ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 12 settembre 2020

Il diritto alla Verità

Agamben, il filosofo d'eccezione


In questa notte oscura che sembra non voler mai finire, in questa sospensione da ogni normalità e libertà  il libretto di 100 pagine di Giorgio Agamben dal titolo "A che punto siamo?" col sottotitolo "L'epidemia come politica", è un vero e proprio breviario da tenere sul comodino. 
Niente di nuovo che non si possa reperire in rete nel sito Quodlibet (è anche la sua casa editrice) che ci ha tenuto compagnia durante il duro confinamento. Ma intanto, col cartaceo c'è il piacere di sfogliarlo, di leggerlo e rileggerlo  e di sentirsi confortati rispetto al marasma di imbecilli in cerca di visibilità, che latrano idiozie. E quando qualcuno ben esprime  idee che collimano con le nostre (o per lo meno, con le mie) , ci sembra di avere gli strumenti per difenderle meglio. Naturalmente c'è stata una pioggia di critiche e polemiche contro i suoi punti di vista circa l'epidemia, nonostante che Agamben (ha origini armene) sia un filosofo molto tradotto e seguito anche all'estero. Lo hanno accusato di "minimizzare", di sottovalutare l'epidemia, anche se non hanno osato tacciarlo  apertamente di "negazionista" (il termine più in voga ad uso pennivendoli lobotomizzati). Con il gusto tipico di un paese pavido e di un popolo impaurito,  il Coraggioso deve per forza di cose venire sminuito e  capitolare, affinché possano sentirsi tutti uguali, sprofondati  nello stesso strame.
 L'occhio di Agamben è lucido e spietato, mai sbarrato dalla paura, quella che mangia l'anima e ottunde i cervelli. A proposito, il Corriere  della Sera ha rifiutato un suo articolo dal titolo "A che punto siamo?", quesito che poi dà pure il titolo al volumetto. Chiedetevi il perché. Nel libriccino troverete invece interviste di giornali stranieri (svedesi, tedeschi), curiosi di porgli quesiti  di grande rilevanza filosofica, politica e sociale che invece i nostri gazzettieri ignorano e  snobbano.
Ecco in sintesi alcuni dei suoi temi ricorrenti;

Stato d'eccezione. Concetto non nuovo già analizzato da Carl Schmitt e da Foucault

"Quel che definisce, però, la Grande Trasformazione che essi cercano  di imporre è che lo strumento che ha resa formalmente possibile non è un nuovo canone legislativo, ma lo stato d'eccezione, cioè la pura e semplice sospensione delle garanzie costituzionali. In questo essa presenta dei punti di contatto con quanto avvenne nella Germania del 1933 , quando il neo cancelliere Adolf Hitler , senza abolire formalmente la costituzione di Weimar, dichiarò uno stato d'eccezione che durò dodici anni".

Epidemia. "Si direbbe che, esaurito il terrorismo come causa dei provvedimenti d'eccezione, l'invenzione di un'epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite".

Paura. "L'altro fattore non meno inquietante, è la condizione di insicurezza e  paura che in questi anni si è diffusa nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio stato di panico collettivo, al quale l'epidemia offre ancora una volta un pretesto ideale".

Rapporti umani. "Ancora più tristi delle limitazione della libertà implicite nelle disposizioni , è a mio avviso, la degenerazione dei rapporti fra gli uomini  che essi possono produrre. L'altro uomo, chiunque egli sia, anche se una persona cara, non deve essere avvicinato  né toccato e occorre anzi mettere fra noi e lui, una distanza che secondo alcuni è di 1 metro, ma secondo altri dovrebbe essere di 4, 5".


Stato di emergenza. "Una società che vive un perenne stato di emergenza non può essere una società libera. Noi di fatto viviamo in una società che ha sacrificato la libertà alle cosiddette "ragioni di sicurezza".

Distanziamento sociale. "Benché ci siano come ogni volta accade, gli stolti che suggeriscono che una tale situazione si può senz'altro considerare positiva e che le nuove tecnologie digitali permettono di comunicare  felicemente a distanza, io non credo che una comunità fondata sul "distanziamento sociale" sia umanamente e politicamente vivibile".

Domanda N.1 ( il primo degli interrogativi etici).
"Il primo punto forse il più grave, concerne i corpi delle persone morte. Come abbiamo potuto accettare, soltanto in nome di un rischio  che non era possibile precisare, che le persone che ci sono care e degli esseri umani in generale, non soltanto morissero da soli, ma che - cosa che non era mai avvenuta prima  nella storia da Antigone a oggi - che i loro cadaveri fossero bruciati senza un funerale?".

Chiesa." Innanzitutto la Chiesa che facendosi ancella della scienza, ormai divenuta la vera religione del nostro tempo, ha radicalmente rinnegato i principi più essenziali. La Chiesa sotto un papa che si chiama Francesco, ha dimenticato che Francesco abbracciava i lebbrosi. Ha dimenticato che una delle opere di misericordia è quella di visitare gli ammalati".

Nuda vita. "La prima cosa che l'ondata di panico  che ha paralizzato il paese mostra con evidenza è che la nostra società non crede più in nulla se non nella nuda vita. (...) La nuda vita - e la paura di perderla - non è qualcosa che unisce gli uomini, ma li acceca e li separa".

Biosicurezza. "Dopo che la politica era stata sostituita dall'economia, ora anche questa per poter governare dovrà essere integrata con il nuovo paradigma di biosicurezza, al quale tutte le altre esigenze dovranno essere sacrificate.
Il paradigma della biosicurezza non è temporaneo. Le attività economiche riprenderanno e stanno già riprendendo e le misure di limitazione del movimento cesseranno, almeno in buona parte. Quello che resterà è il distanziamento sociale".

Fine della democrazia. "Stiamo vivendo la fine di un'epoca nella storia politica dell'Occidente, l'età delle democrazie borghesi, fondate sulle costituzioni, sui diritti, sui parlamenti e sulla divisione dei poteri. (...)
Con la  cosiddetta pandemia  è stato mosso un passo ulteriore, nel senso che quello che i politologi americani chiamano Security State, Stato di sicurezza, che si fondava sul terrorismo, ha ceduto ora il posto a un paradigma di governo che si chiama "biosicurezza", che si fonda sulla salute".

Il diritto alla Verità. "Come in tutti i momenti di emergenza, vera o simulata, si vedranno nuovamente gli ignoranti calunniare i filosofi e le canaglie trarre profitto dalle sciagure che esse stesse hanno provocato. Tutto questo è già avvenuto e continuerà ad avvenire, ma coloro che testimoniano per la verità non cesseranno di farlo, perché nessuno può testimoniare per il testimone".

Qui una sua interessante video-intervista, riassuntiva delle sue tematiche :



 Giorno del SS. Nome di Maria
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«Io ti maledico»: un’osservazione su libertà di parola e ideologia dello hate speech.

Dando un’occhiata ai commenti in rete circa il gesto aggressivo compiuto un paio di giorni fa da una donna di origini congolesi nei confronti di un uomo politico, in quel di Pontassieve, mi ha colpito che quasi nessuno abbia rilevato che ciò che lei ha detto è assai più grave di ciò che ha fatto (strappando a quel tale la camicia e un rosario che portava al collo, a quanto dicono). Mettere le mani addosso a qualcuno non va bene, ma dirgli «Io ti maledico!» è molto peggio.
Perché è grave, e perché è preoccupante che non ce ne accorgiamo? È grave per due ragioni, una soggettiva e l’altra oggettiva. La donna che ha pronunciato quella frase a quanto pare non è né una demente né una “disperata-perciò-esasperata” (adopero per una volta l’etichetta corrente, sulla quale ci sarebbe molto da discutere, ma ora lasciamo stare), bensì una persona da considerarsi sotto ogni profilo compos sui e quindi pienamente consapevole e responsabile dei propri atti, tanto più che il suo retaggio culturale la agevola nel comprendere il significato e il “peso” di una maledizione. (È per questo e non per altro che sopra vi ho fatto cenno). La seconda ragione sta appunto nella natura dell’enunciato da lei prodotto: «Io ti maledico!» è un enunciato performativo, cioè destinato a fare ciò che dice.
Non sono un linguista né tantomeno un filosofo del linguaggio, quindi da poveretto mi limito a far notare, alla buona e all’ingrosso, che tutti gli enunciati si possono distinguere e raggruppare in tre categorie: a) alcuni descrivono il mondo, com’è o come pensiamo che sia o come vorremmo che fosse. Se dico: «la terra è uno sferoide», faccio una descrizione (di un aspetto) della realtà. Se dico: «la terra è piatta», è la stessa cosa, solo che in questo caso l’enunciato è falso. Se dico: «la terra sarebbe un posto migliore se non ci fossero criminali», descrivo il mondo come vorrei che fosse, il che implica un giudizio di valore, in questo caso facilmente condivisibile da quasi tutti. Ma anche se dico: «la terra sarebbe un posto migliore senza gli ebrei (oppure senza i bianchi o senza i neri, è lo stesso)», o se dico: «la terra sarebbe un posto migliore senza Salvini (oppure senza chi volete voi, è uguale)», produco enunciati dello stesso tipo. La sola differenza è che essi potranno risultare assurdi o moralmente ripugnanti ad un numero più o meno grande di persone, mentre il primo sta bene a tutti. b) Altri enunciati (che a volte vengono chiamati conativinon descrivono il mondo ma sono diretti a cambiarlo. Sono comandi, più o meno espliciti e diretti: «spegni la luce», «apri la porta»; ma anche: «arrestate quell’uomo!» oppure «liberatelo!», «andiamo a bruciare la sinagoga!» oppure «andiamo a salvare quei naufraghi!». c) Altri ancora creano il mondo che descrivono, in quanto pretendono di compiere ciò che enunciano (sopra li ho chiamati performativi). È questo, in un certo senso, il livello più alto e sacro del linguaggio umano. I sacramenti, non per nulla, consistono di enunciati di questo genere: «Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo» non descrive ma opera il battesimo; lo stesso fa la formula «Io ti sposo», o «Io ti assolvo». Anche una maledizione funziona così: «Io ti maledico» non è semplicemente una rappresentazione del proprio odio verso qualcuno, né una frase che istiga a compiere un atto conseguente a tale odio: è un’azione in se stessa. Un’azione di odio. Poco importa ora se noi alle maledizioni “ci crediamo” oppure no. Quella donna congolese sono sicuro che ci crede e penso anche che tutto sommato abbia ragione: noi europei di solito non ci crediamo affatto (o facciamo finta di non crederci), ma sfido qualsiasi illuminista su piazza a restare seriamente indifferente e interiormente impassibile di fronte ad una maledizione seriamente scagliata contro di lui con autentico odio. L’azione di odio non è mai senza effetti, anche quando non si estrinseca in alcuna violenza fisica e non sembra procurare sul momento alcun danno tangibile. Chi si sente oggetto di un odio non represso e non combattuto ma anzi espresso performativamente, sta male (spesso proprio nel senso che si ammala), e non c’è bisogno di appartenere a una cultura tradizionale e premoderna per saperlo, basta osservare la realtà.
Perché allora nell’episodio di Pontassieve questo aspetto così importante non è stato notato, proprio oggi che siamo tanto sensibili, per non dire iper-sensibili, al tema del discorso di odio, alla necessità di non offendere nessuno e all’obbligo del politically correct? Credo che in parte sia colpa proprio di quella stessa ideologia dello hate speech, che si è diffusa dappertutto e come un cancro sta distruggendo uno dei valori fondamentali della nostra civiltà, la libertà di parola. Come una malapianta invasiva, essa ci sta soffocando, ottunde la menti, inibisce il pensiero impedendo di distinguere ciò che va distinto, col risultato paradossale di far scendere su di noi “la notte in cui tutte le vacche sono nere” e nella quale non abbiamo più il criterio per riconoscere e combattere il vero discorso di odio quando esso si manifesta.
L’errore fondamentale di tale ideologia, infatti, è di trattare – nella sua folle, menzognera (e perciò satanica) pretesa di bandire per legge l’odio dal mondo – tutti gli atti di parola allo stesso modo, quando invece è essenziale distinguere tra quelli che abbiamo chiamato sopra descrittivi e quelli conativi perché vi è una differenza abissale. Gli uni stanno al di qua e gli altri stanno al di là della linea che separa i pensieri/parole dalle parole/azioni. Se si ha veramente a cuore la libertà dell’uomo, bisogna difenderla e promuoverla integralmente, senza alcun limite tranne quello che essa incontra quando lede altri beni essenziali: la vita e la libertà di altri soggetti. La libertà di manifestazione del pensiero, pertanto, deve essere assoluta quando si estrinseca in enunciati del primo tipo, perché è evidente che “descrivere male il mondo”, sia pure con gli enunciati più assurdi e/o moralmente ripugnanti, non lede mai il diritto degli altri di descriverlo in modo vero e giusto. Una società è libera solo se tutti i suoi membri sono tutelati nel loro diritto di dire anche cose stupide e orribili. Tutte le norme di legge e tutte le pratiche sociali che reprimono tale libertà vanno perciò respinte e combattute. Il razzista, il “negazionista”, il teorizzatore delle visioni del mondo più aberranti non possono mai essere criminalizzati per le loro aberrazioni mentali. Li combatteremo intellettualmente, non daremo loro nessun aiuto, ma non possiamo accettare che qualcuno vada in galera o subisca altre sanzioni perché non “pensa e non parla bene”. Gli enunciati del secondo tipo, al contrario, vanno trattati esattamente come si trattano le azioni, perché tali sono, in fin dei conti. Qui sì che si può delineare il concetto di discorso di odio, ma esistono già gli strumenti giuridici per sanzionarlo (si pensi al reato di istigazione a delinquere).
La falsa coscienza a cui l’ideologia del politicamente corretto ci ha costretti ha creato un clima velenoso e opaco. Obbligati a far finta di essere buoni, abituati a scandalizzarci fintamente e a comando per la “parola scorretta” sfuggita a Tizio o intercettata nella conversazione privata di Caio; nauseati dalle continue tempeste di merda scatenate per punire chi “ha parlato male”, nauseati dall’ipocrisia del doppio standard (in pubblico in un modo in privato all’opposto; con gli amici in un modo coi nemici all’opposto), siamo divenuti ormai incapaci di riconoscere e di ribellarci ad una parola veramente cattiva come «io ti maledico». Da chiunque sia detta, a chiunque.
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NAZISMO, con qualche lettera diventa NEGAZIONISMO

Lo sappiamo da tempo: la guerra non si combatte più sulle trincee, tra proiettili e baionette. La guerra, oggi viva più che mai, si combatte sul campo delle idee. Idee, parole, immagini, concetti: qui si prende campo o si lascia campo al nemico.
le parole sono una trincea, sono un confine da proteggere e difendere. Per questo non possiamo tacere l’ennesimo attacco del Nemico sul piano delle parole.
Infatti, vediamo che in questi giorni scendono in piazza e alzano la voce quei movimenti che non credono alla narrativa dominante sul Covid-19, non credono alla versione ufficiale sui vaccini, pensano che ci sia qualcosa di oscuro e poco chiaro in tutta questa storia. Tra questi movimenti ci sono persone che la pensano diversamente: c’è chi crede che il Covid-19 esista ma pensa che la sua origine non sia un pipistrello malato in Cina, né un laboratorio di Wuhan; c’è chi non si fida dei media e dei loro numeri su cui si costruisce la paura; c’è chi pensa che la cura sia già stata trovata ma celata; c’è chi crede che il vaccino contro il Covid-19 sia l’ennesimo grimaldello per impiantarci qualche veleno per sempre.
Insomma, opinioni legittime e credibili, che qualcuno può anche non condividere, ma non si tratta certo di ‘ufo e alieni’, di ‘terrapiattismo’ e altre bizzarrie.
Tuttavia, proprio perché trattasi di movimenti che sostengono tesi legittime e credibili ma antagoniste al potere costituito, i media allineati hanno trovato il modo di denigrarli ab origine, di inquinarne l’immagine sino dal loro nome. Così attribuiscono loro un termine che ha una doppia valenza negativa: i NEGAZIONISTI.
In primis, questo termine nasce sempre dalla stessa puzzolente feccia giornalistica che coniò questo termine contro gli scienziati storici che intendevano approfondire e confutare – come ogni scienziato fa – la narrativa emotiva dominante su alcune vittime della Seconda Guerra Mondiale. Ossia “caro scienziato: se provi ad approfondire, se non ti fermi al sentimento, se non credi a quello che ti diciamo tout court, allora vuoi negarlo, allora vuoi mistificare la nostra verità e sei anche tu un ‘nazista brutto e cattivo’, fai attenzione”.
Inoltre, il termine ‘negazionista’ non è certamente intellettualmente onesto verso questi movimenti, la cui maggior parte non nega l’esistenza del Covid-19 ma ne contesta caratteristiche e narrativa dominante.
Pertanto, chiamare “i NEGAZIONISTI del Covid” – come faziosamente fanno i media – questi movimenti è una manovra tesa a denigrare tali movimenti e a dare loro una connotazione quasi malefica, associandoli allo spauracchio del cd. ‘male assoluto’, al Nazionalsocialismo (vae victis) e quindi ai ‘nazisti brutti e cattivi’.
Le parole sono importanti.

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