ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 14 luglio 2020

Una pia illusione..?

Don Morselli: “Non è il Concilio la causa di tutti i mali”

Cari amici di Duc in altum, nel dibattito in corso sul Concilio Vaticano II si aggiungono le considerazioni di don Alfredo Maria Morselli.

***
Caro Valli, le recenti esternazioni sul Vaticano II da parte di alcuni Pastori, che per altro considero maestri, e del cui insegnamento condividevo tutto fino a ora, non mi trovano del tutto d’accordo. Vorrei, con grande rispetto nei loro confronti, intervenire nel dibattito e precisare alcuni concetti che ritengo essenziali. Chiedo quindi ospitalità nel suo blog. Preciso inoltre che non intendo attribuire direttamente a nessuno in particolare gli errori che denuncio qui di seguito, ma vorrei solo evidenziare i pericoli che si potrebbero correre, nella doverosa comune santa opposizione alla crisi neo-modernista.
Tesi sul Concilio
1) L’attuale crisi è di proporzioni mai viste ed è sostanzialmente neo-modernista, e molto più grave qualitativamente della crisi modernista dei primi anni del Novecento.
2) Tra il Concilio e l’attuale crisi non c’è un semplice rapporto di causa-effetto.
2.1) La preparazione della crisi è cominciata molto prima del 1960.
2.2) Senza un terreno adatto (un’ampia corruzione dei costumi con conseguente ottenebramento dell’intelletto, anche tra Pastori e teologi) il neo-modernismo non avrebbe attecchito. [Una sorta di parabola del seminatore al contrario: il seme dell’errore germina solo sul terreno cattivo].
2.3) L’attuale pontificato è stato teorizzato e preparato ben prima dell’opera della cosiddetta “Mafia di San Gallo”.
3) Bisogna distinguere tra i documenti conciliari e ciò che è successo dopo.
3.1) Il fatto che molte deviazioni dalla verità siano state compiute in nome del Concilio non implica che sia vera la relazione di causalità diretta, per altro invocata da chi ha perpetrato le suddette sciagurate innovazioni.
3.2) Non è cattolico negare l’assistenza dello Spirito Santo anche nel corso dell’ultimo Concilio, quasi che in esso non vi sia stato nulla di buono.
4) Gli stessi testi conciliari contengono alcune frasi formulate in modo ambiguo, le quali forniscono ai neo-modernisti un appiglio per interpretarle nella maniera peggiore. 
5) Quasi tutte le problematiche dei testi conciliari sono state risolte – purtroppo solo teoricamente – dai successivi documenti: in particolare il Catechismo della Chiesa cattolica, Veritatis splendorDominus JesusFides et ratioEcclesia de EucharistiaRedemptoris missio, risposta della Congregazione per la dottrina della fede sul “subsistit”.
6) I guai sono derivati, più che dalle singole frasi formulate male, dalla scelta di esprimersi in modo non definitorio, modo sciagurato quando la situazione di crisi avrebbe richiesto la più esplicita e ferma chiarezza.
7) Non bisogna neppure dimenticare la tragica omissione della esplicita e formale condanna del comunismo.
8) Il fatto che il Concilio sia stato chiamato “pastorale” non implica che non si debba l’assenso alle singole affermazioni, di qualità ampiamente diversificata, ciascuna interpretata e assentita in diverso grado, secondo le oggettive regole dell’ermeneutica del magistero.
9) L’opposizione a parte del testo conciliare può essere fatta solo rimanendo nel solco della teologia cattolica propria del trattato De fide:
9.1) La fede comprende il “credere Deo”, cioè ha per oggetto una verità proposta e accttata, e non scelta.
9.2) Il Magistero rimane la norma prossima della fede, e l’adesione a esso il “primum”, in ordine di esecuzione, dell’atto di fede.
9.3) Al pari della Sacra Scrittura, il Magistero non è soggetto a “privata interpretazione”, ma solo il Magistero può interpretare se stesso in modo autentico e autoritativo.
9.4) Ne consegue che agli errori che un singolo documento (di una certa qualità dell’assenso richiesto) può contenere ci si può opporre con la modalità dei dubia, ovvero, esemplificando, dicendo: “Signora Maestra, non capisco come non ci sia contraddizione tra quanto proposto a credere fino ad ora e quest’ultima affermazione”.
La pietas nella formulazione dei dubia non implica l’assenza di fortezza e di decisione.
Conclusioni
La prospettiva che vedesse nel Concilio Vaticano II la causa di tutti i mali simpliciter è una semplificazione storicamente errata.
La prospettiva che ipotizzasse come via di uscita “azzeriamo gli ultimi sessant’anni anni e ricominciamo da Pio XII” non è cattolica ed è una pia illusione.
Alfredo Maria Morselli
***
In Duc in altum il dibattito sul Concilio Vaticano II si è articolato finora attraverso i seguenti interventi:
Carlo Maria Viganò, Excursus sul Vaticano II e le sue conseguenze, 10 giugno 2020
Aldo Maria Valli, Il Concilio Vaticano II e le origini del deragliamento, 14 giugno 2020
Aldo Maria Valli, Il Vaticano II e quell’errore fatale,  luglio 2020
Serafino Maria Lanzetta, Il Vaticano II e il Calvario della Chiesa, 13 luglio 2020
***

VATICANO II: CONTINUITÀ O ROTTURA, COMUNQUE FALLIMENTARE.




Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, abbiamo ricevuto da un amico appassionato lettore di Stilum Curiae, e che è un semplice cattolico – colto, preparato, un professionista, ma non uno specialista di teologia e di canonista – una riflessione che a mio parere è utilissima; perché nel dibattito che si è sviluppato, spesso con toni e argomentazioni da specialisti, ci riporta ad alcuni elementi di giudizio basilari, e di comune buon senso. Buona lettura. 

§§§

Ho seguito con vivissima attenzione il dibattito sul Concilio Vaticano II e sulla sua giusta interpretazione recentemente rilanciato da Mons. Viganò, e l’ho trovato intellettualmente molto stimolante. Non voglio negare di aver maturato alcune conclusioni in merito, specie con riguardo al tema dell’ermeneutica della continuità, ma, non riconoscendomi sufficiente autorevolezza per proporle al dibattito pubblico, preferisco tenerle per me.
Tuttavia, da interlocutore interessato ma non specializzato (non sono né teologo né canonista), mi permetto di osservare che, forse, la prospettiva nella quale ci stiamo collocando non è necessariamente la migliore per affrontare il tema senza finire per dividerci in base al giudizio che ciascuno possa o voglia formulare in ordine al Vaticano II.  A mio parere, al contrario, si dovrebbe assumere un atteggiamento in qualche modo prudenziale, che mi pare indispensabile in questo momento in cui la legittima resistenza alla linea che gran parte della Gerarchia vorrebbe imporre alla Chiesa ha la vitale necessità di conservare la massima compattezza.
È noto  che nel discorso, che riprendo dal sito vatican.va, con cui aprì il Concilio, Giovanni XXIII ne indicò così gli scopi: «riaffermare ancora una volta il Magistero Ecclesiastico, che non viene mai meno e perdura sino alla fine dei tempi (…) tenendo conto delle deviazioni [in latino: errorum], delle esigenze, delle opportunità dell’età contemporanea». «Infatti», proseguiva il Pontefice, «introducendo opportuni emendamenti ed avviando saggiamente un impegno di reciproco aiuto, la Chiesa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le menti alle realtà soprannaturali»; inoltre, «quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace». A conclusione del Sinodo, tre anni dopo, Paolo VI noterà: «questo Concilio tutto si risolve nel suo conclusivo significato religioso, altro non essendo che un potente e amichevole invito all’umanità d’oggi a ritrovare, per via di fraterno amore, quel Dio “dal Quale allontanarsi è cadere, al Quale rivolgersi è risorgere, nel Quale rimanere è stare saldi, al Quale ritornare è rinascere, nel Quale abitare è vivere”» (la fonte è sempre vatican.va).
Ebbene: se il Concilio si proponeva di conseguire una specie di definitiva riconciliazione tra l’uomo e la cultura moderni e la fede, assumendo questo scopo come obiettivo pastorale (cito ancora Giovanni XXIII: «va data grande importanza a questo metodo e, se è necessario, applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare quella forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale»), credo sia innegabile che tale scopo non sia stato raggiunto. Gli elementi per dirlo mi paiono numerosi, gli indizi circostanziati, le prove evidenti. Penso altresì che siamo ormai in grado di affermarlo, perché, se è vero che i tempi della Chiesa sono secolari, è anche vero che le esigenze pastorali richiedono risposte tempestive ed immediate, soprattutto in quest’epoca di cambiamenti così rapidi da rendere un cinquantennio un intervallo significativo ed apprezzabile.
Mi sia concesso,  dunque, di riecheggiare una specie di aforisma comparso qualche tempo fa sul sito Campari & deMaistre: anziché lambiccarci il cervello per stabilire se il Concilio Vaticano II sia continuista o rotturista, fallibile o infallibile, potremmo limitarci a constatare che esso è stato, purtroppo, largamente – se non completamente – fallimentare. Soggiungendo che è il momento di voltare pagina, recuperando una piena ortodossia cattolica, a prescindere da quale debba o possa essere la giusta interpretazione del Concilio: se esso è fallito, l’indagine sulle ragioni del fallimento e il raggiungimento di un pieno consenso su tali ragioni, per quanto rilevanti, per quanto senza dubbio utili, non devono e non possono essere inderogabilmente pregiudiziali rispetto all’urgenza di impedire ulteriori crolli e di iniziare a ricostruire sulle macerie. Specie quando tutti – sia coloro che condividono la lettura di Mons. Viganò, sia coloro che la respingono; sia i fautori dell’ermeneutica della continuità, sia quanti la criticano – sulla davvero inderogabile necessità di recuperare ortodossia e Tradizione sono saldamente concordi.
Per cui, a mio modestissimo parere, fare oggi, nel luglio 2020, nelle attuali condizioni in cui versa la S. Chiesa, della questione dell’ermeneutica conciliare la questione focale dell’utile reazione alla crisi o, addirittura, il criterio dirimente per distinguere tra la reazione “giusta” e quella “sbagliata” (mi si passi questa grossolana semplificazione), ci espone al rischio di non concentrarci adeguatamente su quello che è l’interrogativo davvero centrale, come notava circa un mese fa, su questo blog, Pezzo Grosso: che fare?
Enrico Roccagiachini
14 Luglio 2020 Pubblicato da  6 Commenti

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.