ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 16 settembre 2020

Un Cristo nero (vittima designata)

Pietà profanata in nome del buonismo

Il fotomontaggio voluto dalla Pontificia Accademia per la Vita, per assecondare la protesta del movimento Black Lives Matter, non poteva essere più inopportuno oltre che intempestivo

Nel pieno del dibattito in cui si attribuisce l'omicidio di un ragazzo nero alla cultura di destra, quella che vedrebbe i migranti come nemici da respingere per crudeltà è razzismo, accade che un tunisino di cui si era decisa, per riconosciuta pericolosità, l'espulsione (sospesa grazie al Covid) abbia ucciso a Como un sacerdote bianco, pronto a sfidare i divieti per aiutare gli ultimi, un vero prete di strada.
Una violenza inutile, determinata da qualcosa che, a parti rovesciate, si giudicherebbe espressione della cultura di destra.
E invece no, la violenza gratuita è un istinto bestiale, neppure motivato dall'odio religioso, quello che rende i terroristi islamici ben più pericolosi dei neofascisti italiani, con la loro presunta cultura della violenza. Dunque, non sempre quando un musulmano uccide un cristiano la causa è religiosa; può essere più forte la natura violenta dell'uomo che, per tanto tempo, si è manifestata, e tutt'ora si manifesta, contro gli animali. La parte bestiale di noi, non quella ideologica o religiosa, uccide e, talvolta può prevalere. Sarebbe facile richiamare, anche in un caso come questo, la violenza del terrorismo che non è sopita e l'attualità del decreto legge 155/2005, che vieta di andare in giro con il volto coperto, misura che comunque indica la considerazione di un pericolo che oggi è subordinato all'emergenza sanitaria. Il terrorismo non è più all'ordine del giorno, e quindi anche le ragioni dell'omicidio del sacerdote Roberto Malgesini non sono né ideologiche o religiose, è lecito pensare: sono violenza e basta, e certamente non violenza di un nero contro un bianco amico.
Perché dovrebbe essere vero il contrario, se l'istinto dell'uomo può manifestarsi al di là del colore della pelle? È invece pura propaganda quella della trasformazione della Pietà di Michelangelo nell'immagine di un Cristo nero (vittima designata) in braccio alla Vergine, mai cosi inopportuna oggi che il martire è un prete. Il fotomontaggio voluto dalla Pontificia Accademia per la Vita, per assecondare la protesta del movimento Black Lives Matter, non poteva essere più inopportuno oltre che intempestivo; e non perché Cristo non sia anche nero, ma perché l'immagine incita più all'odio che all'amore. Il martirio del povero prete ucciso a Como non può essere usato da un cristiano contro il nero che lo ha ucciso. Ed è per questo che appare strumentale il contrario, privilegiando l'odio razziale rispetto all'amore cristiano. La Pietà di Michelangelo non vuole parlarci di vittime e carnefici, di odio fra neri e bianchi, ma di amore fra gli uomini.

Prete ucciso a Como, la questura: "Nessun problema psichico" per il tunisino

Il tunisino che ha accoltellato il don a Como non avrebbe alcun problema psichico. "È morto come un cane", ha confessato

Confuso, un po' delirante, ma per nulla pentito. Secondo gli investigatori della squadra mobile di Como il tunisino Ridha Mahmoudi, 53 anni, che ha confessato l'omicidio di don Roberto Malgesini "non avrebbe alcun problema psichiatrico".
Infatti, per ora non sarebbe stata trovata alcuna perizia medica in grado di riscontrarlo. Anche se la rivendicazione dell'assassinio per nulla lineare e caratterizzata da scatti di orgoglio alternati a momenti di vagheggiamento, sembrerebbe tipica di un soggetto in stato confusionale. "Il prete faceva parte di un complotto contro di me", avrebbe detto agli agenti della questura durante l'interrogatorio di ieri, come riporta la Provincia di Como. Anche chi lo conosceva da anni riferisce che l'uomo “soffriva di sbalzi d’umore e manie di persecuzione”.
Per ora sono ancora scarsi i dettagli sulla ricostruzione della vicenda conclusa con la morte di "un martire, testimone della carità", come l'ha definito questa mattina il Pontefice nel corso dell'Udienza Generale. Una fonte investigativa ha riferito che l'uomo, immigrato irregolare con un provvedimento di espulsione pendente ma in Italia dal '93, avrebbe chiesto al prete del ghiaccio, pronunciando delle frasi senza senso. Poi, qualcosa ha innescato il suo delirio. Così con un grosso coltello da cucina lo ha colpito al collo. Una volta, due, forse tre volte, con forza. E il don si è accasciato a terra. Inutile ogni tentativo di soccorso. È morto dissanguato, "come un cane", avrebbe detto il tunisino durante l'interrogatorio.
Mahmoudi, subito dopo aver colpito il prete, ancora sporco del sangue di don Roberto, avrebbe imboccato un sottopasso, lasciando nel tragitto delle chiazze per terra. Poi si è presentato alla caserma dei carabinieri più vicina confessando di aver accoltellato il "prete degli ultimi". L'unica giustificazione del suo gesto fornita agli inquirenti avrebbe a che fare con un complotto ordito nei suoi confronti. Il don avrebbe tramato per rispedirlo nel suo Paese di origine. Di certo è che, ieri mattina davanti alla Chiesa di San Rocco, la Panda grigia di don Roberto era piena come ogni giorno di biscotti, brioche e caffè caldo per sfamare i poveri, quei "suoi" ultimi a cui aveva dedicato la propria vita. Tra di loro anche Ridha Mahmoudi, il tunisino che aveva sfamato e aiutato più volte con devozione, procurandogli addirittura un avvocato per difendersi nei vari processi in cui era imputato. Quando a un certo punto gli si è avvicinato e ha colpito il don, lasciandolo a terra.
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/prete-ucciso-como-questura-nessun-problema-psichico-tunisino-1890472.html

Coltelli, preti uccisi e migranti. Cosa c'è dietro queste storie

Le chiese, i coltelli, la carità: due storie simili a 20 anni di distanza. E quei parroci dei poveri, uccisi dagli immigrati che aiutavano

Le due cronache sono così simili che viene la pelle d’oca. Stessa provincia. Stessa arma del delitto. Il sagrato di una parrocchia come scenario di un macabro delitto. E quegli assassini (o presunti tali, nell’ultimo caso) che uccidono il parroco che donava loro un po’ di dignità.
L'omicidio di don Roberto Malgesini è una tragedia che si ripete. Si ripete dopo venti anni dopo quelle coltellate inferte all’addome a don Renzo Beretta, parroco di Ponte Chiasso, ammazzato da un marocchino cui faceva la carità.
È una fredda mattina del gennaio 1999 quando don Renzo apre a Abdel Lakhoitri, uno dei tanti stranieri che bussano ogni giorno alla sua porta. L’uomo chiede un prestito che il parroco non può o non vuole concedere, il marocchino lo aggredisce, lo accoltella e il don si accascia sul sagrato della sua chiesa. In pieno giorno. Inutile la corsa in ospedale e il tentativo di salvargli la vita: i colpi all’addome sono mortali. Lakhoitri tenta la fuga in autobus, ma viene catturato e confessa. Condannato a 14 anni di carcere, dopo otto anni è stato scarcerato e rimpatriato in Marocco. Di lui restano gli articoli di cronaca di quel tragico delitto. Che ora sembra tornare come un’ombra su Como.
Leggendo i resoconti dell’epoca e i racconti di oggi su don Roberto le storie dei due parroci sembrano somigliarsi. A parte l’anagrafica. Don Renzo era nato a Camerlata nel 1922, divenne sacerdote nel 1948 e dopo alcuni giri fu nominato parroco di Ponte Chiasso nel 1984. Nel pieno della crisi migratoria degli anni ‘90 aprì la sua parrocchia e la casa a extracomunitari e tossicodipendenti. Un po’ come don Roberto, che invece era nato a Morbegno nel 1969 ed era stato ordinato nel 1998, un anno prima che don Renzo perdesse la vita. A Como non gestiva alcuna parrocchia mi si dedicava anche lui alle situazioni di “marginalità”, visto che coordinava un gruppo di volontari che ogni mattina portava un pasto caldo ai senzatetto della città. Tra loro anche molti migranti, come il tunisino irregolare che avrebbe confessato il delitto.

Già, perché un altro filo rosso che lega queste due vicende così lontane nel tempo è l’identità delle persone coinvolte. Le cronache dell’epoca dicono che Lakhoitri era “sprovvisto di documenti, frequentava la parrocchia e il centro di assistenza, era quindi ben conosciuto dal prete che gli aveva aperto la porta della sua casa senza sospetti”. Allo stesso modo, anche il presunto assassino di don Roberto è un tunisino irregolare, di 53 anni, arrivato in Italia nel 1993, sposato con un'italiana, con precedenti per rapina, furto e un’ordine di espulsione (datato 8 aprile) mai eseguito causa Covid. Anche lui era conosciuto dal parroco che era solito aiutare lui e tanti altri: è stato ucciso alle 7, poco distante dalla canonica di San Rocco e dalla sua auto colma di aiuti per i senzatetto.
Infine, il coltello. Dopo aver colpito don Renzo, Lakhoitri gettò la lama del delitto lungo la strada. La stessa arma usata anche per uccidere don Roberto, e trovato poco lontano dalla chiesa di San Rocco. Ultimo particolare in comune di due vicende tragiche. Che a distanza di 20 anni sembrano quasi legate da un filo rosso. Sporco di sangue.


TERRIBILE È L’IRA DEL MANSUETO


Il volto sanguinante di Stefania Buonpensiero, violentemente percossa nella mattina dell’8 settembre da un trentaseienne originario del Mali presso il patronato della Cgil di Foggia, a cui si era rivolta per espletare alcune pratiche (1).
L’omicidio di George Perry Floyd, avvenuto il 25 maggio 2020 nella città di Minneapolis, in Minnesota, ha giustamente suscitato una forte indignazione in tutto il mondo, cui ha fatto seguito un’ondata di proteste e di manifestazioni, spesso molto violente, che hanno messo a ferro e fuoco diverse città degli Stati Uniti.
Episodi come quello di cui è stata vittima Stefania Buonpensiero, la signora ritratta nella fotografia, sono sicuramente meno gravi e ancora isolati, per fortuna. Quindi è giusto non strumentalizzarli anche per non alimentare le tensioni sociali. Ma… mi rivolgo a voi, cari giornalisti del main stream con stipendi a 6 zeri, sedicenti antifascisti in assenza di fascismo, impegnati 24/7 a tenere alta la guardia contro il razzismo, magari datele, queste notizie, sui media nazionali, se non altro per dovere di cronaca.
È vero che voi, che alla sera vi ritirate nelle vostre ville blindate, difficilmente potreste subire un’aggressione del genere, ma per noi comuni mortali la situazione è leggermente diversa. Inoltre, vi esorto a riflettere su un aspetto importante: ritenete sia giusto perseverare con questa propaganda immigrazionista un po’ superficiale, con questi cosmopolitismo e terzomondismo acritici? Che cosa mai potrà offrire a milioni di disperati un paese sovrappopolato come l’Italia, da cui i giovani diplomati e laureati fuggono per mancanza di opportunità di lavoro, in cui ci sono milioni di poveri, di precari, di disoccupati, in cui il territorio continua ad essere devastato dalla cementificazione selvaggia e l’ambiente ad essere sempre più contaminato dall’inquinamento, che dipende dalle importazioni per il proprio approvvigionamento alimentare (2) ed energetico (3) e in cui gli spazi naturali in pianura sono ormai quasi inesistenti? Quali prospettive, quali opportunità, quale futuro se non nuove forme di semi-schiavitù? È giusto supportare questa tratta di esseri umani, la quale non fa altro che alimentare i circuiti dello sfruttamento, della criminalità, della prostituzione, sottraendo ai paesi di origine la loro più grande ricchezza, ossia i giovani, le cui famiglie spendono spesso tutto ciò che hanno per pagare i trafficanti di uomini? Solo l’ultimo tratto del viaggio, ossia la traversata dalla Tunisia all’Italia, costa, infatti, ben 1200 euro (4).
State riempiendo le nostre città e le nostre periferie di diseredati che, non avendo un posto dove dormire, bivaccano a cielo aperto nei parchi e nei viali cittadini, facendo i loro bisogni ovunque: a Saluzzo, cittadina piemontese di 16000 abitanti, gli homeless africani sono circa 150 (5); dopo averli illusi vi dimenticate di loro, abbandonandoli al proprio destino di emarginazione.
31 luglio 2020, Saluzzo, Parco Gullino (adiacente alla Villa Aliberti): Giulio, 3 anni, cerca di raggiungere lo scivolo scavalcando stuoie e sacchi a pelo degli Africani che bivaccano abusivamente nell’area.
Li incontro ogni giorno ma sono riluttante ad incrociare i loro sguardi tale è la tristezza che da essi traspare: quel senso di smarrimento che si prova ad essere lontani da casa, catapultati in un mondo che ti rifiuta, ignora, disprezza, glielo si legge negli occhi. Quasi mi vergogno a passar loro davanti facendo finta di non vederli, perché io una casa ce l’ho, e anche bella, mentre loro non hanno nulla.
Cari gate keepers, cani da guardia del regime plutocratico sorosiano e mondialista, ricordatevi una cosa: i miei figli, Federico e Giulio, e tutti i loro coetanei, italiani o stranieri che siano, adesso sono piccoli ma un giorno cresceranno e vi chiederanno di rendere conto di tutto ciò, del degrado, delle sofferenze che voi, con il vostro atteggiamento ipocrita ed irresponsabile, avete provocato.
E non ci sarà nessuno a difendervi.
«Farò su di loro terribili vendette con castighi furiosi, e sapranno che io sono il Signore, quando eseguirò su di loro la vendetta.».
Ezechiele 25,17

Piero Rivoira
Fonte: www,comedconchisciotte.org
16.09.2020
Fonti:

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