VERSO L'APOSTASIA
di Francesco Lamendola
Sono piccoli passi, come ha notato Sandro Magister, ma sono quotidiani, incessanti, feste e domeniche comprese, anzi, specialmente le feste e le domeniche: e così la neochiesa del (falso) papa Bergoglio marcia a ritmo straordinariamente spedito verso la radicale apostasia, in modo tale che molti non se ne sono neppure accorti; eppure il movimento c’è, e si vede: basti confrontare le cose che succedono ora, tutti i giorni, alla luce del sole, rispetto alla situazione di cinque o sei anni fa, subito prima che questo sciagurato pontificato avesse inizio. Trasformando le chiese e le basiliche in mense e sale da pranzo, dove si mangia la pastasciutta al ragù e la porchetta o lo spezzatino di carne, naturalmente per amore dei poveri, degli “ultimi” e soprattutto dei migranti, si attua una graduale, sistematica trasformazione di ciò che viene percepito come sacro e ciò che viene percepito come profano, facendo sparire il primo e sostituendolo completamente col secondo: si vuole abituare i fedeli che in chiesa non si va per pregare e cercare il Padre celeste, questo lo facevano i nostri nonni prima del Concilio, ma ci si va per pranzare con i poveri e per brindare con i rom, vittime d’una bieca discriminazione razziale.
Invitando a far parte del Pontificio istituto per la vita, da parte di monsignor Vicenzo Paglia, il teologo anglicano Nigel Biggar, notoriamente pro aborto, e assegnando la Santa Sede l’onorificenza pontificia dell’Ordine equestre di San Gregorio Magno all’ex ministro olandese Lilianne Ploumen, storica leader abortista e gay-friendly, si vuole abituare i cattolici all’idea che l’aborto, presto o tardi, verrà accettato e non più considerato un peccato, o non più un peccato mortale; nella stessa direzione va la decisione di rimettere l’assoluzione di tali casi non al vescovo della diocesi di competenza, ma al ministro ordinario del Sacramento della Confessione, come se si trattasse, appunto, d’un peccato non particolarmente grave ed esecrabile, ma veniale.
Piccoli passi, ma frequentissimi, anzi, quotidiani. Lasciando impunito don Farinella, che abolisce la santa Messa di Natale “per rispetto dei migranti”, e don Olivero, che abolisce il Credo affermando di non crederci, e padre Greiten, che si dichiara omosessuale, nonché fiero di esserlo, ai suoi parrocchiani stupefatti, i tre rispettivi vescovi – di Genova, di Torino e di Milwaukee, Illinois - hanno mandato un messaggio chiarissimo a tutti i fedeli: ogni parrocchia è una repubblica anarchica e indipendente, il prete è libero d’inventarsi la sua teologia, la sua dottrina e la sua liturgia, e nessuno lo può giudicare (a meno che vaneggi in senso tradizionalista, allora lo si caccia in quattro e quattr’otto: vedi don Minutella a Palermo); in ogni caso, si può essere cattolici e si può anche essere preti pur non credendo e pur sbandierando allegramente la propria omofilia; la santa Messa, inoltre, è un optional, che si celebra solo se ciò non urta la sensibilità dei non cattolici, a meno di farsi perdonare inserendo dei presepi pro gay, o pro islam, e così via.
Dicendo, Bergoglio, che Lutero è stato un riformatore ben intenzionato e che, sulla predestinazione, aveva ragione lui, come ora riconoscono tutti (dove “tutti” è lui, Bergoglio), e dicendo, monsignor Galantino, che la (cosiddetta) riforma di Lutero è stata un’opera dello Spirito Santo, per non parlare delle concelebrazioni di Lund, in Svezia, e altre del medesimo tenore, si vuol far credere ai cattolici che lo scisma, che non viene più chiamato tale, con gli eretici protestanti, che non vengono più chiamati così, è stato “superato”, che non c’è più nessun problema, tant’è vero che circolano Bibbie e Vangeli “interconfessionali”, ossia tradotti sotto la supervisione di esperti cattolici e protestanti; e il tutto produce l’impressione che la Chiesa cattolica, opponendosi all’eresia di Lutero e a quelle successive di Calvino e molti altri, abbia avuto torto, che si sia arroccata, per mera ottusità e conservatorismo, su posizioni anacronistiche di chiusura e di rifiuto. A ciò contribuisce anche l’idea progressista, “passata” col Vaticano II, secondo la quale ogni apertura è buona e ogni chiusura è cattiva, idea portata alle estreme conseguenze da Bergoglio, con la sua febbre di abbattere muri e di gettare ponti in ogni direzione, anche verso gli eretici e i nemici della Chiesa.
C’è poi un altro livello nella strategia dei piccoli passi, che riguarda non tanto le dichiarazioni, ufficiali e non ufficiali, dei membri del neoclero, ma anche gli stili pastorali, fatti di allusioni, di aggettivi, di intercalari, di risate o di silenzi. Il turpiloquio, introdotto dal (falso) papa Bergoglio nella pastorale pontificia (ricordiamo che proprio per il suo turpiloquio, o meglio, anche per questo, il suo superiore in Argentina, padre Kolvenbach, si era detto contrario alla sua nomina a vescovo), va a colpire direttamente il Signore Iddio, quindi è blasfemo: Gesù era brutto che fa schifo; Gesù fa un po’ lo scemo, eccetera. A livelli meno scandalosi e meno appariscenti, l’aver sostituito, e questo sin dal primo saluto dal balcone di Piazza San Pietro, la sera delle sua elezione a papa, il Sia lodato Gesù Cristo con il laico e prosaico: Buonasera, e la benedizione finale con l’ancor più laico Buon pranzo, oppure Buonanotte e buon riposo, sono tutte espressioni che vanno in una tale direzione. Oppure prendiamo le telefonate estemporanee che il falso papa ama fare, a sorpresa, a persone qualsiasi (mentre si “dimentica” di rispondere a comunicazioni ufficiali, e drammatiche, di eminenti cardinali, lasciando che muoiano di crepacuore dopo mesi e anni di vana attesa), come quando ha chiamato uno studente e gli ha detto di essere il papa e gli ha chiesto di dargli a sua volta del “tu”, perché Gesù e i suoi discepoli non si davano mica del lei, erano amici: trascurando il dettaglio che lui non è Gesù e che quello studente non è san Pietro o san Giovanni; e suggerendo l’idea che Gesù Cristo è un amicone, uno che si tratta prendendolo a pacche sulle spalle e raccontandogli qualche barzelletta, non il Verbo Incarnato e il nostro divino Redentore e Salvatore. Oppure, ancora, quando, in una udienza generale, il falso papa esorta le donne che si sono presentate coi loro bambini piccoli ad allattarli lì, sul posto, senza alcun problema, mostrandosi tanto aperto e gentile, e facendo quasi apparire dei mostri d’insensibilità i suoi predecessori, che mai avrebbero detto una cosa simile (così come la sua scelta di andare ad abitare a Santa Marta li fa apparire dei sibariti e degli spreconi), costui, dietro il velo della finta modestia, oltre a implementare una facile popolarità di basso conio, fa “passare” l’idea che davanti a un sacerdote ci si può atteggiare come si vuole, che il pudore è roba d’altri tempi, e così pure la discrezione e la distinzione fra il sacro e il profano, fra il lecito e l’illecito, fra il buon gusto e il cattivo gusto, fra la serietà e la demagogia. E via di questo passo, si potrebbe continuare all’infinito, passando per le sue mancate genuflessioni davanti al Santissimo. fino alle spettacolari sortite nelle toliette chimiche, sempre in un bagno di folla, durante le visite apostoliche, come è accaduto a Milano.
Non è solo volgarità; non è solo cialtroneria; e non è solo maleducazione. È molto di più, e molto di peggio. Quel che si vuole ottenere, mediante una strategia così duttile e varia, così ramificata e capillare, così ubiquitaria, cui nulla sfugge, né una parrocchia di periferia, né una trasmissione televisiva su una grande rete nazionale, è che lo “stile” del (falso) papa Bergoglio e della neochiesa venga ovunque magnificato e celebrato come quello di una grande, straordinaria, irripetibile stagione di “rinnovamento” e quasi come una seconda nascita della Chiesa, dopo anni e secoli di immobilismo, oscurantismo e conservatorismo. E non si creda che sia solo una questione di stile; la raffinata, diabolica abilità di costoro è quella di far passare dei cambiamenti dottrinali attraverso l’uso spregiudicato di un certo stile di comunicazione. Questi mattina, 15 gennaio 2018, sul principale programma televisivo nazionale, andava in onda un’intervista del giornalista Franco di Mare a un sacerdote che parlava del papa e del suo imminente viaggio in Cile e Perù (da notarsi la stranezza che non è mai andato in Argentina, dopo cinque anni di pontificato: qualcuno s’immagina Giovanni Paolo II che rinunciasse a visitare la sua Polonia?; ma anche su ciò, nessuno ha fiatato). Costui, a una certo punto, diceva che lo spezzare il pane dell’Eucarestia evocava lo spezzare il pane “coi poveri” tanto caro alla pastorale di Bergoglio, suggerendo che le due cose sono, in fondo, la stessa cosa: ma questa è un’idea in parte protestante, perché il Pane eucaristico è il Corpo di Cristo, non un pane qualsiasi, dunque un Cibo mistico, il Cibo per eccellenza, mentre il pane di grano è un alimento qualsiasi, che si compra dal fornaio per pochi soldi e placa la fame solo temporaneamente; e in parte laicista e anticristiana, perché suggerisce che non c’è niente di speciale nel Pane eucaristico, dunque che è meglio coltivare i campi per sfamare la povera gente, invece di perder tempo con il Sacrifico della santa Messa, che è un rito astruso e lontano dalla complessità concreta del reale, come ama esprimersi il neoclero della neochiesa.
E allora? E allora bisogna che i cattolici ritornino a leggere e a meditare il Vangelo di Gesù Cristo, e che ritornino a pregare: capiranno che nulla di quanto sta accadendo deve considerarsi una cosa strana e impossibile, ma anzi, perfettamente logica e naturale: dopo aver tentato, per millenovecento anni, di scalzare la Chiesa dall’esterno, il Nemico ha deciso di farlo dall’interno. Operazione preparata con cura e con pazienza già da molto tempo, da almeno un paio di secoli: ci sarà bene una ragione se nel 1738, in un momento storico in cui la Chiesa, circondata da nemici e sotto attacco mediante le politiche giurisdizionaliste dei sovrani illuminati, scomunicava solennemente per mano di Clemente XII la massoneria; scomunica mai ritirata e anzi sempre ribadita.
A piccoli passi, ma quotidiani, verso l’apostasia
di Francesco Lamendola
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Se non ci fosse qualcuno che prega per noi. La storia incredibile di padre Kalosans. Vi è l’idea che la preghiera è una specie di lusso che l’anima si concede quando il corpo non è oppresso da problemi o necessità ma invece . .
di Francesco Lamendola
Che cosa sarebbe di noi, che cosa potrebbe accadere a chiunque di noi, e all’umanità nel suo complesso, se non vi fossero delle anime buone che prendono su di loro il peso del male commesso da altri e che pregano sempre, senza stancarsi mai, per la protezione delle persone e per la conversione dei peccatori e dei malvagi? Diciamo la verità: non solo fra le persone di estrazione culturale laicista e materialista, ma anche fra moltissimi dei cosiddetti credenti, vi è l’idea che la preghiera, sì, potrà anche essere utile, ma insomma, se ci sono dei problemi da affrontare e da risolvere, bisogna soprattutto rimboccarsi le maniche e darsi da fare sul piano concreto; e che la preghiera, insomma, è una specie di lusso che l’anima si concede, quando il corpo non è oppresso da problemi o necessità troppo urgenti, però non bisogna fare su di essa soverchio affidamento. Ed è la medesima idea per cui si guarda con un misto di diffidenza e di scetticismo la scelta compiuta da un giovane o da una ragazza i quali – sempre più raramente, ormai – abbiano deciso di voltare le spalle al mondo e di entrare in convento, per vivere la vita della preghiera continua e della unione mistica con Dio. Lo scetticismo deriva dalla scarsa fede nella possibilità che le loro preghiere potranno mai essere utili a qualcuno, sia esso vivo o, a maggior ragione, morto; la diffidenza, dal vago sentimento che costoro, in fondo, siano dei disertori di fronte ai problemi urgenti e materiali dell’esistenza, e che, andando a vivere in convento, abbiano scelto la strada più facile, quasi una fuga, lasciando noi a sbrigarcela con le difficoltà della vita “reale” – affettive, sociali, economiche, politiche -, a noi che dobbiamo sbrigarcela da soli, con le nostre sole forze.
Invece non è affatto così. Per il credente, la preghiera è tutto: è la stessa vita dell’anima, è il canale attraverso il quale si rimane uniti a Dio, e senza il quale si è abbandonato alle pulsioni di egoismo, violenza e morte che salgono dai recessi più oscuri dell’anima, e che vengono stimolate e sollecitate dall’incoscienza di chi crede di poter giocare con esse, ma anche da forze più potenti e più temibili di quelle puramente umane: le forze diaboliche. E a quei “credenti” i quali affermano di credere, sì, in Dio, e magari anche nella forza d’intercessione della Madonna, degli Angeli e dei Santi, ma non all’esistenza e all’azione distruttrice del Diavolo, né alla realtà dell’Inferno, bisognerebbe ricordare che tutte le vite dei santi stanno lì a dimostrare il contrario: che l’Inferno esiste e che il Diavolo si aggira, costantemente, «simile a leone ruggente», come dice s. Pietro, in cerca di anime da divorare. Tutti i santi hanno dovuto fare i conti con Lui, prima o poi; a tutti quell’essere oscuro, che invidia la possibilità di salvezza degli uomini per odio verso Dio, si è manifestato in vario modo, tentando di spaventarli, distoglierli, ostacolarli nella loro opera luminosa, mirante a portare fino a Dio quante più anime possibile e, pertanto, a sottrarle alle insidie diaboliche. Chi non crede alla dimensione oscura del mondo invisibile, vuol dire che si è costruito un’idea tutta sua del cristianesimo: un’idea ove Cristo non è venuto sulla terra per combattere il Demonio e le sue trame, come raccontano i Vangeli e fin dall’inizio della sua vita pubblica, con l’episodio delle tentazioni nel deserto, ma per predicare una innocua e generica dottrina buonista, in linea con le pseudo religioni e con la pseudo spiritualità di marca New Age, ove tutto è semplice e facile perché Dio non è altro, in fondo, che una specie di emanazione dell’anima cosmica universale, e non un essere personale che ama ciascun individuo singolarmente, e gli chiede anche il massimo dell’impegno per la santificazione della sua vita e per conseguire la beatitudine eterna, nell’altra.
Maria Simma (nata a Sonntag, un paesino di 700 abitanti nel Land austriaco del Vorarlberg, il 5 febbraio 1915 e morta, quasi novantenne, nel medesimo villaggio il 16 marzo 2004) è stata una mistica, nota in gran parte del mondo per le sue visioni del Purgatorio, iniziate nel 1940 e divenute quasi quotidiane dal 1954, e per ciò che ha detto di aver saputo da quelle anime a proposito dell’Aldilà. La Chiesa, in quanto istituzione, non si è pronunciata sulla veridicità di tali esperienze, anche se il parroco del suo villaggio l’ha sempre stimata a sostenuta, così come, del resto, i suoi compaesani e un vasto pubblico di lettori e di partecipanti alle conferenze che ella ha tenuto, soprattutto nei Paesi di lingua tedesca. Va notato che era una donna senza istruzione, di aspetto modesto, che viveva quasi in povertà e non aveva mai cercato il benché minimo vantaggio economico dalle sue testimonianze. I suoi libri sono stati scritti mettendo insieme delle interviste a lei fatte; ella era priva di cultura, ma ricca di buon senso e possedeva una semplicità e una bontà che conquistavano a prima vista; e la sua vita, che si è svolta in gran parte nel nascondimento, dopo un tentativo infruttuoso di entrare come suora, ancor giovane, in un ordine religioso (non la vollero accogliere a causa della sua salute cagionevole), e poi nell’assistenza all’anziano padre malato, sino alla fine, pare la vita di una santa medievale. Quasi priva di esigenze personali, a parte lo stretto indispensabile per vivere, si manteneva con l’orto e le galline, più quel che la solidarietà dei compaesani le metteva a disposizione, senza mai chiedere nulla. In casa non aveva la televisione, pur vivendo sola, né la voleva: sosteneva che è uno degli strumenti attraverso cui si trasmette con maggiore facilità un influsso malefico sugli uomini.
Un giorno la sua abitazione, antica di quattrocento anni, andò a fuoco all’improvviso, per un incendio misteriosamente scoppiato al piano superiore. Lei si trovava in cucina e disse di aver udito dei passi sul pavimento, ma di non aver fatto in tempo a vedere alcuno; sosteneva, però, che non era stato un incendio doloso, nel senso comune del termine, ma che ad appiccarlo era stato il Demonio in persona, infastidito dai suoi messaggi relativi al Purgatorio, nei quali le anime chiedevano preghiere e davano consigli ai vivi per evitare di soccombere alle tentazioni diaboliche. Gli abitanti di Sonntag, comunque, vollero fare una colletta e le costruirono una casa nuova, un piccolo chalet, nel quale ella trascorse il resto della sua lunga vita, lasciando un grato ricordo di sé, della sua dolcezza, della sua disponibilità: non considerava le sue rivelazioni come un tesoro da custodire gelosamente, ma come una responsabilità per il bene delle anime, sia dei trapassati che dei viventi. Sostenne di aver subito altre vessazioni e pericoli a causa del Demonio, compreso un tentativo di assassinio da parte di un gruppo di satanisti, che avevano progettato di ucciderla durante il viaggio in treno per tenere una conferenza nella Germania del Nord. La sua vita si svolgeva in una atmosfera semplicissima, impregnata di misticismo: fu quella di una persona umile e schiva, che ritiene di aver ricevuto una serie di esperienze privilegiate e di doverle mettere a disposizione del prossimo, per amor di Dio. La sua fede era profonda, vivissima: sin da ragazza si era votata alla Madonna e a lei riserbò sempre una devozione assoluta.
Un giorno, durante una intervista, un giornalista le chiese in quale maniera il Diavolo può danneggiare gli esseri umani, oltre che mediante la “semplice” tentazione e la possessione. Vale la pena di riportare le battute di quel dialogo, perché si prestano a molte e notevoli riflessioni (da: Nicky Eltz con Maria Simma, «Fateci uscire da qui!»; traduzione dall’inglese a cura di Anna Parrish Pedeferri, Tavagnacco, Udine, Edizioni Segno, 1997, pp. 161-162):
«D.: Fino a che punto è potente Satana e fino a che punto lo è la protezione nei suoi confronti, protezione che riceviamo dai nostri Angeli Custodi e che ci guadagniamo con il nostro buon agire?
R.: Oh, queste sono forme di protezione molto potenti. Senza di esse Satana ha l’abilità di ucciderci tutti in un attimo. Le voglio raccontare l’incredibile storia di un santo sacerdote di un monastero non molto lontano da Bludenz [sempre nel Land del Vorarlberg, all’estremità occidentale della Repubblica austriaca; nota nostra]. Era il più anziano e anche il priore di questo monastero. Pregava talmente tanto e faceva così tanto bene da suscitare l’invidia ed anche la derisione dei confratelli più giovani e più superficiali. Una notte, due giovani religiosi in procinto di ritirarsi nelle proprie celle, videro dal corridoio una luce accesa nel seminterrato. Insospettiti, poiché era molto tardi, scesero a controllare. Quando aprirono la porta di quel locale si presentò loro una scena raccapricciante. Il vecchio e caro Padre era impiccato ad una maniglia, con le gambe stese come se fosse seduto, ma restando sollevato dal pavimento per una decina di centimetri. Chiamarono la polizia che setacciò da cima a fondo il convento per settimane. Per la sua santità non era possibile pensare al suicidio. Furono interrogati, naturalmente, tutti gli altri sacerdoti perché era cosa risaputa che ridevano della sua vita di grande vicinanza a Dio, di incessante preghiera e caritativa. Tuttavia, quelle indagini accurate non approdarono a nulla e la faccenda rimase un mistero per tutta la popolazione di quel territorio. Poi mi venne riportata la triste storia ed accettai di chiederne la spiegazione ad un’anima del Purgatorio. La risposta non tardò ad arrivare perché molti stavano pregando per lui ed anche perché l’intero monastero era in stato di shock. Così diceva: “La Madonna era apparsa a questo sacerdote e gli aveva chiesto se fosse disposto ad accettare l’abilità di Satana di uccidere. Se avesse accettato, avrebbe espiato per le molte anime che si erano vendute a lui. Ed egli aveva accettato”. Con questa risposta andai al monastero dove si erano radunati tutti, compresa la polizia, ed in loro presenza, a voce alta, lessi il messaggio trasmessomi. Nel silenzio che ne seguì, si sentì il sospiro profondo di un sacerdote che si fece strada tra la folla e, con le lacrime agli occhi, tirò fuori di tasca un foglietto. Spiegò che l’aveva preso dalla tasca del vecchio prete quella notte in cui lui ed il compagno l’avevano trovato morto. L’aprì, mostrando al’assemblea che la scrittura era quella del morto, e poi lo lesse. Così diceva: “Mi è apparsa la Madonna e mi ha chiesto se fossi disposto ad accettare l’abilità di Satana di uccidermi poiché se avessi accettato, avrei espiato per le molte anime che si erano vendute a lui. Io ho accettato.”
D.: Quindi egli ha accettato di offrire la propria vita per persone che non aveva mai conosciuto e che si erano date alle pratiche occulte?
R.: Proprio così!
D.: quando è successo? E vuol dirmi come si chiamava quest’uomo straordinario?
R.: Certamente. Accadde alla fine degli anni ’80 e si chiamava p. Joseph Kalosans. Un uomo così buono e coraggioso non può che essere un potentissimo intercessore per noi.»
C’è un altro episodio, anche più conosciuto, e sempre nell’area di lingua tedesca, che richiama da vicino questa incredibile vicenda: quello di una ragazza bavarese, Anneliese Michel, nata nel 1952 e morta nel 1976, dalla quale sono stati tratti due film, rispettivamente del 2005 e 2006 – uno, più noto internazionalmente, statunitense, ed uno tedesco – e del quale abbiamo già avuto occasione di occuparci, in una precedente occasione (cfr. «Verso la nuova inquisizione del pensiero unico scientista», pubblicato sul sito di Arianna Editrice in data 26/09/2007). La povera Anneliese, infatti, morta di denutrizione e di sfinimento dopo dodici infruttuosi tentativi di esorcismo, quando ormai era ridotta letteralmente a pelle e ossa, era convinta che le sue sofferenze fossero necessarie per la salvezza di molte anime: così le avevano assicurato Gesù e la Madonna, i quali le erano apparsi, spiegandole il senso di ciò che le stava accadendo; non è chiaro se vi fosse stata una richiesta da parte di essi, ed una libera risposta affermativa da parte di lei. Ad ogni modo, quel che dimostrano simili episodi – per coloro che sono disposti a credervi, naturalmente; e il silenzio che avvolge la vicenda di Joseph Kalosans ci sembra eloquente al riguardo: un silenzio assordante, probabilmente voluto anche dalla Chiesa, forse per sottrarre la memoria di lui al sospetto di un suicidio – è che noi, anche se tendiamo a dimenticarlo con molta disinvoltura, siamo al centro di una lotta incessante fra il Bene e il Male, di una battaglia cosmica fra il Cielo e l’Inferno; una battaglia la cui posta in gioco sono le nostre anime e la nostra salvezza eterna, e nella quale il Diavolo parte decisamente avvantaggiato, proprio per il fatto che la maggior parte di noi si rifiuta di credere alla sua esistenza e ritiene che, in una civiltà moderna, sarebbe un imperdonabile cedimento alle pulsioni regressive e “oscurantiste” della nostra psiche, quello di cominciare a crederci proprio ora che la scienza e la tecnica sembrano metterci il segreto della vita e il controllo totale su di essa a portata di mano, facendo di noi i soli padroni del nostro destino. Ma la storia che abbiamo qui riferito ci ricorda che c’è qualcuno che può agire su di noi, sia in ambito spirituale che, talvolta, in quello materiale: e che rifiutare Dio equivale a invitare il Suo Nemico. Come insegna il Libro di Giobbe, Dio lo consente per metterci alla prova. Gesù, infatti, raccomanda di star sempre desti e non lasciarsi sorprendere…
Se non ci fosse qualcuno che prega per noi… La storia incredibile di padre Kalosans
di Francesco Lamendola
Articolo d'Archivio
Già pubblicato il 03 Marzo 2016
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