Riandando con la memoria al clima che si respirava nella Berlino degli anni ‘20 György Lukács, fine intellettuale, ebreo ungherese, ricordava: “Una parte considerevole della migliore intellighenzia tedesca ha preso alloggio presso il ‘Grand Hotel Abisso’, un bell’hotel fornito di ogni comfort, sull’orlo dell’abisso, del nulla, dell’insensato. E la visione giornaliera dell’abisso, tra produzione artistica e pasti goduti negli agi, può solo accrescere la gioia procurata da questo raffinato comfort”.
Di lì a pochi anni, il 20 gennaio 1942, per iniziativa di Göring, Reinhard Heydrich, definito il giovane dio della morte, braccio destro di Himmler, fu incaricato di convocare e coordinare una conferenza tenuta nei pressi di Berlino a Wannsee tra alti ufficiali e altri esponenti di regime per affrontare e risolvere in modo definitivo la selezione naturale degli ebrei, giustificata dall’inferiorità della razza che imponeva la necessità di individuare una soluzione finale.
I presenti firmarono, anche se qualcuno, pare, obtorto collo.
Era un copione tragico, orribile, già intuibile nel 1914. Recensendo il saggio storico molto accurato di Christopher Clark, I sonnambuli: come l’Europa arrivò alla grande guerra, Roma; Bari: GLF editori Laterza, 2013, Federico Rampini e Barbara Spinelli su ‘La Repubblica’ si esprimevano in questi termini: “Re, imperatori, ministri, ambasciatori, generali: chi aveva le leve del potere era come un sonnambulo, apparentemente vigile ma non in grado di vedere, tormentato dagli incubi ma cieco di fronte alla realtà dell’orrore che stava per portare nel mondo… I (governi) sonnambuli scivolarono nella guerra presentendo il cataclisma, simulando allarmi, ma senza far nulla per scongiurarla”.
Queste tristi meditazioni vengono alla mente leggendo l’Instrumentum Laboris pubblicato dalla Segreteria del Sinodo dei Vescovi e che servirà da base per la discussione nella prossima Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica.
Persone autorevoli hanno in diversi momenti e sedi indicato i punti negativi dell’Instrumentum Laboris.
Ed è una grazia che non si deve sottacere in un mondo (ecclesiastico e non) dove la grande maggioranza rimane asserragliata e nascosta tra i discepoli di Giuseppe di Arimatea. Gli errori evedienziati rappresentano una possibile fonte di eresie e apostasia e, per lo più, da angolature e competenze diverse sono descritti, ciascuno nel proprio ordine, in modo analitico e netto e non si può che ringraziare (e molto!) chi ha avuto un tale coraggio evangelico, ma, non è possibile nascondere una dimensione che a ben guardare potrebbe risultare tragica nella scelta metodologica della linea difensiva.
Tragica innanzitutto perché oggi non ci troviamo di fronte a problematiche di finezza teologica analoghe a quelle che ad esempio presentò, ma poi ritrattò, il papa Giovanni XXII (ϯ 1334) in merito al giudizio delle anime subito dopo la morte; qui siamo di fronte alla (probabilmente voluta assenza) di un minimum che che rispetti almeno i fondamenti elementari del catechismo (perchè di questo si tratta): quello che un cristiano illetterato di un tempo aveva come dotazione genetica.
Non illudiamoci, non cerchiamo consolazioni a buon mercato ricorrendo a profezie; la partita, umanamente parlando, è persa.
Il problema con cui ci dobbiamo confrontare è la questione dell’autorità, del suo uso, ma, soprattutto, del suo fondamento. In termini spirituali si potrebbe dire: chi è al centro della Creazione?
Il nervo più scoperto è venuto alla luce negli ultimi 150 anni. Dopo la definizione del dogma dell’infallibilità (1870), per bisogno di rassicurazione, per consolazione o anche per tornaconto abbiamo schiacciato la Chiesa sulla figura del papa; oggi il sistema sta morendo per asfissia.
Prima che in Dio, abbiamo posto la fede negli uomini. I papi, come tutti, hanno fragilità e questo, anche a motivo delle contingenze storiche in cui si è dibattuto il cattolicesimo dopo il Concilio Vaticano I, si è colto con chiarezza. Tra coloro che hanno avuto autorità nella Chiesa insieme ad azioni lodevoli, alcuni hanno commesso errori fatali contro il corpo della Chiesa, fino ad arrivare alla situazione attuale in cui il depositum fidei è manipolato come una proprietà personale. Aveva ben ragione Giovanni XXIII (ϯ 1963) quando sosteneva che occorresse far entrare aria fresca, peccato però che abbia aperto, forse per orgoglio, le finestre sbagliate e ora siamo, tutti, ammalati assai gravemente.
Alla fede coraggiosa di un Dante che senza timore aveva il coraggio di scaraventare i papi all’inferno per indicarne il comportamento indegno abbiamo contrapposto un sussiego (comodo) nei confronti dell’autorità costituita.
Alla fede coraggiosa di un Dante che senza timore aveva il coraggio di scaraventare i papi all’inferno per indicarne il comportamento indegno abbiamo contrapposto un sussiego (comodo) nei confronti dell’autorità costituita.
È stato detto, giustamente, che l’Instrumentum Laboris è portatore di mantra; uno di questi è l’espressione: luogo teologico. Se proprio la disperazione è così tanta che non riuscendo più a trovare Dio abbiamo necessità di rassicurarci trovando un ‘luogo teologico’, non è necessario andare fino in Amazzonia, viaggio che a partire dai presupposti si presenta fin d’ora con contorni assai sinistri.
Sarebbe sufficiente riandare a Roma il giorno dopo la conclusione della Giornata Mondiale della Gioventù dell’anno 2000: quello è un luogo teologico!
E, poiché è vicino, s’inquina anche meno. Nel day after gli addetti alla pulizia trovarono croci abbandonate e una significativa distesa di preservativi, simbolo simpatico, ma efficace della patologia dell’anima del cattolico curato con i principi del Vaticano II.
Ciò che era disseminato lì era il risultato del riduzionismo della fede, della golosità spirituale del tutto e subito, del vuoto, del ’santo subito’. Non prendiamocela con nessuno, guardiamo a noi stessi e alla nostra incapacità di affrontare la notte della fede a mani nude invece di ricorrere agli idoli.
La città di Dio è assediata e sta bruciando, come Gerusalemme nel 70 d.C., ma, meno fortunati di quegli ebrei, noi non abbiamo un nemico identificabile di fronte a noi. Il nostro nemico è la cecità spirituale riguardo all’impostura religiosa che rode la nostra anima. Pur stando sempre di fronte gli uni agli altri, come ha voluto la nuova liturgia, non riusciamo più a riconoscerci perché, lentamente, abbiamo voltato le spalle a Dio. La nuova messa ombelicale scaturita nel post concilio rappresenta con estrema efficacia il monumento al nostro essere incentrati sulla sensibilità (carnalità avrebbe detto san Paolo).
Stiamo danzando sull’orlo dell’abisso! Questa pericolosità attrae i nostri sensi, ma non è il cammino cristiano; insegnava san Giovanni della Croce (Notte Oscura, cap. 11,4) “La porta angusta è questa notte del senso del quale, per entrarvi, l’anima si spoglia e si denuda, stringendosi strettamente alla fede che nulla ha a che vedere con i sensi, per poi camminare attraverso lo stretto cammino, che è l’altra notte dello spirito, in cui l’anima entra in un secondo tempo per andare a Dio in pura fede, la quale è il mezzo con cui essa s’unisce a Dio. Essendo questo secondo cammino strettissimo, buio e terribile (da non esserci possibilità di confronto fra la notte del senso e l’oscurità e le pene di quella dello spirito), molti di meno ancora sono coloro che lo percorrono.”
Si evidenzia un ulteriore strumento mortifico quando si tenta di mettere in guardia dagli errori dell’Instrumentum Laboris con il ricorso, come principio di autorità, a quella modalità di documentazione ecclesiastica che, in larga parte, ha contribuito a determinare proprio quegli errori.
Nel Medioevo il proliferare delle ‘bolle papali’ rese la Chiesa un mercato, ma con il senno di poi sono ben da rimpiangere quei tempi in cui i papi, tutti, nonostante il governo dello Stato della Chiesa e di ogni sorta di benefici e le tentazioni del potere, mantennero un atteggiamento di sacra riverenza e difesa verso il depositum fidei loro affidato che sempre fu considerato, a differenza di oggi, come un bene non disponibile. Ciò ha conservato la fede e ha preservato la Chiesa dagli errori.
L’inflazione dei documenti nasce nel 1800 quando l’attacco alla Chiesa iniziò ad essere feroce e si ritenne di dover rispondere con gli stessi strumenti con cui si veniva attaccati. Il comprime lingua: che comporta penitenza, silenzio, preghiera e meditazione sono stati ben presto dimenticati a favore della piazza mediatica; la situazione è nettamente peggiorata dalla fine dell’800 ed è diventata tragica con Giovanni Paolo II sotto il cui pontificato la ‘gerarchia delle fonti’ dei documenti ecclesiastici è del tutto uscita fuori controllo a causa di un autentico fiume di parole che ha invaso la Chiesa.
Oggi, però, se abbiamo dato un valore (fuori luogo) ad ogni virgola espressa dai papi recenti, perché ci dovremmo rifiutare di darla all’attuale papa? Perché sarebbe contro la Tradizione? E chi lo dice? Prima sedes a nemine iudicatur! (recita il canone 1404 del Codice di Diritto Canonico 1983).
Appare ambivalente, e infine pericoloso, il tentativo di controbattere gli errori dell’Instrumentum Laboris attraverso l’autorità del catechismo della chiesa cattolica. Alla luce delle ultime vicissitudini di quel testo (e sembra solo l’inizio) qualche dubbio in merito in merito al suo valore effettivo è tollerabile… Abbiamo visto recentemente che con un colpo di penna l’odierno pastore supremo ha cambiato una determinazione carica di secoli. Si è del tutto capovolto il senso antico e tradizionale dell’intervento papale che non ‘iniziava un processo’, ma ne sanzionava, dopo attento esame, una conclusione frutto dell’intervento di Dio nella fede della Chiesa (e questo fatto è iniziato assai prima del 2013).
Diventa anche una delicata questione di coscienza, forse amara e dolorosa per molti, toccare questo argomento; facciamo due esempi:
- 22° assioma del Dictatus Papæ (s. Gregorio VII, 1075): “Che la Chiesa Romana non ha mai errato; né, secondo la testimonianza delle Scritture, mai errerà per l’eternità”.
- Catechismo maggiore di Pio X che molti, a buon diritto, considerano sicuro e degno di fede:
“art. 197. Può errare il Papa nell’ammaestrare la Chiesa?
Il Papa non può errare, ossia è infallibile nelle definizioni che riguardano la fede e i costumi.
198. Per qual motivo il Papa è infallibile?
Il Papa è infallibile per la promessa di Gesù Cristo e per la continua assistenza dello Spirito Santo.
199. Quando è che il Papa è infallibile?
Il Papa è infallibile allora soltanto che nella sua qualità di Pastore e Maestro di tutti i cristiani, in virtù della suprema sua apostolica autorità, definisce una dottrina intorno alla fede o ai costumi da tenersi da tutta la Chiesa.”
È sotto gli occhi di tutti che, oggi, le cose non stanno in questi termini. Si può disquisire che i vari documenti e pronunciamenti dell’attuale papa non hanno la precisione formale richiesta dalle definizioni dogmatiche e appaiono contrari alla Tradizione e quindi…
È un argomento debole; neppure quelli dei predecessori a cui si sta ricorrendo li possedevano in pienezza.
O meglio: tutta la vicenda pone in evidenza che la Chiesa ha senso che parli, e poco, e solo per definizioni dogmatiche, il resto può cadere facilmente sotto l’opera del demonio.
La realtà con cui ci stiamo scontrando ci rimanda a un nodo cruciale che non può essere risolto contrapponendo documenti papali ad altri documenti papali. Si è eroso il senso dell’autorità che, via via, è diventato un uso arbitrario del potere (nella Chiesa) e non più servizio umile (servus servorum Dei) all’unico potere, quello di Dio, e infatti attraverso i tanti discorsi, pronunciamenti, interviste nasce il dubbio se il bisogno di tanto parlare non nasconda l’incapacità, la paura, la cecità, o, quale convitato di pietra, il vuoto, rispetto all’unica e semplice parola necessaria che ci si aspetta: “Rispose Simon Pietro: ”Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16).
È stato un fatto evidente fin dai documenti applicativi del concilio vaticano II. Il cancro conciliarista della pastoralità, cioè l’illusione dell’efficacia pastorale dell’operazione di ridurre Dio alle esigenze umane, invece di spingere l’uomo ad innalzarsi a Dio ha minimizzato la presenza della fede nel cuore dei fedeli e tenta oggi, da ultimo con questo sinodo, di intaccare i baluardi residui della presenza del divino nell’uomo.
Se vale un documento di Montini, Wojtyła, vale anche quello di Bergoglio e, se siamo sconcertati, qui , probabilmente, bisognerebbe avere il coraggio della domanda vera: ci troviamo nell’epoca di un papa ‘non-papa’? Allora, però, occorre avere il coraggio di dirlo, oppure gli articoli sul ruolo del papa nella chiesa, sopra citati dal catechismo di Pio X, che riprendono gli insegnamenti del Concilio Vaticano I e fin su nei secoli a Gregorio VII, sono errati, ma se lo sono (essendo nati in un contesto formale sicuro e privo di ambiguità), potrebbero esserlo anche altre verità di fede (espresse con gli stessi criteri), perché una mela, se è marcia in un punto, non è più sana.
La posta in gioco oggi è molto elevata e tocca il cuore della Fede. E’ in pericolo il Mistero della fede che ha fondato la speranza dei cristiani per 2000 anni: Morte, Risurrezione e Ascensione al cielo di Gesù Cristo, da mistero escatologico di salvezza dell’anima sta per essere trasformato nel passato di un’illusione!
San Benedetto nel cap. 2,2 della Regola scrive a proposito dell’abate: Christi enim agere vices in monasterio creditur (si crede che in monastero [l’abate] tenga il posto di Cristo); è un versetto celebre, già vivo nella Tradizione e che ha segnato la spiritualità dell’Occidente latino.
Dalla rivoluzione francese in poi abbiamo visto quello che l’uomo è capace di fare a se stesso e agli altri, questo ci ha fatto perdere, probabilmente in modo definitivo, la possibilità di affidarci gli uni agli altri come figli a padri, ci ha fatto estinguere quasi interamente la possibilità di essere capax Dei.
Siamo più soli perché ognuno di noi deve vegliare affinchè l’ultimo guizzo di fede rimasta nella lucerna non venga spazzato via, proprio dal vento che giunge dall’interno della chiesa.
È l’ora delle tenebre permesse da Dio perché nuovamente il corpo mistico di Suo Figlio è attentato?
Ricordiamo però: non avresti potere alcuno sopra di me, se non ti fosse stato dato dall’alto (Gv 19,11). Il Mistero che noi, ormai incentrati e sostenuti dalla spiritualità dell’I-Phone, non siamo più in grado di cogliere, continua ad interpellarci: è già un gran traguardo se aequam servamus mentem.
Siamo spettatori e partecipi di uno show infernale di cui il prossimo sinodo non è altro che l’ultimo cartellone esposto. Cosa possiamo fare dunque?
Quella parte della chiesa che in questi ultimi anni ha raggiunto il potere per asservire la Chiesa al mondo assumendone l’atteggiamento mentale radical chic non ha scrupolo per nulla (e per nessuno, neppure per i migranti! Ultima tragica ferita a un continente tanto massacrato).
In questa chiesa non si può che vivere come apolidi; come pensare di poter diventare ‘quel tipo’ di cristiano che ci vorrebbero indurre ad essere?
Possiamo assicurarci un’esistenza degna di un cristiano solo rimanendone ai margini e qui è la nostra identità e la nostra forza: non possiamo, non dobbiamo, come vorrebbero costoro, essere in uscita, per liquidare ogni cosa.
Non potremo giustificarci dicendo di non essere stati informati, ma che, comunque, eravamo alla messa vespertina del sabato e in prima linea ad accogliere “gli sconfitti con gli onori di un vincitore”.
Non dimentichiamo la lezione della storia: durante l’ultima guerra esistevano campi di sterminio in numero consistente e tanti si sono giustificati, dopo, dicendo che non sapevano perchè erano persone comuni, ordinary people. Soprattutto non dimentichiamo che la maggior parte degli ebrei tedeschi, per lo più colti, ricchi e assimilati, non riuscì ad accettare, e in fondo appare un fatto ben scusabile, di poter essere annientati proprio nel paese di Goethe e Schiller: che non debba capitare anche a noi, cattolici!
Coloro che oggi, finalmente raggiunto il potere, sono ai primi posti (cfr Mc 12,39) hanno ormai trasformato la chiesa nel ‘Grand Hotel Abisso’, un bell’hotel fornito di ogni comfort, sull’orlo dell’abisso, del nulla, dell’insensato. Costoro sembrano sprigionare un incantesimo, tipico di tutto ciò che inganna, e l’inganno è la creazione di una fede nuova a immagine e somiglianza del mondo, la propria.
Non lasciamoci sedurre: “Deus non irridetur. Quae enim seminaverit homo, haec et metet” (Dio non s’irride. Quello che l’uomo semina, raccoglierà, Gal 6,7).
Quando Dio ci interrogherà nell’ultimo giorno saremmo scusati se diremo che non sapevamo?
Speriamo che gli empi non abbiano a dominarci perché correremmo un grande pericolo. Sia nostra la preghiera del salmo (18, 13-14) “Gli errori chi li conosce? Purificami da quelli che mi sono occulti e tieni lontano il tuo servo da quelli degli altri. Se questi non mi domineranno, sarò senza macchia e sarò mondato ‘a delicto maximo’ ”. Il delitto massimo, cioè il peccato più grande, è l’apostasia!
Giuseppe Fausto Balbo Ottobre 7, 2019
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