Disperdi i superbi col tuo furore
Disperge superbos in furore tuo, et respiciens omnem arrogantem humilia. Respice cunctos superbos, et confunde eos, et contere impios in loco suo. Absconde eos in pulvere simul, et facies eorum demerge in foveam (Gb 40, 6-8).
Di primo acchito queste parole, isolate dal contesto, suonano come un salmo imprecatorio. Si tratta in realtà di espressioni ironiche che è Dio a rivolgere a un uomo, quasi che il secondo fosse capace di agire con la stessa potenza del primo. Al termine del libro di Giobbe, dopo gli accorati sfoghi di colui che è pur celebre come proverbiale esempio di pazienza, il Signore gli fa comprendere che una creatura, per quanto dotata di ragione, non è in grado di giudicare l’operato del Creatore nella storia, la cui comprensione rimane al di sopra delle possibilità umane. L’enigma della sofferenza innocente troverà soluzione soltanto nella Passione dell’infinitamente Santo, alla quale devono associarsi le membra del Corpo Mistico; già nel corso del libro, tuttavia, le dichiarazioni con cui gli amici del protagonista ribattono di volta in volta ai suoi lamenti ribadiscono che nessun uomo è totalmente esente da peccato, a cominciare da quello originale.
Il problema che rimane aperto è quello della sproporzione tra l’esiguità delle colpe di Giobbe, uomo altamente virtuoso, e l’immanità delle sue pene. La Rivelazione divina, ancora incompleta all’epoca della stesura del libro, lo illuminerà con la prospettiva del premio celeste e della risurrezione della carne, mentre la storia della Chiesa ne fornirà una spiegazione fattuale con l’esperienza dei martiri, il cui sangue, secondo il noto adagio di Tertulliano, è seme di nuovi cristiani. Il vero cattolico, alla luce di tali considerazioni, deve coltivare una sincera disponibilità a soffrire e a portare la croce, come del resto Gesù stesso ingiunge ai Suoi discepoli: «Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24). Il primo passo indicato è la rinuncia a difendersi da sé, senza contare sulla giustizia divina; il secondo è l’assunzione volontaria di afflizioni non spontaneamente scelte, ma imposte dall’esterno sotto la regia della Provvidenza; il terzo è la fedele imitazione del Maestro nelle disposizioni interiori e nei comportamenti pratici.
Vale anche qui la norma della collaborazione tra natura e grazia: il Signore non prescrive a tutti la remissività totale, ma indica la via verso la perfezione. Nella vita cristiana non è affatto proibito lottare per i propri legittimi interessi, però non con uno spirito mondano, bensì con quello dei figli amati. In altre parole, il discepolo di Cristo combatte, sì, ma senza l’acredine e la violenza di chi non ha la fede; il suo agire è segnato piuttosto da mitezza, umiltà e benevolenza verso gli uomini, fiducia e confidenza verso Dio. Le contrarietà permesse dal Cielo servono a purificare il cuore e ad affinarlo sempre più nella sensibilità soprannaturale, ma portan frutto nella misura in cui il soggetto, lungi dal cedere alla ribellione, è docile e abbandonato nelle mani amorose del Padre. Se un figlio, gli occhi bendati su un difetto, persiste inavvertitamente nello stesso errore, Egli dispone a volte il reiterarsi delle stesse contrarietà per spingerlo ad aprirli.
Anche nel perseguire il bene oggettivo – specie nell’ambiente tradizionale – si può sbagliare nelle modalità di azione. Un io tendenzialmente dominatore, per esempio, rischia costantemente di non cogliere, in contesti ostili, la necessità di procedere con prudenza e cautela, fino, se necessario, alla diplomazia e alla dissimulazione, ovviamente entro i limiti consentiti dall’onestà. In molti casi si è costretti a ingoiare l’impensabile, pur di salvare l’essenziale; a tal fine occorre saper distinguere tra i fronzoli e la sostanza. Quella di portare la croce in modo intelligente e fruttuoso, specie nell’attuale congiuntura, è un’arte quanto mai indispensabile. Onde non affogare nell’acqua che non vorremmo trangugiare, non perdiamo mai di vista il fine ultimo, la beatitudine eterna, e rimaniamo saldamente ancorati alla preghiera. Chi vive con spirito contemplativo sa di esser circondato dall’amore e ne scorge continuamente l’azione, discreta ma incessante.
La cultura filosofico-teologica in cui, negli ultimi decenni, è stato formato il clero e, a cascata, pure il popolo esclude invece radicalmente l’intervento della Provvidenza nelle vicende umane, secondo una visione di stampo illuministico e positivistico estranea alla fede. La storia è concepita come un cieco susseguirsi di sventure, ingiustizie e catastrofi, l’unica difesa dalle quali sarebbe lo spontaneo coalizzarsi degli individui, oggi reso apparentemente più facile (ma in realtà più scoordinato) dalle reti sociali; oppure il male viene idealisticamente giustificato come inevitabile fattore di passaggio verso un presunto progresso, in attesa di un’èra di pace che non arriva mai. L’umanità non ha mai sofferto, per frequenza e intensità, tanti conflitti come da quando esiste l’O.N.U., l’unico vantaggio della cui esistenza è il profitto di chi vi lavora e di chi la finanzia, mentre il suo vero scopo, come ormai tristemente noto, è l’instaurazione del nuovo ordine mondiale. Istituzione dall’aura mitica, come pure l’Unione Europea, è in realtà uno strumento utilizzato da Dio, malgrado la sua essenza anticristica, per la realizzazione dei Suoi disegni.
Chi ha fede nel perfetto controllo che il Creatore esercita sulla propria opera sa bene che il regime da cui siamo oppressi, sia a livello civile che ecclesiastico, è in mano a Lui, che lo lascia operare per trarre dal male un bene maggiore; al momento opportuno lo rovescerà ponendo il capo da Lui scelto alla guida dell’umanità unificata dai servitori di Satana. Nel frattempo, potrebbero ancora frapporsi prove molto severe, miranti sia a castigare la società umana, sempre più ribelle alla legge divina, sia ad affinare ulteriormente il popolo fedele. Sappiamo tuttavia che le nostre preghiere e offerte sono incluse nel piano divino e possono quindi affrettarne i tempi, non nel senso che siano in grado di modificarlo, ma nel senso che Dio, prevedendole dall’eternità, ha disposto che anche da esse siano determinati gli sviluppi storici. È per questo che sabato scorso, uniti a tanti di voi sparsi nel Paese, abbiamo accerchiato i palazzi del potere con il Santo Rosario e pronunciato l’esorcismo su di essi, rinnovando alla fine la consacrazione al Cuore Immacolato a nome di tutti gli Italiani.
Con questo spirito – e con le disposizioni di umiltà, abbandono e mitezza sopra descritte – possiamo allora interpretare le parole rivolte a Giobbe anche come una supplica lanciata al Cielo: «Disperdi i superbi col tuo furore e, gettando uno sguardo, umilia ogni arrogante; da’ un’occhiata ai superbi tutti e lasciali senza parole e schiaccia gli empi sul posto; nascondili insieme nella polvere e affonda le loro facce nella fossa». Il Signore, confermando così il carattere ironico del Suo discorso, conclude infine: Et ego confitebor quod salvare te possit dextera tua (E io riconoscerò che la tua destra ti può salvare; Gb 40, 9). Tuttavia, proprio perché non intendiamo cedere alla tentazione di risolvere i problemi odierni a modo nostro, ma lasciarlo fare a lui con il nostro eventuale concorso, nulla ci impedisce di andare oltre il senso letterale del testo – come d’altronde si è sempre fatto nella Chiesa – così da poterlo utilizzare come un’invocazione, insistendo nella richiesta formulata una settimana fa e perseverando in tal modo nella cooperazione con la Provvidenza.
Visitaci con la Tua salvezza. Ti prego, esercita la Tua signoria sul mondo liberandoci dal regime da cui siamo oppressi (da ripetere all’elevazione).
Pubblicato da Elia
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