ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 23 febbraio 2020

L’ideologia acceca la ragione

Il contagio del coronavirus e i mostri dell’ideologia


Di fronte al contagio del coronavirus la prima reazione di noi post-moderni autosufficienti è il panico unito allo sconcerto. Ma come? Ci hanno fatto credere che siamo al riparo da queste cose, che certi problemi appartengono al passato, che la scienza e la tecnica ci hanno regalato un mondo in cui possiamo fare ciò che vogliamo senza preoccuparci delle conseguenze, e adesso improvvisamente ci scopriamo deboli e indifesi? 

La lentezza nel prendere provvedimenti adeguati è figlia, prima ancora dell’incapacità organizzativa, di questo atteggiamento culturale.  L’uomo post-moderno autosufficiente assomiglia a un bambino viziato: cresciuto nella certezza di essere libero da certe paure e praticamente onnipotente, nel momento in cui si scopre fragile e indifeso fatica ad accettare la realtà e si mette a piagnucolare.
Scendendo dal generale al particolare, sarebbe interessante sapere che cosa pensa di questa situazione sua eccellenza monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, il quale giusto un anno fa, di ritorno da un viaggio in Cina, proclamò senza sprezzo del ridicolo che “in questo momento, quelli che realizzano meglio la dottrina sociale della Chiesa sono i cinesi”, perché “essi tengono al bene comune, subordinano le cose al bene comune”.
Le parole del cancelliere della Pontificia accademia delle scienze meritano di essere ricordate non tanto per alimentare polemiche (non è proprio il momento), ma per mostrare a che cosa può portare l’ideologia quando prende il posto del semplice buon senso. “Ho incontrato – disse il monsignore – una Cina straordinaria: ciò che la gente non capisce è che il principio centrale cinese è il lavoro, lavoro, lavoro”. Il governo comunista, disse ancora Sorondo, “sta difendendo la dignità della persona”, seguendo più di altri Paesi l’enciclica di papa Francesco Laudato si’”. Inoltre, “l’economia non domina la politica, come succede negli Stati Uniti. L’impressione è che la Cina stia evolvendo molto bene”.
E occorre notare che in precedenza monsignor Sánchez Sorondo, durante un incontro internazionale sul traffico di organi, aveva difeso con accanimento Pechino dall’accusa di trapianti forzati operati da medici cinesi su prigionieri e condannati a morte.
Le parole del monsignore vanno messe a confronto con quelle di He Weifang, docente di diritto alla Beijing University, che attacca senza mezzi termini il governo per la gestione dell’epidemia di coronavirus (Covid-19). “L’assenza in Cina di libertà di parola e di espressione ha favorito il diffondersi dell’infezione polmonare”. Gli errori del governo, in particolare le limitazioni imposte alla circolazione delle informazioni, hanno amplificato la crisi epidemica: la dimostrazione che la Cina necessita di libertà di stampa per poter affrontare le emergenze. “Spero che il pesante prezzo pagato per l’epidemia farà comprendere alle autorità che senza una stampa libera il popolo vivrà nella sofferenza e il governo nella menzogna”, scrive He Weifanf.
Il docente critica con forza il presidente Xi Jinping, colpevole di aver annunciato con ritardo il diffondersi del virus di Wuhan. Un discorso di Xi datato 3 febbraio, e riportato da diversi media di Stato, mostra come lui fosse a conoscenza dell’epidemia già dai primi di gennaio, quando ordinò un primo intervento per contrastarla.
In passato, come ci spiega AsiaNews, il professor He ha perso la sua cattedra universitaria per aver appoggiato il dissidente e premio Nobel per la pace Liu Xiaobo. Il docente fu tra coloro che aderirono a Carta 08, un documento redatto nel dicembre 2008 da alcuni intellettuali – tra cui Liu – che chiedeva maggiore democrazia e rispetto dei diritti umani, e per questo fu censurato dalla leadership di Pechino. Suo fratello He Weitong, anch’egli un esperto di diritto, fu arrestato lo scorso novembre per aver pubblicato su WeChat un video dello Stato islamico come forma di protesta per la visita a Pechino di alcuni esponenti talebani.
“Libertà di stampa, indipendenza della magistratura, diritti umani, tutele sindacali e delle organizzazioni sociali – scrive AsiaNews – sono al centro delle richieste di He per la creazione di uno Stato di diritto in Cina”.
He rimane una delle poche voci apertamente critiche del regime. Le sue parole riecheggiano quelle di altri due intellettuali. L’avvocato per i diritti umani Xu Zhiyong, anche lui in passato docente alla Beijing University, si è scagliato di recente contro Xi per la sua “incapacità” nel gestire la crisi del coronavirus, la guerra commerciale con gli Usa e le proteste pro-democrazia a Hong Kong. Xu è stato arrestato sabato, 15 febbraio, a Guangzhou (Guandong) nel corso di un “controllo sanitario” per prevenire il diffondersi del coronavirus.
Un altro docente di diritto, Xu Zhangrun, dell’università Qinghua, ha rimproverato le autorità per i fallimenti nel contrastare la crisi epidemica. Secondo Xu, l’azione repressiva e tirannica del governo ha provocato ritardi nella risposta, favorendo così l’espandersi del Covid-19.
A fronte di questa realtà, le affermazioni di monsignor Sanchez Sorondo, uno dei consiglieri più ascoltati dal papa, ci fanno tornare alla mente i maoisti nostrani degli anni Settanta del secolo scorso, che nei cortei e nelle assemblee dipingevano la Cina come il migliore dei mondi possibili, agitavano il Libretto rosso e inneggiavano a Mao Tse-tung (che allora non era ancora diventato Mao Zedong).
Racconta Massimo Fini che “una volta a Milano, alla Palazzina Liberty, Dario Fo, che si era infatuato della Cina comunista, esaltò il fatto che i cinesi su un fiume (non ne rammento ora il nome) avevano organizzato, per deviarlo, una diga umana. Il buon Dario non si rendeva conto che stava facendo l’esaltazione della schiavitù”.
L’ideologia acceca la ragione e alimenta mostruosità concettuali e pratiche, come abbiamo visto anche durante il sinodo amazzonico, con l’esaltazione di un sistema di vita fondato sulla povertà, la paura e la  superstizione.
Tutto diverso è il realismo cristiano, che nei momenti in cui la società è sconvolta da flagelli come malattie, pandemie e carestie invita alla preghiera e alla penitenza. Perché solo riconoscendosi debole e bisognoso, e alzando lo sguardo a Dio, l’uomo può trovare la forza di reagire. Se invece, come un bambino, resta prigioniero delle fantasie ideologiche, non può fare altro che piagnucolare.
A.M.V.

CORONAVIRUS. IL POPOLO DEL WEB CASTIGA I PRETI POLITICANTI.

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, dopo la figuraccia vissuta nei giorni scorsi da padre Antonio Spadaro, sj, pensavo che in tema di coronavirus i preti politicanti (di sinistra) si sarebbero un po’ calmati. E invece…come potete vedere dalle immagini che seguono, e a cui lascio il compito di raccontare la storia, un certo membro dell’Ordo Predicatorum ha rilanciato l’argomento, commettendo un errore in latino (homo homini –dativo – lupus, non homo hominis –genitivo – lupus) ma anche illustrando il suo post con una fotografia che risale a diversi anni fa, della folla che si scontrava con la polizia in una piazza dell’Ucraina. Non a caso tutto questo è stato rilanciato da Nello Scavo, il giornalista migrantista di Avvenire, uno dei grandi fautori del traffico delle ONG e del traffico di esseri umani. Sempre per misericordia, mi raccomando, mica perché il tutto costituisce una lucrosa fonte di proventi per i soggetti interessati: ONG, cooperative di accoglienza, Caritas e istituzioni analoghe. Quello che mi sembra interessante però è il volume e la qualità delle reazioni al post del domenicano; mi sono fermato a un certo punto, ma direi che la grande maggioranza gliene dice quattro. Il che è bello e istruttivo, e testimonia del fatto che persino (noi) i cattolici a un certo punto si stufano…. Buona lettura.

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E poi carissimi Stilumcuriali, non potevo trattenermi dal condividere con voi questo manifesto appello all’umana imbecillità lanciato nei giorni scorsi dal PD di Lodi, e stranamente scomparso (cancellato) nelle ultime ventiquattro ore…chissà perché. Ma direi che si accompagna bene alle farneticazioni dei religiosi di cui sopra: lo stesso livello di demagogia perniciosa. Ma almeno questi sono del PD, eredi del PCI…si può capire no?

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Marco Tosatti
23 Febbraio 2020 Pubblicato da  4 Commenti --

RITORNO “CORONOVIRALE” AL REALISMO POLITICO” di Luigi Copertino


Il coronavirus è dunque arrivato anche in Italia. Alcuni dicono che era prevedibile giacché i virus non conoscono barriere né statuali né culturali né etniche, e da ciò traggono argomentazioni favorevoli al globalismo. Un’età impolitica come la nostra, per la quale tutto si risolve nel mercato, nell’economia, nella scienza e nella tecnica, non può arrendersi all’evidenza che le barriere sono state per millenni la difesa dei popoli contro ciò che dall’esterno poteva sconvolgere le loro forme culturali, vitali, sociali. Per millenni i popoli hanno pensato alle loro relazioni con l’altro da sé nei termini dello “scambio filtrato” ossia non generalizzato. Si badi che questo non ha impedito, anzi in un certo senso ha favorito, l’incontro tra le culture, soprattutto quando tale incontro si poneva su un più alto piano come poteva essere quello della Sapienza e della Metafisica e delle loro traduzioni filosofiche. Tra Cristianità ed Islam, ad esempio, l’osmosi sapienziale-culturale è stata, nei secoli medioevali, molto più ampia di quel che oggi, comunemente, pensano, sebbene da prospettive opposte e come tali erronee entrambe, tanto gli occidentalisti che gli islamisti.
L’umanità, fino all’età moderna, si è sempre colta una in quanto a natura ontologica ma assolutamente plurale in quanto ad identità culturali e storiche. Nel nesso tra l’unità di natura e la pluralità di cultura sta tutto il fondamento, più autentico, del Politico quale dimensione spirituale della vita associata nel contesto superiore di un Kosmos, di un Ordine, dato, donato, non auto-costruito: «le cose tutte quante/hanno ordine tra loro e questa è forma/che l’universo a Dio fa simigliante» così Dante nel “Paradiso” I, vv. 103-105.
Solo con la modernità si è iniziato a pensare al Politico come ad una autocostruzione umana su basi contrattuali – assolutizzando il conflitto “amico-nemico” invece di tenerlo quale conseguenza di una “rottura iniziale” che avrebbe potuto anche non inverarsi se l’uomo adamitico fosse rimasto fedele alla consegna ricevuta – e non più come a realtà di natura che rinvia ad un livello sacrale superiore. L’Unità sul piano trascendente dello Spirito non nega, anzi richiede, la pluralità, quindi le distinzioni ossia le barriere, sul piano naturale, immanente. Le città, i regni, gli imperi innalzavano mura, per separare l’ordine interno dal caos esterno – Roma nasce quando Romolo perimetra lo spazio sacro dell’Urbe separato dall’Orbe, in attesa questo di essere a sua volta ricompreso nella prima, sicché il gesto di Remo fu colpa di sacrilegio, punibile con la morte –, ma mura dotate di porte affinché la comunicazione con l’esterno non cessasse completamente perché mai fu del tutto dimenticata , sul piano metafisico, l’originaria unità spirituale.
Anche l’unità delle origini non era affatto uniformità indifferenziata. Al contrario da essa sono conseguite le diversificazioni, le plurime identità, che, senza l’allontanamento dalla Fonte metafisica dalla quale esse hanno causa, avrebbero mantenuto rapporti amicali e pacifici, nell’Amore Superiore non assorbente, non annichilente, e le mura non sarebbero state innalzate oppure avrebbero avuto le porte sempre aperte. Il Politico, infatti, non nasce dall’oblio dello Spirito quanto dallo Spirito stesso. Pertanto esso, il Politico, è proprio, inerente, alla natura umana. L’umanità non si dà senza il Politico ma quest’ultimo non si dà, a sua volta, se non nel contesto di un Kosmos sacro, ordinato e donato. L’oblio umano dello Spirito ha comportato non la nascita del Politico in sé ma soltanto la comparsa del conflitto quale conseguenza del nuovo, improvviso, non autentico, atteggiamento egemonico dell’uomo verso il prossimo, il mondo ed il Suo Autore.
L’imbecillità “politicamente corretta” ha fatto passare per razzismo quelle che sono normalissime misure precauzionali in caso di epidemia. Per il “sardinismo” dilagante, fenomeno al servizio delle pretese antipolitiche del globalismo del capitale finanziario apolide, imporre la quarantena obbligatoria, onde scongiurare il diffondersi del covid-19, sarebbe stata una bieca decisione contro i cinesi che solo la perfidia sovranista ha potuto prendere in considerazione. “Restiamo umani” è stato lo slogan atto a gridare la propria nullità ed impotenza che conduce direttamente all’irrealismo umanitario impolitico.
Questi pesciolini, ben pasciuti perché allevati nell’acquario di un Occidente dimentico della difficile realtà post-adamica dell’umanità attuale, ignorano che, in mancanza di efficaci terapie, per secoli la quarantena coatta è stata l’unica difesa dei popoli dal contagio. Così è stato all’epoca della peste trecentesca, così è stato agli inizi del XX secolo per la “spagnola”. Se nella scuola italiana si studiassero ancora, come le si studiava un tempo quando i banchi scolastici erano frequentati dalla generazione dello scrivente, le pagine manzoniane nelle quali si narra della peste seicentesca a Milano, i globalisti attualmente al governo non avrebbero esitato, memori di quella narrazione, nel ricorrere alla quarantena per chiunque provenisse dalla Cina. Per chiunque, non dunque solo per i cinesi perché la quarantena non è un provvedimento razzista come presume il pensiero contemporaneo volto al nulla.
Questa “sardinesca” imbecillità proviene, è del tutto evidente, dal retaggio liberale ed individualistico della modernità. Tale retaggio, infatti, è la trama filosofica dalla quale nasce l’atteggiamento libertario. Liberalismo ed individualismo – dei quali il marxismo ed il collettivismo sono soltanto delle mere estensioni (il collettivo è nient’altro che la somma anonima degli individui inappartenenti e Marx, non dimentichiamolo, era anti-statualista) – non sopportano l’idea stessa dell’Autorità politica, ossia, nella sua forma moderna, dello Stato, il cui compito tradizionalmente naturale è la difesa del popolo. Difesa e protezione che è politica, militare, economica ma, come possiamo constatare ora che essa è venuta a mancare a fronte del diffondersi del coronavirus, anche sanitaria. Uno Stato che esita ad imporre la quarantena coatta e preferisce l’appello all’auto-responsabilità individuale, affinché il singolo si sottoponga da solo, spontaneamente, al periodo di osservazione necessario alla verifica dell’avvenuto contagio, è uno Stato che abdica al suo ruolo, alla sua missione naturale, quindi a sé stesso. Uno Stato che si vuole disarmato ed impotente non è espressione del Politico ma soltanto mera amministrazione. L’amministrazione, però, è propria della sfera dell’economico, non di quella del Politico.
Che l’Autorità politica abbia un suo ruolo ed un suo spazio di più che legittima operatitivà non è verità dichiarata soltanto da Thomas Hobbes, quindi in un contesto filosofico contrattualista. Ben prima di lui, lo hanno affermato San Tommaso d’Aquino nel “De regimine principum” e San Paolo, ebreo e cittadino romano, nella Lettera ai Romani (“non invano essa [l’Autorità] porta la spada; è infatti al servizio di Dio”, Romani 13, 4). Allo stesso ordine di verità si riferiva Nostro Signore Gesù Cristo quando ha lodato la fede del centurione romano il quale, con militare apprezzamento della gerarchia, aveva osservato come non fosse necessario che Lui andasse di Persona in casa sua a guarire il servo malato perché sarebbe bastata la Sua Parola allo stesso modo che a lui centurione, che comandava cento soldati, bastava dare un ordine ai suoi sottoposti affinché questo fosse eseguito (Matteo 8, 5-13).
Se dunque tra il contrattualismo e la Rivelazione cristiana c’è il comune riconoscimento della legittimità dell’Autorità politica dove è la differenza? Essa, fondamentale, sta nella diversa radice dalla quale, nell’una e nell’altra visione, l’Autorità trae la propria legittimità.
Per i contrattualisti – Hobbes, Locke, Rousseau – tale radice sta nel contratto tra gli individui totipotenti che si accordano per regolare le reciproche e divergenti utilità. Sicché è da tale accordo che nasce l’Autorità politica delegata, dai contraenti, a far rispettare il contratto sociale, anche mediante l’uso della forza. Le differenze tra le diverse accezioni degli autori sopra richiamati – per Hobbes l’Autorità ha il pieno ed insindacabile uso della coercizione, per Locke tale potere deve essere mediato dalla costituzione a garanzia dei diritti individuali, per Rousseau invece ci sarebbe coincidenza generale tra volere statale e volere individuale – non misconoscono il contrattualismo quale quadro filosofico e concettuale nel quale essi collocano l’idea dell’Autorità auto-costruita.
Per la Rivelazione cristiana la radice dell’Autorità è, invece, nella natura ontologica dell’uomo perché egli, l’uomo, è creatura sociale per natura ossia creato da Dio come soggetto relato, appartenente, organicamente inserito in un ordine donato, non auto-costruito dall’uomo medesimo. L’Ordine, dice Tommaso d’Aquino, “ratio non facit, sed solum considerat”.
«Con riferimento alla comunità politica – scrive Danilo Castellano – …, va … rilevato: a) che essa è società naturale al pari … della famiglia; b) che essa è contemporanea alla società familiare e a quella civile; essa, cioè, non viene “dopo” le prime due ma “con” le prime due; c) che essa non “assorbe” in sé le altre società naturali ma è garanzia della loro esistenza ordinata al proprio fine. Ora, l’essere società naturale implica che la comunità politica ha un fine in sé. Questo, quindi, esistendo, va cercato e, individuato, riconosciuto. (…) ogni teoria contrattualista circa la genesi della comunità politica … non riesce … a individuare l’essenza del politico e a darne una “giustificazione” ontologicamente fondata e non razionalisticamente “costruita” (…). L’essere società naturale … implica soprattutto il dovere – come si è detto – di ricercare il fine della comunità politica, il quale … rappresenta la “condicio sine qua non” per … distinguere il potere come mero potere e, cioè, come violenza, dall’autorità e, cioè, dal potere legittimamente esercitato per far crescere l’uomo secondo il fine oggettivo intrinseco ad ogni soggetto. E’ significativo, a questo proposito, il fatto che la cultura politica di derivazione protestante, vuoi nella versione pessimistica vuoi in quella ottimistica, non riesca a “pensare” il potere se non in termini negativi e che allo Stato assegni il monopolio della violenza, quasi che con la violenza organizzata e, quindi, resa più forte di ogni altra, si riesca a evitare la guerra di tutti contro tutti» (1).
Il razionalismo costruttivista, infatti, nasce nell’ambito della svolta protestante che non è più in grado di considerare la “persona”, sostituendola con l’astrazione dell’“individuo”, né la “comunità”, nella quale la persona, per nascita, cultura, natura ontologicamente intesa, è organicamente inserita e senza della quale essa, in quanto ha il suo proprio fine nella relazione, verso l’Alto, con il Creatore ed, orizzontalmente, con il prossimo, neanche potrebbe darsi. Ecco perché, al di là dell’apparente continuità formale, sussiste una totale ed irrimediabile discontinuità sostanziale tra giusnaturalismo cattolico e contrattualismo sociale di matrice riformata. Questa insuperabile cesura è stata evidenziata dallo stesso sviluppo storico dei Paesi protestanti nei quali, dietro le forme e le terminologie “giurate” e “pattizie” ancora di eredità medioevali – si pensi al Bill of Rights inglese del 1689 che solo in apparenza mantiene il personalismo organicista sotteso alla “Magna Charta” medioevale (sorvolare su questa differenza è stato uno degli ingannevoli strumenti per accreditare una presunta radice medioevale del liberalismo moderno) –, alle “libertates” comunitarie e reali ed alla persona concreta della Cristianità è subentrata, gradualmente ma decisamente, la moderna “libertà” astratta, irrealistica, nonché l’individuo razionalisticamente concepito ossia irrelato. Storicamente l’individualismo è coevo all’assolutismo moderno. Ne è l’altra faccia perché entrambi nascono dalla stessa matrice protestante e razionalista e si sostengono a vicenda.
Nelle attuali circostanze storiche, solo alla luce della concezione realistica, di eredità romano-cristiana, è possibile spiegare la presenza dello Stato, in particolare nei momenti di crisi ma non solo, nella direzione, regolazione e gestione dell’economia come anche dei conflitti tra i ceti sociali, a sostegno della domanda ossia del lavoro. Si tratta dell’ampliamento, in precedenza inedito ma implicitamente già contenuto nel Kosmos originario, dello spazio di operatività dell’Autorità politica. La pretesa ordoliberale di ricondurre ad un impianto tradizionale il ruolo minimale da essa assegnato allo Stato di mera cornice, per “costituzionalizzare” e rendere “normativa”, anziché effettivamente contenere, la concorrenza, è smentita, sia sul piano teoretico che storico, dal detto ampliamento inteso quale potenziale sviluppo della tradizionale contestualità prioritaria dell’Autorità politica rispetto alla famiglia ed alla società civile comprensiva, quest’ultima, del mercato.
Sussiste una analogia concettuale tra l’illusione ordoliberale sulle capacità risanatrici e pacificatrici del libero mercato, nel risolvere lo scontro sociale, e l’ostinazione libertaria ed impolitica ad impedire all’Autorità politica di intervenire con la quarantena obbligatoria per arginare l’epidemia da coronavirus. In entrambi i casi agisce una sfiducia nel Politico ed una eccessiva e “fideistica” fiducia nella sola responsabilità personale del singolo, come se l’uomo, benché naturalmente tendente al Bene, non fosse ontologicamente ferito e pertanto deviato verso l’egoismo autoreferenziale.
Inebriata dai caduchi fasti della globalizzazione, luccicanti almeno fino al 2008, ed ancora incapace di svegliarsi completamente da tale ubriacatura, forse all’umanità contemporanea la pandemia da coronavirus può offrire una provvidenziale occasione, uno scossone necessario, per riprendere possesso del dominio di sé e tornare alla realtà. Anzi al Reale.
Ditelo alle “sardine” ed ai libertari di ogni scuola!
Luigi Copertino
     


NOTE
  1. Cfr. Danilo Castellano “L’Ordine della Politica – saggi sul fondamento e sulle forme del Politico”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1997, pp. 31-32.

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