ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 8 marzo 2020

I successi dall’intronizzazione di Jorge Mario Bergoglio

Argentina, la crisi del cattolicesimo e l’avanzata degli evangelici



Sono passati ormai sette anni dall’intronizzazione di Jorge Mario Bergoglio al soglio pontificio, il primo uomo proveniente dal Sud globale a ricoprire tale carica, l’evento spartiacque della storia recente della chiesa cattolica. Era chiaro fin da subito che la scelta fosse stata dettata da ragioni geopolitiche: è stato il fallimento del piano per la nuova evangelizzazione del Vecchio Continente elaborato dallo storico duo Wojtyła-Ratzinger all’indomani della guerra fredda a spianare la strada per il ri-direzionamento dell’agenda vaticana altrove, nel resto del mondo, nelle “periferie globali” per utilizzare un termine bergogliano.

Si era deciso di eleggere qualcuno che conoscesse da vicino le dinamiche del Sud globale, in particolare dell’America Latina, per fronteggiare la guerra delle croci in corso con l’internazionale evangelica e non perdere ulteriore terreno nel mercato delle fedi. Ma l’elezione di Francesco, per quanto sia stata fondamentale nell’espansione della sfera d’influenza vaticana nel mondo ortodossonel mondo islamico e in Cina, non ha sortito gli effetti sperati nel contenimento dell’avanzata protestante nell’America latina.

Cattolici: sempre meno e secolarizzati

Dal Brasile a Cuba, passando per il Venezuela, le plurisecolari roccaforti del cattolicesimo latinoamericano stanno cedendo una dopo l’altra e, adesso, sembra essere arrivato il turno della terra natale del Papa, l’Argentina.
Una recente inchiesta della Commissione episcopale per il sostegno dell’azione evangelizzatrice della chiesa cattolica argentina, che è stata anche ripresa dal Vaticano, ha fatto luce sulla situazione attuale del cattolicesimo nel paese, svelando una situazione drammatica: il cattolicesimo continua ad essere la prima religione del paese, seguita dal 70% degli intervistati, ma è afflitto da un’emorragia di consensi, fedeli e fiducia.
Soltanto il 36% di coloro che si professano cattolici contribuisce economicamente al sostentamento della chiesa, poiché la maggioranza ritiene che il finanziamento debba provenire dal Vaticano o dallo stato e che, comunque, la chiesa “ha abbastanza denaro” per auto-finanziarsi; 3 cattolici su 10 frequentano le messe in maniera regolare, ossia una volta a settimana; il 44% ha un’immagine negativa della chiesa in sé; il 50% non compra i periodici cattolici e non segue in alcun modo i canali mediatici della chiesa, e, infine, il 61% degli intervistati non è a conoscenza delle attività sociali svolte dalla chiesa, come l’aiuto ai senzatetto, alle famiglie indigenti e numerose, le comunità di recupero per i tossicodipendenti ed ex criminali.
L’inchiesta acquisisce ulteriore importanza alla luce del test che la chiesa sarà tenuta ad affrontare nelle prossime settimane, ossia il ritorno della questione aborto in sede legislativa, perché è chiaro che dal suo livello di popolarità dipende, e dipenderà, la capacità di mobilitare la società civile, di riempire le piazze. Ed è stata proprio la questione della legalizzazione dell’interruzione di gravidanza ad aver mostrato quanto la società argentina sia profondamente polarizzata, divisa in una metà saldamente contraria e una metà fermamente favorevole, e quanto la classe politica sia poco interessata all’intrattenimento di un rapporto privilegiato con la Santa Sede.
Infatti, il governo neo-peronista del presidente Alberto Fernandez condivide le posizioni etiche del predecessore, il liberale e liberista Mauricio Macri, e ha annunciato l’intenzione di terminare il lavoro iniziato da Macri, colui che ha cominciato la discussione sull’aborto, proprio all’indomani della visita effettuata in Vaticano a fine gennaio, durante la quale si è assicurato l’aiuto del Papa nella gestione della crisi economica che attanaglia il paese e che ha reso l’incubo bancarotta di nuovo realtà, come a inizio anni 2000.

L’avanzata protestante

Stando all’inchiesta della commissione episcopale, i cattolici rappresenterebbero il 70% della popolazione ma altre fonti riportano numeri largamente inferiori. Nel 2018, Latinobarometro riportava un panorama religioso diviso fra cattolici, il 63,3%, protestanti, l’11% e inaffiliati, il 24%. Al sondaggio ha fatto seguito, l’anno seguente, un‘inchiesta nazionale del CEIL-CONICET, un centro studi para-statale, che ha certificato la presenza cattolica ferma al 62,9% e quella protestante al 15,3%.
I dati differiscono, ma comunque evidenziano una realtà incontrovertibile: i cattolici stanno diminuendo, i protestanti aumentando, ed è una tendenza tanto forte da mostrare i suoi effetti su base annua. Per capire la gravità della crisi che sta affrontando la chiesa, basti pensare che nel 1960 il 90,5% della popolazione si definiva cattolico.
Le chiese protestanti, che sono essenzialmente di stampo evangelico e neo-pentecostale, hanno saputo sfruttare l’ultimo ventennio di congiunture economiche negative, realizzando un sistema sociale ricalcante il tradizionale welfare cattolico e basato su mense per i poveri, distribuzione di beni primari e secondari agli indigenti, dormitori. Secondo Ruber Proietti, leader dell’Alleanza Cristiana delle Chiese Evangeliche della Repubblica Argentina (Aciera), è stata propria la dedizione al sociale, sottratta al decadente monopolio cattolico, ad aver posto le basi per un “boom protestante”.
Nell’intera provincia di Buenos Aires, oggi, operano più di 5mila enti, centri e chiese protestanti, e l’Aciera, inoltre, offre delle stime alternative sulla demografia religiosa del paese, sostenendo che il 20% della popolazione adulta sia affiliato a chiese protestanti. La macchina di proselitismo ha iniziato a lavorare ed è altamente probabile che nei prossimi due decenni avrà luogo una rivoluzione religiosa in stile Brasile, perché come sottolinea Proietti “in ogni quartiere ormai ci sono più templi evangelici che chiese cattoliche”.
Emanuel Pietrobon 6 MARZO 2020
  • INTERVISTA ALL'AUSILIARE DI SANTIAGO

“In Cile la gente ha perso fiducia nella Chiesa”

La Chiesa cilena è sotto attacco da parte dei sovversivi che da ottobre 2019 tengono il Paese in ginocchio: da allora sono state distrutte 57 chiese. Mons. Alberto Lorenzelli, vescovo ausiliare di Santiago del Cile, spiega come la Chiesa locale cerchi di recuperare la sua credibilità dopo il terremoto causato dagli scandali sugli abusi sessuali: “Il tempo di una Chiesa un po’ trionfalistica è passato. I casi di abusi hanno avuto una ricaduta nel tessuto sociale”. 
Da più di quattro mesi il Cile cerca di sopravvivere all'eccessiva violenza dei gruppi sovversivi che non solo hanno generato un notevole danno materiale, minacciando di distruggere quella che era l'economia più prospera dell'America Latina, ma hanno anche attaccato direttamente la Chiesa cattolica.
Fino allo scorso 26 gennaio, 57 chiese cattoliche ed evangeliche sono state attaccate con danni di varia entità: “dai vetri rotti al saccheggio massiccio fino alla profanazione del Santissimo Sacramento. Gli attacchi sono diffusi in tutto il paese”, si legge nel rapporto della Commissione interamericana per i diritti umani. E, nonostante ci siano prove dell’organizzazione dietro questi attacchi, è evidente il senso di malessere del popolo cileno contro la Chiesa cattolica.
Per tentare di ottenere risposte, la Nuova BQ ha intervistato in esclusiva Mons Alberto Ricardo Lorenzelli Rossi, salesiano inviato da Papa Francesco a Santiago del Cile come vescovo ausiliare nel luglio 2019, dopo il terremoto subìto dalla chiesa locale a causa degli scandali per abusi sessuali che ha coinvolto membri del clero cileno; secondo la procura nazionale al momento ci sono 271 vittime che ancora attendono giustizia.
“La Chiesa vive un momento di difficoltà, lo sappiamo, per vari temi, perché anche come istituzione ci ritroviamo toccati dal tema degli abusi e questo ha colpito fortemente quello che è il tessuto sociale”, ha detto. Inoltre, ha spiegato che, sebbene la fede dei cileni rimanga intatta, “la gente ha perso quella fiducia che aveva un tempo nella Chiesa e che era molto alta”. Tuttavia, ha sottolineato che “la gente comune rifiuta la violenza. Le persone hanno il desiderio di ritrovare la loro stabilità e la possibilità di vivere bene”.
In effetti, nella storia cilena la Chiesa cattolica ha sempre avuto un ruolo da protagonista, era una voce rispettata. Nell'attuale crisi del Paese e di fronte a questa perdita di credibilità, quale ruolo ha assunto la Chiesa?
Io credo però che il tempo di una Chiesa un po’ trionfalistica sia passato. E' il momento di una Chiesa vicina alla gente, che recuperi il suo servizio pastorale, evangelizzatore...; però è necessario che sia una Chiesa più umile, che sappia anche parlare nel fare. Una Chiesa che dà solo annunci, che fa bei documenti, non è la Chiesa che oggi la gente si aspetta. È in questo "fare" di presenza, di ascolto, di contenimento di fronte al momento che si vive, un ascolto anche capace di soffrire con la gente che soffre. Credo che in questa Chiesa potremmo essere una voce, una voce più significativa, più forte. Soprattutto oggi, coinvolgendo anche tutte le istituzioni, gli imprenditori, le istituzioni politiche, le istituzioni sociali, è necessario avere quell’attenzione per coloro che sono più sfortunati. Oggi credo che la parola che potrebbe essere più significativa come Chiesa è dare di più a chi ha avuto di meno.
I vescovi hanno lanciato un appello per il dialogo nazionale, chiedendo che si tratti di un “dialogo partecipativo senza esclusioni”; può descrivere quali sono le condizioni necessarie affinché tale dialogo sia possibile?
È necessaria la cultura dell'incontro, che è ciò che predica Papa Francesco, che è un dialogo più aperto per evitare, da una parte, le forme di violenza e, dall'altro, favorire anche l’ascolto. In fondo ciò che stanno richiedendo le persone, soprattutto coloro che si trovano in situazioni di difficoltà, è una situazione migliore. I problemi più evidenti che appaiono sono gli stipendi molto bassi, una educazione che sia più inclusiva, la questione delle pensioni. La gente lavora per tantissimi anni e poi si ritrova con una pensione da fame che non permette loro, con il carovita, di affrontare le singole giornate e di arrivare alla fine del mese. E, dall’altra parte, appaiono tutte quelle altre diseguaglianze che sono evidenti tra quella che è una Santiago del “barrio alto” e quelli che sono i quartieri più poveri, dove in fondo la gente fa veramente fatica a vivere... Quindi, cultura dell'incontro significa aprire un dialogo.
 I partiti politici sono i primi a dover iniziare un dialogo, poiché esistono molti individualismi e ciò non consente di comunicare. È tempo di un'unione nazionale che stabilisca leggi equanimi per tutti. E, in secondo luogo, tutte le classi sociali devono partecipare, anche con le istituzioni sociali, per costruire tutto ciò che è necessario per ridurre ulteriormente le disparità. Un dialogo in cui la Chiesa deve essere presente, perché ogni giorno nelle parrocchie si sente il grido della gente, dei più bisognosi.
Ma gli attacchi mostrano una frattura sociale anche con la Chiesa. Come può la Chiesa cattolica riguadagnare questa credibilità?
Prima di tutto dobbiamo essere credenti, uomini e donne di fede, una fede reale, una fede concreta. Una fede così diventa credibile, una fede così diventa autentica; questo arriva al cuore della gente. Forse in questo senso abbiamo peccato fortemente e la gente, molte volte, ci ha visto mettere dei pesi sulle sue spalle; le abbiamo mostrato le sue mancanze e ci siamo dimenticati di guardarci dentro, lì dove spesso erano i peccati, nel nostro cuore. Parlavamo bene ma agivamo male.
La più grande sfida ancora da affrontare?
La sfida più grande è rispondere ai nostri giovani. Credo che abbiamo perso il contatto con loro e abbiamo la necessità di aprire un dialogo con tutti; dovremmo anche dialogare con i giovani dissidenti, perché per la Chiesa i nostri giovani non sono solo quelli che partecipano, sono tutti. Perciò dobbiamo aprire un dialogo con loro, altrimenti rischiamo di essere una Chiesa che crea una frattura molto forte con le nuove generazioni. Credo che anche i giovani siano alla ricerca di una Chiesa che, più che giudicarli, sappia amarli per quello che sono e loro, a loro volta, ameranno quello che noi proponiamo. Io credo che la Chiesa in questo momento stia prendendo più consapevolezza dei propri errori. Deve essere più profetica e non tanto guardando al futuro, ma profetica nel suo presente. Questo cosa significa? Significa studiare un modo diverso di essere Chiesa.
Tuttavia, non sembrano essere sufficienti i tentativi della Chiesa cattolica di recuperare la sua credibilità in Cile, perché dopo due anni di incontri tra i leader della Rete di sopravvissuti agli abusi sessuali ecclesiastici e l'inviato del Papa, Mons. Charles Scicluna, lo scorso 17 febbraio la rete ha reso pubblica una lettera in cui esprimono il loro disappunto per la “dilazione” e il “silenzio” della Santa Sede di fronte ai processi canonici ancora inconclusi.
Marinellys Tremamunno

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