La decisione di sospendere le Messe con popolo è figlia della cultura del "rischio zero", una pericolosa utopia. Ma il Coronavirus non è l'unica infezione contagiosa che porta anche la morte, e quindi la decisione dei vescovi diventa un pericoloso precedente.
Molto è già stato scritto e molto si potrebbe continuare a scrivere sulla posizione della Chiesa cattolica di fronte al coronavirus. Anche perché ormai ogni settimana ci si trova di fronte a nuove prese di posizione delle Conferenze Episcopali regionali.
Di certo, si poteva e doveva evitare la sospensione generalizzata delle Messe: provvedimento che non tiene conto del fatto che vi sono numerose chiese nelle quali il numero dei fedeli che partecipano alla Messa feriale è sicuramente inferiore al numero delle persone che erano presenti il 2 marzo a Villa San Giacomo a Bologna, quando la Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna si è riunita per decidere della questione…
Altrove i fedeli sono in maggior numero, ma è pur vero che spesso le chiese sono talmente grandi che in caso di starnuto o colpo di tosse, il coronavirus avrebbe fatto la fine della particella di sodio di una ben nota acqua minerale…
E poi magari un po’ di coerenza interna non sarebbe guastata: Messe sì, no, forse; feriali, ma non festive; festive, ma non feriali; ed ogni giorno lì a guardare il sito della diocesi per capire se l’indomani si può andare alla Messa oppure no.
Il punto su cui però questo articolo vorrebbe portare l’attenzione è un altro. Questa modalità di reagire ad un’epidemia come quella del Covid-19 rischia di costituire un precedente molto preoccupante. Si dice che la sospensione delle Messe sia necessaria per contenere un virus che, secondo l’ultimo aggiornamento delle ore 18 del 3 marzo (vedi qui), ha coinvolto 19 regioni, 2502 persone, con 79 decessi, di persone tendenzialmente con comorbilità. Da notare che sono stati stati effettuati poco più di 20.000 tamponi e che la presenza del coronavirus dev’essere considerata precedente alle prime segnalazioni di casi. Questo significa che la percentuale di mortalità sugli effettivi contagi potrebbe decisamente diminuire.
Se andiamo a controllare i dati delle epidemie influenzali, scopriremo che ci troviamo di fronte ad una situazione non meno rosea (vedi qui). Ogni anno, l’influenza coinvolge mediamente il 9% della popolazione, “con un minimo del 4 per cento, osservato nella stagione 2005-06, e un massimo del 15 per cento registrato nella stagione 2017-18”. Anche nel 2018-19 si sono oltrepassati gli 8 milioni di contagi. Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore dell’Università degli Studi di Milano riferisce che “in Italia i virus influenzali causano direttamente all’incirca 300-400 morti ogni anno, con circa 200 morti per polmonite virale primaria”. A questi decessi, devono essere aggiunte “tra le 4 mila e le 10 mila morti indirette, dovute a complicanze polmonari o cardiovascolari legate all’influenza”. Le complicazioni sono maggiormente presenti nelle persone con malattie gravi, negli anziani, negli operatori sanitari.
Questo significa che ogni anno, a motivo di una malattia (l’influenza) che si trasmette in modalità analoga alla trasmissione dell’attuale Covid-19, muoiono centinaia di persone, in generale tutte caratterizzate da un quadro generale già compromesso. Se l’anno prossimo la campagna mediatica dovesse essere architettata per un nuovo virus proveniente da Taiwan o per un’influenza più virulenta del solito, che cosa faremo? Sospenderemo le Messe da dicembre a marzo, in via precauzionale?
La domanda non è polemica, ma vuole sollevare un problema fondamentale per la gestione di queste situazioni: il rischio zero non esiste e non esisterà mai. E allora, chiediamo: qual è la soglia di rischio tale da far scattare la sospensione delle Sante Messe? È probabile che tra i morti per l’influenza dello scorso anno, alcuni l’abbiano contratta da qualche amico o parente, che a sua volta l’aveva contratta da qualcuno che era stato alla Messa. E allora che cosa facciamo?
Si direbbe che l’episcopato italiano sia stato contagiato – questa volta sì – da quella logica diffusa da un certo mondo della medicina, che sogna il rischio zero, lo pone come obiettivo da raggiungere e per questo mette in campo qualsiasi strategia.
Come a livello della Nazione è mancata una saggia mediazione politica, che avrebbe dovuto tenere conto dei tanti beni in gioco con questa epidemia, così a livello della Chiesa italiana è venuta meno una gestione della situazione che tenesse presente la realtà, con tutte le sue sfumature di parrocchia in parrocchia, e i beni spirituali e non solo materiali coinvolti. Si è ceduto alla logica del rischio zero, una logica forse edenica, ma certamente non reale; si è dato il proprio assenso alla logica dell’effetto gregge: tutti a casa per evitare che qualcuno possa contagiarsi; si è drammaticamente ceduto alla ragione di vita di tanti nostri fratelli nella fede, ossia l’importante è la salute.
Si poteva più realisticamente e prudentemente consigliare alle persone con un quadro sanitario compromesso di non uscire per qualche tempo; a quanti si recano in chiesa, di adottare le normali misure igieniche ed evitare di accalcarsi come sardine, politica a parte; ai sacerdoti di essere più generosi e dire una Messa in più, soprattutto nel caso delle Messe festive, magari distribuendo in modo sensato ed equilibrato la presenza dei fedeli.
Avrebbe dovuto prevalere il buon senso, ma non è stato così. E questo provvedimento dei vescovi, così pronti a mettere in gioco il bene più prezioso che abbiamo su questa terra, rischia di essere un precedente molto, molto pericoloso.
Luisella Scrosati
https://lanuovabq.it/it/a-che-soglia-di-rischio-si-devono-sospendere-le-messe
Mentre il coronavirus continua a diffondersi, la Latin Mass Society (LMS – Società della Messa in Latino) dell’Inghilterra e del Galles ha dichiarato che non è permesso distribuire la Santa Comunione sulla mano nella forma straordinaria del Rito Romano.
Ce ne dà conto lo staff del Catholic Herald in questo suo articolo che vi presento nella mia traduzione.
Mentre il coronavirus continua a diffondersi, la Latin Mass Society (LMS – Società della Messa in Latino) dell’Inghilterra e del Galles ha dichiarato che non è permesso distribuire la Santa Comunione sulla mano nella forma straordinaria del Rito Romano.
La dichiarazione arriva dopo che la Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles ha aggiornato i consigli per le parrocchie riguardo alla crescente epidemia. I vescovi dicono che, se ci sono un certo numero di infezioni nella comunità locale o un caso specificamente legato a una parrocchia, allora l’Ostia dovrebbe essere data solo in mano.
Tuttavia, la LMS ha avvertito che “secondo la legge liturgica universale applicabile alla [Messa tradizionale in latino]”, la Comunione sulla mano non è permessa. Se i vescovi sospendessero la Comunione sulla lingua, significherebbe quindi che la Comunione non può essere distribuita all’assemblea dei fedeli nel Vecchio Rito.
“La Comunione per i fedeli non è in alcun modo necessaria alla validità o alla liceità (in tali circostanze) della Messa”, ha sottolineato LMS. “Se la prudenza dovesse dettare la necessità di un tale passo, i fedeli dovrebbero essere incoraggiati a fare una ‘Comunione spirituale’”.
La LMS ha anche detto che la Comunione nella mano non sembra che riduca le probabilità di diffondere l’infezione rispetto a quando viene ricevuta sulla lingua. “Al contrario, la distribuzione sulla mano ha il risultato che l’Ostia tocca superfici potenzialmente infette, il palmo della mano sinistra e le dita della mano destra di colui che si comunica, cosa che viene evitata nella distribuzione da parte di un sacerdote direttamente sulla lingua di colui che si comunica”.
LMS ha aggiunto che la distribuzione dell’Ostia sulla lingua non dovrebbe mai comportare che il sacerdote tocchi la lingua di colui che si sta comunicando.
Il consiglio arriva mentre le diocesi di tutto il mondo cercano di fermare la diffusione del virus. Nel nord Italia, diverse diocesi, tra cui Milano e Venezia, hanno sospeso tutte le messe pubbliche la settimana scorsa, in un contesto di forte aumento dei casi nella regione.
A Roma, la chiesa di San Luigi dei Francesi è stata chiusa domenica dopo che uno dei sacerdoti residenti è risultato positivo al virus al suo ritorno in Francia alla fine della settimana scorsa. La chiesa è stata poi riaperta.
Di Sabino Paciolla
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