Caro direttore, il nuovo sultano Erdogan, che ha riconvertito in moschea l’ex basilica di Santa Sofia di Istanbul, sta squassando il sempre più precario equilibrio tra papa Bergoglio ed il suo collegio cardinalizio.
Tiepida è stata giudicata la reazione di Francesco, scolpita, dopo giorni di silenzio assordante, dalle sole tre parole “sono molto addolorato”, rinvigorendo così quei dissensi sul suo pontificato che scuotono la Chiesa di Roma. E non è certo un caso se il Segretario di Stato Vaticano, Pietro Parolin, ha preferito lasciare i Sacri Palazzi e andare a trovare la mamma in Veneto per non alimentare ulteriori polemiche. Ma la mossa del premier turco, ci si chiede, è solo una provocazione al mondo della cristianità per imporre la propria visione, religiosa e politica, all’Islam mondiale “sulle orme della volontà dei musulmani di uscire dall’interregno”, come lui stesso ha sottolineato nel suo messaggio alla nazione? Oppure, come risulta in alcune note diplomatiche partite dall’Intelligence americana, è una mossa per mettere in crisi soprattutto Bergoglio, peraltro mai amato né dagli Usa né dal clero statunitense?
Nei prossimi giorni, la Segreteria di Stato avrà la risposta, quando finalmente perverrà la nota riservata di Paul Fitzpatrick Russell, nunzio apostolico in Turchia. Statunitense di Greenfield nel Massachusetts, proveniente dalla nunziatura di Taiwan, è considerato un diplomatico di grande levatura, arrivato nel paese della mezzaluna per comporre la crisi diplomatica tra Santa Sede e Turchia, dopo che papa Francesco aveva richiamato il genocidio degli armeni come opera dei turchi. La sua missione diplomatica riparte quindi da zero, anche se, in Segreteria di Stato, molti addetti alla Seconda Sezione per le relazioni con gli Stati sono convinti che, dopo l’ultima mossa di Erdogan, sarebbe stato opportuno richiamarlo in Santa Sede.
Sull’affaire Santa Sofia, il fronte dei critici del Santo Padre si va sempre più allargando, non essendo ormai solo limitato ai pochi cardinali che nel 2016 avevano avanzato “dubia” sull’enciclica Amoris Laetitia, come il potente Raymond Burke (statunitense), Walter Brandmüller (tedesco) e in seguito anche Willem Jacobus Eijk (olandese), oltre al nostro Carlo Caffarra e Joachim Meisner (tedesco) medio tempore deceduti, ma anche prelati da novanta come Camino Ruini, Giovanni Battista Re, Angelo Sodano e Tarcisio Bertone, così come uno degli uomini più spirituali della Chiesa, Roberto Sarah (guineano), Timothy Dolan (Usa), Ludwig Müller (tedesco) e Péter Erdõ (ungherese) e Albert Ranjith (Sri Lanka). Sono convinti infatti che anche quei musulmani che vengono definiti moderati odiano il cristianesimo e faranno tutto per distruggerlo ed è pertanto impensabile dare loro un tempio consacrato per i loro rituali anticristiani. Sono porporati provenienti dai paesi più svariati e di grande esperienza che immaginano con quale maggiore “vis” i predecessori di Francesco avrebbero affrontato una situazione simile.
Senza bisogno di farsi tirare per la tonaca, qualcuno di loro ha fatto paragoni col passato che appaiono impietosi. C’è chi ricorda, infatti, come Ratzinger cominciò ad essere “sotto tiro” dei servizi e del governo turco già agli inizi del 2000 quando, da cardinale, si espresse contro l’ingresso nell’Unione Europea della Turchia, che avrebbe potuto creare il suo spazio commerciale e politico con le sei repubbliche turkmene dell’ex Unione Sovietica, culturalmente e religiosamente affini. E ancora, nel famoso discorso su Fede e Religione di Ratisbona nel 2006, criticato dal rettore della moschea blu Mustafa Çagrici, papa Benedetto ebbe ragione nel ricordare quello che l’imperatore bizantino disse al Sultano: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”. Pochi giorni fa, il suo successore Ali Erba è salito tronfio sul pulpito di Santa Sofia, a seguito della trasformazione in moschea, tenendo in mano la spada di Mehmet II, il conquistatore di Costantinopoli nel 1453.
E ancora sono numerosi i colpi di pugno che Giovanni Paolo II diede di fronte a diversi capi di Stato musulmani sui diritti dei cristiani e contro le persecuzioni che subivano. E non lo faceva solo quando li riceveva domi suae in Vaticano, ma anche nelle sue visite in paesi musulmani. Di Paolo VI si racconta, invece, che alla richiesta dell’ambasciatore saudita presso il Quirinale di far costruire una moschea a Roma consigliò di rispondere appellandosi all’articolo 60 dell’allora vigente codice civile italiano ai sensi del quale la Repubblica riconosce agli stranieri gli stessi diritti riconosciuti agli italiani nel loro Paese di provenienza. Nel 1935, era già un anno che Angelo Roncalli era a Istanbul, quando il governo kemalista strinse ulteriormente le leggi laiciste e impose ai ministri di tutti i culti di non indossare in pubblico gli abiti religiosi. L’imperitura fama di Roncalli è in buona parte dovuta anche al fatto che riuscì a “far ragionare” Atatürk e i suoi lasciando “respirare” tutte le religioni presenti in Turchia, musulmani compresi. Era riuscito a mantenere un pugno di ferro in un guanto di velluto.
Bergoglio, invece, oggi soffre, lacerato da questi confronti. Sgranocchiando compulsivamente mandorle, visto che dolci e ciliegie gli sono state vietate per via degli zuccheri, ricorda la solitudine di un Papa e pensa a quando Pio XII venne accusato di debolezza durante la razzia degli ebrei in Olanda, ritenendo che prese di posizioni eccessive possano creare difficoltà alle comunità cattoliche nei Paesi musulmani, e forse ha ragione. Ma probabilmente avrebbe almeno potuto evitare quel che è successo il 21 luglio, quando monsignor Yoannis Lahzi Gaid, segretario particolare di Francesco fino a poche ore fa e sostituito in tutta fretta con il calabrese Fabio Salerno, ha presentato il progetto della costruzione di un orfanotrofio e di un ospedale nella “Nuova Cairo”. La presentazione è avvenuta nell’Ambasciata degli Emirati Arabi Uniti presso l’Italia, anche perché nasce nell’ambito del lavoro sulla fraternità iniziato con il Documento sulla Fratellanza umana di Abu Dhabi.Ma inginocchiarsi così spesso, anche fisicamente, ai piedi dell’Islam, come peronisticamente spesso ha fatto Francesco, è sempre più visto come un simbolo della disfatta del Cattolicesimo, accompagnato dal fallimento economico delle riforme papali, da quello giuridico che ha riportato lo Stato Vaticano ai tempi “manettari” dello Stato pontificio e dal decadimento dottrinale di chi rinuncia ai Simboli per un interesse superiore, porta al relativismo, in cui tutti siamo uguali, fino a quando qualcuno decide che il suo simbolo vale più di un altro, come Erdogan insegna. Forse, con questi venti di neo ottomanesimo, una mano d’aiuto dello Spirito Santo servirebbe proprio, e probabilmente è per questo che ogni domenica il Santo Padre chiede di pregare per Lui. Facciamolo. Ne ha davvero bisogno.
Luigi Bisignani, Il Tempo 2 agosto 2020
Una nuova Santa Sofia in Siria. La lezione a Erdogan
Un velo marrone copre i capelli scuri di Nabel Alabdalla, comandante delle Forze di difesa nazionale della città siriana di Al-Skeilbiyyeh, nella provincia di Hama. Ha una barba lunga e ben curata. E un sorriso beffardo. Ama i cavalli, con cui si fa spesso immortalare, ma soprattutto la terra in cui vive. In Siria è visto come un eroe perché, in questi dieci anni di conflitto, ha saputo fermare l’avanzata dei terroristi di Al Nusra. Non ha ceduto nemmeno un metro e tanto è bastato per salvare quest’antica città cristiana.
Ora che la guerra sembra essersi momentaneamente congelata, Nabel è tornato alla vita normale. O quasi. Nei giorni scorsi, infatti, ha annunciato di voler costruire in Siria una chiesa intitolata a Hagia Sofia. Una risposta al presidente turco Recep Tayyip Erdogan che, nei giorni scorsi, ha trasformato l’antica basilica cristiana in un luogo di culto islamico. Nabel, ci spiega, non vuole costruire una replica esatta di Santa Sofia, ma una nuova chiesa, più umile, dedicata alla Sapienza di Dio, proprio come quella turca. “La costruiremo nella mia città, Al-Skeilbiyyeh. Avrà il nome ma non la forma di Hagia Sofia. Sarà più piccola e diversa. Con questa chiesa, costruita in uno dei più importanti centri cristiani della Siria, vogliamo indicare la convivenza tra siriani. Qui sono arrivati anche 4mila profughi e i loro figli dal regno del terrore di Idlib. Li abbiamo accolti e abbracciati”, ci spiega.
Dietro alla decisione di costruire questa chiesa, però, ci sono anche motivazioni politiche e religiose, come ha spiegato lo stesso Nabel nei giorni scorsi: “Hagia Sophia fu originariamente costruita come chiesa e, prima, non era un tempio per nessun’altra religione. È stata un simbolo del cristianesimo per migliaia di anni, prima che l’ottomano lo occupasse con la forza e, poiché è un estremista barbaro, la convertisse in una moschea – il contrario di quello che Al-Farouk (Omar bin Al-Khattab, secondo califfo islamico dopo Abu Bakr, Ndr) fece a Gerusalemme”.
Secondo Nadel, la decisione di Erdogan di trasformare Santa Sofia in moschea avrebbe motivazioni profonde: “Erdogan è un jihadista takfiro (apostata, Ndr), e questo è stato vero per noi in questi ultimi dieci anni, a causa di ciò che ha fatto soffrire alla nostra città e al resto delle città siriane, inclusi attacchi suicidi e missili contro civili”, ci spiega. Ma Nabel è ancora più duro in un comunicato diffuso in rete in cui definisce il presidente turco un “fanatico e criminale di guerra” che vorrebbe manomettere uno dei luoghi più belli e sacri del mondo.
La nuova chiesa di Santa Sofia sarà costruita dagli abitanti di Al-Skeilbiyyeh e non avrà alcun sostegno economico da parte del governo russo. “Uno dei membri della Duma”, ci spiega però Alabdalla, “ha approvato l’idea e l’ha incoraggiata, senza però alcuna comunicazione ufficiale”. I soldi, dunque, e pure la manodopera saranno siriani. Anche perché questa chiesa sarà costruita per ricordare le vittime provocate dal conflitto: “La nostra amata città ha sacrificato 160 martiri tra i nostri giovani uomini, donne e bambini. Abbiamo ricevuto più di 7mila missili, ma siamo stati vittoriosi e abbiamo resistito a questi attacchi”.
Segni di speranza in una nazione martoriata dalla guerra, che sembra non arrendersi mai. “Perché il mio è il paese dell’amore, della convivenza, della scienza, la culla delle civiltà e la terra della religione”, ci tiene a dirci Nabel prima di salutarci.
Matteo Carnieletto
2 AGOSTO 2020
Sempre più cardinali prendono posizione contro la condotta vile del capataz?
RispondiEliminaIl Signore sia lodato.
Uomini e no.