ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 22 luglio 2020

Non ci son più le donne di una volta..

DONNE "PRETE" IN SVIZZERA
Tutti a Messa da Anita e Karin. È la liturgia indipendente

Laici sull'altare per una celebrazione in tutto e per tutto identica alla Messa con l'eccezione della consacrazione e per due domeniche al mese una donna con camice e stola. A Lucerna, nella Svizzera tedesca, il sogno del laico al posto del prete e delle donne-sacerdote si avvicina a larghe falcate, con la benedizione dei vescovi dopo una sperimentazione di 4 anni: «Le donne e gli uomini che prestano servizio in chiesa hanno sviluppato una forma liturgica indipendente». Indipendente da Roma, ovviamente e dalla natura sacramentale della Messa. Quando il clericalismo dei laici è usato per attaccare la figura del sacerdote con la scusa del calo di vocazioni. Anche se i numeri non lo giustificano affatto.



Libertà interpretative, quid soggettivi, “secondo me” a discrezione dei vescovi. L’arbitrarietà in campo liturgico con annessi abusi nel coinvolgimento dei laici negli uffici propri del clero e nell’amministrazione dei Sacramenti ha raggiunto vette elevate.

Prova ne è che l’Istruzione della Congregazione del clero presentata lunedì dal sottosegretario monsignor Andrea Ripa, nasce proprio per limitare la libertà al limite della licenza con la quale i vescovi hanno concesso ai laici spazi non propri fino a clericalizzare la loro partecipazione alla vita della Chiesa. O almeno questo, al netto delle illazioni e dei sospetti aperturisti, che pure sono legittimi, è l’obiettivo dichiarato.

C’era bisogno di un documento del genere che i giornali invece hanno interpretato come un malizioso via libera ai laici in clergy? Per rispondere a questa domanda è bene chiedersi quali siano le realtà più a rischio nel campo della presenza laicale a Messa.  

Per comprendere la necessità di un’Istruzione che mettesse dei paletti nel far west liturgico contemporaneo, ad esempio, è bene fare un salto in Svizzera dove da tempo i laici hanno conquistato una «forma liturgica indipendente» con la scusa della carenza dei sacerdoti, che poi, vedremo, carenza vera e propria non è. Indipendente da cosa? Da Roma, ovviamente.

Nel cantone tedesco di Lucerna ad esempio non è raro trovare al sabato o alla domenica donne che “celebrano” la messa con tanto di paramenti sacri addosso. Una messa completa, dall’omelia alla distribuzione della Comunione fino alla proclamazione del Prefatio, l’epiclesi finale ad eccezione delle parole della consacrazione dato che le Ostie erano già state consacrate precedentemente da un prete.



Siamo nei pressi di Lucerna, nella località turistica di Rigi Kaltbad First. È tra queste incantevoli montagne che sorge una cappella settecentesca dedicata a “San Michele tra le rocce” nella quale tutte le domenica a “celebrare” per il popolo sono alternativamente un fedele maschio e una donna.

Domenica scorsa era il turno della signora Anita Wagner. Altre volte la meditazione è affidata a Karin Martin mentre domenica prossima sull'altare salirà Emilio Naf. Come si può vedere è a loro che è affidato il Gottendienst, che letteralmente significa “servizio liturgico”. Non è la Messa, ma è tutto ciò che c’è nella Messa ad eccezione delle parole della Consacrazione. Ben oltre dunque la classica Liturgia della Parola che si celebra in assenza del prete.


La cosa non è affatto nuova in Svizzera. A Lucerna "celebra" Judith von Rotz. Anzi, è la conclusione di un percorso di sperimentazioni iniziato 4 anni fa e concluso proprio in questi giorni con l’immissione per via ufficiale di veri e propri predicatori della domenica e “preti per caso", diciamo così: il sogno del sacerdozio femminile che si avvicina a larghe falcate.

Scrive Paul Hugentobler, diacono della Regione Ecclesiastica di Lucerna, che fa capo a quella di Basilea: «A nome dei vescovi svizzero-tedeschi, le donne e gli uomini che prestano servizio in chiesa hanno sviluppato una forma liturgica indipendente per quattro anni e l'hanno sperimentata nelle loro parrocchie. Dove nessun sacerdote di una parrocchia può celebrare l'Eucaristia il sabato o la domenica, la celebrazione della Parola di Dio deve essere mantenuta».

La forma liturgica indipendente prevede anche momenti, per così dire, misti, vale a dire celebrazioni in cui il prete è presente per la proclamazione del Vangelo e la consacrazione, mentre al laico sono demandate tutte le altre parti della Messa, compresa la predicazione, la distribuzione della Comunione e le preghiera di offertorio, colletta etc…

D’altra parte, non c’è da stupirsi. E' la stessa Chiesa svizzera dove in una diocesi è stato scelto un vicario episcopale donna. Nella Chiesa svizzera, come in Germania, ogni parrocchia è una sorta di piccola impresa che si finanzia con la tassa ecclesiastica: c’è bisogno di dare tanto lavoro. Chi studia teologia ad esempio, viene assegnato ad una parrocchia e così può garantirsi il lavoro per tutta la vita. A curare la celebrazione dunque non è il prete, che diventa un soggetto tra i tanti, il più delle volte assente, ma il leitung, il direttore e la Messa diventa niente più che un evento sociale sganciato dalla dimensione sacerdotale che le è connaturata.

Dal video, i fedeli presenti non sembrano manifestare sorpresa, segno che alla lunga, a tutto ci si abitua. Sul sito della diocesi poi, ad ogni messa è spiegato bene chi è il Predigt, il predicatore, e non di rado si possono trovare donne vestite di tutto punto, dalla tunica alla stola. Il tutto ovviamente è portato avanti con la scusa della carenza di preti, che sta diventando il lasciapassare per gli abusi più impropri. Ma è davvero così?

Stando ai numeri non si direbbe. La Diocesi di Basilea non è per nulla diversa da una qualunque altra diocesi europea che vive il calo delle vocazioni, ma non per questo si rifugia in queste paraliturgie come surrogati della Messa. Anzi, per certi versi ci sono realtà che potrebbero stare peggio della località elvetica.

Con i suoi 1.044.013 battezzati, la diocesi ha 584 sacerdoti, vale a dire 1.787 battezzati per sacerdote. Non sono numeri più drammatici di altre realtà. A Milano ad esempio cambiano i numeri ovviamente, ma le proporzioni non sono dissimili: 1.900 battezzati per sacerdote. Mentre in una diocesi di medie dimensioni come quella di Modena troviamo addirittura 2.184 battezzati per sacerdote. Eppure, sotto la Ghirlandina pur a fatica, a celebrare Messa continuano ad essere i preti. Anche Torino ha circa 2000 battezzati per sacerdote.

Ma forse il problema non è la carenza dei sacerdoti, bensì la mancanza di fede che ha generato una deriva così clericalista nei paesi d’influenza teutonica. Influenza che si sta cercando di estendere anche all’Area Mediterranea. In fondo, anche questi esperimenti, guarda caso poi sempre approvati, non sono altro che l’ennesimo colpo al sacerdozio, del quale l’uomo moderno ha capito che può fare sempre più a meno, da quando la Messa non è altro che un servizio.

Andrea Zambrano
https://lanuovabq.it/it/tutti-a-messa-da-anita-e-karin-e-la-liturgia-indipendente

FRANKENSTEIN TRANS
L'utero agli uomini: la norma di un mondo ribelle

Il chirurgo Christopher Inglefield afferma che un uomo che si crede donna può farsi impiantare un utero e tramite la fecondazione artificiale rimanere incinto. Se infatti accettiamo che un uomo che si percepisce donna sia per diritto tale, dobbiamo credere che sia un suo diritto anche averne uno. Poco importa che il bebè sarà partorito da un uomo (forse suo padre?), importa solo il best interest del transessuale. 



Il tabloid inglese The Mirror riporta la seguente notizia: «Il chirurgo Christopher Inglefield, fondatore della London Transgender Clinic, afferma che ora è possibile realizzare con successo un impianto di utero in una trans-femmina». Ossia un uomo che si crede donna potrebbe farsi impiantare un utero e così, tramite le tecniche di fecondazione artificiale, rimanere incinta/o.

Inglefield, novello Dott. Frankenstein per la comunità LGBT, è sicuro del buon esito perché l’operazione non sarebbe dissimile da quella che avviene per il trapianto di utero nelle donne sterili (nel 2017 nacque in Brasile il primo bambino partorito da donna a cui era stato impiantato l’utero). «Gli ormoni supplementari – aggiunge il Nostro - potrebbero essere assunti per replicare i cambiamenti che si verificano nel corpo durante la gravidanza di una donna». Ahinoi, conclude Inglefield, la mamma trans non potrebbe però partorire normalmente, ma solo con il cesareo.

Domanda: ma un transessuale può legalmente accedere alle tecniche di fecondazione artificiale, tecniche indispensabili per concepire in questo specifico caso? Risponde un portavoce dell'Human Fertilization and Embriology Authority, l’ente governativo competente per le tecniche di fecondazione extracorporea: «Posso confermare che, per quel che ci consta, non esistono attualmente regolamenti che impediscano a una persona che ha ricevuto un trapianto di utero di sottoporsi a un trattamento di fecondazione in vitro. […] E, come indicato nella legge, la persona che è gravida o che lo è stata a seguito di un trasferimento di embrioni o inseminazione artificiale è considerata come la madre del bambino alla nascita». Inoltre, non si richiede che chi si sottopone a queste tecniche dichiari di essere donna. E anche se fosse richiesto, il transessuale femmina agli occhi della legge è donna a tutti gli effetti.

Il senso di ribrezzo o perlomeno di straniamento che proviamo noi comuni eterosessuali privi di disforie di genere nell’apprendere tutto ciò è brillantemente superato dal medico inglese: «Una volta che la comunità medica accetterà questo intervento come trattamento per cis-donne con infertilità uterina, come l'assenza congenita di un grembo materno, sarebbe illegale negarlo ad una trans-femmina che ha completato la sua transizione». Traduciamo dalla neolingua LGBT all’italiano: una volta che la comunità scientifica avrà accettato questo intervento per le donne non si vede perché non dovrà accettarlo anche per gli uomini che si credono donna. Il ragionamento non fa una grinza se accettiamo che un uomo che si percepisce come donna sia per il diritto realmente una donna. Come donna è suo diritto avere un utero funzionante. Poco importa che il bebè sarà partorito da un uomo e forse da suo padre – posto che il trans abbia fornito lo sperma e dunque conservi qualcosa della sua mascolinità nelle zone dei genitali – importa il best interest del transessuale.

L’intervento preconizzato da Inglefield potrebbe intendersi come l’upgrade dell’utero in affitto. Se abbiamo accettato che ci sia una donna che porti avanti una gravidanza per conto terzi, non si vede perché quell’utero non possa appartenere direttamente ad un uomo, senza troppi passaggi intermedi. Sarebbe una scorciatoia per tagliare la filiera della filiazione su commissione: una filiazione a KM Zero.

La proposta di Inglefield fa comprendere bene non solo che il bambino è un pacco dono, ma che l’utero non è più il luogo sacro dove si sviluppa la vita, bensì un mero incubatore. Ora potrà accadere che le donne trans, ossia donne che si credono uomini, spingeranno perché gli scienziati, per par condicio, permettano anche loro di concepire con il trapianto di pene e testicoli. Perché la vera uguaglianza non è più essere chi madre natura (o papà Dio) vuole che tu sia, ma è prendere il posto di un altro o di un’altra.

Tommaso Scandroglio
https://lanuovabq.it/it/lutero-agli-uomini-la-norma-di-un-mondo-ribelle

BUONE SMENTITE
Sondaggio globale: il mondo crede ancora in Dio

«The Global God Divide»: è il nuovo report del Pew Research Center che nel 2019 ha intervistato oltre 38.000 persone di 34 Paesi. È emerso che il mondo è molto credente: il 45% riconosce apertis verbis la necessità di credere in Dio. Una convinzione radicata in Paesi come l’slamica Indonesia e le cattoliche Filippine (96%), molto meno in Europa (22%) ma presente negli Stati Uniti (44%). L'Italia dà brutti segnali, l'ex Urss di molto buoni.


Il pianeta si sta secolarizzando oppure no? La popolazione mondiale ha ancora fede? E che importanza attribuisce a Dio nella vita di tutti i giorni? Hanno l’ambizione di offrire una risposta a questi quesiti, le quaranta pagine «The Global God Divide», il nuovo report del Pew Research Center. Si tratta di una ricerca che, ora tramite contatto telefonico ora attraverso colloqui faccia a faccia, ha complessivamente interpellato nel 2019 oltre 38.000 persone provenienti da 34 Paesi - dall’India al Kenya, dagli Stati Uniti al Giappone -, a loro volta rappresentativi dei sei Continenti.

Una vera e propria fotografia della religiosità globale, insomma. Che, lo diciamo subito, ha rilevato delle sorprese. Infatti, nonostante le previsioni - e forse gli auspici - di alcuni, il primo dato emerso da questo lavoro è che il mondo è tutt’ora credente, anzi molto credente. Lo prova il fatto che quasi una persona su due (45%), in conflitto con una visione intimistica e privatizzata del credo, riconosca apertis verbis la necessità, per vivere rettamente ed avere buoni valori, di credere in Dio. Una convinzione radicatissima in Paesi come l’slamica Indonesia e le cattoliche Filippine (96%), molto meno in Europa (22%) ma ben presente negli Stati Uniti (44%).

Un secondo dato emergente da «The Global God Divide» è quello della quota di popolazione mondiale secondo cui la religione e Dio rivestono un ruolo importante nella vita. Essa ammonta al 62%. Più bassa, ma non troppo, la quota di quanti attribuiscono importanza alla preghiera (53%). Ora, siccome quanti dichiarano apertamente importanza alla religione e alle preghiera sono notoriamente solo una parte del totale dei credenti, ciò che il Pew Research Center ci sta dicendo è che il mondo oggi non è religioso: è molto religioso. Lo aveva già osservando, basandosi su altri dati, il sociologo Rodney Stark nel suo The Triumph of Faith (2015), ma ora ne abbiamo una nuova conferma, alla faccia dei tanti profeti della secolarizzazione.

Tutto bene dunque? Non esattamente. Infatti, in questo rapporto globale della fede c’è anche qualche ombra. E riguarda, ahinoi, proprio l’Italia che, dati alla mano, emerge sostanzialmente come un Paese che sta voltando le spalle a Dio. Non si spiega, altrimenti, come appena il 30% dei nostri connazionali sostenga un legame tra la fede e la moralità, una percentuale più elevata di quella francese (15%) e inglese (20%) ma inferiore a quella tedesca (37%) e greca (53%); in ogni caso, un dato assai sconfortante per una nazione che nell’immaginario collettivo avrebbe nel cattolicesimo una delle propri tratti identitari.

Anche con riferimento alla quota di quanti dichiarano Dio importante nella loro vita, l’Italia sta letteralmente franando (-21% dal 1991 al 2019), mentre invece risultano in netta ripresa i Paesi dell’ex Urss come Russia (dal 40 al 46%: +16), Bulgaria (dal 41 al 55%: +14) e Ucraina (dal 50 al 62%: +12).  Dati, questi ultimi, che certificano un aspetto di grande rilevanza, ossia la reversibilità della secolarizzazione e del laicismo. Basti qui ricordare che, sotto il regime sovietico, la frequenza ai luoghi di culto fosse irrilevante, dato che interessava meno del 5 per cento della popolazione. Eppure, oggi, in quegli stessi Paesi vissuti per decenni nella morsa dell’ateismo di Stato la religiosità sta rifiorendo.

Quanto all’Italia, per tornare a noi, il Pew Research Center conferma che siamo ormai, pure noi, terra di missione, da evangelizzare. Come si sia potuti arrivare a questo punto, evidentemente, è un interrogativo che dovrebbero porsi un po’ tutti i pastori, a partire da quelle gerarchie ecclesiastiche che da anni hanno preso, ammorbidendo i toni e smussando omelie ormai sterilizzate nella filantropia, a strizzare l’occhio alla cultura dominante. Ciò non toglie come ciascuno di noi, in realtà, sia chiamato ora ad evangelizzare: lo chiede il Vangelo e lo esige un popolo spiritualmente anestetizzato. Al contrario di un mondo che nel suo complesso, come abbiamo visto, resta molto religioso.

Giuliano Guzzo
https://lanuovabq.it/it/sondaggio-globale-il-mondo-crede-ancora-in-dio

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