altra lampadina, ad una sola settimana di distanza dall’acquisto precedente. Mi spiega il commesso che da qualche anno le ditte che producono lampadine lasciano al loro interno un po’ d’aria, in modo che durino meno e si brucino più facilmente. Obsolescenza programmata, la chiamano: secondo mio nipote qualsiasi elettrodomestico moderno viene costruito con qualche componente che lo renda inutilizzabile di lì a poco, quantomeno non appena ne scade la garanzia, per favorire la vendita di nuovi prodotti.
Insomma, chi produce e vende lampadine non lo fa per fornire un prodotto di buona qualità a chi ne ha bisogno e conseguentemente trarne un legittimo guadagno, ma per guadagnare su un prodotto contraffatto con l’alibi ch’esso serva al cliente. Una frode, se vogliamo. Perché alla fine il bene venduto non dev’essere necessariamente ciò che dichiara di essere - ad esempio, la lampadina che consuma meno e quindi rispetta l’ambiente - ma un sistema truffaldino per alimentare il Moloch dell’industria; perché se quel prodotto fosse veramente di buona qualità - la camicia di buon tessuto, il paio di scarpe ben fatte, la padella davvero antigraffio - se ne venderebbero pochi esemplari che durerebbero anni, con la conseguenza che chi lo produce dovrebbe rassegnarsi a vendere solo quello che serve, senza riempire le discariche di padelle inservibili e i cassonetti della Caritas di camicie sdrucite e scarpe sfondate.
Mi sono quindi seduto sulla mia poltrona e ho formulato alcune riflessioni che vorrei condividere col mio benevolo Lettore, confidando che la calura estiva e l’ozio indotto dall’estate romana scusino la prolissità della premessa e rendano di un qualche interesse le mie conclusioni.
Orbene, credo che questo procédé applicato impunemente nel mondo del commercio - secondo cui il prodotto venduto serve principalmente a far guadagnare il produttore e solo secondariamente a fornire un bene di qualità al cliente - sia impunemente applicato anche in altri ambiti della società, e finanche della Religione.
Penso anzitutto agli sbarchi quotidiani di poveracci, sfruttati da negrieri e da sedicenti associazioni di volontariato: mi pare che il fine dichiarato - soccorrere gli sventurati in mare per sottrarli a morte certa - sia solo l’alibi con cui speculatori senza scrupoli lucrano su un mercato che si sono creati apposta, e del quale non possono fare a meno. Perché se davvero si volessero aiutare i diseredati, anzitutto si potrebbe iniziare da quelli che abbiamo sotto casa - qui in Campo dei Fiori ci sono parecchi anziani che vivono di avanzi del mercato, nell’indifferenza generale - ed anche volendo soccorrere i più lontani, si potrebbe farlo portando a casa loro quegli aiuti che non solo sarebbero più proficui, ma anche più duraturi, poiché permetterebbero agli Africani di limitare o cancellare del tutto quelle condizioni sociali ed economiche che sono all’origine della loro povertà. Ma se quelle condizioni venissero meno, essi non migrerebbero più verso l’Europa, non alimenterebbero più né i traffici di clandestini da parte di organizzazioni criminali, né quelle associazioni che esistono e sono finanziate proprio perché ci sono disgraziati da soccorrere.
L’ingenuo potrebbe pensare che lo scopo di queste organizzazioni sia proprio di soccorrere i bisognosi, e che i fondi loro erogati dallo Stato e dai benefattori servano solo a questo scopo. Ma le pie illusioni vengono subito sconfessate nello scoprire che i volontarj - e mi si lasci usare qui la mia proverbiale j - percepiscono stipendi ben superiori alla media e che queste associazioni gestiscono un business colossale, con dipendenti, strutture di accoglienza, rimborsi, donazioni, lasciti e gadget promozionali quasi fossero una vera e propria azienda, oltre a beneficiare delle esenzioni di legge. Tra queste associazioni annoveriamo anche la moltitudine di enti direttamente o indirettamente legati alla Chiesa, tramite le Conferenze Episcopali, le Diocesi e tutti gli organi periferici. E a far da equo contraltare all’attività della Chiesa, ci sono le Cooperative rosse a spartirsi il lucroso bottino. Andrebbe ossservato che tanto le associazioni cattoliche quanto quelle di sinistra si sono riciclate con questa nuova collocazione, dopo aver perso le prime il sostegno dei fedeli, le seconde quelle dei simpatizzanti politici. E se le mense dei poveri italiani di un tempo erano gestite da suore, oggi le Reverende Madri si occupano ancora di ospitalità, dopo aver trasformato i loro conventi ormai vuoti in lussuosi alberghi, nominalmente destinati ai pellegrini - sì da evitare di pagar l’ICI - ma di fatto offerti ai turisti. Così la crisi delle vocazioni ha permesso una riconversione di monasteri, dando luogo ad un altro lucroso giro d’affari.
Ora, se i poveri non venissero più in Europa perché in Africa riescono a vivere dignitosamente, tutti i soggetti coinvolti nell’assistenza e nel l’accoglienza si troverebbero da un giorno all’altro senza quelmateriale umano che garantisce la loro sussistenza. E si troverebbero - come sta già avvenendo grazie alle provvide leggi del Governo - a dover licenziare quei volontari che evidentemente non erano tali. Mi chiedo: come si può sperare che un’associazione umanitaria desideri che la povertà venga meno, quando essa sta alla base della sua sopravvivenza? L’aver trasformato questi enti in quasi-aziende li ha sottratti all’unico argine ch’essi avevano, costituito proprio dal non avere un interesse economico nel fornire determinati servizi assistenziali. Senza dire che queste masse di sventurati in grave stato di necessità, quando non si dedicano alla criminalità, costituiscono un serbatoio di manodopera a bassissimo costo facilmente sfruttabile. D’altra parte, le migrazioni indotte fanno parte di un più vasto progetto delle élites finanziare globali, tant’è vero che lo stesso Monti - notorio membro del Gruppo Bildelberg - ebbe a dichiarare: “Siamo contro casa e famiglia poiché chi investe su casa e famiglia poi è poco propenso alla mobilità per la ricerca del lavoro” (su Agorà, il 28 Luglio 2015).
Lo stesso mi sembra stia avvenendo, in forme forse più gravi, nell’ambito delle case-famiglia e delle associazioni che si occupano di affidamenti e di assistenza ai bambini sottratti a famiglie problematiche. Lo scopo dichiarato è quello di aiutare fanciulli indifesi dando loro una vita serena e possibilmente una famiglia che voglia loro bene; lo scopo reale - almeno per quanto ci è dato di apprendere dalla cronaca di questi giorni - è invece quello di gestire un lucroso mercato, nel quale i bambini sono solo l’alibi per l’arricchimento di queste organizzazioni, per l’indottrinamento ideologico di creature deboli e per la diffusione di nuovi stili di vita contrari alla legge naturale. Questi bimbi, strappati a genitori non sempre poveri o violenti, vengono spesso usati per alimentare unbusiness e, parallelamente, modificare la società secondo modelli artificiali: esattamente come, con il fenomeno dell’immigrazione, si sta sconvolgendo il tessuto sociale e storico delle Nazioni invase da masse di persone disagiate, con altre tradizioni, altra lingua, altra cultura - chiamiamola così - e soprattutto altra religione.
Ancora lo stesso avviene nell’ambito della salute, che a livello mondiale vede imporsi i vaccini non tanto per limitare la diffusione delle malattie, ma per arricchire le multinazionali del farmaco e forse addirittura creare una massa di futuri malati, e quindi sicuri clienti. Anche qui, la finalità dichiarata è solo un alibi che nasconde ben altri interessi. E la somministrazione delle cure per l’interruzione dello sviluppo ormonale, autorizzata dallo Stato e pagata dalla Sanità pubblica, non mira al dichiarato equilibro psicologico del fanciullo cui si fa credere di poter scegliere se essere maschio o femmina quando sarà più grande, ma al profitto delle case farmaceutiche, che compensano i medici che prescrivono tali cure. Né l’eutanasia, dinanzi alla quale il semplice crede di poter scorgere una qualche forma di pietà per il malato terminale torturato da atroci dolori, ha come scopo il sollievo della sofferenza, ma ancora una volta mira amonetizzare qualsiasi ambito della vita, così da poter far leva sulla cupidigia e la brama per ottenere un risultato che parte da un presupposto ideologico perverso e, in definitiva, ancora inconfessabile. Ancora - e la cronaca pur censurata ne dà ampia conferma - l’orrendo crimine dell’aborto non ha come scopo quello di soccorrere la povera donna stuprata dal bruto (la cui incidenza è dello 0,14% sul totale degli aborti praticati), ma quello di foraggiare generosamente le cliniche e fornire materia prima ai laboratori ed ai trafficanti di tessuti umani, alimentando un infernale mercato di morte su cui speculano le solite multinazionali. Così, mentre personaggi indegni si riempiono le tasche sulla malattia e la morte altrui, vi è chi offre a Satana veri e propri sacrifici umani.
Questi sono ovviamente solo alcuni esempi, cui si potrebbe aggiungere una serie quasi infinita di casi, in cui lo scopo dichiarato èaltro, se non opposto, rispetto a quello che si intende perseguire. Lo scrivevo nel mio precedente articolo (qui), sottolineando che dietro questa colossale impostura non si possa celare che il Maligno, che è omicida sin dal principio, e i suoi servi. L’opera ammantata di bontà si rivela in realtà un sepolcro dentro cui c’è solo putrefazione.
D’altra parte, pervertire l’opera di Dio è la massima aspirazione del Demonio, che in quest’epoca tristissima pare trionfare impunemente, dopo due millenni di Cristianità. E questo trionfo si basa fondamentalmente su una sorta di equivoco, ossia sul fatto che l’etichetta non corrisponda al contenuto; come c’è scritto sulla confezione di certi alimenti: l’immagine non si riferisce al prodotto. Una astuta pubblicità ingannevole in cui la golosa millefoglie si rivela in realtà un indigesto intruglio, anzi un veleno mortale. Un inganno che si basa sulle attese che un certo ruolo tradizionalmente presuppone, sulla sedimentazione di un’idea data quasi per scontata. E se ci si scandalizza a giusto titolo per il ladro che, vestito da prete, riesce a farsi aprir la porta dall’anziana per poi approfittare della sua fiducia e rubarle la pensione che tiene nel cassetto della credenza, per quale motivo non si dovrebbe fare altrettanto per chi frutta lo stesso inganno per derubare un intero popolo di quel che ha di più sacro ed inviolabile? Non ci si deve scandalizzare per chi, da una cattedra, approfitta della fiducia accordatagli, per irretire i giovani e corromperli ideologicamente anziché educarli? Non ci si deve scandalizzare del medico cui si affida un paziente, e che anziché guarirlo gli somministra del veleno per ucciderlo? Non dovrebbe far indignare il magistrato che distorce le leggi dello Stato per lasciare impunito il colpevole e condannare l’innocente? Non desta sconcerto chi, presentandosi come profugo, saccheggia poi le nostre case, vandalizza le nostre città, impone le sue superstizioni, esercita il lenocinio e sbeffeggia chi lo accoglie e gli paga e cibo e casa e ricarica del telefonino, contando sulla più scandalosa impunità? O il Vescovo che anziché predicare la dottrina di Cristo diffonde l’errore, favorisce i nemici di Dio, benedice il Gay Pride e invita il muezzin ad intonare le blasfeme sure del Corano dal pulpito della Cattedrale? Che dire di colui che, nelle bianche vesti di padre comune, schernisce i fedeli cattolici e plaude ai più nefandi peccatori, rimuove bravi Prelati e promuove sodomiti notori, con gravissimo scandalo dei buoni e massima soddisfazione degli empi?
Traditori di chi si fida: il medico assassino, il giudice corrotto, il docente ideologizzato, l’assistente sociale perverso, il sacerdote lussurioso, il Vescovo eretico, il volontario che favorisce il traffico di esseri umani. Ed anche chi, dal più alto soglio che sia dato in terra, abusa del proprio sacro ufficio per demolire la Chiesa di Cristo infeudando in Roma una setta di apostati e fornicatori. Chi, non credendo in una Patria celeste cui condurre le anime, a maggior ragione disprezza la Patria terrena, e sostiene con spudorata faziosità i sediziosi e i ribelli, giungendo a celebrare in San Pietro una Messa per i negrieri ed i loro clienti.
In tutti questi casi, l’etichetta non corrisponde al contenuto, l’immagine non rappresenta il prodotto, il pastore si rivela un lupo. Questo è l’inganno del Nemico, questa la grande impostura che occorre denunciare.
Ma per farlo non è possibile partire dagli stessi presupposti ideologici, filosofici e dottrinali dell’avversario: non si combatte la rivoluzione partendo dai medesimi ideali massonici; non si demoliscono gli errori conciliari ricorrendo al Concilio. E qui già vedo alcuni dei miei Lettori storcer la bocca: “Eccolo, Baronio, che come al solito dà contro il Vaticano II!” Ed è proprio così: perché il Ceterum censeo che ripeto da decenni non è la fissazione di un Catone in veste filettata, ma l’unica logica conclusione cui sia possibile giungere, se davvero vogliamo sottrarci all’odiosa tirannide del pensiero unico, che per la prima volta nella Storia vede sciaguratamente uniti nella congiura sincretista il potere temporale e quello spirituale, entrambi usurpati ai legittimi detentori, entrambi distorti dal loro vero fine.
Copyright MMXVIII - Cesare Baronio
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