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mercoledì 8 luglio 2020

Nel mare di silenzio

Omofobia, libertà e verità: la lezione di Ruini e Crepaldi

Due recenti interventi del cardinale Ruini e dell'arcivescovo Crepaldi criticano duramente il disegno di legge Zan sull'omofobia, lodando la nota CEi e criticando Avvenire. Ma soprattutto pongono il tema del rapporto tra libertà e verità in un mondo in cui domina il relativismo che si fa assolutismo.



Le parole del cardinale Camillo Ruini e dell’arcivescovo Giampaolo Crepaldi a proposito della legge Zan cosiddetta contro l’omotransfobia hanno brillato nel mare di silenzio degli altri vescovi e hanno riproposto con vivacità il modo di ragionare messo a punto da Benedetto XVI. Ambedue gli interventi hanno infatti una chiara impostazione ratzingeriana.

Il Cardinale Ruini aveva parlato della legge di prossima discussione parlamentare il 2 luglio, durante una tavola rotonda on line condotta con monsignor Nicola Bux e il senatore Gaetano Quagliariello e aveva ripreso il concetto di “dittatura del relativismo” elaborato con fini argomentazioni da papa Ratzinger: «In nome di alcune idee si ritiene non solo di poterle affermare, ma di criminalizzare idee diverse. E quindi un relativismo che diventa in realtà un assolutismo». Il relativismo – aveva insegnato Benedetto XVI – è contraddittorio per due motivi. Il primo è che non può essere né argomentato né dimostrato, dato che per farlo bisogna ritenere possibile dimostrare una verità, compresa quella secondo cui non esiste nessuna verità, ma questo è proprio quanto il relativismo vuole negare. Il secondo è che diventa necessariamente totalitario, impedendo non solo di dire le proprie opinioni, ma soprattutto di dire delle opinioni che abbiano la pretesa di essere vere, non solo opinioni ma verità. Il relativismo tollera tutte le opinioni, ma non tollera la verità. E la legge Zan ne è un esempio.

L’arcivescovo Crepaldi lo ha fatto con una sua Nota post missam di domenica scorsa 5 luglio. Anche secondo lui si tratta di “un’iniziativa legislativa che mette a rischio la libertà di espressione. Se si concede la possibilità di censurare giuridicamente e penalmente non delle offese, ma semplicemente delle opinioni e delle verità di ordine antropologico e morale diverse da quelle dei proponenti il Disegno di legge, come per esempio la differenza fra uomo e donna, allora veramente la nostra libertà  – quella di tutti, non solo quella dei cattolici – è in pericolo”.

Anche in questo caso si tratta sì della libertà di opinione, ma non solo, si tratta piuttosto della possibilità di esprimere una verità circa l’uomo e la donna e di fare riferimento ad un ordine. Ambedue gli interventi non si limitano a segnalare il pericolo per il diritto soggettivo di espressione, chiamiamolo il diritto in senso liberale, ma vanno più in profondità e indicano nella possibilità di riferirsi ad un ordine oggettivo della verità e del bene la vera garanzia della stessa libertà di espressione. Ciò che conta è la libertà della verità, o la libertà nella verità. Solo questa infatti, e non la mia semplice opinione, mi dà il dovere / diritto di oppormi al potere politico che compie il male o che confonde il bene e il male. È quanto diceva Giovanni Paolo II nella Centesimus annus: “il totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso oggettivo”.

C’è anche un altro punto interessante che accomuna gli interventi del cardinale Ruini e dell’arcivescovo Crepaldi. Si sa che la Conferenza episcopale italiana è intervenuta il 10 giugno scorso con una Nota per dire che una nuova legge non serve perché le discriminazioni sono già punite e approvarla aprirebbe ad una deriva liberticida. Si sa anche, però, che Avvenire prima di tutti, e poi molti altri giornali cattolici hanno battuto una strada diversa, aprendo ad una interlocuzione con la nuova legge.

Ora, il cardinale Ruini loda l’ìntervento della CEI e critica il comportamento ambiguo di Avvenire, sostenendo che «giornali cattolici continuano a essere piuttosto ambigui, a dire, “sì, è così, sotto un certo aspetto, però ci sono anche altre interpretazioni possibili”». E il vescovo Crepaldi considera “tempestiva e chiara la nota” dei vescovi, facendo indirettamente capire che né tempestivi né chiari sono stati altri interventi del mondo cattolico. Ad essere precisi, la Nota non era stata tempestiva, ma partorita a fatica dopo un lungo silenzio non ulteriormente giustificabile, era anche molto breve e si limitava a fare riferimento ad un generico diritto di espressione senza rivendicare i diritti della verità nella cosa pubblica. Per questo le sottolineature positive della Nota da parte dei due Prelati hanno il senso di stigmatizzare le incertezze del quotidiano dei vescovi più che lodare l’intervento CEI.

In altre parole mostrano una situazione di difficoltà interna alla Chiesa davanti all’ennesimo appuntamento con una legge distruttiva dell’umano. Oggi ci troviamo a usare parole di apprezzamento per questi interventi di due importanti personalità ecclesiastiche, come per tirare un sospiro di sollievo perché finalmente qualcuno parla, e questo è certamente segno di uno smarrimento di notevole portata, perché rimanda indirettamente ai tanti altri silenzi di uomini di Chiesa, alla palude ecclesiastica della maggioranza silenziosa.

Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/omofobia-liberta-e-verita-la-lezione-di-ruini-e-crepaldi

Una legge che merita solo disobbedienza. In piazza contro la Legge Zan e la “Verità di Stato”.

Una legge che merita solo disobbedienza.
In piazza contro la Legge Zan e la “Verità di Stato”
 Samuele Cecotti
a nome del Coordinamento Nazionale Justitia et
Pax per la Dottrina sociale della Chiesa
Il “Coordinamento Nazionale Justitia et Pax per la Dottrina sociale della Chiesa” aderisce formalmente alla campagna RestiamoLiberi (https://www.restiamoliberi.it/ ) giudicando il ddl Zan sull’omotransfobia espressivo di una ratio totalitaria tesa a soffocare la libertà e a mettere fuori legge la verità in nome di una ideologia, quella gender, che nega la naturale complementarietà sessuale maschio-femmina e l’ordine finalistico della sessualità umana. Alla pretesa totalitaria di imporre per legge una ideologia negatrice dell’ordine naturale, reatizzando l’espressione della verità antropologica razionale e cristiana, si deve rispondere rivendicando la vera libertà che poggia sulla verità oggettiva delle cose, richiamando il dovere per ogni legge di essere conforme alla lex naturalis, dichiarandosi pronti a disobbedire all’eventuale legge che istituisse il reato di omotransfobia per dovere di coscienza verso la verità.
Se approvato, il ddl Zan farebbe implicitamente dell’ideologia gender una “verità di Stato” ponendo, per contro, fuori legge l’unanime giudizio biblico-cristiano sull’omosessualità, il Magistero costante della Chiesa in materia e la stessa semplice riflessione razionale classica sulla sessualità (ad es. quanto scrivono Aristotele – Etica Nicomachea, 1148b, 24-30 – e Platone – Leggi 836 B e C- circa l’omosessualità). In un colpo solo sarebbero fuori legge la Sacra Scrittura, il Catechismo della Chiesa Cattolica, l’Etica a Nicomaco di Aristotele, le Leggi di Platone, un gran numero di scritti di Santi e di Papi e, perché no?, ad es. la stessa Divina Commedia dove Dante descrive i sodomiti all’inferno. L’intera civiltà classico-cristiana, nel suo giudizio sulla sessualità umana, si troverebbe dichiarata fuori legge!
Proprio per contrastare questa deriva totalitaria che passa attraverso l’imposizione per legge dell’indottrinamento gender nelle scuole di ogni ordine e grado, nella conversione dell’agenda LGBT in presunti “diritti” e finanche nella minaccia del carcere e della “rieducazione” per quanti ancora si “ostinano” nella verità antropologica concordemente colta dalla retta ragione e insegnata dalla Chiesa in obbedienza alla Divina Rivelazione antico e neo testamentaria, è necessario alzare la voce per dire NO! No all’ideologia gender, No alla pretesa di imporre per legge una “verità di Stato”, No al totalitarismo postmoderno che si va instaurando!
In nome della verità e della libertà onesta ci si deve alzare in piedi e dire a chiara voce che il ddl Zan non deve essere approvato e che, se malauguratamente fosse votato dal Parlamento e promulgato come legge dal Presidente della Repubblica, non sarebbe ugualmente vera legge ma corruptio legis (S.Th. I-II, q. 95, a. 2), norma illegittima perché in contrasto con il diritto naturale, dunque incapace di obbligare e cui anzi ogni uomo di retta ragione non potrà che disobbedire.
Il Coordinamento Nazionale Justitia et Pax per la Dottrina sociale della Chiesa aderisce, dunque, convintamente, e invita ad aderire alla campagna RestiamoLiberi  chiedendo a tutti gli uomini di buona volontà amanti della vera libertà di scendere in piazza per manifestare contro il ddl Zan in discussione in Parlamento.

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Riproponiamo, come contributo d’idee alla battaglia culturale per la vera libertà, la Dichiarazione del Coordinamento già resa pubblica nei giorni scorsi con il titolo NON DEVE DIVENTARE ILLECITO DIRE LA VERITÀ.
“La proposta di legge Zan mira a punire coloro che esprimano forme di intolleranza nei confronti delle persone ad orientamento omosessuale, transessuale o bisessuale. Essa riprende e sviluppa la proposta di legge Scalfarotto già presentata nelle precedenti legislature. Su queste finalità della proposta di legge facciamo tre valutazioni di merito.
Alla base di questa legge c’è quanto Benedetto XVI chiamava “tolleranza negativa”, la quale, secondo lui, avrebbe preparato la strada a nuove forme di totalitarismo: “La vera minaccia di fronte alla quale ci troviamo è che la tolleranza venga abolita in nome della tolleranza stessa”. Tolleranza negativa comporta per esempio di non ammettere che si dica in pubblico che la famiglia è solo quella naturale tra uomo e donna per non essere intolleranti verso altre forme di famiglia. Vorrebbe anche dire di impedire di affermare in pubblico che la vera sessualità umana è quella tra uomo e donna per non discriminare altre forme di esercizio della sessualità. Quando questo venisse disposto per legge diventerebbe illecito dire la verità. Non solo la Chiesa cattolica non potrebbe più proporre gli insegnamenti biblici in materia, ma ogni cittadino non potrebbe più fare riferimento ad una natura umana eticamente normativa, ad una verità fonte di divieti morali assoluti, ad un ordine delle cose che richiede di essere rispettato. Non si vieterebbe solo la libertà di esprimere una opinione ma quella di dire la verità. Essa lederebbe direttamente la libertà di espressione, religiosa e di insegnamento, ma soprattutto eliminerebbe il fondamento stesso, oltre che l’esercizio, della libertà, ossia la verità, senza della quale la libertà diventa pura opinione infondata.
Ogni legge è espressione della pubblica autorità. Questa è legittimata ad attribuire un valore pubblico a taluni comportamenti solo se promuovono il bene comune. Quando una legge disciplina normativamente una qualche realtà comportamentale o relazionale anche la riconosce come meritevole di tutela giuridica in quanto ordinata al bene comune. Il bene comune è infatti il fine ultimo e vero dell’autorità politica, quello che anche la legittima. Stabilito questo fondamento dell’attività politica e giuridica, occorre poi chiedersi quale debba essere il criterio con cui l’autorità politica può procedere a riconoscere o non riconoscere pubblicamente determinati comportamenti. Il criterio in questione è quello della natura dell’uomo e dell’ordinamento naturale e finalistico della convivenza sociale. Questa non è, infatti, frutto di convenzione, di decisione volontaristica del potere o di semplice prevalenza di voti ma è connaturata con la natura umana e con la sua naturale socialità, intesa non come una inclinazione soggettiva polivalente e indifferente ai contenuti ma come espressione di un fine pienamente umano da raggiungere. Ogni negazione dell’ordine naturale delle relazioni umane ordinate al bene è da considerarsi una forma di violenza.
Una volta stabiliti questi criteri fondamentali, ne risulta che non ogni comportamento sessuale è meritevole di disciplina e tutela pubblica, ossia di passare dalla forma dell’esercizio de facto alla forma dell’esercizio riconosciuto come buono dall’autorità politica perché utile o addirittura indispensabile al bene comune. Una volta accolto sul piano politico il principio che ogni atteggiamento sessuale ha il diritto di transitare dal piano fattuale al piano del riconoscimento pubblico, si perderà qualsiasi possibilità di dire di no ad atteggiamenti come la pedofilia, l’incesto, la poligamia/poliandria (magari nella versione post-moderna del poliamore) o l’utero in affitto che purtroppo il sistema giuridico di qualche Paese ha già contemplato come diritti. Quando viene a mancare il criterio, la deriva negativa è inarrestabile.
Alla base della legge Zan c’è quindi un errore politico, un errore etico e un errore antropologico. Viene fatta coincidere la dignità della persona con l’espressione di una libertà intesa come autodeterminazione priva di criteri ossia priva di ragioni. L’autorità politica non può fare propria una simile concezione, perché il principio di autodeterminazione assoluta è dissolutivo della coesistenza sociale, della politica e del diritto. Se la politica dovesse riconoscere e tutelare qualsia forma di autodeterminazione individuale rinuncerebbe alla propria natura e legittimerebbe qualsiasi percorso. La dignità della persona sta nella sua essenza di uomo, essenza che diventa normativa anche per la sua libertà. La politica non dovrebbe accettare e fare proprio, proponendolo così anche come esempio politicamente tutelato, un esercizio sistematico della libertà contrario alla normatività che promana dall’essenza dell’uomo stesso. Ciò equivarrebbe a dividere la libertà dal bene da cui invece è sostanziata”..

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