ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 11 novembre 2020

Diritto ai brogli e all'odio

Ecco perché la storia del giudice Thomas fa tremare Biden e il suo mondo


Il Washington Post ha chiesto al giudice della Corte Suprema, justice Clarence Thomas, di ricusarsi dal supremo organo giudiziario del Paese. Si tratta di una richiesta all’apparenza bizzarra, ma che risponde a determinate – e piuttosto disperate – ragioni politiche.

Nella carriera del giudice afroamericano, infatti, c’è un momento di grande difficoltà, che ora sta tornando a galla, dove protagonista era proprio Joe Biden.

Nel 1991, Joe Biden diffamò in mondovisione  il giudice Thomas, accusandolo di molestie senza uno straccio di prova

Nel 1991, il presidente George H. W. Bush aveva nominato alla Corte Suprema Clarence Thomas, un giudice di circoscrizione federale. Una collaboratrice di Thomas, Anita Hill, disse all’FBI che anni prima si era sentita molestata da Thomas con conversazioni a contenuto pruriginoso e ripetuti inviti ad uscire con lui. Questi dettagli misteriosamente – diciamo così – finirono ai media, con l’effetto di mettere in dubbio un’elezione alla Corte Suprema che pareva non avere ostacoli di sorta.

Le accuse sconce diventarono, ovviamente, il tema principale delle audizioni della commissione di senatori che dovevano approvare la nomina. Commissione a capo della quale c’era lui, il senatore Joseph R. Biden. Le illazioni di Biden e soci contro il giudice nero finirono così in diretta televisiva nazionale.

Il giudice Thomas negò le insinuazioni, e difese il suo onore – e quello di tutti i neri conservatori, cioè di quei neri che non soddisfano l’ordine imposto dalla sinistra americana, dove il nero deve essere un povero e automaticamente votante per i Democratici – con un discorso deciso e toccante.

Nelle immagini del video potete vedere il sorrisetto del capo-inquisitore, il senatore Joe Biden. In pratica, nel 1991, Joe Biden diffamò in mondovisione  il giudice Thomas, accusandolo di molestie senza uno straccio di prova, tutto per non fare approdare alla Corte Suprema un conservatore o forse – è la tesi implicita della difesa di Thomas – per non elevare un afroamericano non-democratico, quindi fuori dallo stereotipo, oggi vivissimo, della minoranza oppressa.

Potete capire perché i Democratici vogliono chiudere la partita subito e neanche lontanamente passare dalle parti della Corte Suprema

Proprio lui, quel Joe Biden eletto presidente dai network TV, che dovrebbe quindi giurare sulla Bibbia postagli dal giudice Thomas, il più anziano dei membri della Corte Suprema.

Ora forse potete capire perché i Democratici vogliono chiudere la partita subito e neanche lontanamente passare dalle parti della Corte Suprema, dove i giudici di estrazione conservatrice sono 6 contro 3, e dove l’anziano del gruppo è proprio Thomas.  L’obiettivo è quello di creare una situazione di stallo (quattro a quattro).

Qualcuno — e il Washington Post in primis lo sta facendo capire — inizia a sentire la terra franare sotto i piedi, perché sanno che la Suprema Corte potrebbe ribaltare tutto — motivo per il quale oggi il mainstream d’oltreoceano cerca di mistificare la situazione e offuscare figura di Trump, financo inventandosi il fantomatico rischio di un divorzio con Melania.

Thomas, cresciuto cattolico e studente di scuole cattoliche, alla Corte Suprema è con Neil Gorsuch (una nomina di Trump) un proponente della legge naturale: la dottrina di filosofia del diretto contro la quale il progressismo si scaglia da secoli.

Immaginare un nuovo incontro tra il candidato Biden e il giudice Thomas è qualcosa che nemmeno nella trama di un film: una storia dolorosa, due universi contrapposti, convergono ancora una volta.

Noi un po’ di terrore, fra i Democratici e l’impero dei network asserviti, iniziamo a fiutarlo.

Roberto Dal Bosco

Cristiano Lugli

Fonte: renovatio21.com

https://www.aldomariavalli.it/2020/11/10/ecco-perche-la-storia-del-giudice-thomas-fa-tremare-biden-e-il-suo-mondo/

ELEZIONI USA

Diritto ai brogli e all'odio professato da Saviano & Co.

Dalle elezioni in Usa a Saviano fino alla Aspesi vengono dichiarazioni che giustificano le frodi, l'odio e la violenza: questi gli ipocriti di sinistra per cui il pluralismo serve solo quando loro sono in minoranza; se, invece, hanno il potere, gli avversari vanno ridotti al silenzio con ogni mezzo. Davanti a questo attacco la risposta sono i ponti che ci vedono accettare regole che valgono solo per noi.

Sembra (ripeto: sembra) che Biden abbia vinto le elezioni. Dopo qualche ora leggo un twitt che recita (perdonate l’italiano traballante): «Sono stati fatti giustamente dei brogli perché se il popolo non è capace a votare e sceglie di pancia un fascista come Donald Trump è giusto usare anche metodi illegali per il bene degli USA e del MONDO». Ma come: non ci sono delle regole (ad esempio, competere onestamente durante le elezioni) per garantire la convivenza civile?

Questa cosa mi fa venire in mente una recente intervista a Roberto Saviano nella quale lo scrittore dice testualmente: «[…] non basta più rintanarci dentro i buoni modi, la buona educazione. Basta con le prediche contro l’odio. Io, per esempio, sento di odiare tantissimo. Devo disciplinarmi per non far emergere in pubblico un odio che provo in modo assoluto. […] Io odio chi mi ha fatto del male. Odio quelli che stanno dalla mia parte ma poi mi pugnalano alle spalle perché mi detestano. Li odio profondamente, personalmente. Devo lavorare per andare oltre, perché questo odio mi delegittima, corrompe le mie parole e il mio impegno, corrode me stesso. Ma non credo la strada da seguire sia la gentilezza. È ora dire basta: basta con il mondo mediatico che ospita il peggio, con giornali che hanno fatto cose ignobili, dossieraggio e istigazione al razzismo, che hanno perso qualsiasi autorevolezza ma vengono tenuti al tavolo perché deve esserci tutto, anche la quota della m***a». Ma come: non era giusto sentire anche l’altra campana, in modo da formarsi un’opinione obiettiva e critica? Ma come: i «discorsi d’odio» (vabbeh, l’italiano lo rispetteremo in un altro articolo) non sfociavano necessariamente nella deprecabile violenza?

A proposito della deprecabile violenza, ecco la giornalista Natalia Aspesi: «Anziché spararmi a causa loro [Salvini e Di Maio], pian piano, ho maturato la fantasia di sparare a loro. Devo dire che la legge sulla legittima difesa mi è venuta incontro. Nessuno può più negarmi di imbracciare un kalashnikov. Sono vecchia. Sono sola. Sono gravemente turbata dalla condizione disperata degli italiani. Ho tutto il diritto di fare una strage». Ma come!?

Massì, ormai non ci stupiamo più. Abbiamo perfettamente capito che i nemici del Logos fanno le regole solo per gli avversari ma, in realtà, non hanno alcuna intenzione di rispettarle quando sono a loro svantaggio. Il pluralismo serve solo quando loro sono in minoranza; se, invece, hanno il potere, gli avversari vanno ridotti al silenzio con ogni mezzo, anche violento. La Costituzione non si tocca se le modifiche non le propongono loro; altrimenti (vedi pareggio di bilancio, vedi riduzione del numero di parlamentari) qualsiasi stravolgimento è sacrosanto. Le sentenze giudiziarie non si commentano; ma, se danneggiano una certa fazione (come in Polonia) si scateni l’inferno.

La censura e la violenza? Fasciste, se usate contro di loro; altrimenti va tutto bene. Questa, lo abbiamo detto, non è incoerenza. È ipocrisia. L’incoerenza è di chi professa certi princìpi che non sempre riesce a mettere in atto. L’incoerenza non è una brutta cosa: è la distanza tra ciò che siamo e ciò che possiamo, vogliamo e dobbiamo essere, tra noi e la santità. L’unica persona coerente è colei che ha rinunciato ad ogni ascesi e si accontenta di ciò che è. Molti rivoluzionari sono tali perché hanno accettato come inemendabili i loro errori. L’ultima, splendida frase del romanzo di Paul Bourget intitolato Il demone meridiano, acutamente osserva: «Bisogna vivere come si pensa, altrimenti, presto o tardi, si finirà per pensare a come si è vissuto».

L’ipocrisia è altro. L’ipocrisia è di chi mente, finendo di credere in princìpi nei quali, in realtà, non crede. Ed è una cosa molto brutta. Nel Vangelo, Gesù usa la parola «ipocrisia» e i suoi derivati una ventina di volte; e, ogni volta, lo fa in una accezione spaventosa. Non credo sia un caso. Credo che l’ipocrisia (come quella espressa negli esempi qui sopra) sia la cifra dei nemici del Logos incarnato.

Eppure, gli crediamo. Dimentichiamo l’avvertimento evangelico: «Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe» (Mt 10, 16). Abbattiamo muri e costruiamo ponti a chi non vede l’ora di invadere e distruggere la nostra cittadella.

Poi ci lamentiamo perché «c’è confusione». Confusione è un eufemismo; fa chiaramente capire che non abbiamo capito cosa sta accadendo, che non sappiamo leggere «i segni dei tempi» (Mt 16, 3). Ci lasciamo ingannare dai lupi che si travestono da pecore (Mt 7, 15), crediamo che il mondo sia neutrale nei confronti del Vangelo e ci dimentichiamo che chi non è con il Logos è contro di Lui (Mt 12, 30); abbiamo scordato chi sia il principe di questo mondo (GV 12, 31). Non vogliamo accettare che la storia sia la cronaca della guerra del principe del mondo contro Cristo.

Così tendiamo la mano, facciamo accordi, accettiamo regole che, lo scopriamo poi, valgono solo per noi. In fondo, diciamo, non cambia la sostanza; è solo per casi eccezionali, per situazioni limite. Concediamo 10, non perché sia un gradino per arrivare a 100; ma per accontentare gli avversari, tenerli buoni perché non chiedano di più. Cosa che, invece, avviene puntualmente ogni volta. Come si può pensare di scendere a patti con un simile avversario, resta per me un mistero.

Roberto Marchesini

https://lanuovabq.it/it/diritto-ai-brogli-e-allodio-professato-da-saviano-co

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