ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 7 novembre 2020

La “mascherina digitale”

Quel che si può dire e quel che non si può dire: una piccola storia istruttiva.


Ieri sera sono stato testimone di un piccolo episodio di sopraffazione che vale la pena raccontare, per una ragione che spero risulterà evidente alla fine del racconto.

Andiamo con ordine. Il 22 settembre scorso la Congregazione per la dottrina della fede pubblica una lettera, intitolata Samaritanus Bonus, «sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita». Essendo un documento del magistero molto chiaro ed incisivo nel riproporre la dottrina cattolica, è stato totalmente silenziato. Nessuno ne parla, si fa come se non ci fosse. Quindi è come se non ci fosse. Quindi non c’è.

Un gruppo di cattolici della mia città, per lo più medici e operatori sanitari (ma non solo), decide di ritrovarsi per approfondire la comprensione di quel documento e di farlo in forma pubblica, ovviamente online date le circostanze, su una delle piattaforme più comunemente usate a questo scopo. Trovo che sia stata una scelta quanto mai opportuna e lodevole: la più grave colpa di noi cattolici, attualmente, mi pare che sia infatti quella di non supportare culturalmente in modo adeguato il magistero della chiesa (quello autentico, naturalmente, non lo pseudo-magisrero mediatico). Se non è supportato culturalmente, l’insegnamento dogmatico e morale della chiesa è destinato a restare socialmente irrilevante.

A questo punto succede la prima cosa che, a posteriori, mi pare notevole: il semplice annuncio di un incontro sulla Samaritanus Bonus basta a far drizzare le antenne di qualcuno, estraneo ed ostile all’ambiente da cui l’iniziativa proviene, che decide di parteciparvi – protetto dalla “mascherina digitale” che tutti indossiamo (o crediamo di indossare) quando siamo davanti ad un computer – per controllare cosa vi si dice. Questa è la prima cosa che voglio sottolineare: basta il semplice fatto di annunciare di volersi occupare di certi temi perché scatti una sorveglianza.

Comincia l’incontro e per un po’, finché si tratta l’argomento in termini di esperienza personale, di come cioè quel testo può aver aiutato qualcuno nel modo di vivere il proprio rapporto con i malati e cose del genere, l’intruso sta zitto. Quando però uno dei partecipanti, che chiameremo A., introduce il tema del giudizio culturale e politico che la posizione espressa in SB comporta, il teppista, che chiameremo B, scatta immediatamente come una molla, interrompendolo e, parlando come se lo conoscesse, gli muove questa obiezione: “A., ma perché dici queste cose che non c’entrano?”. Si finge, cioè, una persona perlomeno vicina al gruppo dei promotori dell’incontro che vuole riportare il discorso al livello di prima. Quando però il relatore dell’incontro, un medico specialista nelle cure palliative che chiameremo C., gli risponde che l’intervento di A. è pertinente perché certe cose la SB le dice, B. immediatamente sbrocca cominciando a interrompere ripetutamente dicendo parolacce e bestemmie ed anche scrivendole nella chat con gli account hackerati ad altri partecipanti. C’è del metodo nella sua follia, perché mira evidentemente a sabotare l’incontro, ed anche perché si ferma di fronte alla minaccia di denunciarlo alla polizia postale. Non uno squinternato, dunque, ma un provocatore.

Ripeto, l’episodio è minimo, però non lo considero del tutto insignificante. Piuttosto direi che è l’espressione di un clima in cui l’esercizio della critica non è più tollerato. Ai cristiani, in particolare, è concesso di fare personalmente l’esperienza della fede ma già il culto è sottoposto a limitazioni e il giudizio sulla realtà è vietato. Il disegno di legge Zan, che è stato vergognosamente approvato l’altro giorno da un ramo del parlamento – a quanto pare anche per colpa dell’ignavia dell’opposizione – e che è evidentemente incostituzionale perché viola in modo plateale il diritto alla libera manifestazione del pensiero (art. 21) ma rischia di diventare una legge dello stato italiano, è solo il sigillo finale di una tendenza che è in atto da molto tempo e che andrebbe combattuta con tutte le forze dai superstiti amanti della libertà, unendo le forze e superando tutti gli altri moitivi di differenziazione e di dissenso tra loro.

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https://leonardolugaresi.wordpress.com/2020/11/07/quel-che-si-puo-dire-e-quel-che-non-si-puo-dire-una-piccola-storia-istruttiva/

Caso don Leonesi, Ferranti: “La vita umana al di sopra di tutto. L’aborto è il più grave degli scempi”

A proposito della omelia di don Andrea Leonesi, ci scrive una lettrice e volentieri pubblico.

don Andrea Leonesi
don Andrea Leonesi

LETTERA APERTA IN RIFERIMENTO ALL’ARTICOLO APPARSO SU Cronache Maceratesi IL 2 NOVEMBRE 2020

“L’aborto è il più grande degli scempi”. Poi il paragone con la pedofilia. Bufera sul vicario del vescovo, a firma di “redazione CM”. (leggi qui)

 

La vita umana al di sopra di tutto. L’aborto è il più grave degli scempi

 di Clara Ferranti 

L’aborto è il più grave degli scempi”: certamente, tanto quanto lo è l’omicidio di qualunque essere umano, con l’aggravante che ad essere uccisa è una persona innocente nel senso più assoluto del termine. Questa frase pronunciata durante l’omelia del 27 ottobre scorso da Don Andrea Leonesi, vicario del Vescovo di Macerata, ha scatenato una bufera mediatica aizzata da Sinistra Italiana Macerata che ha fatto pervenire le proprie esternazioni a Cronache Maceratesi il 2 novembre.

Si tratta di una tempesta chiaramente manovrata da una sinistra che non si rassegna alla débâcle subita alle ultime elezioni amministrative dello scorso settembre, dopo un governo cittadino durato un quarto di secolo, e che quindi pensa bene di mettere bocca sugli insegnamenti della Chiesa Cattolica. Una Chiesa che è da sempre contraria tanto all’aborto, quanto a qualunque altro abominio, come la pedofilia, e che da sempre predica l’amore coniugale attraverso le lettere di San Paolo, che tanto irrita le femministe e i movimenti consociati.

Eppure il paragone “osato” da don Andrea sulla gravità di aborto e pedofilia ha costituito il pretesto di Sinistra Italiana Macerata per urlare allo scandalo e denigrare il celebrante, ma con la reale intenzione di sferzare l’attacco a una sacrosanta verità. La tecnica è dunque sempre la stessa, il travisamento delle parole e dell’intenzione comunicativa, in modo da buttare nella macina mediatica un significato mai inteso dal sacerdote celebrante nel suo messaggio, fortemente provocatorio e mirato non a stabilire quale dei due abomini sia più grave, bensì a risvegliare la coscienza sopita di tanti, anche cristiani, che giustamente si battono per il secondo ma che si dimenticano del primo o persino lo giustificano. Si tratta infatti di una verità che non ammette contraffazioni: l’aborto è un omicidio, senza «se» e senza «ma», perché interrompe, per motivi per lo più inaccettabili, la vita di un altro essere umano.

E così nella piccola città di Macerata si creano le condizioni favorevoli per la realizzazione delle parole profetiche di Gilbert Keith Chesterton: «Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade verranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate». Sì, perché ci troviamo ora a dover difendere non solo la libertà di predicazione di Don Leonesi, ma anche l’evidenza, che in quanto tale non ha bisogno di essere dimostrata. Le moderne strumentazioni ci permettono di vederla con i nostri occhi: nel grembo materno vive una “persona” che si muove, dorme, succhia il dito. È un essere umano in uno stadio del suo sviluppo evolutivo, come lo siamo noi fuori dal grembo finché avremo respiro, che a partire dalla Costituzione di ogni società civile fino al foro interno della coscienza reclama di essere difeso in ogni diritto e, certamente, difeso anche nel suo diritto personale a nascere.

Non esiste, e non può in alcun modo essere chiamato tale, un “diritto della donna sul proprio corpo”, laddove questo preveda la soppressione di un essere umano. I due coordinatori di Sinistra Italiana Macerata che hanno acceso la miccia, Michele Verolo e Serena Cavalletti, e che si stracciano le vesti e si mascherano dietro parole come “negazionismo” e “oscurantismo”, insieme a coloro i quali la pensano allo stesso modo, sono talmente ideologizzati da negare l’evidenza, sì da inciampare essi stessi nell’oscurantismo di cui tacciano Don Andrea e tutto il mondo cristiano cattolico, ma anche quello eticamente retto, credente e non, che non ammette l’aborto come fatto “umano” innanzitutto.

Ebbene, ciò che le parole di don Leonesi hanno puntualizzato, tanto da gettare allarme e scompiglio, è che l’aborto è un omicidio nella forma più grave, quella dell’infanticidio, compiuto nel modo più atroce. Le strumentazioni che mostrano l’evidenza della vita intrauterina, mostrano anche che cosa accade durante un aborto: il bambino viene all’improvviso barbaramente spezzettato, o bruciato, o risucchiato, a seconda del metodo di morte che viene usato, tra dolori atroci, visto che il feto è senziente. È inconcepibile solo a pensarlo, eppure è un dato di fatto che i negazionisti fanno finta di non sapere, o non vogliono sapere, turandosi occhi e orecchie per cancellare in se stessi e negli altri i sensi di colpa.

Per tacitare le coscienze si è inventata la storiella del “grumo di cellule” che, ricordo, era una metafora usata negli ambienti accademici dei sociologi statunitensi antisemiti del primo Novecento in riferimento agli ebrei, chiamati “grumi insolubili” (insoluble clots). Quindi, non stai veramente uccidendo tuo figlio, ma una “materia” o “un prodotto del concepimento”, perché, anche se lo si sa perfettamente, stride la coscienza a chiamarlo “essere umano”. Del resto, la logica soggiacente è la medesima: un bimbo malformato è un uomo “venuto male”, quindi l’aborto diventa la giustificazione oscena di una pratica eugenetica che sappiamo bene a quale stadio di disumanità ha fatto sprofondare il XX secolo, ma che rivive ovunque si abbia una legge che ammette l’aborto: è uno sterminio autorizzato di milioni di bambini ogni anno al mondo. Aborto, per altro, non sempre eseguito per motivi eugenetici o di grave pericolo per la donna, ma anche per futili motivi, semplicemente non si vuole diventare madri.

Al contrario della logica mortifera dell’aborto, le donne che custodiscono la vita nel grembo vanno accompagnate e protette a tutto tondo nelle loro paure e nelle loro difficoltà, aiutate anche economicamente, e non spinte ad abortire, se vogliamo davvero raggiungere un alto livello di civiltà e rispetto per la vita in ogni sua forma, sempre e comunque dignitosa e meritevole d’amore. Nemmeno la legge 194, tanto osannata, prevede lo sterminio di esseri umani ad libitum, come di fatto viene oggi utilizzata, riservandolo invece solo a casi particolari di pericolo grave per la vita della donna, ma sempre, anche in caso di aborto inevitabile, nella salvaguardia della vita del feto, adottando ogni misura idonea. Ma persino i termini di quella legge, pur ingiusta e immorale, sono oggi inapplicati.

Un applauso interminabile va alla Polonia, che ha riconosciuto l’incostituzionalità dell’aborto anche per malformazione, eliminando la crudele pratica eugenetica di “scelta” del figlio, che viene fatta passare come “tutela per la libertà di scelta e della salute delle donne”, come tengono a precisare Verolo e Cavalletti. Un’affermazione questa che fa venire i brividi alla luce di ciò che nemmeno i due coordinatori di Sinistra Italiana Macerata possono negare, e cioè che lì dentro, dove non si vede, c’è un cuore che batte alla stessa stregua di chi è fuori, cioè di tutti noi che respiriamo, viviamo e che non siamo stati abortiti dalle nostre madri. Certo che “l’aborto non è un gioco né uno scherzo”, ma non per quello che poi viene sostenuto in quell’affermazione, la cui disumanità e insensibilità si taglia con il coltello: non è uno scherzo proprio perché è “infanticidio”, e in questo occorre risvegliare le coscienze anziché mascherarsi, come fanno gli oscurantisti della civiltà, dietro un diritto infondato, assicurato da una legge che, se fosse applicata davvero, non ammetterebbe tutti gli aborti che si praticano ogni minuto di ogni giorno.

Ma si sa che l’attacco alla Chiesa è oramai palese. Si sente ancora l’eco di quell’Ave Maria all’Università di Macerata del 13 ottobre 2017, per la quale la sottoscritta è stata messa sotto attacco e alla gogna per aver “osato” condividere con i suoi studenti una preghiera per la pace in un luogo laico. A prescindere dal fatto che nell’essere laica la sottoscritta è anche credente (lato della mia personalità che non ho alcun bisogno di nascondere con i miei studenti, nemmeno in un luogo “laico”, come l’università, che non vuol dire affatto “ateo”), una considerazione ora sorge spontanea:

con quale diritto questi signori, così ignari della dottrina della Chiesa tanto da citare a sproposito la Sacra Scrittura, vengono a sindacare sull’insegnamento evangelico e a dirci che cosa debbano predicare i nostri (ma anche loro) pastori, osando tanto da arrivare persino a criticare le parole di San Paolo riguardo alla sottomissione delle donne ai loro mariti? Concetto che è stato per altro anch’esso travisato da chiunque sia intervenuto in questo dibattito per screditare don Leonesi.

Da quale autorità ottengono il diritto di bacchettare le parole di un sacerdote e di riformare anche il succo della predicazione, che è per fortuna la stessa da 2000 anni?

Il sacerdote non ha detto nulla di diverso da quanto la Chiesa sostiene e insegna da sempre ‒ e che i credenti formati nella Chiesa e nella Parola di Dio già non sappiano: l’aborto è un omicidio e il più grave peccato in quanto è soppressione di vita innocente, come è innocente la vita violata dai pedofili. La differenza tra l’uno e l’altro appare chiara e lampante nelle reciproche definizioni, violazione contro soppressione, e il metterla sotto la pessima luce della scelta di “un male minore”, cosa mai detta né sottintesa da don Andrea, estrapolando per altro il raffronto dal contesto dell’omelia, rivela un’intenzione di certo non buona.

Ci si chiede, che bisogno c’era di aggrapparsi al paragone che è stato fatto tra aborto e pedofilia, altro peccato gravissimo, mai negato da Don Andrea, anzi, ribadito? Per continuare a dividere e distruggere, come Satana vuole?

Sembra chiaro che la sinistra, la stessa alla quale quell’Ave Maria ha dato molto fastidio, aveva bisogno di un pretesto per portare avanti quest’opera, già da tempo iniziata, di distruzione della Chiesa e della Fede.

Ma ciò che questi signori non hanno (ancora) capito, è che Dio esiste, è misericordioso ma giudice giusto e che la condanna per gli iniqui e la predicazione senza compromessi, come quella che Don Andrea, e per fortuna ancora molti come lui, è solito fare, sono un incoraggiamento al bene e non uno spauracchio “medievale”, parola tanto cara ai sedicenti progressisti dell’era civile, e tuttavia, chissà com’è, sempre più colma di violenza, menefreghismo, individualismo e corruzione.

La buona notizia per costoro è che Dio ha così tanta pazienza da aspettare che ogni uomo si converta al vero e sommo bene, un bene che non ha nulla a che vedere con il buonismo e il pietismo con i quali gli operatori dei millantati diritti civili mascherano azioni e leggi scellerate come l’aborto e l’eutanasia, che rispondono a una logica di morte anziché all’accoglienza piena della vita. La notizia ancora più bella è che il gregge disperso e confuso (anche per mano di tanti stravaganti pastori, essi stessi sviati dalla loro mondanità) viene cercato, amato e ricondotto all’ovile da nostro Signore. C’è speranza e spazio per tutti nel regno gioioso di Dio, ma questo tempo così tenebroso è il tempo opportuno in cui risuona più che mai la Parola Divina: “rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire”.

https://www.sabinopaciolla.com/caso-don-leonesi-ferranti-la-vita-umana-al-di-sopra-di-tutto-laborto-e-il-piu-grave-degli-scempi/

In questo momento critico, c’era veramente bisogno del DDL Zan? E i vescovi non hanno nulla da dire?

cei conferenza episcopale italiana

 di Luca Del Pozzo

Oltre al fatto, già ampiamente sottolineato, della assoluta inutilità di una legge ad hoc contro la cosiddetta omotransfobia con buona pace di chi, nientemeno che in ambito cattolico, continua a parlare di “buone intenzioni del legislatore” e di “obiettivi del tutto condivisibili” come si è letto anche di recente sul giornale dei vescovi (in questo caso gli aggettivi contano più dei sostantivi?), c’è un punto del progetto di legge Zan approvato l’altro giorno alla Camera con 265 voti a favore a 193 contrari (a proposito: l’opposizione può contare su 273 voti, degli 80 mancanti all’appello ben 74 erano assenti, 1 si è astenuto e addirittura 5 hanno votato a favore, ci siamo persi qualcosa?), un punto, dicevamo, che forse più di altri dice dell’impronta liberticida e, anzi, diciamo pure totalitaria del progetto in questione, naturalmente ben camuffato sotto le funamboliche insegne linguistiche del politicamente corretto. L’art. 6, comma 3 prevede infatti che “in occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile, anche da parte delle amministrazioni pubbliche e nelle scuole, comprese quelle elementari”. Avete letto bene: scuole elementari, cioè bambini. I quali, come dimostrano gli innumerevoli episodi già accaduti in svariate scuole d’Italia per non dire di recenti iniziative (per info citofonare comune di Torino) formalmente saranno accompagnati – com’è che si dice? – in un processo di crescita e formazione al rispetto dell’altro e della diversità, al contrasto al bullismo e via dicendo; nella sostanza saranno invece (ri)educati secondo i canoni dell’ideologia gender, magari a suon di letture tipo (occhio che si tratta di testi scolastici) “Perché hai due papà?” oppure “Piccola storia di una famiglia…perché hai due mamme?”, e molto altro ancora. Il tutto ovviamente con il gentile supporto  – udite udite  – dell’ineffabile Unar. Per chi non lo ricordasse l’Unar (che sta per Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale del Dipartimento Pari Opportunità, cioè Governo) è lo stesso organismo che nel 2013 aveva dato incarico all’Istituto Beck di produrre gli opuscoli “Educare alla diversità a scuola”, opuscoli che vennero poi diffusi alla chetichella a febbraio 2014 salvo poi essere ritirati in fretta e furia quando si scoprì che dietro c’erano, ma tu guarda il caso, ben 29 associazioni Lgbt. Ma che c’entra l’Unar col Dl Zan? C’entra perché anche stavolta come già nel 2013 l’Unar dovrà elaborare una opportuna “strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto alle discriminazioni”. A riprova di come il piano portato avanti dalle lobby che lavorano dietro le quinte sia esattamente lo stesso, solo è cambiato il treno legislativo (i cattolici imparassero come si fa lobby, dentro e fuori il parlamento; sempre che, ovviamente, sia abbia uno straccio di obiettivo da perseguire, ma qui il discorso ci porterebbe troppo lontano…). Non solo. A riprova della forzatura ideologica di tutta l’operazione vi è anche il riconoscimento del contestatissimo concetto di “identità di genere”, contro cui persino le femministe si sono opposte. Ovviamente al Senato la musica sarà ben diversa (sempre che, si spera, l’opposizione faccia il suo mestiere). Ma se anche alla fine il dl Zan non dovesse arrivare in porto, non si può non restare basiti nell’assistere ad un parlamento che mentre il Paese si trova a dover fronteggiare una crisi sanitaria ed economica senza precedenti, per tacere di tutto il resto (terrorismo, ecc.), non trova niente di meglio da fare che approvare in fretta e furia iniziative di legge inutili e liberticide, con l’aggravante di distrarre anche importanti risorse economiche, per l’esattezza 4 milioni all’anno, che in un momento come questo sarebbe molto più utili e saggio destinare altrove. Il tutto, manco a dirlo, nel più assordante silenzio dei vescovi italiani, che dopo la dura (e lodevole) presa di posizione iniziale della Cei sono praticamente scomparsi dai radar (e sarebbe interessante approfondire se e in che misura su tale atteggiamento abbia influito il recente endorsement papale alle unioni civili samesex). E’ tempo che chiunque ha a cuore la libertà, a prescindere dal credo religioso o politico, si alzi e si faccia sentire prima che sia troppo tardi.  Un conto è il rispetto dovuto a tutti indistintamente; altro conto è rischiare di finire in galera se uno dice che un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma. Anche no, grazie

https://www.sabinopaciolla.com/in-questo-momento-critico-cera-veramente-bisogno-del-ddl-zan-e-i-vescovi-non-hanno-nulla-da-dire/

Legge Zan, Marina Terragni: Cari parlamentari Pd e 5Stelle, “Forse non sapete che …”

Ecco la lettera aperta che Marina Terragni ha indirizzato ai parlamentari Pd e 5Stelle che hanno approvato le lezioni sull’identità di genere, perfino nelle scuole elementari e senza necessità di consenso da parte dei genitori“Forse non sapete che …”

Da quando Marina Terragni ‘milanese, femminista, madre, giornalista e scrittrice’ (così si presenta sul suo blog FemminileMaschile), ha cominciato a parlare e scrivere contro l’utero in affitto[1] è stata accusata – come molte altre femministe – di transfobia, omofobia e moralismo.

 Pur avendo per anni appoggiato le lotte LGBT contro ‘il patriarcato’, le pensatrici della differenza sessuale come lei – nel mondo anglosassone (dove le chiamano femministe ‘radicali’) – vengono, già da qualche anno, frequentemente e duramente contestate nei convegni e nelle università, censurate dai social network, fatte oggetto di bullismo ed emarginate[2].

Pensando ai guasti che questo clima di intimidazione e di conformismo (qualcosa che richiama il maccartismo, l’ha definito la femminista americana Lierre Keith[3]) sta procurando alla causa delle donne (e non solo ad essa), la giornalista ha indirizzato un’interessante lettera aperta Alle/i parlamentari Pd e 5Stelle che hanno approvato le lezioni sull’identità di genere perfino nelle scuole elementari e senza necessità di consenso da parte dei genitoriforse non sapete che … Oggi il Parlamento britannico ha emanato nuove linee guida che VIETANO di insegnare ai bambini che ‘potrebbero essere nati nel corpo sbagliato’ se non si comportano in modo conforme agli stereotipi di genere. Quello che la Legge Zan intende introdurre oggi, con qualche anno di ritardo, non è più consentito in Gran Bretagna, nazione pioniera della formazione LGBTQIA+ .

Ecco il testo della lettera aperta pubblicato sul suo profilo Facebook.

 

Marina Terragni
Marina Terragni

ALLE/I PARLAMENTARI PD E 5STELLE CHE HANNO APPROVATO LE LEZIONI SULL’IDENTITÀ DI GENERE PERFINO NELLE SCUOLE ELEMENTARI E SENZA NECESSITÀ DI CONSENSO DA PARTE DEI GENITORI: FORSE NON SAPETE CHE

Per anni nel Regno Unito i temi LGBTQIA+ con particolare riferimento alla cosiddetta identità di genere, sono stati materia di insegnamento nelle scuole. Oggi il dipartimento all’educazione britannico ha emanato nuove linee guida che VIETANO di insegnare ai bambini che “potrebbero essere nati nel corpo sbagliato” se non si comportano in modo conforme agli stereotipi di genere. Quello che la legge Zan intende introdurre oggi, con qualche anno di ritardo, non è più consentito in Gran Bretagna, nazione pioniera della “formazione” LGBTQIA+. Si è riconosciuto infatti che quella formazione, oltre a rafforzare anziché demolire gli stereotipi di genere, è dannosa e pericolosa per i minori. Negli ultimi anni in Gran Bretagna c’è stata una vera e propria epidemia di richieste di transizione tra i minori: nel biennio 2009-10 le richieste di transizione TRA I MINORI sono state 40 per le femmine (FtM) e 57 per i maschi (MtF); nel biennio 2017-18 sono diventate 1806 per le femmine (FtM) e 713 per i maschi (MtF). La propaganda ha funzionato!Proprio in queste settimane si sta dibattendo nelle aule giudiziarie il caso di Keira Bell, che in seguito a una frettolosa diagnosi ha iniziato il percorso di transizione a soli 16 anni e oggi, pentita, ha fatto causa al servizio sanitario inglese. La sentenza è attesa a giorni. Il fenomeno dei giovani detransitioner è talmente esteso che stanno nascendo studi legali specializzati per assisterli nelle cause contro il sistema sanitario britannico, che rischia di trovarsi ad erogare mega-risarcimenti agli ex-bambini transizionati: un monito anche per le istituzioni scolastiche e per il servizio sanitario italiano.p.s: inviate a tutte-i le parlamentari che conoscete, grazie

 


[1]Terragni M., Temporary Mother – Utero in affitto e mercato dei figli, Morellini 2017  

[2]Essere “cis-woman”, ovvero una donna la cui identità di genere è conforme al sesso di nascita – in sostanza, la stragrande maggioranza delle donne del pianeta- è motivo sufficiente per essere accusata di multiforme “phobia”. “Cis” – ovvero non “trans” – è termine spregiativo in sé, indicando la posizione regressiva di chi si sente a proprio con il sesso biologico e quindi, nel caso delle donne, accetta supinamente la condizione di oppressione fatalmente connessa all’identità femminile così come la conosciamo nel patriarcato. Ci sarebbe solo un modo per liberarsi dalle catene: sciogliere il legame con il proprio corpo biologico… Ma nessuna tra noi femministe della differenza vuole slegarsi dal proprio corpo. Noi radichiamo il pensiero nel nostro corpo, e lo amiamo così com’è. Terragni, La Queer-Politics, Nuova Faccia Del Patriarcato, inFemminileMaschile,26 ottobre 2016

[3] Ivi.

Di 

https://www.sabinopaciolla.com/legge-zan-marina-terragni-cari-parlamentari-pd-e-5stelle-forse-non-sapete-che/

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