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giovedì 5 novembre 2020

La “profezia” di un periodo di tenebre

Risultati Elezioni Presidenziali Usa 2020. Biden: “Avremo i 270 voti per vincere”. Trump solleva il sospetto di brogli e irregolarità e minaccia


Scrive SkyTG24: «Battaglia all’ultimo voto fra i due candidati. Biden conquista Wisconsin e Michigan e parla al Paese: “È il popolo americano che determina chi è il Presidente degli Stati Uniti”. Intanto dalla Casa Bianca Trump annuncia azioni legali contro i risultati elettorali e dichiara la vittoria in Pennsylvania, North Carolina e Georgia. Manifestazioni in diverse città contro il presidente, arresti a New York, Minneapolis e Portland. L’Osce accusa Trump di “palese abuso di potere”». Il commento del politologo Edward Luttwak sul Messaggero e una “prima analisi” di Maurizio Ragazzi per Corrispondenza Romana.


L’aggiornamento in tempo reale di Sky.

Biden sembra oramai a un passo dalla Casa Bianca. Con la vittoria in Michigan e Wisconsin è a un soffio dalla conquista dei 270 grandi elettori necessari per guidare il paese. “È chiaro che vinceremo abbastanza stati per ottenere i 270 voti”, ha affermato. Donald Trump solleva il sospetto di brogli e irregolarità e minaccia: “Ci stanno rubando le elezioni, non lo permetteremo”. Intanto la sua campagna ha annunciato un’azione legale in Michigan, Georgia e Pennsylvania per sospendere immediatamente il conteggio dei voti fino a quando non sarà garantito allo staff del presidente un significativo accesso nelle stanze dello scrutinio, per controllare che tutto proceda regolarmente. Ed è pronta anche a chiedere il riconteggio dei voti in Wisconsin. Trump ha presentato anche una seconda causa legale contro la Pennsylvania: l’accusa è di aver “illegalmente prorogato il termine per gli elettori per posta”. Per quanto riguarda il Congresso degli Stati Uniti, la Camera è rimasta in mano ai democratici, il primo vero verdetto dell’Election Day, mentre al Senato sembra delinearsi una conferma dei repubblicani. L’Osce accusa Trump di “palese abuso di potere”.

Trump ha conquistato Utah, Kansas, North e South Dakota, Montana, Louisiana, Nebraska, Wyoming, Indiana, Iowa, West Virginia, Kentucky, South Carolina, Texas, Alabama, Arkansas, Oklahoma, Missouri, Tennessee, Idaho e Mississippi, Ohio, Florida.

Biden ha conquistato Arizona, Oregon, Washington, California, Colorado, Hawaii, Illinois, Connecticut, Virginia, Vermont, Massachussetts, Maryland, Minnesota, Delaware, New Jersey, Rhode Island, New York, New Mexico e il District of Columbia, New Hampshire, Maine, Wisconsin, Michigan.
Incerti rimangono Nevada, North Carolina, Pennsylvania, Georgia e Alaska.

Questo la situazione quando scriviamo.

«Biden è il vincitore più che probabile delle elezioni; non ci sono strade aperte che puntino alla riconferma di Trump». È lapidario il commento del politologo Edward Luttwak – mentre le urne sono ancora aperte – e Donald Trump denuncia il furto dei voti del quale pensa di essere vittima. Così come articolato è il giudizio che il politologo dà del risultato delle urne. Intervistato da Flavio Pompetti per Il Messaggero oggi («I progetti di spesa di Biden difficili con un successo monco. Trump? Ha sprecato tutto»), Luttwak sottolinea che Trump ha drasticamente ridotto il consenso che aveva a inizio anno prendendo sottogamba il coronavirus con una narrativa che esprimeva soprattutto un impulso al protagonismo personale. Nello stesso tempo però avverte Biden e l’establishment democratico riguardo alla loro narrativa: “Gli Usa non sono un paese di estremisti di sinistra a maggioranza afro americana. Da questa elezione escono ridimensionati alla Camera, e battuti nell’ambizione di conquistare il Senato. Trump è uno sconfitto solitario, loro sono un’intera classe dirigente in diniego della realtà».

Con un colpo al cerchio e un botto al Biden, Luttwak difende l’establishment repubblicano e l’interesse degli USA a prescindere dal Presidente. Non sono americano e quindi non saprei cosa avrei fatto se lo fosse.

Intanto, condividiamo sulle Elezioni Presidenziali USA 2020 una “prima analisi” di Maurizio Ragazzi per Corrispondenza Romana di oggi.


Elezioni USA: una prima analisi
di Maurizio Ragazzi
Corrispondenzaromana.it, 5 novembre 2020

Due giorni dopo la chiusura dei seggi, è ancora incerto chi abbia vinto le elezioni presidenziali americane. Invece, altri dati emersi dalle elezioni (per Presidente, Congresso, governatori, ed iniziative popolari) sono già assodati:

1. Lasciando da parte gli stati rispetto ai quali non c’è ancora una parola definitiva (Arizona, Nevada, Georgia, Carolina del Nord, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin), i due contendenti per la presidenza (Trump e Biden) hanno mantenuto gli stessi voti elettorali che Trump e la Clinton avevano accumulato nel 2016. [1] C’è qui una clamorosa smentita di gran parte dei sondaggisti, che avevano sbandierato per mesi la falsa idea (costruita ad arte per influenzare l’elettorato?) che Biden avrebbe schiacciato Trump. Al contrario, in uno stato chiave come la Florida (prendendo un solo esempio fra gli altri), Trump ha allargato la base elettorale dei Repubblicani, vincendo con uno scarto ben maggiore di quello di quattro anni fa, con grande seguito nella comunità di origini latino-americane.

2. Il Senato sembra sia rimasto a maggioranza Repubblicana, mentre alla Camera dei Rappresentati i Democratici (almeno in base ai dati finora disponibili) hanno addirittura perso cinque seggi. Ancora una volta, gli elettori hanno sbugiardato l’ipotesi di quell’onda Democratica che gli anti-Trumpiani avevano previsto (o, meglio, auspicato) prima delle elezioni. Che il Senato resti in mano Repubblicana, indipendentemente da come finisca la battaglia per la presidenza, è significativo per ostacolare ogni tentativo di regime dispotico che i Democratici dovessero eventualmente provare (dall’aumento degli stati a 52, per avere più senatori Democratici con l’elevazione a stato di Distretto di Columbia e Portorico, all’imballaggio della Corte Suprema con l’aumento del numero dei giudici).

3. Che le elezioni non siano state assolutamente un diluvio Democratico è ulteriormente confermato dal fatto che, nelle elezioni per i governatori, l’unico caso di ribaltamento politico si è verificato a favore dei Repubblicani, che hanno riconquistato il governatorato del Montana.

4. Quanto alle iniziative popolari legate, come da tradizione, alle elezioni, quelle relative all’aborto hanno registrato l’approvazione (62% contro 38%) della proposta di emendare la costituzione della Louisiana (uno stato conservatore) stabilendo che non esiste nessun “diritto” costituzionale all’aborto, [2] mentre nel Colorado (un stato che da tempo vota in prevalenza per i Democratici) non è passata (59% a 41%) la proposta di vietare l’aborto dopo la 22a settimana nella quasi totalità dei casi. [3]

Ma cosa succederà adesso con la presidenza, e perché non si ha ancora un risultato definitivo? Al momento della redazione di questa nota, si preannunciano varie azioni giudiziarie da parte di Trump, giustificate in gran parte da violazioni costituzionali e brogli legati al voto per corrispondenza. Non è quindi sorprendente che il giudice costituzionale Alito, in una dichiarazione sottoscritta anche dai giudici Thomas e Gorsuch relativa ad una mozione portata davanti alla Corte Suprema degli USA sul voto in Pennsylvania, [4] abbia osservato un fenomeno a dir poco curioso. La Corte Suprema della Pennsylvania aveva adottato un decreto alterando misure decise dal legislatore della Pennsylvania in base ai suoi poteri costituzionali: mentre il legislatore dello stato aveva permesso il voto per corrispondenza, ammesso che fosse arrivato entro le 20.00 del giorno delle elezioni, la Corte Suprema della Pennsylvania aveva deciso, con 4 voti a 3, che il voto per corrispondenza non dovesse necessariamente arrivare entro tali termini, permettendo un ritardo di tre giorni e, come se ciò non bastasse, un voto sarebbe stato valido anche se la data del voto stesso fosse stata illeggibile! Tali assurdità sono in contrasto con la Costituzione americana sulle regole relative alle elezioni federali, e non c’è chi non veda come questo meccanismo si esponga al rischio di brogli rendendo poco credibile l’intero sistema.

Se, nonostante tutto ciò, i ricorsi fossero respinti e Biden diventasse il nuovo presidente USA, il timore molto concreto è che, per i prossimi quattro anni, si avveri la “profezia” di un periodo di tenebre che Biden aveva denunciato limitatamente alla pandemia e che invece ora, a causa dei disvalori Democratici, potrebbe oscurare tutta la vita americana: promozione del crimine di aborto ed altri mali morali intrinseci, persecuzione della libertà di religione, violenza e teppismo nelle strade con il pretesto dell’anti-razzismo, soppressione della libertà di parola e del diritto di autodifesa, statalizzazione/burocratizzazione di sanità ed educazione, proliferazione di tasse e regolamenti, depressione economica e crescente indebitamento, politica internazionale servile nei confronti della Cina comunista e di altri centri di potere. Quindi, dalle stelle alle stalle, verso un declino inarrestabile degli USA.
Nostra Signora di Guadalupe, Madre delle Americhe, prega per noi!

[1] Unica eccezione è il voto elettorale (su cinque) ottenuto da Biden in Nebraska, in base ad un sistema che concede due voti a chi vince lo stato, ed un voto ciascuno a chi vince le tre circoscrizioni (una delle quali include l’area metropolitana, che non è la prima volta che viene vinta dai Democratici). Sarebbe paradossale che, alla fine di tutti i conteggi ed i ricorsi, Biden raggiungesse i 270 voti elettorali proprio grazie a questo voto solitario in Nebraska.

[2] Emendamento 1 (QUI); Lovelifevoteyes.com.

[3] Proposizione 115 (QUI); Cocatholicconference.orgRespectlifedenver.org.

[4] Supremecourt.gov.

5 Novembre 2020   Blog dell'Editore

di Vik van Brantegem

http://www.korazym.org/50671/risultati-elezioni-presidenziali-usa-2020-biden-avremo-i-270-voti-per-vincere-trump-solleva-il-sospetto-di-brogli-e-irregolarita-e-minaccia/

Ciò che sarebbe meglio per Biden.

Non sono un esperto di politica, quindi mi astengo dal fare commenti sulle elezioni americane. Ho delle impressioni, come tutti – ad esempio quella che sia fondato il sospetto di decisivi brogli da parte dei democratici, resi possibili da procedure elettorali ridicole che proprio loro (e questo è un fatto, non un’impressione) si sono sempre rifiutati di correggere – ma le mie impressioni non contano nulla.

Non sono neanche un medico, né tantomeno uno specialista in neurologia e in geriatria, però ho gli occhi e le orecchie e in questi mesi ho seguito un po’ la campagna elettorale dei due candidati. Ora, chiunque abbia visto e ascoltato Joe Biden, nelle sue pur rare apparizioni, non può non aver sospettato – se ha un minimo di onestà intellettuale – che egli soffra di un sensibile deterioramento delle sue facoltà mentali. Non gli vengono le parole, confonde nomi, date e circostanze anche familiari, fatica a svolgere discorsi coerenti se non li legge, eccetera eccetera.

Attenzione: non mi permetto di dire che sia demente, perché non sono un medico qualificato che l’abbia visitato e in ogni caso le diagnosi non si fanno a distanza. Dico solo che il suo comportamento induce questa impressione, il che è un fatto oggettivo, innegabile e di per sé politicamente rilevante. Sotto questo profilo, a me pare che la cosa più enorme, più incredibile e più scandalosa di questa campagna elettorale americana del 2020 sia che questo non è mai diventato un tema principale di discussione nel paese. Proprio negli Stati Uniti, dove tradizionalmente la questione della forma fisica dei candidati alle cariche pubbliche è sempre stata un tema di primaria importanza! Non del tutto a torto: in effetti, se si pensa ai poteri che il presidente di quella nazione ha, sapere come stia messo con la testa, prima di mandarlo alla Casa Bianca, sembra decisamente opportuno.

Questa volta, con il candidato più vecchio di tutta la storia americana!, e soprattutto con un soggetto che inciampa continuamente in gaffes penosissime, il tema non è stato praticamente affrontato. Ripeto: nessuno di noi può dire che Biden sia affetto da demenza, ma tutti noi possiamo dire che è sensato sospettarlo. Sarebbe dunque stato un preciso dovere della sua campagna elettorale fornire le prove del contrario. Perché ciò non è avvenuto? Perché tutto il sistema dei media lo ha blindato, stendendo una cortina pressoché impenetrabile su un argomento di così vitale importanza. Semplicemente è stato vietato di parlarne.

Nel momento in cui scrivo (ore 9 del 5 novembre) mi sembra di aver capito che sia probabile che Biden diventi il prossimo presidente degli USA. Se fossero giusti i sospetti che tutti (tranne i sordociechi e i fanatici) hanno, sarebbe questa la prima volta che entra alla Casa Bianca un presidente in condizioni così precarie. Ci sono stati presidenti che sono andati fuori di testa ad un certo punto del loro secondo mandato (Woodrow Wilson, ma allora non c’era la televisione e la moglie e lo staff riuscirono a tenere coperta la cosa fino alla fine della presidenza), altri che negli ultimi anni perdevano dei colpi (Reagan, a quanto si dice, si addormentava alle riunioni), altri ancora che non erano delle aquile sin dall’inizio (G.W. Bush, per dirne solo uno), ma che un presidente cominciasse il mandato essendo così malconcio sin dall’inizio non era mai successo.

Perché dunque penso che per Biden sarebbe assai meglio perdere queste elezioni piuttosto che vincerle (soprattutto nel modo sghembo in cui probabilmente le vincerà)? Perché mi sembra estremamente probabile che la blindatura strumentale di cui ha goduto in questi mesi presto finirà. Gli “strateghi” che l’hanno scelto come candidato sulla base di certi loro arcani calcoli (forse avranno pensato che l’altra volta persero perché Hillary Clinton stava, giustamente, sul cazzo a troppa gente e stavolta ci voleva uno particolarmente insignificante) domani non avranno più bisogno di lui, e c’è già lì pronta la vera candidata alla presidenza, che si chiama Kamala Harris. Dal giorno dopo il giuramento sarà ben difficile nascondere tutti i vuoti di memoria, gli impappinamenti, le frasi a casaccio o del tutto incomprensibili, l’incapacità di far fronte a domande e obiezioni e tutto il resto che abbiamo visto in questi mesi … e soprattutto non ci sarà più l’interesse a censurarne l’evidenza. C’è da temere che sarà tutto molto umiliante per lui, soprattutto se, quando decideranno di farlo sloggiare, dovesse fare resistenza. In quel caso, non avranno pietà.

Fossi in lui, mi augurerei la sconfitta e un onorevole ritiro in famiglia.

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https://leonardolugaresi.wordpress.com/2020/11/05/cio-che-sarebbe-meglio-per-biden/





Perché Trump non ha affatto perso


Per quanto possa apparire incauto, se non paradossale, un’analisi sulle presidenziali Usa in ore in cui tante schede sono ancora di attribuzione dubbia o contestata, qualcosa su questo voto americano lo si può già dire con certezza: se Joe Biden ha vinto, Donald Trump non ha perso. Proprio per niente. Una realtà, si badi, ammessa a denti stretti anche da alcuni commentatori democratici – che parlano di «vittoria politica, ma non morale» – e che risulta emergere da più aspetti anche a prescindere dall’esito definitivo che emergerà dalle urne. In particolare, almeno tre sono le considerazioni degne di nota che dovrebbero ispirare una qualche riflessione a tutti, se non altro perché poggiano su riscontri ormai non più contestabili.

La prima considerazione riguarda il fatto che il tycoon è stato votato quasi da un americano su due. Dipinto negli ultimi tre mesi come in declino, anzi politicamente finito, Trump – il cui necrologio istituzionale era praticamente già scritto, stampato e affisso – nelle elezioni Usa più partecipate di sempre ha raccolto voti ovunque. Tra l’altro, dalle prime rilevazioni pare che il presidente uscente abbia incassato il favore dell’11% degli afroamericani, del 30% degli asiatici e del 31% degli ispanici. Percentuali in tutte e tre i casi superiori di tre punti rispetto a quelle osservate nel 2016. Il che alimenta un interrogativo cui pare impossibile sottrarsi: ma Trump non era colui che, incoraggiando il razzismo e i pestaggi della polizia, era odiato dalle minoranze?

Seconda considerazione. Forse Trump non ha battuto Biden, ma di certo ha battuto – alla grande – i sondaggi. Tuttavia, dato ciò è già avvenuto nel 2016, viene ora spontaneo domandarsi a che parte stiano facendo gli istituti di rilevazione. Perché le possibilità qui sono soltanto due: o abbiamo a che fare con professionisti che non sanno fare il loro lavoro – con conseguente invito a darsi all’ippica o, quanto meno, a cambiar mestiere – oppure costoro il loro lavoro, ecco, lo fanno fin troppo bene. Solo che non è quello di rilevare e raccontare i flussi di consenso della popolazione, bensì di orientarli, portando acqua al mulino della forza politica progressista di turno. Ciò pone un problema non demoscopico ma democratico non più eludibile.

Un terzo ma non meno rilevante pensiero riguarda, poi, il fatto che Trump, quasi pareggiando con Biden, ha di fatto vinto. Infatti, anche se nessuno osa ricordarlo, il tycoon ha contemporaneamente combattuto non solo contro un rivale – il quale ha tra l’altro potuto contare su finanziatori ben più generosi (solo il colosso abortista Planned Parenthood ha devoluto a Biden 45 milioni di dollari) –, ma contro i grandi media, il carrozzone di Hollywood, Greta Thunberg, le associazioni Lgbt, Meghan Markle e il principe Harry, Black Live Matters, una parte di vescovi e cattolici Usa e tantissimi altri ancora. Più che una contesa tra due candidati, insomma, si è avuto uno scontro epocale e polarizzato, che senza esagerare si potrebbe definire un tutti contro Trump. Che, ciò nonostante, non ha affatto perso.

Illuminanti, in proposito, le parole di Federico Rampini – non certo un invasato sovranista -, il quale nelle scorse ore, quando il risultato finale appariva più incerto di come appaia adesso, così twittava: «Anche se Biden prevale, come sembra più probabile…Vittoria striminzita, rapporti di forza quasi invariati rispetto al 2016. Il grande rigetto di Trump è una favola che ha guarito solo il conto economico di New York Times e Cnn». Valutazioni più che condivisibili, queste di Rampini, alle quali tuttavia può comunque essere mosso un rilievo: quella del grande tonfo di Trump era «una favola» oppure, invece, era una deliberata menzogna? La sensazione è infatti che a perdere, qui, non sia stato il tycoon ma un giornalismo che, anziché agire da cane da guardia del potere, ha scelto di esserne il pasciuto bassotto.

Giuliano Guzzo

https://giulianoguzzo.com/2020/11/05/perchenonhaperso/





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