Idoli da distruggere, la lezione di san Vigilio
I primi secoli di cristianesimo sono zeppi di vescovi, santi, papi che, spesso a rischio della vita, abbattono idoli pagani, li distruggono, li bruciano, li buttano nei fiumi. Come san Vigilio di Trento, martire proprio perché fu lapidato dopo essersi disfatto di un idolo.
Dopo che le statuette della Pachamama, dal posto d'onore in una chiesa cattolica sono finite nell'umido Tevere, monsignor Paolo Ruffini (copyright Repubblica) e monsignor Andrea Tornielli, si sono affannati a condannare il "terribile" gesto, nemico del "dialogo", provando anche a piegare al loro fine considerazioni, per nulla adattabili, del cardinale Newman.
Quello che premerebbe ricordare, a questi signori, come ai prelati che hanno ritenuto cosa sacrosanta la venerazione degli idoli pagani, è la storia del cristianesimo e dei suoi santi. Chi la conosce, minimamente, e non si rassegna a credere che lo Spirito Santo sia calato tra noi solo dal 2013, sa che i primi secoli sono zeppi di vescovi, santi, papi che, spesso a rischio della vita, abbattono idoli pagani, li distruggono, li bruciano, li buttano nei fiumi...
Potremmo citrare san Benedetto da Norcia, san Martino di Tours e infiniti altri ecclesiastici che, come Massimo, vescovo di Torino dal 398 al 412, invitavano i loro fedeli, testuali parole, a «rimuovere la corruzione causata dagli idoli nelle vostre proprietà e scacciare l'errore del paganesimo dai vostri campi». Massimo invitava i cristiani del tempo a non adorare "demoni" e a non far loro i sacrifici pagani: «chiunque sia a conoscenza che il sacrilegio avviene nella sua proprietà e non lo proibisce, in un certo senso è come se lo avesse ordinato».
Come suonano attuali, queste parole, davanti agli inchini e ai salamelecchi di cristiani davanti ad un idolo della fertilità, la Pachamama appunto, a cui un tempo si facevano persino sacrifici umani, e a cui oggi si offrono feti di lama e foglie di coca.
Così si esprimeva san Cesario, vescovo di Arles dal 500 al 543: «Abbiamo sentito che alcuni di voi fanno offerte agli alberi, pregano le fonti, praticano diaboliche forme di vaticinio. A causa di tutto ciò il nostro cuore è così pieno di tristezza da non poter essere consolato. E ciò che è peggio, vi sono genti miserande e disgraziate che non solo si rifiutano di distruggere gli altari delle divinità pagane, ma non si vergognano nè temono di ricostruire quelli già abbattuti. Per di più, se qualcuno che tiene Dio nei suoi pensieri vuol fare a pezzi questi diabolici altari, diventano furiosi e reagiscono con fanatismo esasperato. Si spingono sino a colpire coloro che, per amor di Dio, stanno cercando di abbattere quegli idoli malvagi, e forse non esitano neppure a pianificare la loro morte... Perchè dunque queste persone miserande vengono in chiesa?" (in Richard Flechter, La conversione dell'Europa, Dal paganesimo al cristianesimo, Tea, Milano, 2003).
Si potrebbe continuare a lungo, ma vale la pena ricordare almeno san Vigilio, patrono di Trento, morto martire per lapidazione dopo... aver gettato nel fiume Adige una statuetta di Saturno (che, in quanto dio dell’agricoltura, dell’abbondanza e della ciclicità della natura, è paragonabile proprio alla Pachamama inca).
Cosa accadde, precisamente, a san Vigilio?
Egli si era inimicato i pagani del suo tempo, accusandoli di praticare l’esposizione dei neonati (condannata dagli imperatori cristiani, ma lecita e assai diffusa nell’età pagana ed oltre), “plena luce”, proprio in occasione delle feste dello stesso Saturno, il dio che mangia i suoi figli, e che era, in Rezia, il corrispettivo del Baal fenicio, celebre proprio per la sua sete del sangue degli infanti (Luigi Pizzolato, Studi su Vigilio di Trento, Milano, 2002).
Vigilio non si era limitato a predicare, ma aveva voluto disfarsi fisicamente di un idolo che asserviva la mente e il cuore dei contadini, e che veniva saziato con il sangue. Pagò il suo gesto, come si è detto, con la lapidazione. Ma per la Chiesa, egli è, oltre che un martire, un civilizzatore: avrebbe mai potuto nascere, una vera civiltà, se gli uomini avessero continuato ad adorare legni, alberi, pietre, idoli, e ad offrire loro piante, animali e uomini? Avrebbe potuto nascere anche solo un' agricoltura efficace e funzionante, continuando a ritenere che le messi crescono solo se abbondantemente inaffiate di sangue?
Francesco Agnoli
https://lanuovabq.it/it/idoli-da-distruggere-la-lezione-di-san-vigilio
IL CASO TRASPONTINA
Idoli, era dovere dello Stato difendere la vera religione
A difendere la religione cattolica dagli idoli dovrebbero essere solo i due "militi ignoti" della Traspontina oppure dovrebbero impegnarsi anche le leggi stesse e il potere politico? La politica deve riconoscere che il culto degli idoli tra i cittadini della propria comunità politica è dannoso per la stessa vita politica, perché depotenzia l’uso della ragione politica a vantaggio dell’irrazionalismo pagano e sottomette la persona a forze sotterranee. Ecco perché di fronte a quegli idoli anche il potere politico aveva il dovere di intervenire.
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Il cosiddetto “furto” della Traspontina ha dato la stura a molte considerazioni sul tema della difesa della religione. I due ignoti che – come risulta dal video da essi stessi fatto circolare in rete – sono entrati nella chiesa di Santa Maria in Traspontina, in via della Conciliazione a Roma, per togliere le statue degli idoli amazzonici e gettarli nel Tevere, hanno commesso un furto o esercitato una legittima difesa? Tommaso Scandroglio ha vagliato il problema sulla Nuova BQ, sostenendo con valide argomentazioni che dal punto di vista morale si è trattato di un atto di legittima difesa perché: a) si era di fronte ad un attacco alla religione cattolica, b) ci si era appellati alle autorità ma invano, c) in assenza dell’autorità è lecito farsi giustizia da sé.
Queste considerazioni riguardano l’ambito morale e indirettamente anche quello giuridico. L’attuale ordinamento giuridico italiano però non le recepisce in quanto si allontana sempre di più dal contemplare il dovere giuridico-politico di difesa della religione cattolica. Ed è proprio qui che il discorso degli idoli in Tevere si fa molto interessante per la Dottrina sociale della Chiesa.
Si è giustamente fatto notare che le varie celebrazioni pubbliche idolatriche tenutesi in occasione del Sinodo sull’Amazzonia evidenziano gravi responsabilità dentro la Chiesa, ma ci si può anche chiedere se esistono – o dovrebbero esistere – anche delle responsabilità del potere politico a difesa della religione cattolica dalle religioni idolatriche, per esempio formulando un sistema giuridico a ciò finalizzato. La dissonanza evidenziata da Scandroglio tra ciò che dice la morale e ciò che dice la legge andrebbe sanata politicamente? A difendere la religione cattolica dagli idoli dovrebbero essere solo i due "militi ignoti" della Traspontina, facilmente accusabili di furto in base alle leggi vigenti, e infatti per questo già denunciati, oppure dovrebbero impegnarsi anche le leggi stesse e il potere politico? Buttare gli idoli nel Tevere è stato un abuso o una supplenza?
Il tema è urticante perché ci connette con i doveri della politica verso la religio vera, contro cui si scagliano la laicità moderna, il processo di secolarizzazione e gran parte degli uomini di Chiesa, infastiditi da temuti ritorni del periodo costantiniano. Eppure la Dottrina sociale della Chiesa non ha mai rinunciato a questo principio. Se esso era esplicitamente enunciato ai tempi di Leone XIII, non ha cessato di esserlo con i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Le espressioni adoperate sono cambiate ma la sostanza è rimasta: questi doveri esistono e dell’idolatria si dovrebbe occupare anche il potere politico e non solo i Robin Hood di Santa Maria in Traspontina.
Per capire il motivo di questo dovere bisogna chiedersi se la politica abbia o no bisogno della religione. Sembra doversoso rispondere di sì, che ne ha bisogno, perché la politica è autonoma ma non sa fondarsi ultimamente da sola e se lo facesse diventerebbe un orribile totalitarismo. Una volta stabilito che ne abbia bisogno, bisognerà poi decidere se ogni religione può ugualmente assolvere a questo compito oppure no. Allora si confrontano le religioni in base alla loro verità e si vede che solo quella cattolica risponde pienamente alle esigenze naturali e razionali della politica. Quindi si conclude sostenendo che la politica vera non può farcela a rimanere vera senza la religione vera. Se la politica vi rinuncia, allora rinuncia anche alla propria verità.
Tradotto in parole semplici: la politica deve riconoscere che il culto degli idoli tra i cittadini della propria comunità politica è dannoso per la stessa vita politica, perché depotenzia l’uso della ragione politica a vantaggio dell’irrazionalismo pagano e sottomette la persona a forze sotterranee. Non si tratta di religioni “dal volto umano” e su di esse è impossibile costruire una comunità che rispecchi i doveri e i diritti della persona. Accettare politicamente che tutte le religioni siano uguali per la politica significa suicidarsi, dichiarandosi incapace di contenere in sé una verità che le serva da criterio.
Se, come sostiene Scandroglio, nell’incursione alla Traspontina si è trattato di legittima difesa perché si era davanti ad un attacco alla religione cattolica, va chiarito non solo che a rispondere agli attacchi alla religione cattolica dovrebbe essere senz’altro la Chiesa, che nel caso dei riti pagani ha invece rinunciato a questo suo dovere, bensì anche il potere politico. Questo secondo aspetto non viene mai preso in considerazione come invece dovrebbe essere.
Edward Peters è un rispettato esperto di diritto canonico. Interviene per dire la sua e controbattere l’affermazione del portavoce vaticano Paolo Ruffini che ha definito il gesto di lanciare le statuine della figura femminile nuda amazzonica nel Tevere trafugate da una chiesa da parte di alcune persone.
Ecco il suo articolo nella mia traduzione.
Qualche giorno fa alcune persone hanno rimosso alcune statuette femminili (centrotavola per alcune strane cerimonie a Roma nelle ultime settimane) da una chiesa e le hanno gettate nel Tevere. Il portavoce vaticano Paolo Ruffini ha respinto l’atto come “bravata”. Indipendentemente da come si valuta questo atto, tuttavia, penso che non sia corretto descriverlo come una semplice “bravata”.
Una “bravata” è un gesto che richiama l’attenzione su un problema ma non risolve il problema stesso. Per esempio, incatenarsi a un lampione potrebbe richiamare l’attenzione sulla situazione di chi è ingiustamente imprigionato, ma ciò non libera chi è imprigionato. Stare in piedi all’angolo con la bocca incollata a nastro adesivo potrebbe richiamare l’attenzione sulla sofferenza di chi non ha voce in capitolo, ma non gli dà voce. Tali atti sono delle trovate, trovate buone o cattive, ma alla fine, sono delle trovate. Quello che gli uomini del Tevere hanno fatto è stato diverso.
Rimuovere queste figure da una chiesa e gettarle nel Tevere non si limita a richiamare l’attenzione sul problema della collocazione di tali oggetti in una chiesa, ma rimuove anche le statue dalla chiesa e risolve così il problema di averle poste in un luogo sacro. Un tale atto, buono o cattivo, è più di una “bravata”, è una forma di azione diretta verso un problema.
Poiché il Vaticano ha escluso che le statue nude possano rappresentare la Vergine Maria o “Nostra Signora dell’Amazzonia”, è controverso se le figure ritraggono la dea pagana amazzonica Pachamama o (almeno per una manciata di vaticanisti) solo qualche vaga “forza vitale”. Non sta a me fare supposizioni su chi o cosa rappresentano effettivamente gli oggetti e se qualcuno vuole sostenere che salmodiare e inchinarsi davanti a figurine di donne nude non conta come adorare degli strani dei, ebbene, chi sono io per dirlo?
Ma una valutazione più completa dell’atto di questi due uomini non si basa unicamente sul fatto che le figure siano demoniache o semplicemente un capriccio. Il Canone 1210, parlando della dignità dei luoghi santi cattolici in generale, afferma: “Nel luogo sacro sia consentito solo quanto serve all’esercizio e alla promozione del culto, della pietà, della religione, e vietata qualunque cosa sia aliena dalla santità del luogo…..”. E il Canone 1220 § 1, rivolgendosi specificamente alle chiese, afferma: “Tutti coloro cui spetta, abbiano cura che nelle chiese siano mantenuti quella pulizia e quel decoro che si addicono alla casa di Dio, e che si rimuova da esse tutto ciò che è alieno dalla santità del luogo.”
Questi canoni, a mio avviso, non precludono semplicemente la collocazione nelle nostre chiese di artefatti ovviamente demoniaci o pagani, ma richiedono piuttosto ai responsabili dei luoghi sacri di allestire oggetti che favoriscano positivamente la preghiera e il culto cristiano. Se, come ha affermato la Congregazione per il culto divino nel 1987(*) , il solo fatto che una qualche musica sia certamente bella non ne giustifica l’esecuzione nelle chiese, allora, a maggior ragione, le autorità ecclesiastiche dovrebbero stare in guardia contro l’allestimento di oggetti ampiamente e ragionevolmente visti come rappresentanti delle divinità pagane negli spazi sacri cattolici. Suggerisco (e più precisamente, il Codice di Diritto Canonico che meglio si attaglia, ad esempio, il Canone 214), che i fedeli hanno il diritto di confidare che ciò che vedono nei luoghi sacri cattolici sia effettivamente al servizio del sacro e non sia semplicemente un gesto verso una qualche forma di correttezza politica o l’ultima cause du jour (causa del giorno, ndr), per non menzionare il fatto che possano essere semplicemente malvagi. Ignorare le preoccupazioni sull’uso corretto dello spazio sacro con un’alzata si spalle e con un “non sappiamo veramente che cos’è” significa ignorare i doveri positivi che i rappresentanti della Chiesa devono ai fedeli.
Come uomo di legge sono anche un uomo dell’ordine e, di norma, ritengo che rimuovere oggetti dalla proprietà privata non sia un atto di buon ordine. Ma allora, nemmeno la sistemazione di idoli (che si tratti di demoni o di cause secolari) nelle chiese cattoliche è un atto di buon ordine. Con il tempo l’inosservanza della legge da parte dei responsabili (dell’ordine nelle chiese, ndr) porta infine all’inosservanza della legge da parte di coloro che ne sono soggetti. E questo a sua volta può portare ad atti che sono molto più che semplici “bravate tu”.
* Vedi Cong. per il Culto Divino (Mayer), estratto da let. “Qua in mentem quaedam normae quoad ‘Concerti nelle chiesa’ revocantur” (05 nov 1987), Communicationes 19 (1987) 179-181.
Di Sabino Paciolla
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