STOLTEZZA, O DEL COMPLESSO DI SUPERIORITÀ DEI GERARCHI CONCILIARI
Quanti hanno infeudato la Chiesa di Cristo usurpandone praticamente tutti i livelli devono essersi convinti di avere dei sudditi cretini. Cretini, sì: stolti, incapaci di comprendere la differenza tra la Verità proclamata e l’errore insinuato, tra la Morale vissuta e praticata e la licenza suggerita e tollerata. E devo dire che, per una persona che fosse riuscita a preservarsi dal contagio ideologico di questi ultimi sessant’anni, risulterebbe arduo non concordare con il giudizio dei vertici della setta conciliare nei confronti del basso Clero e del popolo cristiano.
Non è difficile persuadersi che quanto affermo non vale solo per i gerarchi ecclesiastici, ma trova concordi pure i governanti della cosa pubblica, massimamente coloro che ricoprono i ruoli di maggior responsabilità nello Stato e nelle istituzioni internazionali, per i quali il considerarci cretini è un’ovvietà, data dalla nostra rassegnazione ad esser umiliati, sfruttati, ridotti in miseria, controllati nella nostra vita privata, sottoposti ad esperimenti come cavie di laboratorio.
Ma loro, si sa, sono i buoni, che con magnanima condiscendenza ci preparano le crisi finanziarie e le risolvono schiavizzandoci con l’usura; diffondono virus geneticamente modificati e ci curano coi loro vaccini; creano le premesse dell’instabilità politica e poi intervengono quali salvatori facendoci gustare le prove tecniche di dittatura; decimano la popolazione demolendo la famiglia e massacrando milioni di innocenti nel ventre materno o nel letto d’ospedale, e impongono quale rimedio alla denatalità l’invasione di barbari violenti, alieni ai più basilari rudimenti del vivere civile.
Tutto per il nostro bene, s’intende. Perché loro, i buoni, sanno cos’è giusto per noi, che evidentemente abbiamo abdicato al nostro ruolo di cittadini e di fedeli, accettando supinamente la tirannide sorridente a patto che ci si lasci baloccare col cellulare, credendo d’esser liberi solo perché possiamo scegliere tra i ceppi, la corda e la catena con cui farci imprigionare.
Alla base di questa persuasione di ontologica inferiorità del suddito - civile o ecclesiastico che sia - si trova la presunzione dei governanti d’esser a loro volta ontologicamente superiori, non fosse che in virtù del fatto di detenere un potere che consente loro di dominarci: un potere svincolato dal fine per il quale esso è legittimo. Anzi: un potere che è tanto più odioso quanto più si oppone a quel fine.
Non fanno eccezione i vertici della setta che eclissa la vera Chiesa, e che ad essa si è sostituita nel silenzio assordante delle masse. Per gli illuminati regnanti la convinzione della nostra inferiorità morale e intellettuale appare ancor più palese, perché la nostra capacità di sopportazione coinvolge non tanto gli aspetti materiali del vivere quotidiano, quanto la sostanza stessa della nostra vita, ossia il dovere di amare, adorare e servire Dio per meritare la vita eterna. Ci siamo lasciati privare di tutto, in nome di un’obbedienza avvilita a servilismo stupido e cieco.
D’altra parte, chi se non uno stupido avrebbe potuto credere che la rivoluzione introdotta in seno al corpo ecclesiale avesse come giustificazione il nostro bene, quand’era chiarissimo ch’essa viceversa mirava al massacro sistematico della nostra Fede, della Morale, della liturgia, della spiritualità? Ci hanno raccontato che l’adulterazione della Messa non era altro che una traduzione per farci comprendere le arcane parole dei riti, tenute nascoste per secoli al popolo incolto ed ignorante: ma al popolo incolto che riconosceva nella Messa il Santo Sacrificio della Croce rinnovato sull’altare è stato insegnato che l’Eucarestia era un banchetto conviviale, sradicando una Fede vissuta e sostituendola con le eresie dei calvinisti; ai semplici che piegavano il ginocchio dinanzi all’Ostia Santa esposta nell’ostensorio hanno insegnato che si deve stare in piedi, in nome di una Fede adulta intrisa di orgoglio e di ribellione. Ci hanno detto che la Chiesa doveva abbandonare il trionfalismo dei secoli passati per esser al passo coi tempi, senza dirci che umiliando la Sposa di Cristo essi volevano rivendicare a sé gli onori che un tempo erano riservati a Dio. Hanno demolito pezzo per pezzo il glorioso edificio cattolico, confidando sui nostri complessi di inferiorità: eravamo fuori dalla Storia, arretrati, beceri conservatori insensibili al rinnovamento che lo spirito mostrava come ineluttabile. E ci ammonivano: «Indietro non si torna», quasi fossimo rottami di un mondo scomparso cui era già tanto se si lasciava diritto all’esistenza. E noi, cretini, a subire in silenzio; a cercar scuse e giustificazioni alle innovazioni più assurde, ai cambiamenti più arditi.
Una massa di insipienti salutò come profetici i gesti di Papi che in altri tempi avrebbero meritato loro la deposizione a furor di popolo: la tiara deposta da Paolo VI, gli amplessi coi persecutori della Chiesa, gli eretici messi ad inventare il rito riformato della Messa, la statua del Buddha adorata sul tabernacolo e i polli sgozzati ad Assisi, i salamelecchi stomachevoli alla Sinagoga, i mea culpa per le Crociate e l’Inquisizione, fino alla celebrazione dell’empio Lutero e alle proskynesis all’immondo idolo della pachamama. Chi, se non una turba di stolti integrali, avrebbe tollerato di sentirsi raccontare l’esatto opposto di quello che per millenni era stato loro insegnato come Magistero perenne ed immutabile? Solo degli insipienti senza speranze potevano assistere alla distruzione delle Vocazioni clericali e religiose, per poi credere che l’abolizione del Celibato sia l’unica soluzione alla scarsità di sacerdoti. Solo degli insipienti potevano prestar fede a quanti, dall’alto delle loro cattedre, annacquavano l’indissolubilità del Matrimonio legittimando la profanazione dei Sacramenti da parte degli adulteri concubinari. Eppure Amoris laetitia è stata assimilata dai più, e a breve i sudditi guarderanno all’introduzione delle diaconesse e delle sacerdotesse insinuata da Querida Amazonia come ad un ineluttabile necessità imposta dalla pastorale.
Perché i buoni sanno cos’è bene per noi, e si aspettano che li ringraziamo pure. Il nostro silenzio li ha quindi persuasi di avere a che fare con dei poveri imbelli senza nerbo. Così come, nella mente di questi presuntuosi tiranni, dovevano esser ingenui creduloni anche le schiere di Santi e Martiri che, solo per non voler bruciare un grano d’incenso agli idoli, avevano preferito affrontare i più crudeli tormenti. Che scemi: sprecar la vita per rimanere ancorati a vieti schemi, a quelle certezze tipiche dei rigidi e degli intolleranti, mentre un approccio pastorale tollerante e dialogante avrebbe permesso loro di instaurare un confronto con i credenti di altre religioni. Vite sprecate, in nome di un integralismo aberrante che erige muri anziché costruire ponti. Meno male che sono arrivati loro, i buoni, a scrollare il giogo secolare dell’oscurantismo dogmatista: e infatti eccola qui, la fratellanza universale, dove non c’è più né Giudeo né Greco, né maschio né femmina, dove tutti sono fratelli, le malattie sono scomparse e la povertà è solo un ricordo dei tempi bui.
I buoni credono di essere anche furbi, ovviamente. Loro non si lasciano ingannare, perché non devono iniziare ora a temere che gli insipienti reagiscano all’ultima umiliazione, all’ultimo schiaffo, dopo decenni di supina accettazione di qualsiasi angheria.
Guardate cos’è successo con gli scandali del Clero. Prima hanno additato come intollerabile la disciplina e lo spirito di mortificazione dei Seminari con lo scopo di demolire la purezza di vita e la spiritualità interiore di generazioni di chierici, coltivando i vizi più inconciliabili con lo stato ecclesiastico; poi hanno promosso gli impuri e gli eretici portandoli ai vertici della Chiesa, imponendo loro la mitria e il galero cardinalizio; e quando lo sfacelo non poteva più esser insabbiato, ci hanno pomposamente promesso trasparenza, radunando attorno al Satrapo i più indegni Prelati della setta, sodomiti notori, sporcaccioni ampiamente screditati con nomignoli da soubrette, Vescovi molestatori di seminaristi, Cardinali che mandano messaggini imbarazzanti ai loro drudi. Tutti accolti a braccia aperte, incluso l’orrido padre Martin, il paladino dei diritti GLBT, assurto a consulente della Segreteria per le Comunicazioni del Vaticano. E noi, cretini, a chiederci se fossimo gli unici a notare l’improntitudine dimostrata dal Tiranno nel trattarci esattamente per quello che pensa che siamo. Chi, mettendo in gioco la propria posizione nella Gerarchia, ha osato dissentire e ha denunciato la vergognosa cloaca morale e dottrinale della setta di Santa Marta ha meritato la fine dei dissidenti politici, da mons. Viganò al cardinale Zen.
Ci trattano da idioti anche nel colpevolizzarci per la nostra insensibilità e il nostro egoismo nel non volerci lasciare invadere dalle orde di selvaggi maomettani chiamati a raccolta dal mondialismo massonico. Ci sventolano davanti lo spauracchio del fascismo e del nazismo, ci definiscono sovranisti e nazionalisti, come se l’amore per la Patria e il desiderio di restar Cattolici fosse una colpa di cui vergognarsi. Lo stesso Bergoglio non perde occasione per insultarci, deriderci, ghettizzarci; e con noi i pochi Presuli e politici che - pur con mille prudentissimi distinguo - rimangono perplessi per quel motus in fine velocior che travolge la Chiesa e la società civile. Ci hanno detto che la Chiesa doveva diventare un ospedale da campo, che i Pastori dovevano puzzare dell’odore delle pecore, e ci giudicavano - condannandoci senza appello - proprio mentre magnificavano l’umiltà del Satrapo ed il suo «chi sono io per giudicare». E noi, ingenui o cretini, a trasecolare nei nostri blog più o meno tradizionalisti, incerti tra l’obbedir tacendo e il porgere l’ennesima altra guancia, quando ad esser colpito era il Volto Santo di Nostro Signore, coperto di sputi da manigoldi mitrati.
Oggi un grave morbo ci riporta coi piedi per terra, ricordandoci che il Signore è offeso dai peccati pubblici della Gerarchia e delle Nazioni, e che la pestilenza è un piccolo flagello, se comparato all’abominazione di cui è responsabile l’umanità. Lo scrivevo pochi giorni orsono a Sua Eccellenza Viganò, citando un’orazione del tempo di Quaresima: Deus, qui culpa offenderis, poenitentia placaris: preces populi tui supplicantis propitius respice; et flagella tuae iracundiae, quae pro peccatis nostris meremur, averte. Il santo Prelato ha immediatamente riconosciuto il testo, confermandomi indirettamente di aver celebrato il Santo Sacrificio in quel rito che ancora lo prevede, e di rimando ha ricordato le parole della Sacra Scrittura e della liturgia: Inter vestibulum et altare plorabunt sacerdotes, ministri Domini, et dicent: parce Domine, parce populo tuo; et ne des haereditatem tuam in opprobrium, ut dominentur ei nationes. Ma noi ingenui, noi sciocchi, crediamo ancora a quelle fesserie medievali, mentre Scola pontifica che non esiste punizione divina. Così tra il vestibolo e l’altare non ci sono sacerdoti che piangono, perché le chiese devono rimaner chiuse ai fedeli, le porte delle Cattedrali sono sprangate, le processioni proibite, i Santuari interdetti.
E quelli che fino a ieri ci parlavano della Chiesa in uscita, dell’ospedale da campo, si guardano bene dall’uscire ora tra gli appestati, e rimangono asserragliati nelle loro canoniche e nei loro episcopi, col terrore di esser contagiati nientemeno che dal coronavirus. Dov’è finita la puzza del gregge, Santità? Basta un po’ di tosse e qualche linea di febbre per dimostrare l’assoluta pretestuosità delle loro belle parole, dei loro discorsi saccenti contro il rigidismo, la loro petulanza nei riguardi di quel clericalismo di cui essi ora dan prova, svelandosi per ciò che sono: pavidi traditori, usurpatori di un potere sacro ch’essi profanano, detentori di un’autorità che umiliano con pensieri, parole, opere e omissioni.
Così, nel silenzio del Satrapo costipato e dei gerarchi rintanati nelle loro conventicole a blaterare di via sinodale, qualche sacerdote trova il coraggio di uscire sul sagrato della chiesa col Santissimo Sacramento, a benedire città silenziose e piazze vuote; qualche Vescovo indice una processione penitenziale per invocare dal Cielo quella protezione che a Santa Marta si crede provenire dalla Madre Terra. In quel silenzio austero di una Quaresima imposta all’umanità intera dalla Provvidenza, i fedeli ricorrono a Dio, si stringono attorno alle immagini miracolose della Salus infirmorum, pregano e digiunano. Tornano insomma ad esser Cattolici, mentre i gerarchi della setta li considerano poveri stolti.
La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: Distruggerò la sapienza dei sapienti e annullerò l'intelligenza degli intelligenti. Dov’è il sapiente? Dov’è il dotto? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. (ICor I, 18-25).
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