Sì: è ancora e sempre la stessa acqua che scorre. Noi costruiamo adesso giorno per giorno il nostro "Destino eterno" il giudizio non sarà che la conseguenza e il riflesso della nostra vita: noi siamo la nostra capacità di amare
di Francesco Lamendola
Non c’è quasi un ricordo della nostra infanzia che non sia accompagnato dall’immagine dell’acqua che scorre. Ampia e vigorosa la corrente delle rogge lungo il lato orientale della circonvallazione, viale del Ledra e via Martignacco; calma e serena quella delle rogge che si snodano attraverso le vie del centro storico, negli angoli appartati, come in via del Molin Nascosto, o in quelli più affollati, come accanto alle bancarelle del mercato di viale Zanon. E ancora, quella che scivola silenziosa sotto l’argine che lambisce il cortile della scuola Dante Alighieri e l’istituto Teobaldo Ceconi, e nella quale i pioppi specchiano le loro chiome, o quella solcata da bianchi cigni silenziosi, come in una cartolina d’altri tempi, in piazza del Patriarcato e tutto intorno ai Giardini Ricasoli, o accanto al Santuario della Madonna delle Grazie, dove compie un piccolo salto fragoroso, simile a quell’altro salto, all’inizio del viale Volontari della Libertà.
E poi i canali ottenuti derivando l’acqua dei fumi vicini, come il canale Ledra-Tagliamento e il canale di San Gottardo, che attraversano il territorio e accompagnano le strade secondarie che sanno già di campagna, come via Cuneo, una laterale di viale Vat, nel quartiere di Chiavris; canali scavalcati da ponticelli per congiungere le case del lato opposto alla sede stradale, offrendo al passante un colpo d’occhio che ha qualcosa d’insolito e di vagamente esotico, veneziano o fiammingo.
Una roggia (oggi interrata): non c’è quasi un ricordo della nostra infanzia che non sia accompagnato dall’immagine dell’acqua che scorre!
La maggior parte delle rogge, nel loro percorso cittadino – quella di via Grazzano, quella di via Gemona - erano state coperte qualche anno prima che noi fossimo in grado di avere dei ricordi, così come erano stati soppressi i due tram elettrici che conferivano un aspetto tanto caratteristico alla vita cittadina, il Tram Bianco per Tarcento, e il Tram Verde per San Daniele; eppure i tratti ancora scoperti, gli angoli caratteristici formati dalle rogge, come quello in Via Giovanni da Udine, e perfino gli ultimi mulini, alcuni ancora attivi, altri ormai fermi, sparsi nella periferia, attestavano che la città, pur non sorgendo sulle rive di un fiume navigabile, nondimeno all’acqua doveva la sua esistenza, grazie alla lungimiranza e alla tenacia dei patriarchi che l’avevano fatta derivare dal Torre-Natisone e dal Tagliamento; sull’acqua si era retta per secoli la sua economia, specie le manifatture; e perfino i ricordi più antichi e leggendari, come quello del lago esistente in illo tempore nel vastissimo Giardino Grande, ove c’era un drago che terrorizzava gli abitanti, avevano a che fare con l’acqua, nel bene o – come in quel caso - nel male. E l’acqua è anche fattore e simbolo di vita: imprime il vigoroso movimento alle macchine idrauliche, irriga e fa verdeggiare la campagna, permette la coltivazione dei giardini, accompagna il faticoso lavoro delle lavandaie, allieta e movimenta i giochi avventurosi dei ragazzi.
Chi rammenta le cose di ieri, quando le persone che le ricordavano non ci sono più?
Riemerge dalla memoria quel lontano pomeriggio in via Cuneo, per esempio: la compagna di scuola dai bellissimi occhi viola, la cui casa era sfiorata dal canale di San Gottardo: per arrivare al portoncino, bisognava passare su un suggestivo ponticello e per un attimo, varcandolo, pareva di essere trasportati a Venezia, o forse a Bruges. Strana sensazione, in parte già provata per entrare nel panificio di via Piave, o all’istituto musicale Tomadini, oppure all’osteria Alla ghiacciaia, tutti lambiti dalle rogge e collegati alla strada mediante ponticelli. Quella volta, però, era un’abitazione privata, un’anonima villetta come tante di periferia, stile anni ’30 o ’40, in una strada dove non ci era mai capitato di passare prima, neanche una volta. Era dunque una novità assoluta: il piccolo ponte con la balaustra, l’acqua che correva sotto, veloce, con baldanza giovanile; la riva erbosa della strada protetta da un paracarro, e il profondo fossato che ricordava vagamente, sia pure in scala ridotta, quello d’un castello feudale, con le umide pianticelle che si arrampicavano direttamente sul muro della casa, e ciuffi di piante più grandi che emergevano da sotto il ponte; e le siepi e gli alberelli che dal piccolo giardino si affacciavano a incorniciare quella scena fluviale, un po’ insolita per chi vive in centro. Quanta acqua è passata da allora, sotto quel ponticello? Quanta è scesa dai monti e si è versata nel mare? Ed è sempre la stessa acqua?
L’essenza dell’uomo è spirituale, ma la sua natura è anfibia: la parte spirituale è innestata su una parte materiale; e la parte materiale è soggetta al mutamento come qualsiasi altra cosa!
Se non è la stessa, allora neppure noi siano gli stessi; se il tempo ha la capacità di mutare la natura delle cose, allora nulla è permanente, tutto è transitorio, fuggevole, ingannevole. Le cose passano, le persone passano, i ricordi passano, tutto finisce, tutto si perde, non rimane più nulla. Passano due o tre generazioni, passano due o tre secoli, due o tre millenni, due o tre milioni di anni, ed è come se il mondo di prima fosse stato inghiottito in una voragine, in un abisso di cui nessuno può neanche immaginare il fondo; è come se non fosse mai esistito. Chi ne conserva il ricordo? Chi rammenta le cose di ieri, quando le persone che le ricordavano non ci sono più? Tutto cambia, lentamente ma inarrestabilmente; le foreste diventano deserti e le isole diventano terraferma. Gli animali e le piante si avvicendano, mutano i paesaggi, mutano i loro abitanti, i quadrupedi, i pesci e gli uccelli; ogni tanto esplode un vulcano con straordinaria potenza, o precipita sulla terra un meteorite, e tutta la vita ne risente e ne è sconvolta; nubi di polvere avvolgono la terra, il clima si raffredda, i ghiacci avanzano, i mari si restringono. Anche il corso dei fiumi subisce radicali mutamenti, le montagne diventano valli e le valli diventano pianure; i mari diventano continenti e i continenti diventano mari; le conchiglie fossili vengono sollevate a tremila metri d’altezza, e le cime più alte sprofondano negli abissi oceanici. I pianeti s’inaridiscono e muoiono, le stelle si raffreddano e collassano, le galassie si allontanano e si disperdono, l’aspetto del cielo notturno muta radicalmente nel corso delle ere geologiche.
Chi perde tutti i propri ricordi, è ancora se stesso, o è divenuto un altro?
E tuttavia, si obietterà, l’uomo non è paragonabile agli altri enti; la sua essenza è spirituale: se pure tutto cambia, la realtà umana non cambia, noi possiamo contare sulla nostra continuità e quindi sulla nostra identità, sulla nostra permanenza. Le cose, tuttavia, non sono così semplici. L’essenza dell’uomo è spirituale, ma la sua natura è anfibia: la parte spirituale è innestata su una parte materiale; e la parte materiale è soggetta al mutamento come qualsiasi altra cosa. Ora, nemmeno la parte spirituale sfugge del tutto alle leggi del mutamento, proprio perché non è indipendente, ma è legata a quell’altra, dalla quale dipende, almeno nella dimensione della vita terrena. L’anima è incorruttibile, sussistente, indivisibile; ma è unita al corpo, e quest’ultimo gode di una breve esistenza, invecchia e muore. Anche ciò che è legato alla sfera materiale invecchia con lui: i ricordi, per esempio, che sono pur sempre ricordi di una vita legata al corpo, invecchiano e tendono a scomparire. E allorché i ricordi sono svaniti, chi può dire se noi siamo ancora noi?Noi siamo colui che dice io di se stesso; ma un io che perde una parte della propria storia, è un io che si divide in se stesso: e a quel punto, chi può dire che è lo stesso di prima? Perché noi e la nostra storia siamo un tutt’uno. Chi perde tutti i propri ricordi, come avviene - ad esempio - in seguito a certi eventi traumatici, è ancora se stesso, o è divenuto un altro? Se non ricorda più neppure di essere se stesso, è ancora se stesso? Se non sa più nulla della propria storia, se non è in grado di rispecchiare il mondo nei suoi pensieri, può essere una realtà permanente, lo si può ancora identificare con quell’io che di sé diceva: ecco, sono proprio questo?
L’acqua è fattore e simbolo di vita: imprime il vigoroso movimento alle macchine idrauliche, irriga e fa verdeggiare la campagna, permette la coltivazione dei giardini, accompagna il faticoso lavoro delle lavandaie, allieta e movimenta i giochi avventurosi dei ragazzi!
Nonostante tutto, noi crediamo di sì. Ma non in virtù dell’uomo, creatura quanto mai fragile e labile, che un soffio di vento può ridurre all’impotenza, e un soffio di poco più forte può spegnere del tutto. Noi crediamo che ciascun’anima sia sempre se stessa, perché, anche se smarrisce la propria coscienza, c’è Qualcuno che non la scorda, non la dimentica, non la perde mai di vista, anzi ha sempre davanti a sé l’intero arco della sua esistenza, dal concepimento alla morte del corpo: e quel Qualcuno è l’Essere da cui tutto proviene e senza del quale nulla di ciò che è, sarebbe. È dall’Essere che anche noi veniamo, pertanto ci conosce perfettamente: non deve fare alcuno sforzo di memoria per riconoscerci; sa chi siamo, perché nell’Essere c’è solo il presente, tutto è presente: il passato e il futuro riguardano solo gli enti che si muovono nel tempo. Anzi si muovono perché esiste il tempo; ma dove il tempo non c’è, non si dà neppure il movimento. Vivere nel tempo significa invecchiare e morire: questa è la legge; per vivere, bisogna morire. Ma questo accade a chi si trova legato dalle catene del tempo. L’Essere è sciolto dal tempo perché è l’autore del tempo: le cose che esistono fisicamente, esistono nel tempo, perciò cambiano e smarriscono se stesse, il loro essere di prima. Ma le cose spirituali, quelle no: non cambiano, perché non sono avvinte dalle catene del tempo. L’Essere è l’Essere,: eterno presente senza passato, senza futuro; e anche la creazione, che è opera sua, ha un presente e un passato solo quanto a se stessa, cioè in senso relativo; in senso assoluto, ha solo presente, perché tutte le cose esistono perennemente nella mente divina. Certo, prima di venire create, non esistevano sul piano fisico; tuttavia esistevano in senso assoluto, perché Dio, che è l’Essere, le ha pensate da prima che il tempo esistesse, le conosceva prima ancora di crearle, le amava prima ancora che cominciassero a esistere materialmente.
I ricordi, che sono pur sempre ricordi di una vita legata al corpo, invecchiano e tendono a scomparire, e allorché i ricordi sono svaniti, chi può dire se noi siamo ancora noi?
Sì: è ancora e sempre la stessa acqua che scorre
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