Mons. Bernard Ginoux, Vescovo di Montauban  
La cosiddetta “Fase 2” è cominciata da poco, appena undici giorni, eppure le polemiche sono in escalation giornaliera, con la solita, italica, faziosità che raggiunge di giorno in giorno apici sempre più alti. Cerchiamo di essere sinceri: tante, troppe cose scontentano dei tentativi governativi di rispondere efficacemente alle varie crisi e sub-crisi che si stanno moltiplicando.

Stamani ANSA ci ragguagliava del sipario “commovente” della Ministro Bellanova (con tanto di paragone con predecessori altrettanto emotivi qui) che, fiera, dichiarava “Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili. Lo Stato è più forte del caporalato”, mentre intere categorie di lavoratori non vedono futuro, visti gli stanziamenti del tutto insufficienti in settori chiave come quello turistico, giusto per parlare di qualcosa che un minimo conosco di persona! Alla fiera signora Ministro si potrebbe, forse, ricordare che di lavoro nero è pieno il Paese, in svariati settori; che prima di regolarizzare un gruppo di clandestini si potevano impiegare i fruitori di Reddito di Cittadinanza ancora disoccupati…ma sarebbe un discorso lungo e, temo, inutile.
Quello di cui mi preme scrivere oggi, piuttosto, è un altro “Pomo della Discordia da Fase 2”, ovvero le “regole” per permettere ai fedeli cattolici di tornare a celebrare l’Eucarestia, e tutti gli altri sacramenti, insieme ai propri pastori.
Questo nostro blog ha affrontato l’argomento più volte, non solo dal punto di vista “nostrano” ma anche a livello internazionale (per esempio qui  e qui).
Personalmente ho perso non poco sonno dinanzi all’apparente sonnolenza della CEI, che ha prima atteso di leggere nero su bianco l’esclusione della Chiesa dalla Fase 2 per decidersi, finalmente, dopo le proteste vivaci di Mons. Giovanni d’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno (qui), di qualche sacerdote coraggioso (quie di innumerevoli fedeli cattolici (qui un esempio fra tanti)ad alzare la voce e cominciare a “contrattare” con “l’avvocato del popolo”, non senza addolcimenti da tirata d’orecchie pontificia, dietro-front, inversioni, titubanze e – diciamocelo –  scarsissima incisività (quiqui, tant’è che, ad un certo punto, mi è venuto il dubbio che se non si fosse “alterato” il Presidente della Repubblica, perdendo un po’ dell’imperturbabilità british che lo contraddistingue (qui) staremmo ancora a chiederci “Signore, fino a quando?”!
Eppure Mr. President aveva ragione, bastava usare il buon senso! E basterebbe usarlo oggi.
Ci siamo lasciati alle spalle una Fase 1 quotidianamente vissuta fra file fuori ai supermercati, mascherine, guanti, autocertificazioni, multe e ricorsi, eppure continuano a raccontarci che le celebrazioni liturgiche sarebbero più pericolose di qualsiasi altra cosa perché creano assembramenti (ma non è la CEI a lamentarsi del calo di affluenza dei fedeli?!?), quindi veicolo di contagi epici, peggio della Peste Nera. Abbiamo “mendicato” la ripresa delle celebrazioni eucaristiche con il popolo, a numeri contingentati, con i preti che saranno costretti a distribuire l’Eucarestia con i guanti di lattice (con fior fiore di sanitari che reputano decisamente meglio l’uso dei gel sanitizzanti, convinti che i guanti possano essere più pericolosi perché creano false sicurezze), dopo aver tremato per giorni all’idea che il cosiddetto “Comitato Scientifico” imponesse di “imbustare le ostie consacrate per la distribuzione o, peggio, il self-service (qui  il commento scandalizzato del Card. Sarah al – e per fortuna il Comitato Scientifico non legge Marco Tosatti, sennò avrebbe potuto prendere spunto dai nostri cari fratelli germanici super-fantasiosi qui!), immaginando nei peggiori incubi il gaudio dei satanisti.
La verità è che vedo – ed oramai siamo in tanti a pensarla così – il diritto alla libertà religiosa in bilico. Leggo tra le righe la volontà di tenerci sempre più distanti gli uni dagli altri, anche in famiglia, fomentando il terrore contagio per accelerare un distanziamento sociale che vogliono far diventare cronico, emotivo, irrazionale. Ci spingono alla paura verso “quello che sta a meno di un metro da me”, in modo che la paura diventi pian piano “di chiunque sia al di fuori di me”, la paura dell’altro che è sempre stata preludio alle peggiori pagine della storia umana. Ci manipolano, con la pubblicità, con i “bollettini di guerra” dei telegiornali, con le miriadi di news contraddittorie, atte a rendere la gente solo più confusa ed insicura, mentre scenari sfilano, non percepiti, sotto i nostri nasi. Giustamente siamo felici ed impazienti di poter partecipare nuovamente alla celebrazione Eucaristica, ma immaginate quanto questa “parvenza di riacquisita libertà” nasconda insidie?
Ci attenderanno al varco i “ganci”, pronti a denunciare, a chiamare le TV, ad inventare anche ciò che non c’è, pur di far revocare il permesso alle celebrazioni col popolo. Aspettiamocelo. Prepariamoci alle dita puntate in caso di escalation dei contagi, alle multe, alla persecuzione del ridicolo (e magari pure a quella fisica) da parte di chi la Chiesa la odia e non vede l’ora di liberarsene.
Lo confesso, avrei voluto vedere una CEI diversa, avrei voluto sentire parole forti uscire dalla bocca del Card. Bassetti, invece di comunicati sciapi che sanno di poco o nulla. Non so se sia capitato anche a voi, ma io ho cercato di immaginare cosa avrebbe detto in simili circostanze Giovanni Paolo II, cosa avrebbe fatto.
Avrebbe tuonato come fece all’indirizzo della mafia ad Agrigento? Avrebbe invitato tutti noi a non aver paura? Non lo so cosa avrebbe detto lui ma sono rimasta colpita da ciò che ha scritto Mons. Bernard Ginoux, Vescovo di Montauban, l’11 maggio, in occasione dell’anniversario della sua nomina a vescovo, al suo gregge. Uno scritto lucido, dolente ma straordinariamente paterno ed aperto alla speranza, del quale sono venuta a conoscenza grazie ad un articolo di LifeSite (qui) e che vi propongo di seguito nella mia traduzione:
“L’11 maggio 2007 sono stato nominato vescovo di Montauban e fin dalla mia ordinazione il 2 settembre 2007, ho cercato di adempiere alla mia missione con dedizione e preoccupazione per il bene comune. Questa missione sta volgendo al termine con l’avvicinarsi dell’età canonica della pensione. Le settimane che abbiamo appena vissuto sono state un calvario che per alcuni ha portato alla morte e per altri alla lotta con la malattia. Molti hanno sofferto a causa di misure di protezione così rigorose che la loro salute mentale è stata colpita più gravemente della loro salute fisica. Penso a tutti gli anziani che non sono stati colpiti da questo virus. Certo, dovevano essere protetti da esso, ma era necessario separarli dai loro legami naturali fino al punto in cui ai nonni era proibito vedere i loro nipoti? Se fossero state adottate misure preventive coerenti e se gli strumenti necessari (come le maschere) fossero stati forniti fin dall’inizio, le tragedie familiari sarebbero state evitate. Sappiamo anche che alcune di queste persone si sono lasciate morire. Tra i giovani, i suicidi sono stati causati dalla tensione accumulata. Dovrà essere fatta una valutazione onesta di queste realtà.
Ma questi fatti non pregiudicano il lavoro svolto dai sanitari (medici, infermieri, paramedici, ecc.), vite offerte al servizio degli altri, gli sforzi compiuti da molte persone anonime nella loro determinazione a combattere COVID-19. La Chiesa cattolica non ha mancato di essere presente sui fronti più esposti e nel suo servizio permanente di carità, specialmente con popolazioni in difficoltà come i migranti. Ha anche accettato le misure draconiane che non ci hanno permesso di vivere i grandi momenti della nostra fede cristiana, dalla domenica delle Palme alla domenica di Pasqua, la Settimana Santa, il cuore e il fondamento della fede in Cristo che è morto e risorto. Lo abbiamo accettato nonostante l’immenso senso di perdita che i nostri fedeli hanno sicuramente sperimentato. La loro sofferenza è stata in qualche modo mitigata dalle trasmissioni TV e da tutti i mezzi audiovisivi. Resta il fatto che la nostra fede non è nutrita da questi mezzi; la fede cattolica è alimentata dalla presenza reale di Gesù Cristo. La Chiesa si realizza incessantemente attraverso il sacrificio della Messa, dove è reso presente l’unico sacrificio di Cristo sulla croce. La Messa ci presenta a lui, lo rende presente e ci fa partecipare a quello che è il “banchetto del Signore”: prendiamo veramente il nostro posto alla sua tavola. Non è un momento di preghiera o persino un semplice ascolto della Parola di Dio, ancor meno un incontro fraterno. Possiamo fare a meno di tutto ciò, ma non possiamo fare a meno dell’Eucaristia, proprio come abbiamo bisogno degli altri sacramenti. La messa è la vita della Chiesa cattolica. Anche se siamo uniti a Cristo in molti modi, viviamo per lui attraverso l’Eucaristia
In un momento in cui stanno riprendendo un gran numero di attività, mentre possiamo trovarci uno accanto all’altro su un aereo, nei supermercati o in attività all’aperto come in pista, una parte della cittadinanza che ha la libertà di praticare la propria religione partecipando alla Messa è impedita dal farlo con il pretesto di una pandemia il cui numero sta diminuendo. I numeri parlano da soli. Inoltre, la maggior parte delle nostre chiese sono molto grandi e abbiamo tutti i mezzi per conformarci alle misure sanitarie. È in gioco la nostra libertà e viene seriamente compromessa. Ho sentito molte persone che soffrono e parlo per loro.
Sono un vescovo in un luogo in cui, un giorno, nell’agosto 1942, il vescovo Pierre-Marie Theas ha osato quasi da solo condannare gli attacchi alla libertà e alla dignità dei cittadini francesi. Non avevamo raggiunto questo punto di ignominia. Ma io denuncio la violazione dei diritti dei fedeli cattolici di partecipare liberamente alla Messa; denuncio la negazione di questo diritto. Il diritto civile, la cui natura vincolante riguardo questa materia resta da dimostrare, non può essere imposto alla mia coscienza di pastore quando mi impedisce di adempiere al mio dovere. Sono un sacerdote e un vescovo per dare Cristo ai fedeli bisognosi. Questa è la mia missione e voglio dirglielo. La Chiesa cattolica ha sempre ricordato il diritto della persona umana a praticare la propria religione. Impedire l’esercizio di questo diritto è una violazione dei diritti umani fondamentali che potrebbe portare ad altri abusi. Questa lettera è un appello alla coscienza dei cattolici della diocesi di Montauban, che mi è cara e di cui sono pastore da tredici anni. Sapere che potete vivere la vostra fede liberamente sarà per me una grande gioia pastorale perché, anche in tempi di grandi epidemie, la Chiesa, sebbene con precauzioni, ha sempre offerto al Popolo di Dio la presenza del Salvatore attraverso il culto pubblico.
Affido alla Beata Vergine Maria, onorata nella Cattedrale di Montauban sotto il nome di Nostra Signora dell’Assunta, la diocesi e tutti i suoi abitanti. Possa lei vegliare su di noi e mantenerci sotto la sua protezione.”
di Stefania Marasco