ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 18 marzo 2020

La “salute pubblica” non è un concetto cattolico

Monaca Guerriera: “Dalla mia clausura eucaristica dico che il Signore ci ha lanciato un monito salutare”

Cari amici di Duc in altum, dopo un lungo periodo di silenzio mi ha scritto la Monaca Guerriera. Non ci pensiamo mai, ma anche nei monasteri la vicenda del coronavirus ha determinato qualche conseguenza, e non di poco conto. Il punto di vista della Monaca Guerriera, espresso come sempre in modo alquanto diretto e deciso, potrà sconvolgere qualcuno, ma ci mette a confronto con una realtà nella quale le nostre abituali gerarchie di valori sono capovolte e nulla è più oggettivo, concreto e vitale della fede.
A.M.V.

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In questi giorni di forzata quarantena e isolamento per tutti, si ha la sensazione come di un’attesa che preluda a un evento più grande. Il Signore ci lancia un monito salutare e aspetta la nostra risposta. Risposta che però non arriva, o almeno non arriva dalla Chiesa gerarchica come in tempi passati.
Come non vedere, infatti, che nei comunicati delle varie diocesi manca il riferimento alla fede? La “salute pubblica” non è un concetto cattolico, eppure questi lupi travestiti da pastori ci esortano, in nome della “salute pubblica”, del “senso di responsabilità” e del “bene comune”, come se questi fossero valori morali assoluti, a rinunciare al Santo Sacrificio e alla Santa Eucarestia. Nascosti nei loro palazzi, trasmettono in streaming le Messe virtuali, non valide per adempiere il precetto da cui arbitrariamente dispensano i fedeli. Essi non hanno paura della malattia, ne sono terrorizzati, cosa alquanto inspiegabile per dei consacrati a Dio che nel contatto col Divino dovrebbero sapere bene che la morte è l’incontro con Dio e che, mentre se ne ha una paura naturale, la si desidera anche come scopo di tutta l’offerta della vita.
Le persone negli ospedali stanno morendo senza il conforto dei sacramenti oltre che isolate dai propri cari, mentre questi nostri vescovi trasmettono su Facebook le loro catechesi.
Nemmeno i monasteri sono risparmiati dalla sofferenza del momento attuale. Anche noi monache, come voi laici, siamo state private dei sacramenti. Innanzitutto, per la confusione del momento iniziale, che ha visto una reazione rigidissima anche in tanti sacerdoti e in primis nei vescovi, poi in diversi monasteri si è assicurata la celebrazione della Santa Messa, ma non la Comunione, che deve essere consegnata sulla mano, con decisione illegittima da parte della Cei e dei singoli vescovi.
Dal punto di vista della privazione dei sacramenti, la cosa è molto più grave per noi monache, che non siamo in una clausura sanitaria ma in una “clausura eucaristica”, che senza il suo centro perde la ragione d’esistere. È dovere gravissimo dei pastori, infatti, assicurare alle monache, che non possono muoversi, la possibilità di accostarsi ai sacramenti. Per esemplificare, è come se per le monache fosse sempre domenica, con l’obbligo grave di prendere parte alla celebrazione della Messa cosiddetta conventuale, appunto.
Da più parti, anche in modo ufficiale dalla Cei e dai vari vescovi, sono arrivate richieste di preghiere ai monasteri per la situazione che stiamo vivendo, ma i monasteri stessi sono privati del sostegno dei sacramenti. La Comunione, pur contro tutte le norme igieniche, si consegna soltanto in mano ed è evidente che qualunque monaca ben formata si guarderà bene dall’oltraggiare in questo modo il Corpo di Cristo. Non esiste obbedienza che possa comandarlo. E ne saranno gravemente responsabili gli stessi sacerdoti, che mentre consegnano Cristo per trenta denari alle mani sporche (e comunque molti fedeli si sono rifiutati), non si sentono a disagio di fronte alle Spose di Cristo che restano senza Comunione.
Quale preghiera può “squarciare i cieli” senza l’unione a Cristo nel Santissimo Sacramento? Gli stessi pastori, che domandano la preghiera e poi tagliano il filo vitale che unisce le monache a Cristo, come hanno fiducia di ottenere da Dio quanto domandano?
La Monaca Guerriera
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La fotografia è di Aldo Maria Valli ©

PAPA, CORONAVIRUS E FAZIO. PEZZO GROSSO E UN AGGIORNAMENTO…


Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae il Pontefice regnante si è espresso sul coronavirus in un’intervista a Repubblica. Pezzo Grosso l’ha letta, e ne ha tratto spunto per edificanti riflessioni. Buona lettura.

Aggiornamento importante

Vi riportiamo quello che scrive il sito paravaticano Il Sismografo:

Caro Santo Padre,
ogni istante vediamo quanto fa per l’umanità tutta, in una situazione inattesa molto delicata e incerta, lacerata da un angolo all’altro della terra da dolori, lutti, incertezze e paure …
Per l’umanità la sua presenza e il suo amore sono essenziali, indispensabili e impagabili. Le sue parole sono vita e coraggio, speranza e futuro.
Proprio perché è così preghiamo per evitare una sua presenza mediatica fuori posto, inflazionata e iperbolica. Sarebbe un danno per tutti, per Lei caro Santo Padre e per l’umanità stessa che la guarda ogni istante.
Da Lei tutti vogliamo sapere e capire che è vicino a ciascuno, in particolare a chi soffre. Non occorrono interviste o comportamenti simili a dismisura.
Vedere e sentire Francesco, pastore universale, ogni mattina nel corso della Messa a Santa Marta, leggere o ascoltare le sue meditazioni quotidiane, seguire il suo supremo magistero e ministero con discrezione religiosa e amore filiale, ci dà a tutti coraggio e voglia di lottare.
Non vogliamo vedere quotidiani stampati e siti web che vendono le sue interviste.
Caro Santo Padre,
la vogliamo accanto a noi con amore, discrezione e affetto, come ha fatto sempre.
Preghi per noi caro Papa. Noi continueremo a pregare per Lei, ora più che mai.
Il sismografo

§§§

Caro Tosatti, ho l’impressione, quasi il convincimento (che espongo in modo, come sempre provocatorio ed ironico), che papa Bergoglio si stia preparando un nuovo “mestiere “ da fare, forse prevedendo una sua forzata rinuncia o un prossimo licenziamento.
Leggendo infatti l’allegata intervista a Rodari su Repubblica, si potrebbe trarre l’impressione che andrà presto a condurre la trasmissione – Che tempo che fa – con Fabio Fazio.
Poi, sempre leggendo le sue affermazioni, sembrerebbe stia studiando anche di realizzare una rubrica di suggerimenti pratici alle famiglie, modello quella della De Filippi (o della d’Urso).
Infine si può immaginare che voglia anche esercitarsi in una rubrica culinaria di ricette per “un piatto caldo “ in famiglia, magari con uno chef tipo Cannavacciuolo.
Mamma mia! In questa intervista riconosciamo un papa molto eclettico, fino a ieri a me sconosciuto. Ma andiamo con ordine.
Per commentare questa, apparentemente idilliaca e confortante, intervista del Papa a Rodari su Repubblica, quasi centrata sulla saggezza di Fabio Fazio, mi son andato a leggere l’intervista di Fazio del giorno prima (sempre su Repubblica) scoprendo che l’assist del Papa a Fazio, il quale ha affermato “Sono travolto dall’emozione”, è in realtà preceduto da un assist di Fazio a Bergoglio. Fazio infatti sorprendentemente, nella sua intervista del giorno prima dichiara che, fra le cose che ha capito grazie al coronavirus, la più rilevante e sofferta è che: <I porti devono restare aperti>.
Tosatti caro, non le viene il sospetto che i due fossero d’accordo? Vedrà che Bergoglio andrà presto alla trasmissione – Che tempo che fa -…
Le altre citazioni, soprattutto quella riferita a chi non paga le tasse e conseguentemente, <non solo commette un reato, ma pure un delitto, perché sottrae risorse alla sanità e così muore più gente>, è piuttosto pericolosetta per il Papa, visto che la Santa Sede è vista quale evasore fiscale sui beni immobili e attività economiche in Italia (per questa ragione il partito radicale da quindici anni la accusa di evasione. Tacitato ultimamente solo grazie alla riabilitazione di Pannella e Bonino).
Poi c’è una parte minore di intervista, quasi un corollario, riferita ai suggerimenti per non sprecare questi giorni in tempo di coronavirus. Si tratta di cioè indicazioni banali, terra terra, (modello trasmissioni popolari della d’Urso o dalla De Filippi), e consiglia di occuparsi di piccole cose, telefonarsi, accarezzarsi, abbracciarsi (ohibò, non è sconsigliato abbracciarsi?) stare davanti al camino con la famiglia, preparare un piatto caldo… (ecco perché temo un ricettario con Canavacciuolo su come preparare piatti caldi in tempo di coronavirus).
Mi son domandato cosa san Giovanni Paolo II o Benedetto XVI avrebbero invece suggerito. Io son sicuro che ci avrebbero detto di recitare il Santo Rosario in famiglia, fare la Via Crucis, pregare la Coroncina della Misericordia, fare novene, ecc. Vabbè, ognuno da quello che ha : un abbraccione e un piatto caldo….
Ma mi sono anche domandato quale famiglie frequenti il santo Padre. Spiega infatti che i rapporti familiari oggi son fatti da genitori che guardano la TV mentre mangiano e i figli stanno al telefonino. Ma non solo, dice che queste famiglie – sembrano tanti monaci isolati l’uno dall’altro -.
Perbacco i monaci non li ama proprio il papa, forse perché pregano troppo? (In più stando isolati l’uno dall’altro in questo periodo di contagio, sono un vero buon esempio da seguire, no?).
Altra “chicca”, più sofisticata, nell’intervista, Bergoglio ce la regala spiegando che <questi gesti di attenzione ai dettagli fanno si che la vita abbia senso>.
Ma tu dimmi Tosatti se un Papa, dico il rappresentante di Cristo sulla terra, deve trovare questo modo per riferirsi al “senso della vita”. Soprattutto in tempi in cui si muore per contagio!
Un apprezzamento, l’unico, che voglio fare a questa intervista balorda, sta nel fatto che Bergoglio dice che alla chiesa di san Marcello, ha chiesto a Dio (si, proprio a Dio) di bloccare l’epidemia. Non l’ha chiesto all’OMS, bensì a Dio. Applausi.
PG
http://80.241.231.25/ucei/PDF/2020/2020-03-18/2020031844838769.pdf#page=1&zoom=auto,-17,851
18 Marzo 2020 Pubblicato da  17 Commenti --
La vera e la falsa libertà

Una notizia che ho letto l’altro ieri mi fatto amaramente sorridere e pensare. In Olanda centinaia di persone si sono messe in fila davanti ai coffee shop per acquistare cannabis quando il governo, nell’ambito delle misure per arginare il coronavirus, ha deciso improvvisamente di chiudere questi esercizi commerciali.
La gente si è precipitata in strada e alcune caffetterie sono rimaste aperte oltre l’orario stabilito per consentire lo smaltimento delle file.
In Olanda la marijuana e i suoi derivati sono venduti in negozi specifici, dove è possibile acquistare fino a cinque grammi di sostanza a persona, scegliendo tra diverse varietà di cannabis.
Ma perché dico che la notizia mi ha fatto amaramente sorridere e pensare?

Perché mi sembra che le code davanti agli spacci di droga (perché di questo, in effetti, si tratta) siano l’immagine perfetta di questa nostra società postmoderna, che ama tanto considerarsi e mostrarsi libera, emancipata e sicura di sé, ma alla prima difficoltà si comporta non diversamente dal bambino piccolo al quale è stato sottratto il ciuccio.
E il buffo è che noi cristiani, che nel momento del bisogno alziamo gli occhi al Cielo e ci rivolgiamo a Dio, in questa società libera, emancipata e sicura di sé veniamo magari guardati con compatimento, come se fossimo noi i piccoli, bisognosi di facile consolazione.
Fin troppo noto è l’aforisma di Chesterton: “Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto”. Meno noto è questo passo di sant’Agostino: “Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi”.

L’uomo postmoderno, libero, emancipato e sicuro di sé, pensa che l’uomo di fede, affidandosi a Dio, fugga da sé stesso. Non si accorge che chi nega Dio si fa schiavo di sé stesso.
Ricordo un bellissimo discorso tenuto da Benedetto XVI nel febbraio del 2009, quando visitò il Pontificio seminario romano maggiore.
Interrogandosi su che cosa è, veramente, la libertà, il papa introdusse una distinzione decisiva. Quella che oggi definiamo libertà, ovvero il poter fare quel che si vuole perché non si dipende da nessuno, non è libertà, ma libertinismo. E l’assolutizzazione della libertà, lungi dall’essere conquista, è degradazione: “Il libertinismo non è libertà, è piuttosto fallimento della libertà”.

In quel discorso al seminario romano Benedetto XVI insegnò che “ridursi alla carne” può dare l’illusione di elevarsi al rango di divinità, ma in realtà “introduce nella menzogna”.
Anche senza ricorrere all’alta teologia, la semplice esperienza ci dice che l’uomo non è un assoluto e di conseguenza non può esserlo neppure la nostra libertà. “La nostra verità – disse papa Ratzinger – è che, innanzitutto, siamo creature, creature di Dio, e viviamo nella relazione con il Creatore”.
Quello che chiamiamo processo di emancipazione ci ha allontanati progressivamente da Dio, ma tutto ciò non ci ha resi più liberi. Ci ha resi più schiavi di noi stessi, delle nostre pulsioni, dei nostri vizi. “Vedere Dio, orientarsi a Dio, conoscere Dio, conoscere la volontà di Dio, inserirsi nella volontà, cioè nell’amore di Dio”, non è una fuga da sé stessi. Al contrario, “è entrare sempre più nello spazio della verità”.
In quell’altro formidabile testo che è L’Europa nella crisi delle culture (conferenza tenuta a Subiaco, al monastero di Santa Scolastica, il 1° aprile 2005, pochi giorni prima della sua elezione a papa) l’allora cardinale Joseph Ratzinger disse che la vera contrapposizione che caratterizza il mondo di oggi non è, come comunemente si dice, quella tra diverse culture religiose, ma quella tra “la radicale emancipazione dell’uomo da Dio” e “le grandi culture religiose”, che riconoscono invece il legame fra l’uomo e Dio. La contrapposizione è tra chi ritiene di poter fare a meno di Dio, fino a rivendicare tale convinzione come garanzia della vera libertà, e chi invece, riconoscendo il legame con Dio, afferma che solo in tale relazione c’è la garanzia di una libertà autentica, al riparo dal rischio che la libertà diventi nemica dell’uomo.
Espressione di una coscienza che vuole vedere Dio cancellato definitivamente dalla vita dell’uomo o, al più, accantonato nella sola sfera individuale e privata, è il relativismo, il quale, in nome dell’antidogmatismo, si trasforma in realtà nel dogmatismo più rigido, perché non dà diritto di parola a chi rivendica l’esistenza di una Verità assoluta conoscibile.
La verità, concluse il cardinale Ratzinger, è che se vogliamo che la dignità umana non sia calpestata non dobbiamo perdere di vista Dio.
La conferenza di Subiaco è famosa anche perché in quell’occasione l’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede fece una proposta diretta ed esplicita ai “nostri amici che non credono”: vivere non etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse (secondo l’assioma illuministico), ma veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse.
In questi giorni, in cui molti di noi sono chiusi in casa, ci farà bene tornare a certi grandi contributi che Joseph Ratzinger – Benedetto XVI ha offerto non solo ai credenti, ma all’intera nostra cultura.

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