Se l’informazione ha giocato un ruolo fondamentale nell’alimentare la psicosi di massa fomentando gli istinti più irrazionali, un altro fattore sembrerebbe emerso a livello sociale a “colmare i vuoti”: un nuovo movimento gnostico di massa, una vera e propria “religione del virus” che, se si è potuta sviluppare in virtù di una crisi del cristianesimo, pone in risalto l’importanza della retta ragione anche ai fini di un ritorno al vero e quindi alla Rivelazione, chiamando in gioco le radici più profonde dell’Europa.
Più passano i giorni, più emergono fatti e dati oggettivi sulla c.d. epidemia da COVID-19.
Se sulla gestione politica della peculiare situazione molto è stato già detto, così come sulla logicità ed efficacia delle decisioni intraprese, ci sono aspetti tutt’ora inesplorati che meritano la dovuta attenzione.
Perché davanti alle evidenze che ogni giorno si fanno sempre più forti, una mancanza di risposta da parte dei molti, o, ancor prima, una carenza di domande deve trovare una spiegazione.
Invero, già dai primi momenti di emergenza doveva balzare all’attenzione di chiunque usi rettamente la ragione che il pensare di annullare una pandemia globale rinchiudendo la gente in casa non poteva aver senso alcuno, ne non quello di illudere la popolazione che una politica del “non fare nulla” in attesa degli eventi avrebbe risolto magicamente ogni cosa.
Si badi: ciò viene ripreso non certo per ripetere banalmente critiche alle decisioni intraprese da parte dei governanti (a cui andrebbero aggiunte quelle alle c.d. opposizioni), ma per cercare di ricostruire un quadro che presenta strati non ancora del tutto esplorati.
Così, mentre la gestione della cosa pubblica veniva esonerata da ogni responsabilità e da ogni impegno sul fronte del “fare”, soprattutto potenziando la medicina di territorio, ogni eventuale o potenziale aggravamento veniva fatto ricadere sulla popolazione, ed in particolare sul nemico-untore.
“Le regole si devono rispettare”, era il mantra non soltanto ripetuto ad oltranza, ma accettato passivamente dalla moltitudine, anche se dette regole fossero completamente illegittime, irrazionali o inefficaci.
Tale atteggiamento, pur comprensibile – sia pur non condiviso – agli inizi, non può però certamente perpetrare anche oggi, alla luce di fin troppe evidenze.
Il problema è però che a distanza di tempo, e pur davanti a ciò che è emerso fino ad ora, si continua a registrare una sorta di chiusura del ragionamento.
Come mai, infatti, non ci si scandalizza davanti all’ordine di non fare le autopsie? Come mai, ancora adesso, non si chiede che tipi di interventi sono stati fatti per potenziare la medicina di territorio? Come mai non si riesce a mettere insieme quanto gli stessi scienziati vanno sostenendo da tempo? Perché non si guarda ai ricoveri, alle indicazioni terapeutiche che i medici hanno scoperto ed indicato? Perché passano sotto silenzio i report scientifici che smontano la narrativa ufficiale? Perché il COVID-19 viene considerato persino più pericoloso di epidemie molto più gravi e virulente? Perché si è arrivati al punto che è sembrato che la gente morisse o potesse morire solo di COVID-19? Soprattutto, perché si preferisce trincerarsi dietro a comportamenti senza senso logico, oltre che privi di ogni valenza dal punto di vista igienico?
Del resto, che funzione riveste l’igienizzazione delle mani prima di entrare in un supermercato o in chiesa, per poi toccare banconote, carrello della spesa, e qualsiasi altra cosa?
Orbene, questa mancanza di senso, questa sorta di “lockdown della ragione”, non può trovare spiegazione soltanto in quella che è stata definita una gestione politicizzata della questione.
***
Certamente un ruolo fondamentale – ma come vedremo non unico – l’ha avuto l’informazione, che, recentemente, anche qualche notissimo virologo di fama mondiale, e che si è battuto (inascoltato) contro la psicosi, ha definito catastrofista ed interessata.
Sul punto, vale la pena sottolineare la valenza cristallina, e per certi versi “profetica”, degli studi di Marcel de Corte. Come notava infatti già diversi decenni addietro l’Autore citato, nelle nostre società di massa, l’informazione tende a coprire tutto il campo del sapere, anche del sapere scientifico: ciò che conta, non è il sapere in sé o la conoscenza della realtà, ma l’informazione che se ne ha e se ne trasmette. Sicché l’uomo informato è divenuto, erroneamente, sinonimo di uomo colto.
“Informatevi!” è il nuovo paradigma, come se l’informazione fosse sinonimo di verità. “Analfabeta funzionale” è l’accusa rivolta nei confronti di chi non si informa, in particolare mediante i canali ufficiali. I soli detentori dei dogmi.
Ora, la scolastica – che è la filosofia del senso comune, e quindi del buon senso – ci ha insegnato che non vi può essere il pensiero se prima non si passa attraverso l’esperienza sensibile: la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto. L’uomo deve prima ascoltare, toccare, vedere, e riconoscere che tutte le cose hanno una loro realtà oggettiva indipendentemente da ciò che ognuno pensa di esse. Questo è il primo passo fondamentale per la conoscenza.
Sicché, è possibile affermare che la verità consiste nell’adeguare l’intelletto a questa realtà ontologica che esiste a prescindere dal soggetto conoscente.
Ma che esperienza può avere mai un uomo, in una società globalizzata, in relazione a fatti lontani? Che cosa ha visto un italiano di ciò che avveniva realmente in Cina? Che esperienza ha il cittadino di Catanzaro di ciò che accadeva nelle case di cura di Bergamo? Che cosa ha visto il cittadino di Berlino dei reparti di Brescia? Assolutamente nulla. Mancando infatti l’oggetto della conoscenza – cioè letteralmente ciò che gli sta davanti (ob-jacet) – può solo farsi un’idea. Può immaginare. Può farsi un’opinione. Ma mai potrà arrivare a conoscere effettivamente quella realtà.
Il problema è che se l’idea che ci si è fatti finisce per costituire la realtà dell’essere, la verità reale ed oggettiva non esiste più, ma coincide con l’idea che ognuno ha della realtà. Il pensiero prende il posto dell’essere. Portando il famoso “cogito ergo sum” di Descartes alle sue conseguenze più nefaste. Mancando infatti il pensiero di un fondamento, perché non poggia su nulla, non può che precipitare nel nichilismo.
Sicché, a ragione De Corte può ben affermare che il problema del nostro tempo non è affatto il “materialismo” (da intendersi non certo come lo intendeva Marx), ma al contrario l’idealismo, fino al punto che “il nostro mondo è così poco materialista da essere, capo a fondo, persino nelle sue turpitudini, finanche nel suo erotismo, una costruzione mentale”.
Ora, questa costruzione mentale, che deriva dal “regno dell’opinione” dove impera il soggettivismo, nella società globalizzata nasce da ciò che l’informazione trasmette e che ognuno ritiene erroneamente vero. Ossia un surrogato d’oggetto, una realtà di puro pensiero, lontana dagli esseri e dalle cose, lontano dal realismo.
Il grande filosofo belga, avvertiva, già negli anni ’70, che sarebbe dunque stato facile per i centri di informazione indirizzare (fino a dominare) le persone: nelle società di massa, infatti, ognuno non conosce dell’avvenimento che l’urto sensibile ed emozionale provocato in lui; le parole usate devono essere scelte per la loro potenza d’urto. E così soprattutto le immagini. Che suscitano un’emotività che preclude l’uso della ragione.
Ma il meccanismo subdolo, ben sottolineato da De Corte, è che più l’uomo è isolato, più cerca di riconnettersi alla società tramite l’informazione: l’essenza insopprimibile di animale sociale, che caratterizza la natura umana, viene così appagata dall’informazione, una sorta di falso rimedio contro l’isolamento che uccide. L’uomo, infatti, non può vivere isolato.
Più si isolano le persone, più queste diventano dipendenti dai canali di informazione. Dalle reti virtuali. Dove trovano una “connessione”, un appiglio “sociale”.
In questo meccanismo di conoscenza virtuale, avverte il pensatore aristotelico, i governi “democratici” hanno necessità di deformare l’informazione al fine di poter continuare a governare: “l’arte di governare si riduce a cogliere l’avvenimento che permetterà al Governo di ingannare l’opinione pubblica”.
Si stringe dunque un rapporto ambiguo e da cui non si può sfuggire tra governanti, governati, e mezzi di informazione, dove ognuno gioca, in maniera quasi fisiologica, un suo ruolo, al fine di mantenere questo insano equilibrio di sistema: il “cittadino” necessita di informazioni, il potere politico “deve” utilizzarle per il consenso, i media offrono un prodotto “mediato”, appunto.
Pensiamo alla famosa scena mandata in onda su tutti i TG relativa alle bare di Bergamo, poi invece essersi scoperta attinente ad un brutto naufragio al largo delle coste siciliane di diversi anni fa. O alla criminalizzazione dei giovani della “movida”, con lo stesso scatto fotografico spacciato per Cremona, Brescia, Bergamo… O ai titoloni sui giornali relativi ad improvvisi ed inspiegabili decessi di giovanissimi per il COVID, quando si trattava di situazioni frutto di gravissime patologie pregresse.
Chiunque abbia osato sottolineare queste evidenze, è stato prontamente accusato di “negazionismo”, in un rovesciamento di posizioni che ha dell’incredibile: chi nega la realtà mistificandola attraverso la narrazione, non è certo chi ne svela l’operazione mediatica! Che non significa affatto ignorare o disconoscere la potenziale pericolosità (anche molto grave, fino a portare ai tanti decessi) degli effetti di un’infezione non gestita e controllata.
Fuor da polemica, l’effetto ottenuto da questo mix, è che da un lato la psicosi ed il panico si sono impossessati delle persone, mentre dall’altro si è fomentato un meccanismo di odio e di criminalizzazione contro la socialità, ossia contro quella che è la naturale condizione umana. Un meccanismo che una volta innescato si è autoalimentato, ed in cui il diktat del “distanziamento sociale” rappresenta la fase “pubblica” dell’isolamento.
Il contatto umano, l’abbraccio, la stretta di mano, l’uscire insieme, lo scambiare due chiacchiere, sono situazioni che vengono definite e concepite come ad altissimo rischio per la popolazione: i fidanzati che si baciano, i ragazzi che escono a passeggiare, gli amici che si abbracciano, assurgono così ad incarnare i nuovi nemici del popolo, colpevoli di tentare di vivere una vita assolutamente normale con le gioie quotidiane derivanti dal contatto con gli altri. Colpevoli di infrangere regole che sono paragonabili a veri e propri dogmi.
L’idea di individuare migliaia di volontari per distanziare fisicamente le persone, si inserisce in questa visione “ideologica” dove l’essere umano è colpevole di vivere normalmente, ossia socialmente, cioè secondo natura: la sua libertà – che non è affatto la c.d. “libertà negativa” – è dipinta come irresponsabilità, ossia una colpa sociale che deve essere incriminata e punita.
La sicurezza è data solo dall’utilizzo delle reti informatiche e dalla virtualità. Sicché ciò che è virtuale, diventa reale. Non più solo l’informazione relativa ad un determinato avvenimento, ma l’intera realtà finisce per essere scambiata con quella che viaggia sulla rete, dove vengono proiettare le relazioni interpersonali, il lavoro, gli affetti, la didattica. Tutto è nella rete, nulla al di fuori della rete. Come nel famoso film “Matrix” (non a caso stracolmo di riferimenti filosofici).
Qualche “esperto” ha persino consigliato di utilizzare internet in sostituzione dei rapporti coniugali al fine di evitare il contagio (sic!). Non sarà una forma del famoso “erotismo come pura costruzione mentale” di cui diceva De Corte?
Ma come mai la popolazione è disposta ad accettare tutto questo?
Per cercare di comprenderlo, dobbiamo tornare a volgere, ma solo per un attimo, lo sguardo alla Politica.
Con l’avvento della Modernità la Politica ha abbandonato il suo fondamento, è cioè diventata cieca nei confronti dell’ordine oggettivo che è chiamata a rispettare e tutelare, ed ha perso quindi la sua razionalità ontologica.
Accettando il volontarismo – sia esso nelle forme del contrattualismo o del costituzionalismo -, ossia l’idea che la funzione della Politica sia quella di rappresentare o incardinare istanze provenienti da interessi contrapposti, e che, nelle democrazie parlamentari, si esprimono nella c.d. “volontà dell’elettore”, si è lanciata nel burrone del nichilismo.
Ciò perché per poter tenere in piedi un sistema siffatto, occorre rifiutare aprioristicamente l’esistenza della verità. Allontanandosi e rifiutando dunque il Sommum Bonum, la Politica finisce per confondere il Bene Comune, che è il bene comune a tutti gli uomini, e che rappresenta la sua finalità, con il bene pubblico, ossia il bene privato dello Stato inteso personalisticamente.
Ecco che dunque la Salute, che è una realtà che prescinde dalla volontà (tutti vorrebbero vivere in perfetta salute, ma la realtà è ben diversa e si impone a prescindere dai desiderata di ognuno), assurge a fine supremo dello Stato volontarista, nonostante tale fine non possa essere mai raggiunto. Perché la Politica non può agire sull’essere modificando un ordine delle cose che è oggettivamente e naturalmente dato.
Anzi, perdendo le proprie finalità, smarrendo l’ordine delle cose e quindi il proprio, la Politica viene meno al ruolo “katechontico” a cui per natura è chiamata, ossia a garantire, perseguendo il bene comune, ciò che è giusto ed equo, impedendo l’iniquo: si giunge così fino al dilagare del “mistero dell’iniquità”, che può assumere le forme di un sistema di oppressione e dominio quando si arriva ad impedire all’essere umano di vivere secondo ragione e virtù, ossia secondo natura.
***
Ma c’è dell’altro. Ed infatti, se è vero che la Politica ha smarrito sé stessa, se ha abdicato al proprio ruolo, c’è un elemento meta-politico preponderante che ha agito a livello di “massa”.
Questo “qualcosa” ha una forte connotazione religiosa. Dobbiamo infatti ricordare che la religiosità è alla base della natura umana e quindi della società (e perciò anche della politica). Questa evidenza non discende soltanto dalla filosofia e dalla teologia. Ma è confermata dall’antropologia, dalla storia delle religioni e persino dalla sociologia e dalla psicologia! Se Mircea Eliade ha dimostrato che il tentativo di abolizione del Sacro, tipica del processo di secolarizzazione, non è altro che esso stesso un fenomeno religioso, Julien Ries ha posto l’accento su quella che è stata definita una metamorfosi del Sacro, che certamente può degenerare allontanandosi dalla verità, ma come fenomeno non passa e non passerà mai, perché l’uomo è naturaliter religiosus, e cioè la religiosità è aspetto necessario e caratteristica ontologica della natura umana.
Ora, nel caso della pandemia, di come è stata percepita, affrontata e vissuta, potrebbe trattarsi di una forma religiosa? Pare proprio di sì. Anzi, possiamo annoverare questa “religione pandemica” tra quella rinnovata gnosi che assume le forme cangianti di quei movimenti gnostici di massa ben sottolineata da Eric Voegelin, un grande autore lucido sia pur molto complesso, che oggi è stato completamente rimosso.
Sebbene diversi critici, tra cui Augusto Del Noce, abbiano sottolineato le differenze tra Gnosi antica e moderna, e i rischi che comporta l’utilizzo del termine “gnosticismo” in Voegelin, in realtà la “cesura” non può essere così netta: infatti, se l’ateizzazione del mondo che la gnosi antica compie in nome della Trascendenza, si rovescia nella sua divinizzazione e quindi nel panteismo, l’ateizzazione che la gnosi moderna compie in nome di un immanentismo radicale finisce per ripetere il peccato delle origini, dove l’uomo è il solo arbitro del bene e del male, e dove quindi l’Io è Dio. Con un esito che prevede un’auto-divinizzazione che non fa che riscoprire proprio le radici dell’antica gnosi.
Ciò che comunque conta in questa sede, è la constatazione che per il filosofo del “mito del mondo nuovo”, l’antica religione gnostica, con la Modernità, è passata, tramite un’immanentizzazione dell’eschaton cristiano, ad una dimensione di pensiero di massa.
In queste forme di gnosi di massa, lo Scientismo, vagheggiato da August Comte come terza ed era finale della storia dell’umanità, rappresenta un credo fondamentale. Accettato, riconosciuto, seguito non più solo a livello di “elite”, ma di popolo.
In estrema sintesi, va detto che lo scientismo è un atteggiamento dogmatico che considera la scienza positiva la sola ed unica forma valida di sapere, che deve dirigere l’uomo e la società in ogni suo aspetto: sicché, ben si comprendono le critiche di Del Noce, secondo cui lo scientismo è profondamente irrazionale e totalitario, perché pretende di cancellare tutto ciò che non vi appartiene, di De Corte, che ne sottolinea invece l’aspetto “romantico”, paragonando lo scienziato moderno al poeta o all’artista che si lascia imbrigliare dalla propria arte e non vede altro che con gli occhi del proprio dipingere, o di Sameck Ludovici, secondo cui lo scientismo riduce l’uomo a macchina, lo imbriglia in una dimensione quantitativa, dove la realtà è completamente mistificata.
Seguendo Voegelin, lo Scientismo assume così la forma religiosa di nuova gnosi al pari di altri movimenti gnostici di massa.
Ma come si possono riconoscere le caratteristiche di questi movimenti gnostici diffusi a livello popolare? Voegelin tratteggia una serie di caratteristiche (rectius di “simboli”), che egli fa risalire all’elaborazione di Gioacchino da Fiore: 1) l’idea che esistano, nella storia e nella società, tre momenti che si succedono, di cui il terzo rappresenta la fase finale che completa ed invera le precedenti, realizzando una sorta di “paradiso in terra” 2) la presenza di un leader che guidi il popolo verso la terza era di felicità 3) il ruolo di “profeti” che “prevedono” il futuro ed indirizzano le scelte 4) una nuova fratellanza di persone spiritualmente autonome.
Sembrerebbe proprio che tutti questi elementi siano emersi durante l’ “emergenza pandemica”:
1) abbiamo avuto infatti le famose fasi dell’epidemia, dove la terza fase rappresenta l’obiettivo da raggiungere con enormi sacrifici, e dove la società potrà essere “migliore di prima”, liberata da caratteristiche concepite come negative; magari senza più inquinamento e dove i monopattini avranno sostituito le automobili, nel “mondo nuovo” della decrescita (in)felice;
2) sulla figura del leader che guida il popolo verso questa fase nuova ed agognata, non occorre aggiunger nulla: abbiamo visto, infatti, l’uso delle reti unificate e l’affidamento dei cittadini all’attesa delle indicazioni provenienti da chi detiene lo scettro del comando;
3) sui “profeti” chiamati a fare previsioni da ogni palcoscenico mediatico, in virtù della loro “elezione” data da una conoscenza superiore (gnosi, appunto) nulla quaestio: si potrebbe aggiungere, semmai, il ruolo del “modello previsionale”, dimostratosi poi fallace da ogni punto di vista. Ma come è tipico della gnosi, quando le profezie, le idee, le previsioni, le utopie, si rivelano sbagliate rispetto ai fatti, a sbagliare sarebbero i fatti…
4) E che dire della spiritualità autonoma? Il pregare a casa, ognuno come preferisce, senza necessità di accedere ai Sacramenti o alle forme di culto pubblico, è stato ritornello piuttosto evidente, guarda caso proprio promosso dai “profeti” di cui sopra. Sebbene la “religione fai da te”, sia ormai una costante che va ben oltre questo frangente.
Ma c’è di più: come ogni religione, anche il movimento gnostico di massa richiede liturgie, simboli e riti. Sanificare continuamente il pavimento e gli oggetti, contro ogni evidenza davvero scientifica (teleologicamente orientata), con gesti rituali che si ripetono all’ingresso di un supermercato, di una chiesa, di un qualsiasi luogo attraverso la nuova acqua benedetta rappresentata dal gel igienizzante, sono soltanto alcuni esempi.
Il ritorno di fanatiche abluzioni come gesto rituale ed obbligatorio, spesso a livello di comportamento ossessivo-compulsivo, ne sono altri.
In effetti, soltanto immaginando delle strane parafilie si potrebbe pensare che alla gente comune venga in mente di sdraiarsi per terra, sniffare i pavimenti, intercettando così improbabili goccioline di saliva sopravvissute alla disidratazione con virus ancora attivo… Ma se gli ideatori delle “regole” e delle “misure” sono gli stessi che consigliavano il “cyber sex”, il quadro inizia a divenire più chiaro.
E che dire dei paramenti? Mascherine differenti e colorate – fino ad un ritorno al totemismo – a seconda del ruolo assunto quali semplici fedeli o quali nuovi “sacerdoti” della religione del virus, i quali sono rivestiti da una sorta di talare bianca (come se il famoso coronavirus possa passare attraverso la pelle…), e, ovviamente, gli immancabili guanti, caricatura in lattice, rigorosamente “made in China”, di quelli portati un tempo dai Vescovi.
Guanti spesso completamente inutili e senza senso, persino pericolosi ai fini dell’igiene, indossati appunto per officiare la nuova liturgia di massa, dove a liberare dalla paura della morte non c’è più Cristo, Via,Verità e Vita, il Suo Corpo ed il Suo Sangue quale “Presenza Reale”, ma la fiala di un provvidenziale vaccino del tutto ipotetico che salverà, con certezza messianica, l’umanità precipitata nell’immanentismo più sfrenato.
“La Rivelazione cristiana è quella della Presenza. – ricorda ancora il già citato De Corte – Questa Presenza non si lascia manipolare delle fantasie. Bisogna dunque, in un modo o nell’altro, eliminarla dal reale. Così la mente non incontrerà che se stessa: io solo e basta.”.
Del resto, se l’attacco all’Eucarestia, imposta nelle forme più sacrileghe, fino a divieti sulla ricezione della Comunione in alcuni Stati, fanno parte della cronaca, e difficilmente risultano negabili, forse si spiega proprio così anche l’opposizione al sangue che salva il corpo, quello dei trasfusi con il plasma. Questo è infatti frutto di un dono gratuito, troppo legato all’evidenza di ben altro Sangue che salva anche e soprattutto l’anima. Sostituito, attraverso l’utilizzo della Tecnica, da materiale sintetico, sì da scinderlo dall’origine e dal bisogno-evidenza degli uomini di essere legati gli uni agli altri. Di esser parte di una Realtà e di una Verità che li trascende. Di essere dipendenti e non autonomi. Di essere creature amate di un amore gratuito.
Qualche ateo, qualche seguace dello scientismo, che indossa pedissequamente la “museruola” anche quando è da solo alla guida di un’automobile, e consuma quotidianamente un’intera boccetta di gel idroalcolico, potrebbe sorridere leggendo queste righe che bollerebbe come frutto di “superstizione religiosa”.
Al che, un Mircea Eliade, chiarissimo chioserebbe, rivolgendosi proprio al nostro amico ateo e scientista: “la maggioranza dei senza religione non sono veramente liberi da comportamenti religiosi, da teologie e da mitologie. Talvolta si trascinano tutto un bagaglio magico-religioso, deformato fin quasi alla caricatura, quindi difficilmente riconoscibile. (…) Ma tali comportamenti religiosi camuffati o degenerati non li troviamo solo nelle mistiche politiche: li ritroviamo anche in quei movimenti che si dicono francamente laici, ossia antireligiosi. (…) La maggioranza degli uomini senza-religione, in definitiva, condividono tuttora delle pseudo religioni e delle mitologie degradate”. Scacco! Colpito ed affondato.
Se ora però volgiamo lo sguardo ad un altro Autore, il francese René Girard, possiamo trovare conferma di questa tesi: quel fenomeno che è stato infatti descritto come “caccia all’untore”, che ha indirizzato l’odio sociale verso determinate categorie, non è altro che la ricerca religiosa del “capro espiatorio”, ossia della vittima innocente da indicare come fonte di ogni male e da sacrificare immolandola sugli altari della salvezza della società. Si pensi alla caccia alle streghe o a determinati gruppi ritenuti, in certe epoche, soprattutto in ambienti protestanti – e quindi gnostici – responsabili delle pestilenze.
Ma Girard avverte che questi fenomeni di violenza di massa sono evitati soltanto dove c’è adesione alla Rivelazione cristiana (che rende manifeste “le cose nascoste fin dalla fondazione del mondo”), e tornano nel momento in cui il Cristianesimo viene meno e con esso la ripetizione del Sacrificio rituale dove Cristo è l’Agnello, la vittima perfetta, che salva l’intera umanità.
Esattamente ciò che sostiene anche Voegelin, quando sottolinea che i movimenti gnostici di massa si possono diffondere solo in virtù di una crisi del Cristianesimo quale unica vera religione.
Per Voegelin, anzi, lo gnosticismo moderno non è altro che un allontanamento, uno sviamento dalla vera fede perché ritenuta troppo difficile da vivere ed accettare integralmente. Sicché se ne costruiscono surrogati falsi, più morbidi: alla Verità solida e forte, si preferisce così una costruzione falsata ma più sopportabile e che fornisce certezze immediate, sia pur menzognere.
Ci sembra che questa tesi, che in un certo senso sembra far derivare lo gnosticismo dal cristianesimo (tant’è che si è parlato di gnosi post-cristiana), debba però fare i conti con il realismo: se è vero che viviamo in una crisi di Fede, evidente soprattutto nel Vecchio Continente, sempre più scristianizzato, le ragioni di questa crisi, e quindi l’avanzata della Gnosi, devono essere individuati nell’eclissi della ragione. E’ la crisi della retta ragione che procura danni alla tenuta della Fede, perché “fides et ratio” viaggiano di pari passo in quello che è “logiken latreia”, culto logico, come ricorda San Paolo e come si ribadisce nel Canone Romano.
La fede cristiana, infatti, presuppone necessariamente la portata realista dell’intelligenza, la capacità che ha lo spirito umano di cogliere l’essere delle cose. Sottolinea ancora una volta De Corte che “il nostro pensiero può raggiungere Dio sul piano della natura, s’intende, soltanto se essa è oggettiva, se raggiunge delle realtà che sussistono indipendentemente dalla conoscenza che ne ha lei”. E’ impossibile infatti alla Fede mantenersi nella mente di un uomo senza le certezze preliminari dell’intelligenza oggettiva.
Se l’uomo è privato della ragione naturale, al massimo può credere di credere in Dio, ma non crede in Dio! Ecco che il “lockdown della ragione” causa una crisi della vera fede, che porta ad abbracciare lo gnosticismo. “La fede vacilla perché l’intelligenza vacilla” chiosa De Corte.
E qui, mentre Voegelin non giunge a sviluppare particolari soluzioni alla crisi che non siano quelle di una ferma resistenza al disordine, il realismo aristotelico inverato dall’Aquinate consente di ritornare all’oggettività del reale attraverso il recupero della retta ragione. Che, mediante un procedimento di natura sillogistica, arriva sino all’esistenza di Dio e a dover riconoscere, pertanto, la Rivelazione quale verità.
Il resto, poi, viene dalla Grazia e dal dono della Fede, e, sul piano comunitario, compete ad un clero che, dinanzi all’evidenza della sofferenza e della morte, si è rivelato spesso inadeguato, succube di quel pensiero gnostico che si è insinuato anche nella Chiesa, come ha rilevato, anche di recente, il papa emerito Benedetto XVI parlando di ciò che veniva insegnato nei Seminari (soprattutto europei) dopo gli anni ‘60.
E se i movimenti gnostici vanno sempre verso l’auto-dissoluzione perché non sono fondati sulla realtà, ma anzi vi si oppongono, o procurano una guerra che lascia sul campo drammi, ma dalla quale non sopravvivono, è dovere di ognuno tornare al reale. Usando la ragione naturale. Ed affermando che la Verità esiste. Che quella con la V maiuscola si è rivelata. E che la verità con la v minuscola può essere conosciuta.
Ed una di queste, è proprio il fatto che ci troviamo in pieno delirio gnostico. Dove lo gnosticismo politico e giuridico, imperante nei sistemi politici come il nostro, che mistificano la realtà del vero Stato che esiste per natura, e non per volontà o contratto, si salda perfettamente con lo Scientismo, ossia una degenerazione della vera scienza che rifiuta la realtà.
Con lo scientismo imperante, infatti, anche grazie al venir meno del ruolo “katechontico” della Politica (e, quindi, dello Stato), lo scienziato è ritenuto un “mago”, compie i “miracoli della scienza”, ed è detentore di un potere “luciferino” sulla natura che gli deriva da conoscenze occulte agli altri. “Detiene il primo posto nella civiltà moderna, dove ha bandito il prete”. Così che “Il cristianesimo non deve più salvarci, basta la scienza per questo”, sottolinea Etienne Gilson.
***
Che quella con il COVID fosse una guerra, era stato detto. Ma è una guerra molto più profonda ed ampia. Perché è una guerra di religione e contro la retta ragione. Una religione senza Dio, dove l’unico Dio è l’Io. Una guerra il cui nemico non è il virus, ma la Verità, il Logos incarnato. E quindi, di conseguenza, l’essere umano fatto a immagine e somiglianza di Dio.
Dove per vincere occorre tornare all’uso della retta ragione, presupposto per una ritrovata vera fede.
E dove l’Europa, stretta tra Cina e Stati Uniti, deve ritrovare sé stessa, recuperando la propria identità e le proprie radici.
E’ probabile che non possa e non voglia farlo l’Unione Europea, quale degenerazione tecnocratica e burocratica di ben altro pensiero europeo, e che oggi si trova immersa in una crisi senza precedenti, dove la religione pandemica del virus contende il primato all’altra falsa religione, quella di un ordoliberalismo sempre più sordo e cieco. Un’unione di egoismi sbandata tra messianesimo scientista e culto di Mammona.
Forse potranno però farlo gli europei, se torneranno a volgere lo sguardo verso i tre colli – l’Acropoli, il Campidoglio, il Golgota – tornando ad abbeverasi alle fonti perenni di Atene, Roma, Gerusalemme. E quindi a riscoprire anche il ruolo, la funzione e la presenza insopprimibile del vero Stato, della comunità politica che esiste per natura.
di Luca De Netto
Luca De Netto, avvocato, è Presidente del Centro Studi Internazionale “EUROPAITALIA”
di Antonio Caragliu
Anche questo 2 giugno, dedicato come ogni anno alla celebrazione della Repubblica Italiana, volge all’imbrunire. Il Presidente della Repubblica ha ricordato l'”incubo globale” del coronavirus e si è appellato alla “volontà di un nuovo inizio”. Ha riconosciuto i diritti della dialettica politica e del confronto tra posizioni diverse, ma, allo stesso tempo, ha affermato il valore di «qualcosa che viene prima della politica e segna il suo limite. Qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro. Una generazione con l’altra. Un territorio con l’altro. Un ambiente sociale con l’altro. Tutti parte di una stessa storia. Di uno stesso popolo».
Non credo che la religione civile dell’unità morale e dell’unico destino sia in grado di animare la Repubblica italiana. Credo cioè che la crisi che stiamo vivendo non sia determinata dalla cattiva realizzazione del progetto civile predicato dal nostro Presidente. La crisi mette in discussione la stessa concezione di quel progetto.
Nel suo capolavoro “La libertà e la legge” (1961) Bruno Leoni rileva che “la mitologia del nostro tempo non è religiosa, ma politica; e i miti principali sembrano essere, da una parte, la “rappresentanza” del popolo, e dall’altra la pretesa carismatica dei leader politici di possedere la verità e di agire di conseguenza”.
Nei nostri tempi postmoderni la pretesa di possedere la verità è per lo più venuta meno: troppo impegnativa e troppo facilmente soggetta a smentita. Ma l’orizzonte mitologico denunciato da Leoni, ovvero l’orizzonte di una socialità assorbita dallo stato e dai suoi “rappresentanti democratici” in nome del bene comune, continua a costituire l’orizzonte nel quale pensiamo la politica.
È un orizzonte distorcente, che all’atto pratico dimostra di non avere più presa sui problemi e sulla realtà. È un orizzonte deludente ed opprimente, perché totalizzante.
L’unica forza spirituale in grado di liberarci da questa pretesa totalizzante è il cristianesimo, non una generica religione civile giacobina (e quindi non un cristianesimo ridotto a religione civile giacobina). L’emancipazione da questa pretesa totalizzante è il prerequisito spirituale per dare spazio alla concretezza, al realismo e ad una solidarietà libera da ipoteche ideologiche.
E, forse, alla luce di quella stessa concretezza e di quello stesso realismo, se la Repubblica italiana non funziona possiamo anche giungere alla conclusione che il problema non sono i suoi cittadini, non sufficientemente dediti al sacrificio e all’ascetismo civico, ma è la Repubblica italiana e la sua unità. Un’unità tutta statale e ben poco morale.
2 GIUGNO, FESTA DELLA REPUBBLICA. MONS. ICS RICORDA LEONE XIII…
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, mons. ICS proprio oggi, nell’occorrenza della festa della Repubblica Italiana, ha voluto inviarci una memoria storica di un grande pontefice, Leone XIII, e delle su fortissime dichiarazioni contro la Massoneria, che come ben sappiamo ha giocato un ruolo non irrilevante dell’unificazione del Paese, e in tutto il Novecento, e adesso…ciascuno può giudicare con i suoi occhi, osservando trame e legami sovranazionali e sovra confessionali. Come ho già fatto forse in passato, vi suggerisco, sia pure con le dovute tare, la lettura dell’opera di Gioele Magaldi, e soprattutto dell’opera di p. Paolo Siano. Buona lettura.
§§§
Caro Tosatti. vorrei solo, nella ricorrenza del 2 giugno che festeggia la nascita della Repubblica italiana, fare un brevissimo excursus storico, grazie a documenti di Magistero scritti da un grandissimo papa, Leone XIII.
Senza commenti.
Nel 1884 Papa leone XIII (fu papa dal 1878 al 1903) scrisse l’Enciclica “Humanum Genus” per denunciare i rischi che rappresentavano per l’intera umanità, le sette segrete (massoneria).
In Italia le logge erano persino il punto d’appoggio del Governo (Depretis).
Soprattutto il Papa evidenziava la macchinazione per togliere di mezzo il potere spirituale del Pontefice e far scomparire dal mondo il Pontificato. La stampa dell’epoca soprattutto quella protestante tedesca e liberale francese furono naturalmente ferrocementi ostili al documento.
Subito dopo il Sant’Officio emanò istruzioni per tutti i vescovi del mondo. Otto anni dopo (1892) Leone XIII scrisse, nell’Enciclica “Custodi di quella fede” che detta setta era nemica dell’Italia perché il suo patriottismo è orientato solo al dominio.
Dieci anni dopo la Humanum Genus, nella Lettera apostolica “Praeclara gratulationis” (1894), Leone XIII specificò che il fine di questa setta è la distruzione della religione cattolica e dell’ordinamento civile (matrimonio, famiglia, istruzione, educazione).
In questa stessa Lettera dichiara che la setta proclama il culto della natura e pretende di regolare la verità solo secondo questa, in modo che l’uomo ritorni al costume di vivere pagano.
Altri otto anni dopo, nel 1902 Leone XIII scrive la Lettera Apostolica “Annum ingressi” in cui ribadisce che detta setta è nemica di Dio e della Chiesa, essendo personificazione permanente della rivoluzione ed agisce grazie ad una rete che abbraccia tutte le nazioni in collegamento con altre sette, infiltrata in tutti gli ordini sociali formando uno stato invisibile. Dice anche che (- piena di spirito di Satana -) vanta fini umanitari e pur professando rispetto anche alla religione, mira allo sterminio del sacerdozio e degli ordini religiosi. Leone XIII concluse la Humanum Genus ricordando i Papi suoi predecessori che hanno combattuto la setta. Da Clemente XII (nelle Costituzione “In eminenti” 1738) a Benedetto XIV (nelle Cost. “Providas” 1751), Pio VII (nella “Ecclesiam a Jesu Christo” 1821).
Leone XII (in “Quo graviora” 1825).
Altri Papi che ratificarono la condanna furono Pio VIII nel 1829, Gregorio XVI nel 1832, e finalmente Pio IX nel 1846 (nella famosa “Qui pluribus”).
Solo per memoria storica.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.