ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 1 dicembre 2020

E così non riuscivamo a veder nulla

Vademecum per la resistenza quotidiana al golpe sanitario


Calendario dell'Avvento

Primo giorno di dicembre. Siamo entrati nel periodo dell'Avvento. Ormai non ci sono più dubbi: questo che è stato fatto nel nome di un'epidemia, è null'altro che un golpe sanitario. Le libertà democratiche, tipiche dello stato di diritto ci sono state sospese  e sequestrate brutalmente. Per la prima volta nella storia delle epidemie, le quali pur nella loro gravità,  non hanno mai impedito al mondo di andare avanti, si adopera un'epidemia per ridisegnare il mondo. O come si dice nel linguaggio informatico RESETTARLO. 

Mancano ormai pochissimi giorni al prossimo Dpcm, che Conte dovrebbe firmare entro la mezzanotte di giovedì 3 dicembre, e ancora non si sa quasi nulla. Tante le ipotesi, le voci di corridoio,  ma ancora nessuna certezza, se non quella di una manovra spregiudicata di continui STOP and GO. Una vera e propria tortura psicologica del guinzaglio lungo, guinzaglio corto.  La cosa più umiliante per la cosiddetta "stampa" sono i cronisti dei giornaloni che si piegano a fare i gazzettieri  delle restrizioni con una meticolosità davvero servile. Non una voce discorde che esprima riprovazione per quello che stanno facendo a questo paese e ai  suoi cittadini.  Vi sarà consentitonon vi sarà  consentito, è  vietato questo, è vietato quello...Non ci saranno deroghe, non potete, non dovete fare come quest'estate. E che diavolo abbiamo fatto di male quest'estate? 
Continua la loro bieca strategia di colpevolizzazione individuale e collettiva per tutto quello che non hanno saputo predisporre in termini sanitari e non.  Il tutto con il silenzio-assenso della cosiddetta "opposizione" (sempre più  oppofinzione che si limita a invocare il "buon senso") Prevedo che dovremo portare a lungo questo fardello. E allora comportiamoci come se l'opposizione fossimo noi. Opponiamoci, ribelliamoci e resistiamo con forza e coraggio. Ecco un piccolo manuale  di sopravvivenza.

  • Spegnete la tv, i relativi notiziari allarmisti e catastrofisti. Guardate qualche talk (pochi, pochissimi) solo se ci sono argomenti di interesse, con ospiti di rilievo. 
  • Riducete anche la dipendenza da web, specie se in molti casi, riprende i titoloni terroristici dei giornali. 
  • Non rinunciate ai vostri contatti con gli amici e trovate il modo di vedervi nonostante i divieti.
  • Non lasciate da soli i vostri familiari, specie se in difficoltà, con la scusa che potrebbero farvi multe se abitate lontani. Ricordate che quella famiglia che vorrebbero distruggere, è l'unica Mutua che funziona. 
  • Non assumete "les idées reçues" dei media né i vocaboli del "mass-mediese" e cercate di non fare propri i termini in inglese. Alla parola "lockdown" trovate dei corrispettivi italiani come "chiusura", "clausura", "reclusione", "serrata", "confinamento".
  • Mi è capitato di sentire persone che ripetono a pappagallo il termine prefettizio "assembramento" anche quando ci sono due o tre persone che parlano. Imparate a rifiutarlo: fa il loro gioco. Anche qui, nel caso, abbiamo sinonimi più intelligenti come "affollamento", "ressa". Mi è capitato di sentir dire perfino  espressioni demenziali come "erano assembrati". Meglio dire,  "erano ammassati".  In ogni caso, veder gente fa parte di quella "normalità" finora negataci, perciò non fate gli schizzinosi del distanziamento ad ogni costo, fermo restante le precauzioni da prendere.
  • Cercate sul web e nella vostra città collegi di avvocati per il ricorso alle loro multe. Scaricate i moduli per i ricorsi, ma non abbiate paura di muovervi.
  • Rifiutate la logica "cromatica" dei colori delle regioni: rosso, arancione, giallo. Serve a dividerci e a dare pieni poteri dispotici e autoritari all'attuale governo abusivo che si arroga l'arbitrio di cambiarli dall'oggi al domani come il gioco dei bambini "Strega Comanda Colori".
  • Nei giorni e nelle sere natalizie, rifiutate la logica del coprifuoco e recatevi a portare gli auguri a chi più vi sta a cuore. Se siete in tanti a infischiarvene, passerete inosservati. Idem per i pranzi di Natale e cenoni di Capodanno.
  • I commercianti ed esercenti  per cui è prevista la serrata nei giorni di Natale e Santo Stefano, imparino a presidiare comunque il loro posto di lavoro. Magari tenendolo illuminato. Sarà un modo per non fare sembrare penitenziale questo Natale. 
  • Non cadete nel tranello degli attuali falsi Savonarola che storcono il naso contro "l'odiato consumismo" e vi inducono al "Natale sobriamente Amazon-ico".  Quello che in realtà, favorisce le grandi Corporation e distrugge il commercio al dettaglio, rendendo le nostre città misere e vuote. Stravaccati sui divani a digitare, ci siete stati  già per troppo tempo. Pertanto uscite e  comprate qualche regalo in "negozi fisici" che abbiano prodotti italiani. Aiuterete i commercianti che se la passano male e in più ritroverete la gioia di scambiare quattro parole e qualche sorriso (mascherina permettendo). Lo scambio dei doni è rito antichissimo che risale alle notti dei tempi. 
  • Nelle vostre parrocchie richiedete che la Messa si celebri alla Mezzanotte. Dopo il buio di una notte, nasce sempre la luce del nuovo giorno. E' un significato solstiziale che nasce da antiche tradizioni romane (Sol Invictus) sulle quali si è poi innestato il Cristianesimo con il suo culto della Natività. Le tradizioni e i riti servono a rassicurarci e a sapere chi siamo e da dove veniamo. 
  • Non accettate le "nuove preghiere"  riformate di Bergoglio che cadono, non a caso, nel periodo peggiore della storia del nostro Paese, insieme alla pessima trovata di far nascere il Bambinello alle 22.  Il Pater Noster recitatelo come ve l'hanno sempre insegnato: non sbaglierete. 
  •  Idem per le Litanie alla Madonna a cui l'apostata Bergoglio ha fatto aggiungere dal 20 giugno scorso, il Solacium Migrantium (Conforto dei Migranti) per Maria. Falso, tarocco e inventato di sana pianta secondo i dettami mondialisti. Non solo, ma se  " i migranti" vengono santificati o beatificati nelle litanie, essi diventano automaticamente "intoccabili" e ogni critica vi sarà vietata.  Modificare le Litanie Lauretane significa alterare il modo in cui i credenti pregano. Significa mescolare politica e religione in modo non solo sincretico, ma sin-cretino, e perciò fasullo. 
  • Ricordiamoci che il coraggio lo si esercita come la memoria, come l'intelletto, come qualsiasi altra peculiarità umana. Se non lo facciamo, lo si perde.  E prenderanno gusto a schiacciarci sempre di più.
 Giorno di S. Eligio 

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MAI IL BUONO ANDRA' PERDUTO


Nulla di ciò che è buono andrà perduto, mai. In fondo al nostro essere c’è questa certezza istintiva: tutte le cose belle sono per sempre e un giorno le ritroveremo, purificate dalla nostra sofferenza e dalla lunga separazione                                                          di Francesco Lamendola  


 

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Un bambino va per la strada tenendo la mano della sua mamma, giovane e graziosa. Lei lo ha portato con sé per una normalissima commissione, però in un quartiere della città dove di solito non vanno mai; e adesso, nella luce di un mattino d’inverno che si posa obliquamente sulle facciate delle vecchie case, tutto ha un che di nuovo, di festoso, di sorprendente nell’animo di quel bambino. Ogni cosa, ogni finestra con gli scuri di legno, ogni portone, ogni cortile interno che fa capolino col suo piccolo orto, ogni pietra del selciato, grossi ciottoli di fiume arrotondati e disposti come un fiume silenzioso che corre fra gli isolati con un ritmo sempre uguale, e l’odore di pane e latte che esce dalle panetterie, e il profumo del caffè che aleggia nei bar, e perfino il riverbero del sole sui vetri delle finestre delle case più umili, nella zona più povera e sprovvista di negozi, solo vecchie case modestissime dagli spessi muri anneriti e screpolati, tutto, tutto acquista una leggerezza, una trasparenza, un fascino che riempie il cuore di una meraviglia che vi s’imprime per sempre, e che accompagnerà quel bambino per il resto della vita. Così come non scorderà mai quella dolce intimità con la mamma, il suo sorriso buono e rassicurante, il fazzoletto annodato sotto il mento, che le copre i bellissimi capelli neri, il senso di protezione che prova camminandole al fianco di buon passo, la piena consapevolezza del legame affettuoso che li lega e che si estende a tutta la famiglia, luogo di calore, di ascolto, di scambievole desiderio di bene. E poi, come uno strumento di sottofondo che quasi non si nota e invece avvolge tutto con la sua melodia quasi impalpabile, la città: quella città, e non un’altra; la città dove sono nati, dove vivono i nonni, dove ci sono tutte le cose care; non una città qualsiasi, non un luogo indifferente, ma un luogo d’elezione, unico, insostituibile, ove tutto è amabile, e perfino gli aspetti meno belli diventano cari e preziosi: i tetti disuguali, i muri spessi delle vecchie case, i balconi in ferro battuto, quell’atmosfera un po’ severa, con tutte quelle caserme e quei conventi, quel cielo, quel dialetto, quel modo di camminare della gente, gente chiusa e taciturna, ma capace di donare il cuore ai veri amici. Sarebbe semplicemente inconcepibile un altro sfondo, un’altra cornice; sarebbe impensabile non assaporare tanta dolcezza dall’aria e rapire un simile incanto dai giardini, se non ci fossero quelle vecchie case, quei borghi raccolti, quelle pietre, quegli scuri di legno con i ganci di ferro, quei camini svettanti sulle tegole, quelle rogge che corrono sotto i ponti, quel profumo di caldarroste, quei tramonti estivi, quei viali di pioppi con le foglioline frementi a primavera, quei bambini che vanno a scuola con la cartella in mano, nei loro grembiulini neri col colletto bianco, quei clienti inamovibili delle osterie, col bicchiere sempre pieno avanti a sé, seduti ore ed ore al tavolo di legno, a lisciarsi i baffoni e ricordare il buon tempo andato.

 

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Nulla di ciò che è buono andrà perduto, mai !

 

E quelle associazioni mentali, quei ricordi intrecciati alle sensazioni di allora, sempre vive nella stanza più segreta della memoria: il senso di scoperta, di novità, di pulizia; e la mamma che insegna al bambino le prime nozioni di latino, e arrivati ai piedi del santuario, su cui campeggia la scritta Gratiarum Virgini Sacrum, lo invita a tradurre; e quella pittura con Maria e il Bambino sulla facciata della casa d’angolo; e quella via dal nome buffo, via generale Chinotto, che naturalmente fa venir in mente la bevanda dal gusto un po’ frizzante, eppure deve avere a che fare con le cose militari, vallo a sapere. La mente del bambino ha un suo modo di ragionare: e se la nonna prepara il rosto con l’osmarin, ciò vuol dire che la piantina aromatica con cui ella cucina l’arrosto, la domenica, è l’osmarino, non il rosmarino; e che delusione quando scoprirà che si chiama proprio rosmarino, come ormai da qualche tempo sospettava, perché osmarino era tanto più bello, aveva un suono assai più esotico e melodioso. Non c’è confine fra le cose reali e le cose pensate; o meglio, per lui sono tutte reali. E se in chiesa le donne sciolgono alla Vergine Maria un canto che a un certo punto dice: salva, Maria, chi t’ama, e il bambino capisce invece salva Maria chitana, allora pensa a una specie di chitarra, lo pensa anche se non capisce; e benché non ne comprenda il senso, gli piacciono quelle strane parole e le ripete volentieri, mentalmente, così come le ha capite, rese più interessanti da quell’aura di mistero. E se in un libro di fiabe ha visto il disegno di un topo-pirata, con la gamba di legno, che alla fine della storia viene punito per le sue malefatte sospingendolo, con la punta delle spade, a imboccare la passerella che si protende nel vuoto dal fianco della nave, mentre la pinna paurosa di uno squalo appare fra le onde del mare, lui ne è colpito e turbato proprio come se quella scena fosse vera, come se il povero topo cattivo venisse condannato a morte lì, sotto il suo sguardo, reso ancor più patetico dalla sua povera gamba di legno che gl’impedisce di camminare speditamente, e dal suo occhio orbo, nascosto dal fazzoletto. Perfino gli odori, perfino i gusti hanno per lui un significato diverso che per l’adulto, legati come sono a sensazioni e impressioni cariche di risonanza: perché, altrimenti, da un certo giorno dell’infanzia, l’odore di vernice fresca e il sapore di quei biscotti ripieni di fichi si sono impressi con tanta soavità nel cuore di quel bambino, per sempre?

Ed ecco l’espressione per sempre. È la più usata e abusata da tutti gli innamorati, e anche da tutti gli odiatori:  ti amerò per sempreti odierò per sempre (ma si sa che l’odio è un amore rovesciato). Sorgono spontanee, anche se novantanove volte su cento sono solo espressioni di un impulso momentaneo, che a svanisce prima di quel che si credeva. Solo i bambini la prendono sul serio: per sempre, per loro, significa esattamente ciò che vuol dire: senza mai fine. E i bambini sanno più cose di quante ne conoscano gli adulti: le sanno per via istintiva, ma le sanno, con la certezza infallibile di chi è più vicino alla sorgente, e non più lontano. Gli adulti, con tutti i loro ragionamenti, con la loro saggezza, con la loro maturità, hanno perso la cosa principale: lo stupore davanti al mondo; perciò, anche se conoscono mille cose, ne sanno per davvero solo tre o quattro, e anche quelle le sanno per modo di dire, cioè le sanno a parole, ma non le calano nella loro consapevolezza più profonda. I bambini sono venuti al mondo da poco: dov’erano prima nessuno lo sa, però sta di fatto che hanno conservato una specie di vago ricordo, ed è quel ricordo che illumina loro la strada e funge da cristallo per guardare e interpretare la realtà. Quel che intendiamo dire è che la realtà, per il bambino, è data da ciò che si vede, si ode, si tocca, si odora, si gusta, da ciò che si ricorda e da ciò che s’immagina (ma non da ciò che si prevede, perché il bambino non prevede nulla; e non prevede per la semplice ragione che non fa calcoli), più qualcos’altro. Per l’adulto la realtà è data da ciò che si vede, si ode, si tocca, si odora, si gusta, si ricorda, s’immagina (poco), si prevede (moltissimo), si calcola e si può dimostrare con il ragionamento astratto. Dei due, è il bambino ad essere più vicino al cuore delle cose, perché invece di scomporle, le afferra con tutto il suo essere; invece di studiarle ed esaminarle, le accetta e le accoglie; invece d’imporre loro la sua verità e la sua spiegazione, le interroga pieno di meraviglia e lascia che siano esse a rispondergli, a sussurrargli il loro segreto in una lingua che l’adulto non conosce più, perché l’ha dimenticata. E così il bambino sa certamente meno cose dell’adulto, però sa quelle essenziali; non solo: sa quali domande hanno un senso e quali non ce l’hanno, e per queste ultime si astiene dal chiedere, lui così curioso che vorrebbe far domande su tutto, fino a stancare chi lo ascolta. Sa, per esempio, che la domanda: qual è il senso della vita?, non ha senso, non perché la vita non abbia senso, ma perché non ha senso fare la domanda a qualcun altro e aspettare la risposta. La risposta c’è, ma non è formulabile a parole; o meglio, la si può formulare, ma è solo un’approssimazione, alquanto inadeguata, della risposta vera, che non giunge dai discorsi, ma dalla vita stessa. E non giunge quando viene posta, astrattamente, la domanda, ma nel momento in apparenza più impensato; perché la vita ha i suoi tempi e le sue leggi, i suoi silenzi e le sue rivelazioni, e li stabilisce lei, non noi. E se vogliamo sapere troppo e subito, la nostra domanda rimane insoddisfatta: non perché la vita non risponda, ma perché noi non siamo ancora capaci di cogliere la risposta. Abbiamo troppo rumore negli orecchi, e così non udiamo la risposta alla domanda che noi stessi avevamo formulato. In un certo senso, guardavamo dalla parte sbagliata, e così non riuscivamo a veder nulla.

 

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In fondo al nostro essere c’è questa certezza istintiva: tutte le cose belle sono per sempre e un giorno le ritroveremo, purificate dalla nostra sofferenza e dalla lunga separazione!

 

Naturalmente tutte queste sono solamente immagini simboliche: quando diciamo che la vita parla, che la vita risponde, in effetti vogliamo dire che Dio parla, che Dio risponde: perché Dio è il signore del mondo e il padrone della vita, e tutto ciò che domandiamo alla vita, lo domandiamo a Lui; e tutto ciò che vorremmo dalla vita, lo vorremmo da Lui. E siccome noi guardiamo dalla parte sbagliata, non lo vediamo; e siccome abbiamo mille rumori inutili nell’orecchio, non lo udiamo. Ma Dio è vicino ai bambini, perché i bambini sono più vicini a Lui. Non a caso Gesù ammoniva: (Mt 18, 3-5; Gv 18, 10):

In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.

Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.

 

Ora, quando un bambino dice, o pensa: questa cosa è per sempre, non lo dice né lo pensa con una riserva mentale, come fa l’adulto, ma vi mette tutto se stesso. E se scrive, in una letterina per la mamma, ti voglio bene sempre, non la per gioco, ma ci crede davvero. L’adulto, davanti a una simile espressione, scuote il capo, pensando che nulla è per sempre: se non altro perché c’è la morte. La morte, così ragiona l’adulto, si porta via tutto: anche le promesse, anche i giuramenti, anche i sentimenti più profondi. E inoltre, pensa l’adulto, il bambino fa dichiarazioni eterne perché non sa cos’è la morte: non sa che la morte è la fine, e che ogni cosa, anche quella che sembrava più durevole, appare caduca non appena si presenta lei. Questa è la saggezza dell’adulto, e in nome di tale saggezza egli si crede assai più esperto sulla vita del bambino; anche se arriva quasi ad invidiare il bambino per la sua beata ignoranza della morte. E per consolare un bambino che ha perso la sua mamma, l’adulto gli dice che lei è volata in cielo; ma lui, quanto a se stesso, non ci crede affatto. Gli dice anche che lei lo guarda e lo assiste da lassù, e che ora è felice presso Dio, e veglia su di lui. Ma non ci crede, e lo dice solo per consolarlo. E infine gli dice che un giorno la rivedrà, che si rivedranno, che si abbracceranno e che sarà per sempre: ma non lo pensa veramente, perché il pungiglione della morte lo ha trafitto al cuore, ed è come un assetato nel deserto che vuol offrire l’acqua a un altro, e fa l’atto di versargliela in bocca, ma le sue mani sono vuote.

 

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Gesù ammoniva: "In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli".

 

E tuttavia, se non fosse così? Se fosse vero che la mamma è volata in cielo; che ora è felice presso Dio; che veglia sul suo bambino, e che un giorno si rivedranno e si abbracceranno? Certo, queste cose le dice la religione cristiana: non disse forse Gesù al buon ladrone (Lc 23, 43): In verità io ti dico: oggi stesso tu sarai con me in paradiso? Tuttavia l’adulto, si sa, è anche un cristiano adulto, e alle favole non crede più, benché gliene sia rimasta una certa nostalgia. Eppure, proviamo a domandarci: perché l’adulto ha detto quelle dolci parole di consolazione al bambino rimasto orfano di sua madre? Forse perché si è ricordato del catechismo? Forse perché ha pensato alla dottrina cattolica? No: le ha dette d’istinto, perché gli sono sgorgate dal cuore, gli sono affiorate alle labbra prima di qualsiasi ragionamento. Gli è parso cosa buona e giusta dire così, non saprebbe nemmeno lui spiegare come e perché. Ecco: questa è la fonte di ciò che è radicato nel nostro essere, dunque di ciò che viene da Dio. Noi siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio: quel che abbiamo in fondo al nostro essere, viene da Lui. In fondo al nostro essere c’è questa certezza istintiva: che tutte le cose belle sono per sempre, non per essere ingoiate dal tempo e divenire nulla; che tutto ciò che è buono non andrà perduto, mai, ma un giorno lo ritroveremo, purificato dalla nostra sofferenza e dalla lunga separazione. Dio non ha posto al cuore del nostro essere un tale grado di certezza per prenderci in giro. Dio non fa nulla a caso, ma ogni cosa, anche la più piccola e apparentemente insignificante, è stata fatta per il bene, nasce dal bene ed è diretta a un fine buono. Lasciamo ai tristi psicologi materialisti l’amara soddisfazione che il desiderio di vita eterna è una forma di nevrosi di un animale intelligente che non accetta l’idea di dover morire. Noi sappiamo, noi sentiamo, che la verità è un’altra; e la stessa ragione naturale, che ci guida alla conoscenza, sia pure parziale, di Dio, ci dice che Dio, l’essere perfettissimo, non crea inganni o illusioni nella mente dell’uomo, la sua creatura prediletta. Come scrive san Paolo, con gioiosa sicurezza (Rm 6,22-23): Ma ora, liberati dal peccato e fatti servo di Dio, avete per frutto la vostra santificazione e per fine la vita eterna; perché il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore.  

 

Nulla di ciò che è buono andrà perduto, mai 

di Francesco Lamendola

 

http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/teologia-per-un-nuovo-umanesimo/9719-il-buono-andra-perduto-mai

Covid, l’anticipo della messa? Paglia:
«Nessuno scandalo, l’importante
è non cancellarla»

L’arcivescovo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita: è così da anni, non conta l’ora, conta che il Natale venga davvero

Covid, l'anticipo della messa? Paglia:  «Nessuno scandalo, l'importante è non cancellarla»Vincenzo Paglia
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CITTÀ DEL VATICANO «Pur di fare festa, cosa peraltro ottima, molte volte ci siamo dimenticati del festeggiato, con la F maiuscola. Ecco, mettiamola così: quest’anno abbiamo l’opportunità di riscoprire il Festeggiato». L’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, sorride: «Quest’anno non dobbiamo farci rubare il Natale da nessuno».

E chi potrebbe rubarlo?

«Un mistico del Seicento, Angelus Silesius, diceva: “Nascesse Cristo mille volte a Betlemme ma non nel tuo cuore, saresti perso per sempre”. Guardiamo all’essenziale».

I vescovi italiani hanno detto che non c’è problema, ma ci sono cattolici che considerano l’anticipo della Messa di mezzanotte quasi fosse un sacrilegio…

«Certo, va colto il desiderio di celebrare il Natale di notte, quando fuori è buio, perché è evidente il significato simbolico della luce che rischiara le tenebre. Però sono anni ormai che nelle basiliche romane e in tante parrocchie si comincia la messa intorno alle nove di sera, a San Pietro lo stesso Papa inizia da tempo alle 21.30. Non vedo nessuno scandalo. Non conta l’ora, conta che il Natale venga davvero».

La Commissione europea dice di evitare le messe con «grossi assembramenti»…

«L’essenziale, in questa faccenda, è il rispetto delle norme di sicurezza, con presenze limitate, come in Italia si è gia fatto nei mesi di pandemia».

In Belgio hanno deciso di vietare le celebrazioni natalizie…

«Male, non si deve bloccare la vita per paura, semmai raddoppiare le attenzioni. È bene celebrare la messa con i fedeli, guai a cancellarla. Dopodiché è questione di buon senso, le regole di sicurezza devono esserci, assolutamente. Del resto com’è andato il Natale, duemila anni fa? Per quel Bambino ci fu un lockdown totale, trovò tutto sbarrato, e non è che tornò in cielo perché Natale non si poteva fare: andò in una stalla pur di mostrare quanto ci voleva bene. E intorno c’erano solo pochi pastori».

Quindi?

«Per chi non riesce ad andare in chiesa, non è un dramma. C’è Internet, ci sono le televisioni. Io esorterei tutte le parrocchie, per quanto è nelle loro possibilità, a trasmettere la messa. Non si toglie nulla, si moltiplica: moltiplichiamo il Natale. Una volta rispettate le norme di sicurezza, possiamo inventarci tutto. Come fece San Francesco ottocento anni fa».

E come fece?

«Si chiedeva come celebrare il Natale e, raccontano le fonti, disse: voglio vedere con gli occhi del corpo come è andata. Così radunò la gente di Greccio e andò nella notte a celebrare la messa in una stalla, con una mangiatoria come altare. Fece una cosa straordinaria per quel tempo, e anche per oggi».

https://www.corriere.it/politica/20_dicembre_01/anticipo-nessuno-scandalo-l-importante-non-cancellarla-1f4a2f1a-3418-11eb-be82-c9839d3e98fa.shtml 

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