L’ultimo attacco è stato sventato pochi giorni fa in California. Il 13 luglio il comitato statale per la sicurezza pubblica ha imposto il ritiro della proposta di legge SB 360 presentata dal senatore Jerry Hill – e già approvata dal senato – per abolire la segretezza del sacramento della confessione.
Nel dare la notizia, “Vatican News” ha sottolineato che “ci sono volute 140 mila lettere, 17 mila e-mail e centinaia di telefonate” per ottenere il ritiro di quella “minaccia per la coscienza di ogni americano”, come l’aveva definita l’arcivescovo di Los Angeles, Peter Gomez, che ha guidato la mobilitazione.
Già nel 2000 la corte penale internazionale aveva respinto, nel dibattito sulle “Rules of Procedure and Evidence” la richiesta di Canada e Francia che non fosse più riconosciuto ai ministri religiosi il diritto di astenersi dal testimoniare su questioni conosciute attraverso il segreto della confessione.
E ancora nel 2016 la corte suprema dello Stato della Louisiana aveva ribadito che “un sacerdote, un rabbino o un ministro debitamente ordinato” non poteva essere qualificato come “mandatory reporter”, cioè obbligato a denunciare quanto “conosciuto durante una confessione o altra comunicazione sacra”.
Intanto, però, sull’onda dello scandalo degli abusi sessuali compiuti da sacri ministri, gli attacchi alla segretezza della confessione sacramentale si andavano moltiplicando. Ad esempio nel 2011 in Irlanda, ad opera dell’allora primo ministro Enda Kenny. Oppure nel 2014 a Ginevra, da parte del comitato dell’ONU per la convenzione sui diritti del bambino. Ogni volta con la Chiesa cattolica sul banco degli accusati.
Finché il 7 giugno 2018 la segretezza della confessione è capitolata in Australia, nel territorio della capitale Canberra, dove è stata approvata con il consenso di tutti i partiti una legge che impone ai sacerdoti cattolici – e analogamente ai ministri di altre fedi – di violare il sigillo sacramentale qualora vengano a conoscenza di abusi sessuali compiuti su minori. La legge è entrata in vigore il 31 marzo 2019.
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Fin qui si tratta di fatti relativamente noti. Ciò che pochi sanno è che la segretezza della confessione è seriamente in pericolo anche dove meno lo si aspetti.
L’Italia è uno di questi casi finora passati sotto silenzio, anche da parte delle autorità della Chiesa. Qui una sentenza dell'alta corte di cassazione, la n. 6912 del 14 gennaio 2017, ha stabilito che il sacerdote chiamato a testimoniare in un processo penale per abuso sessuale incorre nel reato di falsa testimonianza se rifiuta di dire ciò che ha appreso in confessione al di fuori dei peccati commessi dal penitente, ad esempio se questi gli ha detto di aver subito un abuso, non di averlo commesso.
Ebbene, è proprio da questa sentenza italiana che ha preso le mosse Andrea Bettetini, docente di diritto canonico nell’Università Cattolica di Milano e “visiting professor” in vari atenei d’Europa e d’America, in un articolo sull’ultimo numero di “Vita e Pensiero”, la rivista della sua università, dedicato agli attacchi al segreto della confessione.
Bettetini affianca la sentenza italiana alla nuova legge entrata in vigore in Australia per mostrare che sono molto più vicine di quanto appaia, perché entrambe a favore dell’obbligo di denuncia e a scapito di quel “diritto giuridico e morale fondamentale” che è “la tutela della coscienza della persona che apre la sua anima a un ministro di culto”.
Nella parte centrale del suo scritto Bettetini espone la tutela del sigillo sacramentale nella Chiesa cattolica, nel diritto canonico e nel magistero, mostrando come tale tutela comprenda tutto ciò che il sacerdote apprende in confessione e non solo i peccati del penitente.
Non cita, perché pubblicata quando l’articolo era già in stampa, la “Nota della Penitenzieria Apostolica sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale” promulgata il 29 giugno scorso con l’approvazione di papa Francesco. Ma questa è giunta proprio a proposito, visto il crescente “pregiudizio negativo” di tanti poteri civili contro il fondamento e l’estensione di tale segreto.
Inoltre, Bettetini mostra come anche nel diritto italiano il segreto della confessione sarebbe ben tutelato, se non fosse intervenuta nel 2017 quella sentenza della corte di cassazione.
Ed ecco le drammatiche conclusioni che egli trae nella parte finale del suo articolo. Quando al ministro di culto è imposto di scegliere tra il carcere e la scomunica.
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ABUSI SESSUALI E SEGRETO CONFESSIONALE
di Andrea Bettetini
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Volendo trarre delle conclusioni da quanto sin qui argomentato, possiamo affermare che i due esempi [di Italia e di Australia] citati in apertura del nostro articolo sono paradigmatici di un neo-giurisdizionalismo di esito dubbio che si sta insinuando in vari ordinamenti politici a opera di una legislazione e di una interpretazione legislativa che, con poco clamore, ma con grandi effetti, sta di fatto modificando l’assetto degli equilibri (e delle relative competenze) fra ordine temporale e ordine spirituale. Intendendo con quest’ultimo non solo l’ambito di autonomia della Chiesa cattolica; ma altresì quello di azione delle confessioni religiose diverse dalla cattolica e, più in generale, quello della religione.
Christopher Prowse, arcivescovo di Canberra e Goulburn, sul “Canberra Times” ha criticato aspramente la nuova legge australiana evidenziando la ragione ultima della sua incoerenza: “Senza quel sigillo, chi sarebbe disposto a liberarsi dai propri peccati, a cercare il saggio consiglio di un sacerdote e a ricevere il misericordioso perdono di Dio?”. Il diritto della Chiesa e nella Chiesa serve proprio per salvarne la natura quale strumento di salvezza per ogni uomo, la cui vita e la cui esperienza si muovono in una dimensione di diritto e di giustizia, impegnandosi a dare visibilità e contenuto a norme che rispondano, nei limiti della mediazione linguistica umana, a verità e a giustizia.
Ed ecco allora che nel bilanciamento tra due valori capitali quali la libertà di coscienza e di religione da un lato e l’esercizio dell’azione penale per punire un reato inumano dall’altro, nella tradizione giuridica occidentale prevale il primo, sia perché costituisce il nucleo più profondo della libertà e della responsabilità dell’uomo, sia perché è la realtà che, dopo il bene della vita, in modo più originario e irremovibile appartiene alla persona umana, ed è a essa dovuta in giustizia.
E questo altro non è che il riflesso di quello che è il più prezioso contributo del mondo occidentale all’ordinamento giuridico della civiltà globale: il concetto di persona e della sua dignità, nella tutela dei suoi diritti inalienabili, primo dei quali è proprio quello di libertà religiosa. Altrimenti agendo, si avrebbe una retrocessione di civiltà giuridica, e quindi umana, che poi era quello che paventava sempre l’arcivescovo di Canberra quando, alla vigilia dell’entrata in vigore della legge che impone al confessore, se necessaria, la violazione del segreto sacramentale, affermava: “Ora noi sacerdoti con l’ACT [Australian Capital Territory] ci troviamo sull’orlo di una scelta impossibile. Dovremo rispettare il sigillo della confessione e quindi sottometterci al procedimento penale, o rispettare la legge e incorrere nella scomunica automatica”.
Settimo Cielo
di Sandro Magister 19 lug
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