Et ne nos inducas ... in psicosi da Coronaviurus
“Da quando è stato sancito che Dio non induce nella prova o nella tentazione, Dio stesso sembra aver permesso qui in Italia questa prova. Che da questa drammatica situazione emerga un popolo cristiano e sicuro che Dio non può abbandonare nessuno “nella” tentazione, ma può permettere una pluralità di eventi purificatori della nostra fede. Giusto, ma su cosa poggia la nostra fede?”. La lettera di un sacerdote.
Et non inducas in coronavirus … sed libera nos a malo
Mi pare particolarmente ironico che, da quando i Vescovi italiani hanno sancito ufficialmente che Dio non induce nella prova o nella tentazione, Dio stesso abbia permesso - e stia permettendo - qui in Italia questa prova, al limite di ogni tentazione. Ma d’altro canto si sa: Dominus Deus è ironico.
Speriamo solo che da questa drammatica situazione emerga un popolo veramente cristiano e sicuro (come è ovvio…ma forse non per certi eccellentissimi) che Dio non può abbandonare nessuno né “alla”, né “nella” tentazione, ma può permettere una certa pluralità di eventi chiarificatori (o purificatori) della nostra fede.
E già, il problema è proprio la fede. Come non ripensare alle parole del Signore: “Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. È assolutamente certo che Dio può indurci (portarci, condurci) nella prova per verificare la saldezza della nostra fede! Dobbiamo chiedere al Padre sempre (in italiano e se non potremo in latino, in greco, in bengalese, in cinese o in arabo): non ci indurre in tentazione e liberaci dal male! Io credo che non riuscirò mai a chiedere al Signore una cosa inutile poichè il Signore non può abbandonare nessuno.
Detto questo mi pare che la parola d’ordine in questo periodo sia l’espressione “psicosi” declinata con altri termini: allarmismo, emergenza…
Questa “psicosi” - per quanto riguardi i risvolti sociali ed economici - sembra purtroppo un necessario passaggio verso un futuro così enigmatico. Purtroppo anche l’ambiente cristiano pare essere ugualmente segnato da quest’inquietudine: da un lato abbiamo le iper precauzioni normate dalle conferenze episcopali - a mio parere eccessive, ma non sono un virologo - dall’altro un certo substrato cristiano purista teme un piano satanico contro la Chiesa per sancirne la definitiva morte.
Ho letto in questi giorni mille giudizi allarmistici: dall’attacco alla Chiesa, alla preoccupazione per la legiferazione permanentemente della Comunione in mano; ed ancora: dalla privazione al popolo dell’Eucarestia, di Dio e della fede all’ansia per la chiusura delle piscine di Lourdes et cetera, et cetera…
Ma su cosa poggia la nostra fede? Forse non si celebrano più Messe in Italia, In Lombardia, Veneto o Emilia Romagna? Forse che - in un periodo emergenziale - nella Comunione sulla mano c’è meno quantità di Gesù che sulla lingua? Forse la Madonna ha bisogno dell’acqua per fare miracoli?
Dove son finite la ragione e la ragionevolezza?
Come lei ben sa, noi sacerdoti continuiamo ad offrire ogni giorno il Santo Sacrificio (con o senza popolo) e le immense grazie Eucaristiche custodite dalla Chiesa sono elargite al nostro popolo tutte le volte che noi preti varchiamo le soglie dell’Altare in persona Christi. Per di più non abbiamo molte intenzioni in questo periodo e quindi molte Messe sono applicate “pro populo”, per le intenzioni del popolo.
Mi scusi l’ironia, ma mi diverte pensare che questo virus abbia costretto molti teologi e preti a ribaltare - nella pratica - certe impostazioni figlie dello “spirito” del concilio che ci han spiegato fino alla noia che “è la comunità che celebra” o che “la messa ha senso solo con la comunità”. Aggiungo pure che a porte chiuse ogni prete potrà decidere se celebrare giustamente orientato cioè “coram Deo” (verso Dio, verso il Tabernacolo come dovrebbe normalmente essere) o “coram scamnis” (verso i santi banchi); spero giunga presto il tempo in cui avremo il coraggio di correggere queste storture teologico-populiste.
Sulla ricezione Eucaristica vorrei ribadire che - seguendo la tradizione - io personalmente trovo inappropriata la ricezione della Comunione sulla mano; per grazia di Dio nella mia parrocchia -anche per colpa di un sacrilegio Eucaristico - l’allora Vescovo Negri ed io concordammo sulla esclusiva ricezione della Santa Comunione sulla lingua. Questa non è sede per approfondire ma il recente libro di don Federico Bortoli chiarisce profondamente il senso di questa tradizione latina e non solo. Tuttavia, mi confidava un confratello - che ha applicato scrupolosamente l’indicazione dei vescovi sulla Comunione in mano - che alcuni parrocchiani più legati alla Tradizione si son rifiutati comunicarsi sacramentalmente durante la Messa: questo mi rammarica. Certo, li capisco sulla questione del rispetto e della venerazione…ma… è il Signore! Mi torna in mente l’episodio evangelico dove Pietro, pur nel rimorso del suo rinnegamento, non ha esitato neanche un istante a tuffarsi nell’acqua per raggiungere a nuoto il Signore che lo aspettava a riva; alla sola espressione “è il Signore” si è tuffato con il solo desiderio di “comunicare” con il Risorto; o anche la corsa piena di gioia e curiosità di Pietro alla notizia della Risurrezione di Cristo.
Insomma la fede e l’affezione a Cristo generano un “movimento” spontaneo e non impostato verso di Lui ne va da sé che l’auto-esclusione di alcuni fratelli dall’Eucarestia indebolisce la preoccupazione sulla mancanza di Messe e di Sacramenti. Ribadisco che questa norma (Comunione in mano) a mio modo di vedere non è affatto una cosa positiva, tuttavia mi aspetterei giudizi più eroici in questa emergenza.
Aggiungerei anche timidamente che la Vergine Maria ha bisogno di veder in noi la fede, l’offerta sincera del sacrificio, la conversione… ne va da se che per concedere un miracolo (che compie il Signore) può usare acqua, terra, fuoco, grandine, un Rosario consumato dall’utilizzo o altro. Si potrebbe obiettare che il metodo che la Madonna offre passa per il segno dell’acqua ma questo non è il mezzo esclusivo della grazia.
Caro direttore, ci è chiesto un sacrificio inevitabile in questo momento: tanti nostri fedeli desiderano l’Eucarestia (ricordo comunque che non è vietato ricevere l’Eucarestia poiché si può sempre chiedere al Sacerdote) ma forse questa prova ci aiuterà a comprendere il valore proprio di questo sacro tempo di Quaresima del sacrificio con negl’occhi l’immagine di Cristo indotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal maligno ed il grande desiderio degli ebrei dopo la schiavitù di entrare nella Terra Promessa.
È sempre difficile scegliere un sacrificio quaresimale… tutta questa vicenda porta in se un sacrificio ed un’occasione proposti ed imposti dalla realtà.
Perché un occasione? Riflettevo in questi giorni sui famosi “tre giorni di buio” che molti mistici raccontano nelle loro visioni. Ovvio che nulla è dogmatico di queste rivelazioni personali tuttavia rileggendole mi colpisce molto il fatto che i mistici chiedano di non uscire di casa per nessun motivo in quei giorni così difficili e terribili, invitano a rimanere nelle proprie dimore illuminati dalle candele benedette, pregando ed affidandosi alla misericordia di Dio. Se tutto questo fosse vero sicuramente non si riuscirebbe ad andare a Messa, forse i preti celebrerebbero per la salvezza del loro popolo il Sacrificio e per tanti il tempo d’oscurità sarebbe un evento di sano giudizio e di liberazione. In questo ipotetico tempo di “vendemmia divina” l’uomo sarebbe solo, solo con la propria fede, aggrappato a quel rapporto personale col Signore che ciascuno di noi - hic et nunc - deve coltivare. Caro direttore, mi chiedo: e se queste situazioni difficili come il Coronavirus fossero delle timidissime prove generali? Chi lo sa!? Certo è che il valore del nostro rapporto col Signore in questo tempo deve diventare la misura della speranza.
Vorrei concludere ricordando alcune parole rinfrancanti dell’inno di quaresima vesperale composto dalle Trappiste di Vittorchiano: “Liberati dal giogo del male…noi giungiamo alla terra di prova dove i cuori saran resi puri”. La “terra di prova” serve a render puro il cuore. Ed ancora: Tu “cammini con noi nel deserto per condurci alla santa montagna sulla quale s'innalza la Croce”; il Salvatore accompagna la strada (il deserto) dei suoi figli e li porta a comprendere la grandezza del vero Sacrificio, quel Sacrificio che illumina i nostri sacrifici con la potenza della grande Verità.
La fede dunque o è roccia o è sabbia: “Su Te, roccia che t'alzi fra noi, troveremo difesa ed appoggio”.
La vittoria pasquale che intravvediamo in questo inizio di quaresima è dunque il “luogo teologico” da contemplare poichè “dalla morte passando alla vita giungeremo alla terra promessa”. La ringrazio di cuore per la paziente lettura. Buon lavoro!
*Diocesi di San Marino e Montefeltro
Don Andrea Bosio*
https://lanuovabq.it/it/et-ne-nos-inducas-in-psicosi-da-coronaviurus
CONTRO IL VIRUS
Il Vescovo: «Mi rifiuto di sospendere le Messe»
La lettera del vescovo di Ars-Belley (Francia), monsignor Pascal Roland, il cui giudizio parte dalla fede. In un momento in cui si è tentati di ragionare come il mondo (solo sui numeri e solo in base alla paura) il vescovo ha deciso di usare "un'altra mentalità", che parte dall'incontro con Cristo e dalla vita eterna (basti pensare che in Cina i cristiani hanno evangelizzato nelle zone più a rischio mettendo a repentaglio la propria salute).
Mons. Pascal Roland
Qui di seguito la lettera, tradotta da Cultura Cattolica, del vescovo di Ars-Belley (Francia), monsignor Pascal Roland.
Più che l’epidemia di coronavirus, dobbiamo temere l’epidemia di paura. Da parte mia, mi rifiuto di cedere al panico collettivo e di sottomettermi al principio di precauzione che sembra motivare le istituzioni civili. Quindi non intendo impartire istruzioni specifiche per la mia diocesi: i cristiani smetteranno di incontrarsi per pregare? Rinunceranno a trattare e aiutare i loro fratelli? A parte le elementari precauzioni che tutti prendono spontaneamente per non contaminare gli altri quando sono malati, non è opportuno aggiungere altro.
Dovremmo ricordare che in situazioni molto più gravi, quelle delle grandi piaghe, e quando i mezzi sanitari non erano quelli di oggi, le popolazioni cristiane hanno manifestato il loro valore con momenti di preghiera collettiva, nonché con l’aiuto ai malati, l’assistenza ai moribondi e col seppellire i defunti. In breve, i discepoli di Cristo non si allontanarono da Dio o si nascosero dai loro simili, ma piuttosto il contrario.
Il panico collettivo a cui stiamo assistendo oggi non rivela la nostra relazione distorta con la realtà della morte? Non manifesta l’ansia che causa la perdita di Dio? Vogliamo nascondere che siamo mortali e, essendo chiusi alla dimensione spirituale del nostro essere, perdiamo terreno. Avendo tecniche sempre più sofisticate ed efficienti, intendiamo dominare tutto e nascondere che non siamo i signori della vita.
A proposito, teniamo presente che la coincidenza di questa epidemia con i dibattiti sulle leggi di bioetica ci ricorda la nostra fragilità umana. Questa crisi globale ha almeno il vantaggio di ricordarci che viviamo in una casa comune, che siamo tutti vulnerabili e interdipendenti e che la cooperazione è più urgente della chiusura dei nostri confini.
Inoltre, sembra che tutti abbiamo perso la testa. In ogni caso, viviamo nella menzogna. Perché improvvisamente focalizziamo la nostra attenzione solo sul coronavirus? Perché nascondere che ogni anno in Francia l’influenza stagionale banale colpisce tra 2 e 6 milioni di persone e provoca circa 8.000 decessi? Sembra anche che abbiamo eliminato dalla nostra memoria collettiva il fatto che l’alcol è responsabile di 41.000 decessi all’anno e che si stima che 73.000 siano i decessi causati dal tabacco.
Lontano da me, quindi, l’idea di prescrivere la chiusura delle chiese, la soppressione delle Messe, l’abbandono del gesto di pace durante l’Eucaristia, l’imposizione di questa o quella modalità di comunione considerata più igienica (detto ciò, ognuno può fare come vuole), perché una chiesa non è un luogo di rischio, ma un luogo di salvezza. È uno spazio in cui accogliamo colui che è la Vita, Gesù Cristo, e dove, attraverso Lui, con Lui e in Lui, impariamo a vivere insieme. Una chiesa deve rimanere quello che è: un luogo di speranza.
Dovremmo rinchiuderci nelle nostre case? Dovremmo saccheggiare il supermercato del quartiere e accumulare riserve per prepararci ad un assedio? No! Perché un cristiano non teme la morte. È consapevole di essere mortale, ma sa in chi ha posto la sua fiducia. Crede in Gesù, che afferma: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; e tutti coloro che vivono e credono in me non moriranno mai” (Giovanni 11, 25-26) Sa di essere abitato e animato dallo “Spirito di colui che risuscitò Gesù dai morti” (Romani 8, 11).
Inoltre, un cristiano non appartiene a se stesso, la sua vita deve essere offerta, perché segue Gesù, che insegna: “Chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chi perde la sua vita per me e per il Vangelo la salverà” (Marco 8, 35). Certamente, non si espone imprudentemente, ma nemmeno cerca di preservarsi. Seguendo il suo Maestro e Signore crocifisso, il cristiano impara a donarsi generosamente al servizio dei suoi fratelli più fragili, in vista della vita eterna.
Quindi, non cediamo all’epidemia della paura! Non siamo morti viventi! Come direbbe Papa Francesco: non lasciarti rubare la speranza!
+ Pascal ROLAND
Aldo maria Valli dice: “Se tu sei cattolico e credi in Dio, se credi nella presenza reale di Gesù Cristo nella Santa Eucarestia, se credi che la celebrazione della Santa Eucarestia è al centro della vita della Chiesa, come del resto ci dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, è evidente che non solo non puoi fare a meno della messa, ma nel momento in cui, per svariati motivi, ti trovi in difficoltà ne hai più bisogno. Dovere della Chiesa in quei frangenti è dunque quello di assicurare ancora più del solito la possibilità di ricevere Gesù nella Santa Eucarestia, (…) spalancando le porte delle chiese, e trovando ogni modo per celebrare la santa messa, più frequentemente e più intensamente del solito. (…) Invece in questi giorni in cui ci troviamo a fare i conti con il coronavirus, le messe, nelle zone più colpite dal contagio, sono state abolite, soppresse, eliminate. E i nostri pastori, i vescovi si sono affrettati a spiegarci che lo hanno fatto per il nostro bene, per la nostra salute.
La situazione è incredibile e paradossale……”
Da ascoltare tutto!
Di Sabino Paciolla
“Quello che stiamo vivendo è qualcosa di inatteso e che ha radicalmente cambiato la nostra vita ed il nostro modo di vivere e soprattutto ha offuscato il nostro sguardo sul futuro….”
Di Sabino Paciolla
Virus tra romanzo e realtà: l’ideale per sospendere le libertà
Una pandemia è l’ideale per sospendere la democrazia e le libertà, spesso invocata dagli stessi popoli. Romanzi catastrofici e distopici lo insegnano. E le emergenze planetarie sono l’ideale per chi aspira a un governo mondiale di «tecnici». Infatti, tutto parte dalla Cina, che è un regime totalitario.
La catastrofe e il romanzo cosiddetto distopico sono parenti stretti e il post-apocalisse è lo scenario perfetto per i romanzieri che guardano al futuro. Quella causata da un virus letale, poi, è ormai un genere letterario a sé stante. Inutile qui rievocare titoli classici, perché i giornali in questi giorni ci si sono sbizzarriti. Un sottogenere dell’epidemic literature è rappresentato dagli zombies.
Sì, perché un virus che stermina e basta non offre molti appigli per una trama (anche se, va detto, qualcuno ci si è cimentato): almeno uno deve sopravvivere, sennò non si sa che cosa raccontare. In fondo, pure in I am Legend, dove c’è un unico non-contagiato, ci sono gli zombies.
L’inarrivabile è stato toccato nientemeno che nel 1901 da Matthew Phipps Shiel con La nube purpurea, dove il protagonista vaga solo per il mondo in mezzo ai cadaveri provocati da una misteriosa nube che ha risparmiato solo lui in quanto si trovava al Polo Nord. Dopo tre quarti di libro si imbatte in un altro sopravvissuto, una femmina nuda. E voi a questo punto penserete a un prosieguo tipo Laguna blu. Invece no, quello è un gentiluomo vittoriano che la riveste e, dopo peripezie, la abbandona al suo destino per continuare a vagare da solo.
Perché? Boh. Forse questo stralcio biografico da Wikipedia potrà aiutare a inquadrare l’autore: «Per il suo quindicesimo compleanno fu incoronato, da un predicatore wesleyano e su specifica richiesta del padre, sovrano della piccola isola deserta di Redonda, nei Caraibi, col nome di Re Felipe I». Comunque, strano ma vero, si tratta di un romanzo cristiano, anche se lo si capisce solo, giuro, dall’ultimo rigo.
C’è da dire che le emergenze planetarie sono l’ideale per chi aspira a un governo mondiale di «tecnici». E qui, cominciando da Platone, la letteratura è sterminata. Accennerò solo al fatto che fino al XVII secolo saggi e romanzi «utopici» scherzavano: l’inventore del fortunato termine «utopia» fu un santo canonizzato e martire, Thomas More, che quand’era Cancelliere dello Scacchiere non esitò a far giustiziare alcuni anabattisti. I quali, a differenza di lui, non scherzavano affatto e lo si vide nel loro tanto effimero quanto sanguinoso «regno» di Münster. Ma ancora si trattava di utopie a sfondo religioso.
Ci pensarono i giacobini a fare il passo successivo e definitivo. Padri dei nazionalismi del secolo seguente e dei totalitarismi di quello dopo, dovettero avvolgersi in nuvole di slogan perché non avevano sottomano alcuna «emergenza», a parte l’abusato «la patria in pericolo».
Se avessero avuto a disposizione un Coronavirus avrebbero fatto prima e senza lamentele a parte del pubblico.
E veniamo all’oggi. Tutto comincia dalla Cina, che non a caso è un totalitarismo comunista. Ci si faccia caso. La normale influenza, quella che a ogni inverno costringe a letto quasi tutti, viene sempre da là. Ricordate l’«asiatica» dei primi anni Cinquanta? Ebbene, se l’Amazzonia è «patrimonio dell’umanità» e c’è chi pensa di sottoporla a tutela Onu, il mercato di Wuhan a maggior ragione dovrebbe essere «di tutti» e perciò sottoposto a profilassi internazionale. Invece no.
Com’è noto, anzi, c’è chi ammira il mix cinese di capital-comunismo e vorrebbe copiarlo su scala mondiale. Ebbene, una pandemia è l’ideale per sospendere la democrazia e le libertà, anche perché l’avvento di una Cupola sarà invocato dagli stessi popoli. Prima la pelle. Prendiamo, per esempio, il controllo facciale computerizzato.
Tutti gridiamo alla privacy violata, ma basterà allargare un po’ le maglie della giustizia, un po’ di buonismo da parte di magistrati, politici e clero, ed ecco che tutti saluteremo con gioia le telecamere a scansione anche nei cessi pubblici. Già nel 1848 il deputato e scrittore Juan Donoso Cortés, vero ghost writer del Syllabo, avvertiva: «Il mondo cammina a passi rapidissimi verso il dispotismo più totale che si sia mai visto». Quel che non poteva immaginare è che sarebbe stato invocato anche dai preti (stante la loro crescente simpatia per l’agenda Onu).
Rino Cammilleri
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