Dopo gli attacchi a Benedetto XVI di questi giorni, lo scrittore George Weigel, biografo e amico di Papa San Giovanni Paolo II, dà il suo contributo nel portare alla luce quale sia la vera ragione di questi attacchi. Vedrete che essi hanno le loro radici nella lotta nelle fila dei teologi riformisti che iniziò durante la fine del Concilio Vaticano II. 
Ecco il suo articolo pubblicato sul The Catholic World Report nella mia traduzione. 
Karl Rahner e Joseph Ratzinger durante il Concilio Vaticano II
Karl Rahner e Joseph Ratzinger durante il Concilio Vaticano II
A 94 anni, il 16 aprile, Joseph Ratzinger è rimasto uno degli uomini più fraintesi e travisati della recente storia cattolica. Dubito che il Papa emerito se ne dispiaccia; probabilmente è immune alla calunnia, visto che ha avuto a che fare con essa per oltre mezzo secolo. Quest’uomo gentile può provare una certa compassione per le piccole menti che raccontano continuamente menzogne su di lui e sulla sua teologia. Ma ha di meglio da fare che agitarsi per i suoi detrattori: nani che lanciano sassolini inefficaci contro un gigante sereno.
I suoi amici e ammiratori hanno però difficoltà ad avere una visione benigna della situazione, perché la continua spazzatura rovesciata su Joseph Ratzinger è guidata da un’agenda e mira a puntellare le fondamenta fatiscenti del progetto del Cattolicesimo Lite (annacquato, ndr). Questa operazione di salvataggio richiede che i suoi detrattori sostengano che Ratzinger/Benedetto XVI abbia tradito il Vaticano II, o non abbia mai capito il Vaticano II, o fosse (e sia) profondamente contrario al Vaticano II. O tutte le cose insieme. Questa è una sciocchezza. E mentre spesso sono state commesse da coloro che rivendicano la competenza come studiosi delle vicende cattoliche contemporanee, tali travisamenti del pensiero di Ratzinger tradiscono una triste indifferenza nei confronti di ciò che è realmente accaduto a Roma durante gli ultimi due anni del Concilio Vaticano II.
Come ho scritto ne L’ironia della storia cattolica moderna, una spaccatura nelle fila dei teologi riformisti del Vaticano II ha cominciato ad aprirsi durante la terza sessione del Concilio, tenutasi nell’autunno del 1964. Una nuova rivista teologica, Concilium, era in fase di progettazione da parte di alcuni influenti consiglieri teologici del Concilio (molti dei quali erano stati pesantemente censurati negli anni precedenti al Vaticano II). Una figura di spicco tra queste, il gesuita francese Henri de Lubac, cominciò a temere che Concilium avrebbe portato il progetto riformista in una direzione decostruttiva: un progetto che avrebbe danneggiato gravemente quello che Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura al Concilio, chiamò “il sacro deposito della dottrina cristiana”, che papa Giovanni esortava a “essere più efficacemente difeso e presentato”.
I primi numeri della nuova rivista intensificarono le preoccupazioni di de Lubac. Così nel maggio 1965 il più venerabile membro del suo comitato di redazione si ritirò tranquillamente dal progetto di Concilium, mentre continuava il suo lavoro presso il Concilio stesso. Al termine del Concilio Vaticano II, altri si uniranno a lui nell’esprimere serie riserve sulla linea di condotta adottata dai loro un tempo alleati teologi. E queste preoccupazioni non sono diminuite nel tempo.
Il risultato fu quello che io chiamo nel mio libro “La guerra di successione conciliare”: la guerra per definire ciò che il Vaticano II era stato e ciò che il Vaticano II intendeva per il futuro cattolico. Questa guerra non fu una lotta tra “tradizionalisti” e “progressisti”. Fu una competizione aspramente combattuta all’interno del campo dei riformatori teologici del Vaticano II. E continua ancora oggi. E la questione che tanto preoccupava Henri de Lubac rimane del tutto pertinente, 56 anni dopo: finirebbe per tradire il Vangelo e svuotarlo del suo potere un’interpretazione del Concilio che contrapponesse effettivamente la Chiesa cattolica al “sacro deposito della dottrina cristiana”?
Joseph Ratzinger si unì a de Lubac e ad altri riformatori conciliari dissidenti nel lanciare un’altra rivista teologica, Communio, che lui e i suoi colleghi speravano portasse  avanti un’interpretazione del Vaticano II che fosse in continuità con la dottrina consolidata della Chiesa, proprio mentre essa sviluppava la comprensione di tale dottrina da parte della Chiesa. Communio, ora pubblicata in 14 edizioni linguistiche, è stata per decenni una forza creativa nella vita intellettuale cattolica. Come Ratzinger, Communio non è contro il Vaticano II; ha messo in discussione ciò che i suoi autori sostengono essere un’interpretazione sbagliata del Vaticano II.
Come hanno illustrato i recenti avvenimenti nella Chiesa, il punto fondamentale della Guerra di successione conciliare è la realtà della rivelazione divina: La rivelazione di Dio nella Scrittura e nella Tradizione include verità che sono vincolanti nel corso dei secoli, indipendentemente dalle circostanze culturali? Oppure la storia e la cultura giudicano la rivelazione, che la Chiesa è poi autorizzata a migliorare, per così dire, alla luce dei “segni dei tempi”? Coloro che si schierano con la realtà della rivelazione (che è stata affermata con forza dal Vaticano II) non sono affatto “fondamentalisti”, nonostante ciò che i loro avversari accusano. Sono teologi creativi che credono nello sviluppo della dottrina, ma che comprendono anche, con Chesterton, che “una mente aperta, come una bocca aperta, dovrebbe chiudersi su qualcosa”.
Nella Guerra di Successione Conciliare ci sono i veri riformatori, e poi ci sono le forze della decostruzione. Joseph Ratzinger è decisamente un vero riformatore cattolico. Sostenere il contrario suggerisce ignoranza, malizia, o entrambe le cose.
Di Sabino Paciolla