L'annuncio da parte di papa Francesco su un prossimo sinodo dedicato alla sinodalità non può non preoccupare. Malgrado i proclami questi ultimi sinodi sono stati un pessimo esempio di sinodalità, ma soprattutto non ci può essere sinodalità senza fedeltà alla tradizione e senza il consapevole inserimento in quanto la Chiesa ha sempre insegnato.
La sinodalità è il problema, non la soluzione. Quando papa Francesco, nel discorso a conclusione del sinodo sull’Amazzonia ha segnalato la possibilità di un prossimo sinodo sulla sinodalità molti avranno tremato. Se si fa un sinodo sulla sinodalità vuol dire che sulla sinodalità c’è incertezza. Ma allora il futuro sinodo che dovrà appunto parlare di sinodalità, avrà un fondamento debole, perché è proprio la sinodalità a fondare e legittimare il sinodo.
A parte questo curioso gioco di parole, un prossimo eventuale sinodo sulla sinodalità preoccupa molto perché si teme che esso possa convalidare l’attuale versione di sinodalità e consacrarne l’uso fatto in questi ultimi tempi; un uso, bisogna riconoscere, poco sinodale. La sinodalità è oggi una parola passepartout, che dovrebbe aprire ogni porta e condurre alla soluzione di ogni problema, mentre invece è l’origine di molti problemi.
La sinodalità viene tanto conclamata e declamata, ma in realtà non viene applicata. È una parola-copertina, una parola-paravento, una parola-foglia-di-fico. La gravissima questione degli abusi sessuali doveva essere risolta con la sinodalità. Anche quella dei divorziati risposati doveva essere risolta con la sinodalità. Pure l’ecologia integrale andrebbe risolta con la sinodalità, come del resto la riforma della Chiesa. Non ci saranno né conversione pastorale né conversione ecologica senza conversione sinodale, così si dice. La conversione sinodale sembra precedere perfino la conversione a Cristo.
Però, nonostante queste declamazioni, né il sinodo sulla famiglia, né quello sui giovani, né ora questo sull’Amazzonia sono stati impostati e condotti in modo veramente sinodale. Il contestatissimo Instumentum laboris è stato scritto da una manciata di persone della REPAM, la Rete ecclesiale panamazzonica, e la propagandata consultazione di 80 mila indigeni non sembra essere realmente avvenuta. Le nomine dei Padri sinodali sono state fortemente orientate a senso unico. Qualcuno nutriva forse dei dubbi su come avrebbero votato padre Spadaro o il cardinale Marx? Le indicazioni fondamentali su dove si vuole arrivare sono state date in anticipo al punto che ora, uscito il documento finale, si discute degli stessi problemi ampiamente previsti dei quali si discuteva prima del sinodo, ossia sacerdozio agli sposati, donne diacono, riti amazzonici.
La conduzione del sinodo è stata preparata e accompagnata da una comunicazione addomesticata: nessun minimo cenno da parte di trasmissioni televisive, giornali o riviste cattoliche allineate a qualche punto interrogativo sul sinodo, a qualche perplessità. Solo un coro unanime ed entusiasta. Su queste basi molti pensano che sia il documento finale (almeno in bozza) sia la futura esortazione apostolica (almeno in bozza) siano già stati scritti prima dell’inizio dei lavori.
Questo modo non sinodale di attuare la sinodalità, in virtù del principio di coerenza, si ripercuoterebbe anche sull’eventuale futuro sinodo sulla sinodalità e l’effetto segnerebbe una ulteriore delegittimazione sia della sinodalità che del sinodo. Sinodi condotti in questo modo mettono in crisi l’adesione credente dei fedeli, ossia indeboliscono la sinodalità stessa, che non riguarda solo chi partecipa attivamente ad un sinodo, ma anche tutto il corpo ecclesiale che, pur non avendovi partecipato, ha pregato e ha creduto.
C’è però anche di più. Oltre ai difetti di applicazione e alle contraddizioni nell’esercizio della sinodalità, oggi si nota una concezione di sinodalità piuttosto pericolosa. Non ci può essere sinodalità senza fedeltà alla tradizione e senza il consapevole inserimento in quanto la Chiesa ha sempre insegnato. La sinodalità non è una relazione assembleare o un metodo di discussione, è il convinto inserimento nella vita stessa della Chiesa, in comunione con tutta la Chiesa, compresa la Chiesa di ieri, fino agli apostoli, compresa la Chiesa che non è più peregrina sulla terra, sotto il papa regnante e sotto la tradizione dei papi non più regnanti.
Senza fedeltà assoluta alla dottrina non c’è sinodalità perché uno è lo Spirito che ha ispirato la rivelazione e che anima l’unione tra i membri della Chiesa. Non sono i Padri sinodali a sinodalizzarsi con il loro-convenire, è Cristo che li sinodalizza (ammesso che la parola esista) con il loro convocarli costituendoli in unità. Se la sinodalità guarda solo avanti e non anche indietro rischia di diventare una assise assembleare a disposizione per cambiamenti decisi al di fuori della sinodalità.
Se la sinodalità parte dall’uomo, o dal popolo, o dalla situazione, e non da Dio, rischia di rendersi funzionalmente dipendente da un progetto umano. Il fariseo non è colui che ricorda ai Padri sinodali che c’è una dottrina che non è nata in Amazzonia e che l’Amazzonia ha il diritto di ricevere integra, ma al contrario è chi mette la sinodalità a servizio di una dottrina che si dice nasca dall’Amazzonia. La sinodalità non è un con-venire da cui far nascere la verità, ma è la verità a servizio della quale con-venire. La sinodalità non è un come senza un contenuto, non è un contenitore da riempire di con-divisioni, ma ha alle spalle un contenuto veritativo da servire insieme. È per questo che, parlando a rigore, per avere sinodalità non è nemmeno necessario fare i sinodi. E se si fanno, bisogna sempre tenere presente che è la sinodalità a fare i sinodi e non i sinodi a fare la sinodalità. Con uno slogan: meno sinodi e più sinodalità.
Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/senza-fedelta-alla-dottrina-non-ce-sinodalita
Dalle parole ai fatti. I sei punti su cui l’esortazione post-sinodale è già scritta
Archiviato il sinodo dell’Amazzonia, l’attesa è ora su ciò che deciderà papa Francesco, sulla base dei voti a lui consegnati nel documento finale.
A giudicare dal discorso a braccio in lingua spagnola che Jorge Mario Bergoglio ha tenuto nell’aula sinodale al termine dei lavori, nel pomeriggio di sabato 26 ottobre, le sue decisioni non tarderanno. E sono in buona misura già scritte.
Per individuarle, basta ripercorrere passo dopo passo questo discorso del papa, nella sua trascrizione letterale.
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Prima di tutto, Francesco ha fatto capire che per il prossimo sinodo il tema di suo gradimento c’è già, quello della sinodalità:
“Uno dei temi che è stato votato, che ha avuto la maggioranza – tre temi hanno avuto la maggioranza per il prossimo sinodo –, è quello della sinodalità. Non so ancora se sarà scelto questo oppure no, ancora non ho deciso, sto riflettendo e pensando, ma certamente posso dire che abbiamo camminato molto e dobbiamo camminare ancora di più in questo cammino della sinodalità”.
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In secondo luogo, il papa ha detto che il documento nel quale stabilirà come mettere in pratica i voti del sinodo dell’Amazzonia arriverà presto, probabilmente già entro dicembre:
“L’esortazione postsinodale che – non è obbligatorio che il papa la faccia – la cosa più probabile, no, scusate, la cosa più semplice sarebbe: ‘Bene, questo è il documento, fate voi’, comunque, una parola del papa su ciò che ha vissuto nel sinodo potrebbe andare bene. Io vorrei farla prima della fine dell’anno, in modo tale che non passi molto tempo, tutto dipende del tempo che avrò per pensare”.
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Terzo. Sulla “vexata quaestio” del diaconato femminile, già discussa da una commissione di esperti da lui istituita nel 2016 che non raggiunse alcun accordo, Francesco ha detto che richiamerà in vita la commissione con nuovi componenti di sua nomina, sotto l’egida della congregazione per la dottrina della fede:
“Si è parlato di nuovi ministeri, […] di creatività in questo, […] e vediamo fin dove si può arrivare. […] Assumo la richiesta di richiamare la commissione o magari aprirla a nuovi membri per continuare a studiare come esisteva nella chiesa primitiva il diaconato permanente [delle donne - ndr]. Voi sapete che sono arrivati a un accordo fra tutti che non era chiaro. […] Io cercherò di rifare questo con la congregazione per la dottrina della fede e di assumere nuove persone in questa commissione, e raccolgo il guanto che là hanno lanciato: ‘E vogliamo essere ascoltate’. Raccolgo il guanto”. (Dopo quest’ultima battuta, il bollettino ufficiale che riproduce il discorso del papa scrive che si sono levati degli applausi).
Su questo punto, come si sa, il documento finale del sinodo, al n. 103, si è spinto poco in avanti. Si è limitato a constatare che “nelle molteplici consultazioni realizzate nell’area amazzonica è stato sollecitato il diaconato permanente per le donne” e che “per questa ragione il tema è stato anche molto presente nel sinodo”, per chiudere con questo auspicio: “Vorremmo pertanto condividere le nostre esperienze e riflessioni con la commissione e attendiamo i suoi risultati”.
E anche così i voti contrari sono stati 30 e gli astenuti 14, un quarto dei votanti. Ma i fautori del diaconato – e più in là del sacerdozio – femminile l’hanno ritenuto comunque un successo. A loro bastava, per il momento, che fosse messo in moto un “processo”. E questo è proprio ciò che hanno ottenuto, con l’appoggio immediato ed esplicito di papa Francesco.
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Quarto. Riguardo all’invocato nuovo “rito amazzonico” nella liturgia, invece, papa Francesco nel suo discorso ha tirato il freno. Non lo elaborerà una commissione locale nominata dai vescovi dell’Amazzonia, come proposto nel documento finale del sinodo al punto 119, ma se ne occuperà la congregazione vaticana per il culto divino, che ha come prefetto l’inflessibile cardinale Robert Sarah:
“Si è parlato di una riforma rituale, aprirci ai riti, questo è dentro le competenze della congregazione per il culto divino, e lo si può fare seguendo i criteri e in questo so che lo possono fare molto bene, e fare la proposte necessarie che richiede l’inculturazione”.
Messe così le cose, sarà quindi inverosimile che il nuovo rito, se mai nascerà, sia “arricchito”, come auspicato dal documento finale del sinodo, persino “con il modo con cui questi popoli [amazzonici] si prendono cura del loro territorio e si relazionano con le sue acque”.
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Quinto. Sulla proposta di nuovi organismi di direzione e di coordinamento della Chiesa in Amazzonia, Francesco nel suo discorso si è pronunciato a favore. Ma ha detto di più. Ha aggiunto di voler aprire una sezione “ad hoc” anche in Vaticano:
“E un contributo anche rispetto all’organizzazione della curia romana. Mi sembra che c’è bisogno di farlo ed io parlerò su come farlo con il cardinale Turkson. Aprire una sezione amazzonica dentro il dicastero per la promozione umana integrale”.
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Sesto. E l’ordinazione al sacerdozio di uomini sposati? Curiosamente, sembra che sia mancato nel discorso del papa qualsiasi riferimento esplicito alla questione, di fatto la più discussa dell’intero sinodo.
In realtà Francesco il riferimento l’ha fatto. Sottinteso in due passaggi paralleli. In un monito ai giornalisti e in un’invettiva contro quelle che chiama le “élite” cattoliche.
Ai giornalisti:
“Un ringraziamento ai mezzi di comunicazione. […] Chiederei loro un favore: che nella diffusione che fanno del documento finale si attengano soprattutto alle diagnosi, che è la parte pesante, che è la parte dove realmente il sinodo si è espresso al meglio: la diagnosi culturale, la diagnosi sociale, la diagnosi pastorale e la diagnosi ecologica. […] Il pericolo può essere che si soffermino [...] su che cosa hanno deciso in quella questione disciplinare, che cosa hanno deciso in quell’altra, quale partito ha vinto e quale ha perso. Ossia su piccole cose disciplinari che hanno la loro trascendenza, ma che non farebbero il bene che questo sinodo deve fare”.
Alle “élite” cattoliche:
“C’è sempre un gruppo di […] “élite” cattoliche, e cristiane a volte, ma soprattutto cattoliche, che vogliono andare alla ‘cosina’ e si dimenticano del ‘grande’. Mi sono ricordato di una frase di Péguy, sono andato a cercarla, cerco di tradurla bene, penso che ci possa aiutare quando descrive questi gruppi che vogliono la ‘cosina’ e si dimenticano della ‘cosa’: ‘Poiché non hanno il coraggio di stare con il mondo, loro credono di stare con Dio. Poiché non hanno il coraggio di impegnarsi nelle opzioni di vita dell’uomo, credono di lottare per Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio’. Mi ha fatto molto piacere che non siamo caduti prigionieri di questi gruppi selettivi che del sinodo vogliono soltanto vedere che cosa si è deciso su questo punto intraecclesiastico o su quest’altro, e rifiutano il corpo del sinodo, che sono le diagnosi che abbiamo fatto nelle quattro dimensioni”.
La “cosina”, il “punto intraecclesiastico” a cui papa Francesco allude è appunto l’ordinazione al sacerdozio dei cosiddetti “viri probati”, proposta con queste parole nel punto 111 del documento finale:
“Proponiamo di stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente, nel quadro della ‘Lumen gentium’ 26, per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana mediante la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica”.
C’è voluta questa tortuosa formulazione, zeppa di condizioni restrittive, per ottenere una risicata approvazione della proposta. E soprattutto si è dovuto mettere a verbale, a conclusione del paragrafo, che “a questo proposito, alcuni si sono pronunciati per un approccio universale al tema”.
Questo punto 111, infatti, è stato l’unico punto del documento finale che ha rischiato seriamente di non raggiungere i due terzi dei voti, necessari per l’approvazione. Su 181 votanti, con il quorum fissato a 121 voti, i “placet” sono stati 128, i “non placet” 41 e gli astenuti 11.
Ma è di dominio pubblico che questo sinodo è stato ideato e organizzato precisamente con questo obiettivo primario: “aprire” all’ordinazione di “viri probati” in Amazzonia per poi estendere la novità a tutta la Chiesa.
Esattamente come era avvenuto con il doppio sinodo sulla famiglia, finalizzato a dare il via libera alla comunione ai divorziati risposati.
Anche allora papa Francesco scagliò dardi contro chi si fissava su quella “cosina” invece di guardare alla magnificenza del tutto.
E intanto egli scardinava con una piccola nota a piè di pagina, nell’esortazione post-sinodale “Amoris laetitia”, la grandezza di due millenni di “quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt 19, 6).
Settimo Cielo
di Sandro Magister 30 ott
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