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mercoledì 2 ottobre 2019

Condannati al fallimento

Anche un cardinale vicino a Bergoglio denuncia i pericoli dei sinodi d’Amazzonia e Germania



A pochi giorni dall’inizio del sinodo sull’Amazzonia, un altro cardinale di primissimo piano è uscito allo scoperto contro le linee guida dell’assise, espresse nel suo documento base, l’”Instrumentum laboris”, e propagandate con forza dall’ala progressista della Chiesa, specie di lingua tedesca, linee guida che ipotizzano anche l’estensione del sacerdozio a uomini sposati.
Il cardinale è Marc Ouellet, 75 anni, canadese, prefetto della congregazione per i vescovi e presidente della pontificia commissione per l’America latina. L’ha fatto con un libro in vendita da domani, che fin dal titolo fa capire da che parte sta nella disputa sui preti sposati:

A differenza degli altri cardinali che prima di lui hanno contestato pubblicamente gli indirizzi del sinodo – Brandmüller, Müller, Sarah, Burke, Urosa Savino – Ouellet non è mai stato classificato tra gli oppositori dell’attuale pontefice, anzi. E questo rende ancor più dirompente la sua entrata in campo.
In questi stessi giorni, inoltre, vi sono state altre tre prese di posizione pubbliche anch’esse molto critiche degli indirizzi del sinodo.
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La prima è dei “Ratzinger Schülerkreise”, cioè dell’antica e della nuova cerchia degli allievi di papa Benedetto XVI quand’era docente di teologia.
Sabato 28 settembre essi hanno tenuto a Roma un simposio dal titolo: “Sfide attuali per l’ordine sacro”, tutto finalizzato a “ricomprendere l’ordine sacro in una prospettiva sacramentale”, e non invece in quella puramente funzionale propugnata da chi vorrebbe dei preti sposati laddove se ne riscontrasse il bisogno, a cominciare dall’Amazzonia ma poi anche in paesi come la Germania.
Tra i relatori c’era il cardinale Gerhard Müller, il quale è tornato a denunciare il serio pericolo che “il cosiddetto ‘cammino sinodale’ in Germania o il sinodo amazzonico finiscano nel disastro di un’ulteriore secolarizzazione della Chiesa”:
E ha preso la parola anche Marianne Schlosser – docente di teologia a Vienna, membro della commissione teologica internazionale e insignita nel 2018 del Premio Ratzinger – che ha dedicato buona parte della sua relazione proprio alla difesa del celibato, dandone ragione soprattutto come “condivisione del modo di vita di Gesù”, tanto più appropriata per coloro che col sacramento dell’ordine “partecipano al sacerdozio di Cristo”.
Va notato che Marianne Schlosser si è dimessa polemicamente lo scorso 21 settembre dal sinodo in agenda in Germania, dove era stata associata come esperta al forum sul ruolo della donna nella Chiesa, palesemente orientato a conferire anche alle donne l’ordine sacro.
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La seconda presa di posizione è di un vescovo della Papua Nuova Guinea, Cesare Bonivento, che per decenni è stato in missione proprio in una di quelle regioni del mondo, le isole del Pacifico, additate anche da papa Francesco come le più sprovviste di clero celibe e quindi le più bisognose di sacerdoti sposati.
Bonivento è entrato in campo con un libro in cui documenta come il celibato del clero cattolico sia stato riaffermato dal Concilio Vaticano II per il suo fondamento teologico, e non per le ragioni utilitaristiche che invece oggi si mettono in campo per chiederne il superamento.
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La terza presa di posizione è di “numerosissimi prelati, sacerdoti e fedeli cattolici di tutto il mondo”, che in un manifesto reso pubblico in più lingue il 1 ottobre hanno accusato quattro “tesi” dell'"Instrumentum laboris" del sinodo di essere “in contraddizione sia con singoli punti della dottrina cattolica sempre insegnata dalla Chiesa, sia con la fede nel Signore Gesù, unico salvatore di tutti gli uomini”:

> “Al papa e ai padri sinodali”
La prima delle quattro “tesi” giudicate erronee è anche la più grave. È là dove l’”Instrumentum laboris”, al n. 39, afferma che “un atteggiamento corporativo che riserva la salvezza esclusivamente al proprio credo [cioè alla fede in Gesù Cristo – ndr] è distruttivo di quello stesso credo”.
Gli autori del manifesto contrappongono a questa tesi l’affermazione chiave della dichiarazione “Dominus Iesus” del 2000, in cui sono definite “contrarie alla fede cristiana e cattolica quelle proposte di soluzione che prospettassero un agire salvifico di Dio al di fuori dell'unica mediazione di Cristo”.
Ma prima ancora vi sono le inequivoche parole di Pietro negli Atti degli Apostoli (4, 12): “In nessun altro [che Gesù] c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati”.
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Ebbene, anche su quest’ultimo punto il cardinale Ouellet interviene con fermezza, fin dalle prime pagine del suo libro.
Al quale è ora utile tornare.
Nel capitolo introduttivo del libro, infatti, Ouellet antepone alla questione del celibato del clero un’altra questione ancor più capitale, che è appunto la stessa su cui Giovanni Paolo II e l’allora cardinale Joseph Ratzinger ritennero di dover pubblicare la “Dominus Jesus”, non a caso la più contestata e discussa dichiarazione dottrinale della Chiesa dell’ultimo mezzo secolo.
Scrive il cardinale:
“i nuovi cammini del futuro porteranno frutti evangelici se sono coerenti con un annuncio integrale del Vangelo, ‘sine glossa’, che nulla sacrifica dei valori permanenti della tradizione cristiana. […] Sotto questa luce, cercare vie nuove per l’evangelizzazione degli autoctoni in Amazzonia significa andare oltre un approccio che si ridurrebbe a muovere da cosmovisioni amazzoniche, in uno sforzo di sintesi interculturale che corre il rischio d’essere artificioso e sincretista. L’unicità di Gesù Cristo e, in una certa misura, della cultura biblica, impone un dialogo rispettoso delle culture ma chiaramente orientato alla conversione al mistero dell’incarnazione del Verbo. L’unicità trascendente di questa irruzione del Verbo nella storia umana conferisce alla cultura biblica un posto a parte nel concerto delle nazioni e giustifica che la si insegni a tutte le culture, al fine di apportar loro ciò cui aspirano, e verso di cui portano i loro valori e i loro limiti, allo scopo di esserne illuminate, sanate e assunte aldilà di se stesse”.
Due pagine più avanti Ouellet applica questo monito anche a paesi come la Germania, dove vede in atto una “modernizzazione” che in realtà mette in pericolo la ragion d’essere dell’intera Chiesa:
“Se questa riflessione sull’evangelizzazione è valida per l’Amazzonia, un’analoga riflessione vale per la ‘nuova evangelizzazione’ dei paesi di antica cristianità. Se la si confonde con una modernizzazione delle usanze e dei costumi, al fine di rendere il cristianesimo più accettabile malgrado certe negatività nella sua storia, si è condannati al fallimento, e la gente non si lascia ingannare da ricette superficiali che le si propongono per mantenere l’interesse per l’istituzione ecclesiale. La Chiesa o propone il Gesù autentico che è identico al Cristo della fede, o perde la ragion d’essere della sua missione, e i nuovi poteri dei mezzi gestiti da mani ostili la renderanno ben presto superata e superflua”.
La questione del sacerdozio e del celibato, il cardinale Ouellet la affronta precisamente sullo sfondo ora descritto. Portando ragioni che ne mostrano “la pertinenza oggi, tanto più nei contesti difficili”.
Ouellet è tra i partecipanti all’imminente sinodo sull’Amazzonia. Sarà interessante vedere quale consenso raccoglieranno queste sue critiche.
Settimo Cielo
di Sandro Magister  02 ott

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