ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 16 dicembre 2019

No, non é la Pachamama!

Madonna di Guadalupe:
l’anti “Pachamama”





Ogni 12 dicembre, la Chiesa commemora le apparizioni della Vergine Maria a Guadalupe, a cui i fedeli si rivolgono dal 1531 per implorarne il soccorso materno sulla collina di Tepeyac vicino a Città del Messico, salutando in Lei la stella per l’evangelizzazione delle famiglie e dei popoli amerindi.

Tutto ebbe inizio il 9 dicembre 1531, su una collina un po’ a nord di Città del Messico, denominata Tepeyac. Una giovane meticcia con addosso un abito brillante cole il sole, appare ad un indigeno di nome Juan Diego, appena battezzato.

Ella gli si presentò come la Vergine Maria e lo incaricò  di chiedere al vescovo di Città del Messico di far costruire una chiesa sul posto. Mons. Zumarraga si dimostrò molto scettico e chiese un segno che permettesse di attestare il carattere soprannaturale dell’avvenimento riferitogli da Juan Diego.

Il 12 dicembre seguente – data mantenuta dalla Chiesa per festeggiare la Madonna di Guadalupe - la Vergine si mostra per l’ultima volta a Juan Diego; lo manda a raccogliere dei fiori sulla cima arida e gelata di Tepeyac. Egli riempie la sua “tilma” – tunica di fibre vegetali – con i più bei fiori che avesse mai visto.

Ritornato dal vescovo per offrirgliela, Juan Diego apre la sua “tilma”: sulla tunica appare progressivamente, al cospetto del vescovo e di tutti i presenti, una straordinaria immagine della Vergine. Il miracolo è incontestabile.

Il 26 dicembre 1531, si produce un altro fenomeno: nel corso della processione che porta l’immagine nella nuova cappella di Tepeyac, un Indios viene ucciso accidentalmente da una freccia: deposto ai piedi della “tilma”, egli resuscita.

L’immagine della Vergine di Guadalupe, che porta i simboli propri della cultura indigena, può essere intesa da tutti gli Indios come l’antitesi di «Pachamama», la dea madre-terra secondo la lingua quechua, quella che riassume tutte credenze pagane amerinde e che fu scandalosamente onorata in Vaticano in occasione del recente Sinodo sull’Amazzonia.

La Pachamama, nuda e incinta, il viso rivolto verso il sole, rappresenta la fertilità e l’abbondanza viste in maniera puramente terrena, senza alcun riferimento al fine soprannaturale dell’uomo.
Al contrario, la Vergine di Guadalupe, adornata con grazia di abiti colorati, avvolta dal sole, la luna sotto i suoi piedi, porta i tratti di una giovane meticcia incinta, e si presenta come la Madre dell’unico Redentore, venuta  tra gli Indios per apportare loro la grazia della salvezza e l’abbondanza dei beni soprannaturali.


Articolo pubblicato il 12 dicembre 2019
sul sito della Fraternità San Pio X



Madonna di Guadalupe

Preghiere e storia della tilma miracolosa che la scienza non sa spiegarsi
Preghiera alla Vergine di Guadalupe

Benedetta Vergine di Guadalupe,
Ti chiedo a nome di tutti i miei fratelli del mondo, di benedirci e proteggerci.
Dacci una prova del tuo amore e bontà e ricevi le nostre preghiere e orazioni.
Oh Purissima Vergine di Guadalupe! Ottieni da tuo Figlio il perdono dei miei errori, benedizione per il mio lavoro, rimedi per le mie infermità e necessità, e tutto ciò che credi conveniente chiedere per la mia famiglia.
Oh Santa Madre di Dio, non deludere le suppliche che t’indirizziamo nelle nostre necessità.

ESAMI SCIENTIFICI EFFETTUATI SULLA TILMA

Al 1666 risale anche il più antico esame scientifico dell’immagine “impressa” sulla tilma. Essa è costituita da due teli di ayate - un rozzo tessuto di fibre d’agave, usato in Messico dagli indios poveri per fabbricare abiti - cuciti insieme con filo sottile. Su di essa si vede l’immagine della Vergine, di dimensioni leggermente inferiori al naturale - la statura è di 143 centimetri - e di carnagione un po’ scura, donde l’appellativo popolare messicano di Virgen Morena o Morenita, circondata dai raggi del sole e con la luna sotto i suoi piedi, secondo la figura della Donna dell’Apocalisse.

I tratti del volto non sono né di tipo europeo né di tipo indio, ma piuttosto meticcio - cosa “profetica” al tempo dell’apparizione - così che oggi, dopo secoli di commistioni fra le due razze, la Vergine di Guadalupe appare tipicamente “messicana”.
Sotto la falce argentata della luna un angelo, le cui ali sono ornate di lunghe penne rosse, bianche e verdi, sorregge la Vergine che, sotto un manto verde-azzurro coperto di stelle dorate, indossa una tunica rosa “ricamata” di fiori in boccio dai contorni dorati e stretta sopra la vita da una cintura color viola scuro: questa cintura - il “segno di riconoscimento”, presso gli Aztechi, delle donne incinte - indica che la Vergine è in procinto di donare agli uomini il Salvatore.

I risultati degli esami compiuti su questa immagine dai pittori e dagli esperti nel 1666 sono i seguenti: è assolutamente impossibile che un’immagine così nitida sia stata dipinta a olio o a tempera sull’ayate, data la completa mancanza di preparazione di fondo; che il clima del luogo a cui l’immagine è stata esposta, senza alcuna protezione, per centotrentacinque anni è tale da distruggere in un tempo più breve qualsiasi pittura, anche se dipinta su tela di buona qualità e ben preparata, a differenza del rozzo ayate della tilma di Juan Diego.
Gli studi scientifici sull’immagine e sull’ayate proseguono nei secoli successivi fino ai giorni nostri.

Nel 1751 una commissione di sette pittori con a capo Miguel Cabrera è incaricata di compiere una nuova ispezione sull’ayate e i risultati di essa vengono pubblicati cinque anni dopo dallo stesso Miguel Cabrera con il titolo “Maravilla americana”.
Le conclusioni a cui giungono Miguel Cabrera e i suoi colleghi sono sostanzialmente le stesse a cui erano giunti i medici e i pittori nel 1666: l’immagine non è un dipinto, apparendo i colori come “incorporati” alla trama della tela; e non soltanto una pittura, ma lo stesso tessuto dell’ayate avrebbe dovuto disgregarsi in breve tempo nelle condizioni climatiche della radura ai piedi del Tepeyac.

La scienza appare dunque chiamata a fornire risposte sempre più adeguate ai tanti interrogativi che ancora oggi circondano questa immagine cosiddetta “acheropita”, vocabolo d’origine greca che vuol dire “non fatta da mani d'uomo”. Sembra di ripercorrere, in questo senso, il medesimo cammino della Sindone conservata a Torino, cioè dell’immagine di Gesù “impressa” sul lenzuolo con cui fu avvolto il corpo di Nostro Signore nel sepolcro.

Quarant’anni più tardi, e cioè nel 1791, si verificò un incidente che evidenziò altre sorprese. Alcuni operai furono incaricati di pulire la cornice d’oro in cui, nel 1777, era stata racchiusa la tilma. Gli operai, per quel compito, dovevano usare una soluzione acquosa di acido nitrico al 50%. Ma mentre eseguivano il lavoro, inavvertitamente lasciarono cadere del liquido sulla tela. Stando alle leggi della chimica, quel liquido avrebbe dovuto provocare un danno irreparabile; infatti l’acido nitrico, a contatto con le proteine presenti nei tessuti di origine animale o vegetale, dà loro un caratteristico colore giallo, mentre disgrega la cellulosa che costituisce la struttura portante delle fibre vegetali.
Ma in quel caso non successe niente di tutto questo. Il liquido caduto sulla tilma evaporò, lasciando un debole alone che col passare del tempo è totalmente scomparso. In quell’occasione venne osservata anche un’altra sorprendente caratteristica: sulla tilma non si trovava traccia né di polvere né di insetti vivi o morti. Il quadro della Vergine respingeva polvere e insetti. Il fenomeno, curiosissimo e inspiegabile, è stato poi osservato sempre, tutte le volte che sono state fatte delle ricerche in proposito. Ma i risultati più sconcertanti arrivarono in tempi vicini a noi.

Nel 1936 il professor Richard Kuhn, direttore della sezione di chimica del Kaiser Wilhelm Institut di Heidelberg, che due anni dopo, nel 1938, ottenne il premio  Nobel per la chimica, ebbe la possibilità di esaminare due fili, uno rosso e uno giallo, provenienti da frammenti della tilma di Juan Diego. I risultati delle analisi, condotte con le tecniche più sofisticate allora disponibili, dimostrarono che su quelle fibre non vi era traccia di coloranti di nessun tipo, né vegetali, né animali, né minerali.
Lungo il corso dei secoli sono state fatte delle aggiunte pittoriche attorno all’immagine  primitiva della Vergine. Queste aggiunte si sono screpolate e sono sbiadite, mentre l'immagine  è sempre rimasta intatta, con i colori  vivi che sembrano freschi.

Il fenomeno più sorprendente riguarda le scoperte fatte nelle pupille della Vergine.
Nel  1929, il fotografo Alfonso Marquè Gonzales,  studiando alcuni negativi dell’immagine, osservò che nell’occhio destro della Madonna si vedeva una figura umana. La scoperta destò scalpore. Altri fotografi cercarono di chiarire  il fatto.

Nel 1951, Carlos Salinas, fotografo ufficiale della Basilica di Guadalupe, affermò di aver constatato che una figura umana si notava anche nell’occhio sinistro.
A questo punto cominciarono ad interessarsene anche i medici. Uno di essi, Raffael Torija Lavoignet, ottenne il permesso di studiare l’immagine senza la protezione del cristallo.

Tra il 1956 e il 1958, compì cinque indagini servendosi di lenti di ingrandimento e oftalmoscopi: egli confermò la presenza di immagini di figure umane negli occhi della Madonna.
E’ noto che nell’occhio umano si formano tre immagini riflesse degli oggetti osservati. Si chiamano immagini di Purkinje-Sanson, dai nomi dei due ricercatori che scoprirono questa caratteristica dell’occhio umano nel secolo XIX. Due di quelle immagini sono “diritte”, una sulla superficie esterna della cornea, l’altra sulla superficie interna del cristallino. In teoria, tali immagini riflesse, oltre che negli occhi di una persona vivente possono essere viste anche in una fotografia della stessa, ma non potranno mai vedersi negli occhi di un volto umano “dipinto” su una tela.
Eppure, nelle pupille dell’immagine della Vergine di Guadalupe, immagine che risale al 1531, diversi ricercatori avevano notato delle figure riflesse. Il fenomeno divenne eclatante quando cominciò ad essere studiato con i più sofisticati mezzi moderni supportati dal computer.

Nel 1979 arrivò in Messico uno scienziato peruviano, Josè Aste Tonsman. Aveva una preparazione scientifica superlativa. A Lima, dove era nato, aveva studiato nel Collegio di San Luigi risultando sempre il primo della classe. Si era laureato poi in Ingegneria Civile all’Università Nazionale di Ingegneria del Perù, aveva conseguito una seconda laurea in Filosofia e passato all’Università Cornell, negli Stati Uniti, si era specializzato in Ingegneria dei Sistemi di ricerca attraverso il computer. Aveva lavorato poi con grandi aziende e tenuto corsi nelle più prestigiose università americane. Era insomma uno dei ricercatori moderni più qualificati.
“Non conoscevo niente della Madonna di Guadalupe”, ha raccontato l’Ing. Tonsmann. “Fin dal primo giorno del mio arrivo in Messico ero molto interessato a digitalizzare, tramite elaboratore, un segno rappresentativo e caratteristico della cultura di questa nazione. Non sapevo ancora quale. Pensavo al famoso calendario azteco o qualcosa di simile. In quei giorni mi capitò tra le mani una rivista americana che parlava degli studi compiuti da Carlos Salinas sulla Madonna di Guadalupe e vi si descrivevano dettagli della ricerca sull’occhio destro dell’immagine. La notizia destò il mio interesse e la mia curiosità. Mi parve che fosse un campo di investigazione interessante. Mi misi in contatto con i responsabili del santuario e cominciai le mie ricerche”.

Il lavoro compiuto da Josè Aste in questi 23 anni è stupefacente. Servendosi di strumenti elettronici d’avanguardia, di quelli, per intenderci, adoperati anche alla NASA per decifrare le foto inviate dai satelliti dello spazio, ha studiato a fondo in tutti i loro aspetti gli occhi dell’immagine della Madonna di Guadalupe. E’ riuscito a ottenere ingrandimenti fino a 2.500 volte le dimensioni originarie, con 25.000 punti luminosi su un millimetro quadrato.
Gli occhi della Vergine di Guadalupe, studiati in questo modo, rivelarono la presenza non di una sola immagine, ma di un’intera e complessa scena, di cui fanno parte numerose persone. Vi si distinguono nettamente un indio seduto, nudo, con la gamba sinistra appoggiata al suolo e quella destra piegata sopra l’altra, con i capelli lunghi, legati all’altezza delle orecchie, orecchino e anello al  dito. Accanto a lui, un uomo anziano, con la calvizie notevolmente avanzata, la barba bianca, il naso dritto, le sopracciglia sporgenti, e si vede che una lacrima gli scende lungo la guancia destra: in questo personaggio è stato identificato il Vescovo Juan de Zumàrraga. Alla sua sinistra, un uomo abbastanza giovane, e si suppone che si tratti di Juan Gonzales, che fungeva da interprete per il Vescovo de Zumàrraga. Più avanti appare il profilo di un uomo in età matura, con barba e baffi aderenti alle guance, naso grande e marcatamente aquilino, zigomi sporgenti, occhi incavati e labbra socchiuse, che sembra indossare un cappuccio a punta: è un indio mentre sta per aprire il proprio mantello. Egli è rivolto in direzione dell’anziano calvo.

Dalla descrizione di queste immagini si capisce che la scena è quella avvenuta quando Juan Diego portò le rose al Vescovo. La Madonna era presente, i suoi occhi “fotografarono” la scena e la sua immagine che in quel momento si impresse sul mantello dell’indio, la conservò per sempre.
Nella descrizione dei vari personaggi osservati negli occhi della Madonna, l’ingegnere Josè Aste ha individuato anche una giovane negra. Questo particolare mise in allarme gli studiosi in quanto al tempo dell’apparizione in Messico non c’erano negri. Ma successive ricerche hanno chiarito il piccolo giallo. Dal testamento del Vescovo Juan de Zumàrraga  si è appreso che egli aveva al suo servizio una schiava negra, alla quale prima di morire volle concedere la libertà per i preziosi servizi.

Accanto a questi personaggi "storici" che si trovano perfettamente descritti anche nelle cronache del tempo in cui si verificò il prodigio, Josè Aste ha individuato anche una seconda scena, staccata dalla prima, quasi in secondo piano, con un gruppo di persone anonime, che potrebbero rappresentare una famiglia azteca composta da padre, madre, nonni e tre bambini. Gli occhi, se vi viene indirizzata una luce diretta, acquistano una straordinaria profondità, come se si trattasse di una persona viva.
Come può un occhio dipinto registrare queste figure esistenti nell’immagine della Vergine? Non solo doveva essere vivo all’epoca ma continua ad essere vivo, poiché l’occhio di un’immagine fotografata o dipinta non produce e non riflette niente. Quindi deve essere per forza vivo se continua a mostrare le immagini.
Ultimi studi effettuati...   

Sono stati presentati a Roma, presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, i risultati di uno studio sugli occhi della Madonna di Guadalupe, Patrona delle Americhe, la cui immagine rimase miracolosamente impressa sul mantello dei beato Juan Diego, l’indio testimone dell’apparizione della Vergine nel 1531, sulla collina di Tepeyac, presso Città del Messico. Questa immagine, che non può essere stata dipinta da mano umana, suscita devozione nei fedeli di ogni parte del mondo e pone interrogativi alla scienza, come già accade con la Sacra Sindone.

Lo studio è stato realizzato, con le più moderne tecniche digitali e con l’utilizzo di funzioni matematiche, dall’ingegnere peruviano José Aste Tonsmann, ricercatore del Centro de Estudios Guadalupanos (Messico). Attraverso le elaborazioni dei computer e dopo venti anni di lavoro e ricerche, Tonsmann è riuscito ad evidenziare la presenza di una serie di figure umane in entrambi gli occhi della Vergine. Sembra quasi una “foto”, “un'istantanea” scattata ai testimoni del miracolo, ai momento dell’apparizione dell’immagine della Madonna sui mantello dell’indio Juan Diego.
Le persone appaiono, con diverse proporzioni, sia nell’occhio destro che nell’occhio sinistro della Vergine, proprio come si presenterebbero negli occhi di un essere umano, seguendo le leggi fisiche scoperte dagli scienziati Purkinje e Samson nel 1860.
Nonostante siano microscopiche, le immagini risultano dettagliate. Inoltre, molti dei personaggi scoperti hanno riferimenti storici. La tecnica digitale ha permesso di ingrandire, filtrare e migliorare le tredici immagini di persone contenute negli occhi della Vergine, che non hanno più di otto millimetri di diametro e che sono state mostrate al pubblico da José Aste Tonsmann, nel corso della conferenza all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
I personaggi scoperti appartengono a due scene distinte.
Nella prima scena sono raffigurate le persone che la Madonna vede poco prima che la sua immagine rimanga impressa sui mantello di Juan Diego. Sono: il Vescovo Juan de Zumarraga, il suo servo indio e la sua schiava di colore, il traduttore Juan Gonzalez, un dignitario spagnolo e lo stesso Juan Diego mentre lascia cadere dal suo mantello le rose di Castilla che la Madonna gli aveva chiesto di presentare al Vescovo come prova della veridicità della sua apparizione. Le rose, però, non compaiono negli occhi della Vergine e Tonsmann suggerisce che potrebbero essersi trasformate nei personaggi protagonisti della seconda scena, che rappresenta una famiglia azteca composta da padre, madre, nonni e tre bambini.

Le scoperte di Tonsmann sono rafforzate dalle parole con le quali la Madonna si era rivolta a  Juan Diego, durante l’apparizione, per sollecitare la costruzione di una chiesa: “Per realizzare ciò che vuole il mio sguardo compassionevole  e misericordioso”.
Gli occhi della Vergine, dunque, sono al centro di questo miracolo. Ma che cosa ci vuole dire la Vergine attraverso queste immagini? Quale messaggio vuole comunicare attraverso il suo “sguardo misericordioso”?
 Tonsmann sostiene che la Madonna ha voluto dare all’umanità tre importanti messaggi che sono validi oggi come al tempo delle sua apparizione: il primo è l’importanza dell’unione della famiglia (soggetto della seconda scena) e dei suoi valori; il secondo è un monito antirazzista, in quanto nello sguardo della Madonna sono presenti uomini e donne di diverse razze; il terzo è un invito a servirsi della tecnologia per diffondere la parola di Cristo, perché il mantello di Juan Diego era più uno strumento di lavoro che un indumento vero e proprio. Gli Aztechi, infatti, non conoscevano l’uso della ruota ed utilizzavano il mantello come mezzo di trasporto di pietre e sementi.


Città del Messico - Vecchia Basilica di Nostra Signora di Guadalupe


Articolo pubblicato sul sito La gioia della preghiera




 San Juan Diego Cuauhtlatoatzin
Veggente di Guadalupe

di Maria Di Lorenzo

Con lo sbarco degli Spagnoli nelle terre del continente latino-americano aveva avuto inizio la lunga agonia di un popolo che aveva raggiunto un altissimo grado di progresso sociale e religioso. Il 13 agosto 1521 segnò il tramonto di questa civiltà.
Tenochtitlan, la superba capitale del mondo atzeco, fu saccheggiata e distrutta. L’immane tragedia che ha accompagnato la conquista del Messico da parte degli spagnoli, sancisce per un verso la completa caduta del regno degli aztechi e per l’altro l’affacciarsi di una nuova cultura e civiltà originata dalla mescolanza tra vincitori e vinti. 
E’ in questo contesto che, dieci anni dopo, va collocata l’apparizione della Madonna a un povero indio di nome Juan Diego, nei pressi di Città del Messico.

La mattina del 9 dicembre 1531, mentre sta attraversando la collina del Tepeyac per raggiungere la città, l’indio è attratto da un canto armonioso di uccelli e dalla visione dolcissima di una Donna che lo chiama per nome con tenerezza. La Signora gli dice di essere “la Perfetta Sempre Vergine Maria, la Madre del verissimo ed unico Dio” e gli ordina di recarsi dal vescovo a riferirgli che desidera le si eriga un tempio ai piedi del colle.
Juan Diego corre subito dal vescovo, ma non viene creduto. 
Tornando a casa la sera, incontra nuovamente sul Tepeyac la Vergine Maria, a cui riferisce il suo insuccesso e chiede di essere esonerato dal compito affidatogli, dichiarandosene indegno.
La Vergine gli ordina di tornare il giorno seguente dal vescovo, che, dopo avergli rivolto molte domande sul luogo e sulle circostanze dell’apparizione, gli chiede un segno.
La Vergine promette di darglielo l’indomani. Ma il giorno seguente Juan Diego non può tornare: un suo zio, Juan Bernardino, è gravemente ammalato e lui viene inviato di buon mattino a Tlatelolco a cercare un sacerdote che confessi il moribondo; giunto in vista del Tepeyac decide perciò di cambiare strada per evitare l’incontro con la Signora. Ma la Signora è là, davanti a lui, e gli domanda il perché di tanta fretta. Juan Diego si prostra ai suoi piedi e le chiede perdono per non poter compiere l’incarico affidatogli presso il vescovo, a causa della malattia mortale dello zio. 
La Signora lo rassicura, suo zio è già guarito, e lo invita a salire sulla sommità del colle per cogliervi i fiori.
Juan Diego sale e con grande meraviglia trova sulla cima del colle dei bellissimi “fiori di Castiglia”: è il 12 dicembre, il solstizio d’inverno secondo il calendario giuliano allora vigente, e né la stagione né il luogo, una desolata pietraia, sono adatti alla crescita di fiori del genere. Juan Diego ne raccoglie un mazzo che porta alla Vergine, la quale però gli ordina di presentarli al vescovo come prova della verità delle apparizioni.

 

Juan Diego ubbidisce e giunto al cospetto del presule, apre il suo mantello e all’istante sulla tilma si imprime e rende manifesta alla vista di tutti l’immagine della Santa Vergine. Di fronte a tale prodigio, il vescovo cade in ginocchio, e con lui tutti i presenti.

La mattina dopo Juan Diego accompagna il presule al Tepeyac per indicargli il luogo in cui la Madonna ha chiesto le sia innalzato un tempio.

Nel frattempo l’immagine, collocata nella cattedrale, diventa presto oggetto di una devozione popolare, che si è conservata ininterrotta fino ai nostri giorni.

La Vergine ha scelto come suo interlocutore un “povero indio”, Juan Diego, nato verso il 1474 e morto nel 1548 a Guadalupe, che prima di convertirsi al cattolicesimo portava un affascinante nome azteco, Cuauhtlotatzin, che sta a significare “colui che parla come un’aquila”.
Varie fonti ci tramandano i dati biografici del veggente del Tepeyac: egli è un macehual, cioè un uomo del popolo, piccolo coltivatore diretto in un modesto villaggio: poco più di niente, nella società azteca complessa e fortemente gerarchizzata.
Cuauhtlotatzin fu tra i primi a ricevere il battesimo, nel 1524, all’età di cinquant’anni, con il quale gli fu imposto il nuovo nome cristiano di Juan Diego, e con lui venne battezzata anche la moglie Malintzin, che prese a sua volta il nome di Maria Lucia. 

Il neoconvertito si distingueva in mezzo agli altri per la sollecitudine nel frequentare la catechesi e i sacramenti, senza badare ai sacrifici che questo richiedeva: si poneva in cammino fin dalle prime ore del giorno per raggiungere Santiago di Tlatelolco, dove i francescani radunavano gli indigeni per catechizzarli.

Rimasto vedovo dopo solo quattro anni, Juan Diego orienta la sua vita ancora più decisamente verso Dio: trascorre tutto il suo tempo fra il lavoro dei campi e le pratiche della religione cristiana, fra cui l’ascolto della catechesi impartita agli indigeni convertiti dai missionari spagnoli. Conduce una vita esemplare che edifica molti. L'esperienza eccezionale vissuta sul Tepeyac s’inserisce in un’esistenza già trasformata dalla grazia del battesimo e cementata dall’incontro con la Madre di Dio che ne potenzia in modo straordinario il cammino di fede, fino a spingerlo ad abbandonare tutto, casa e terra, per trasferirsi in una casetta che il vescovo Zumàrraga gli ha fatto costruire a fianco della cappella eretta in onore della Vergine di Guadalupe. 


Qui Juan Diego vive per ben 17 anni in penitenza e orazione, assoggettandosi agli umili lavori di sagrestano, senza mai mancare al suo impegno di testimoniare quanto Maria abbia fatto per lui e può fare per tutti quelli che con affetto filiale vorranno rivolgersi al suo cuore di Madre.

La morte lo coglie nel 1548, quando ha ormai 74 anni.
La sua fama di santità, che già l’aveva accompagnato in vita, cresce nel tempo fino ai nostri giorni, finché nel 1984 si dette finalmente inizio alla sua causa di beatificazione e si pose mano all’elaborazione della Positio, orientata a comprovarne non solo il culto, da tempo immemorabile, ma anche a dimostrare le virtù del servo di Dio e a illustrarne la vita, separate il più possibile dal fatto guadalupano.
Attraverso una solida base documentale si voleva cioè dimostrare che Juan Diego, per i suoi soli meriti di cristiano, era degno di assurgere agli onori degli altari, finché – al termine di un complesso iter ecclesiastico - con il decreto Exaltavit humiles (6 maggio 1990), se ne è finalmente concessa la memoria liturgica, fissata al 9 dicembre, data della prima apparizione della “Morenita”.

Giovanni Paolo II ha dichiarato beato il veggente Juan Diego nel 1990, per proclamarlo infine santo nel 2002.


Articolo pubblicato sul sito Santi e Beati


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