ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 17 febbraio 2021

Carne, addio!

BDV: Se nel Mondo Regna Re Carnevale, nella Chiesa non Sembra Meglio…

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, diamo addio al Carnevale – uno dei più mogi di cui abbia memoria…- con questa riflessione ricca di spunti e un po’ sognante di Benedetta De Vito. Buona lettura, e buon ingresso in Quaresima.

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Quando Elisabetta Canori Mora andò a vivere, con la sua famigliola, nell’appartamento dei suoceri alto nel bel palazzo Selvaggi, affacciato sulla Via del Corso, ebbe un cruccio grande: quando giungeva febbraio, doveva riuscir a tener chiuse le imposte alle finestre per impedire alle due figliolette, Marianna e Maria Lucina, di guardar gli scandali delle sfilate del Carnevale romano.

Nera era la notte, una tentazione a ogni licenza, mascherati i romani e i forestieri, nobili, ricchi, poveri, tutti immersi nella febbre del caos che, d’un tratto, pagano, arcano, inquietante, esplodeva nella Città Santa.

Era la festa, antica, della febbre, cioè di Febbraio, la festa della malaria e della purificazione, che poi fu il Carnevale. Si accendeva nel fuoco, che purifica, ed era la notte dei “moccoletti”, i piccoli ardenti ceri che i malati di febbre (cioè chi partecipava alle feste) portava a simbolo di guarigione.

Il Carnevale, che salutava il mangiar carne (carne, vale! Carne, addio!) era dunque il periodo della febbre che poi, però, passava – così come accade oggi pure – e nelle ceneri, in cui plasticamente si disfaceva, ecco cominciar la nuova vita, la Quaresima e la Pasqua della Rinascita in Cristo.

Ma il senso profondo dell’inversione del Carnevale, già ai tempi di Elisabetta, si era perduto. Della sua profondità restava solo l’ombra, della verità la smorfia del demonio. Porte spalancate al mondo a gambe all’aria.  Il peccato contro la legge di Dio diventava legge. Già allora la febbre durava non i giorni della festa, ma, sotto pelle, l’anno intero…

Poteva chiudere le finestre, Elisabetta, che viveva, gioiosa, nella Comunione dei Santi (come in letizia, anche se in continua guerra contro il diavolo, vive chi è nel cuore della Trinità) e lo faceva, ma le sette segrete che, in quegli anni, anch’esse come una febbre oscura, si muovevano all’ombra del Cupolone, lavoravano alacremente per mettere il mondo, così com’è oggi, all’incontrario e trasformare il bello in brutto e il buono in cattivo. Marianna, la figlia maggiore, non capiva sua madre, viveva i tempi nuovi, voleva maritarsi, vivere nel mondo.

Maria Lucina, invece, si fece monaca di San Filippo Neri. Marianna si sposò, visse nel mondo, e prima di morire, capì sua madre che era vissuta nella verità. Ma il mondo, intanto, aveva sposato le tenebre, girando la schiena alla Luce. Sapete perché cattivo vuol dire cattivo? Ci vengono incontro la filologia e la semantica che sono sorelle e si tengono per mano. La prima, che racconta l’origine delle parole, dice: “Cattivo vien dal latino captivus e vuol significare prigioniero”; la seconda che spiega invece l’uso che della parola si è fatto nei secoli, ragiona: “Ed è perché nel Medio Evo l’uomo maligno era “captivus diaboli” che si è finiti per dir cattivo di una persona che il bene lo conosce poco.

Ed ecco che la parola cattivo, perduta la coda, si fa termine qualunque, color grigio topo. Il capolavoro del demonio che, come si sa, lavora alacremente per fingere di non esistere! Anche nel saluto, anche se a fin di bene, siamo schiavi perché ciao è ciancicamento di sciavon, alla veneziana. I romani, invece, auguravano la buona salute, nel loro vale, salve…

Prigionieri del diavolo, schiavi del mondo, gli uomini, inseguendo i lumi della finta luce (lucifero, la stella lucente che non è il sole) scelsero, con superbia, il Carnevale, ovvero non la purificazione dalla febbre, ma l’immersione nel male, nel tradimento della legge divina, che oggi è la realtà in cui viviamo tutti, sempre e che si moltiplica nei media. Io, alla sera, stanca della giornata che mi porta di qua e di là, tra doveri, commissioni, faccende e altro girovagare, accendo la televisione e, trovando, tutto l’anno, nel piccolo schermo, il Carnevale, il mondo al contrario, precipitata  di nuovo nell’inversione ossessiva che vuol cambiare l’anima, insegnando, fin dalle fasce la turpitudine e l’orrore, faccio come Elisabetta, e, stanca di parole, chiudo le imposte, cioè la tv, e me ne vado a letto.

Non così i Santi che han sempre tuonato contro il Carnevale. Da Sant’Antonio a San Carlo Borromeo, fino a San Giovanni de la Salle che paragona i “cattivi cristiani” del Carnevale agli uomini che torturarono e uccisero Nostro Signore. I giocatori? Sono come i soldati romani che “tirarono a sorte la tunica del Signore”. I nottambuli? Somigliano “a Giuda e a chi era con lui  quando approfittarono della notte per catturare Gesù”. E così via. Il perché è semplice da capire. La vita cristiana, allegra, piena di gioia, è ordinata, nella pace e respira nella profondità dell’anima che è unita a Dio. Somiglia a quella del codirosso che a volte viene a trovarmi, facendo capolino tra i ciclamini del mio davanzale. Viene forse dall’Africa e non appare stanco, ma allegro sempre. Canta tutto il giorno la gloria del Signore nel suo bel vestitino di piume, la codina d’un rosso acceso. Mangia le sue bricioline, vola felice nell’aria tersa, nutre i suoi piccolini, e poi la notte, chiuso il becco tra le penne, a dormire…

Ed ecco perché chiudo le imposte alla televisione che rimanda, al quadrato, ciò che già vedo nel mondo. Sì, il mondo mi basta e non ho voglia di rivederlo, riproposto anzi al cubo, sul teleschermo. Sì, mi ripeto, mi basta quel che vedo, mentre penso ad Elisabetta, che ora, Beata, vive la vita vera nelle dolci Mani del Signore, mentre le sue dolci spoglie sono nella stupenda Chiesa trinitaria di San Carlino alle Quattro Fontane. E a volte, quando il cuore mio non regge più, sono lì con lei nella piccola cappella che è l’ultima dimora dei suoi resti terreni. E con lei si stira il cuore mio.

Se nel mondo, il Re Carnevale regna incontrastato, anche nella Chiesa, che amo come gli occhi miei, non va tanto meglio. E, d’un tratto, penso a un francescano di nome Antonio che conobbi molti anni fa e che aiutavo nelle sue buone azioni. Che poi si concretizzavano in un mercatino per i poveri che s’apparecchiava nella sacrestia della sua chiesa. Davamo via panni e panini, ma prima, tutti i poverelli, con sporte e carrellini, dovevano ascoltar la messa. Ed era bella e piena quella messa un poco derelitta, con la varia umanità che, pur attendendo sciarpe, coperte e cappelli, ascoltava senza batter ciglio, le lunghe omelie di Padre Antonio, che spesso parlavano del demonio. Poi un giorno, per faide interne che non ho capito, il Padre fu spedito non so dove o forse lo so ma non lo scrivo e al suo posto venne un francescano moderno, gran parlatore, che alla sera, ancora oggi, riunisce molti giovani e, in chiesa, ognuno racconta la sua esperienza matrimoniale o lavorativa, voltando le spalle al tabernacolo. Andai, una volta soltanto, a una delle serate spirituali, e la chiesa, calda quando c’erano i poveretti di Padre Antonio, mi sembrò gelida nel latinorum di quei fedeli, pur bravissime persone. Ricordo che un frate che conoscevo sedeva in un banco e si era portato una gran coperta per coprir le gambe e il cuore…

Sì, anche nella Chiesa, sembra comandar il mondo all’incontrario, la terzana, se è vero, come è vero, che un parroco che conosco, il quale ha il merito di aver svuotato di fedeli la sua chiesa e che, in un’omelia, se la prese con quanti, in orazione, fanno i “beghini”, presto, così mi han detto, sarà Vescovo. Ma la febbre, io lo so, non dura e dopo Febbraio viene Marzo e poi la primavera della Pasqua nel Signore…

BDV

Marco Tosatti

17 Febbraio 2021 Pubblicato da  4 Commenti

https://www.marcotosatti.com/2021/02/17/bdv-se-nel-mondo-regna-re-carnevale-nella-chiesa-non-sembra-meglio/

Mercoledì delle Ceneri e principio della santissima Quaresima

Lo spirito comunitario di preghiera, di sincerità cristiana e di conversione al Signore, che proclamano i testi della Sacra Scrittura, si esprime simbolicamente nel rito della cenere sparsa sulle nostre teste, al quale noi ci sottomettiamo umilmente in risposta alla parola di Dio. Al di là del senso che queste usanze hanno avuto nella storia delle religioni, il cristiano le adotta in continuità con le pratiche espiatorie dell’Antico Testamento, come un “simbolo austero” del nostro cammino spirituale, lungo tutta la Quaresima, e per riconoscere che il nostro corpo, formato dalla polvere, ritornerà tale, come un sacrificio reso al Dio della vita in unione con la morte del suo Figlio Unigenito. È per questo che il mercoledì delle Ceneri, così come il resto della Quaresima, non ha senso di per sé, ma ci riporta all’evento della Risurrezione di Gesù, che noi celebriamo rinnovati interiormente e con la ferma speranza che i nostri corpi saranno trasformati come il suo.

Il rinnovamento pasquale è proclamato per tutta l’umanità dai credenti in Gesù Cristo, che, seguendo l’esempio del divino Maestro, praticano il digiuno dai beni e dalle seduzioni del mondo, che il Maligno ci presenta per farci cadere in tentazione. La riduzione del nutrimento del corpo è un segno eloquente della disponibilità del cristiano all’azione dello Spirito Santo e della nostra solidarietà con coloro che aspettano nella povertà la celebrazione dell’eterno e definitivo banchetto pasquale. Così dunque la rinuncia ad altri piaceri e soddisfazioni legittime completerà il quadro richiesto per il digiuno, trasformando questo periodo di grazia in un annuncio profetico di un nuovo mondo, riconciliato con il Signore.

La celebrazione delle ceneri
di Enrico Beraudo

L’origine del Mercoledì delle Ceneri è da ricercare nell’antica prassi penitenziale. Originariamente il sacramento della penitenza non era celebrato secondo le modalità attuali. Il liturgista Pelagio Visentin sottolinea che l’evoluzione della disciplina penitenziale è triplice: “da una celebrazione pubblica ad una celebrazione privata; da una riconciliazione con la Chiesa, concessa una sola volta, ad una celebrazione frequente del sacramento, intesa come aiuto-rimedio nella vita del penitente; da una espiazione, previa all’assoluzione, prolungata e rigorosa, ad una soddisfazione, successiva all’assoluzione”.

La celebrazione delle ceneri nasce a motivo della celebrazione pubblica della penitenza, costituiva infatti il rito che dava inizio al cammino di penitenza dei fedeli che sarebbero stati assolti dai loro peccati la mattina del giovedì santo. Nel tempo il gesto dell’imposizione delle ceneri si estende a tutti i fedeli e la riforma liturgica ha ritenuto opportuno conservare l’importanza di questo segno.

La teologia biblica rivela un duplice significato dell’uso delle ceneri.

1 – Anzitutto sono segno della debole e fragile condizione dell’uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: “Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere…” (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: “Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere” (Gb 30,19). In tanti altri passi biblici può essere riscontrata questa dimensione precaria dell’uomo simboleggiata dalla cenere (Sap 2,3; Sir 10,9; Sir 17,27).

2 – Ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore. Particolarmente noto è il testo biblico della conversione degli abitanti di Ninive a motivo della predicazione di Giona: “I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere” (Gio 3,5-9). Anche Giuditta invita invita tutto il popolo a fare penitenza affinché Dio intervenga a liberarlo: “Ogni uomo o donna israelita e i fanciulli che abitavano in Gerusalemme si prostrarono davanti al tempio e cosparsero il capo di cenere e, vestiti di sacco, alzarono le mani davanti al Signore” (Gdt 4,11).

La semplice ma coinvolgente liturgia del Mercoledì delle Ceneri conserva questo duplice significato che è esplicitato nelle formule di imposizione: “Ricordati che sei polvere, e in polvere ritornerai” e “Convertitevi, e credete al Vangelo”. Adrien Nocent sottolinea che l’antica formula (Ricordati che sei polvere…) è strettamente legata al gesto di versare le ceneri, mentre la nuova formula (Convertitevi…) esprime meglio l’aspetto positivo della quaresima che con questa celebrazione ha il suo inizio. Lo stesso liturgista propone una soluzione rituale molto significativa: “Se la cosa non risultasse troppo lunga, si potrebbe unire insieme l’antica e la nuova formula che, congiuntamente, esprimerebbero certo al meglio il significato della celebrazione: “Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai; dunque convertiti e credi al Vangelo”.

Il rito dell’imposizione delle ceneri, pur celebrato dopo l’omelia, sostituisce l’atto penitenziale della messa; inoltre può essere compiuto anche senza la messa attraverso questo schema celebrativo: canto di ingresso, colletta, letture proprie, omelia, imposizione delle ceneri, preghiera dei fedeli, benedizione solenne del tempo di quaresima, congedo.
Le ceneri possono essere imposte in tutte le celebrazioni eucaristiche del mercoledì ma sarà opportuno indicare una celebrazione comunitaria “privilegiata” nella quale sia posta ancor più in evidenza la dimensione ecclesiale del cammino di conversione che si sta iniziando.
Fonte: Santiebeati.it

http://www.korazym.org/56151/mercoledi-delle-ceneri-e-principio-della-santissima-quaresima/

Come si faceva la Quaresima prima del Concilio? Quali erano le istruzioni per digiuno e astinenza? In quali altri giorni dell’anno si applicavano questi precetti?


– LA LEGGE DEL DIGIUNO obbliga tutti i fedeli che hanno compiuto i 21 anni e non hanno ancora iniziato il 60° anno.

– LA LEGGE DELL’ASTINENZA dalla carne obbliga tutti i fedeli a partire dai 7 anni compiuti.




IL DIGIUNO consiste nel fare un solo pasto al giorno e due piccole refezioni nel corso della giornata (i moralisti quantificano in 60 grammi al mattino e 250 grammi alla sera).

L’ASTINENZA vieta l’uso della carne, di estratto o brodo di carne, ma non quello delle uova, dei latticini e di qualsiasi condimento di grasso animale.




GIORNI DI ASTINENZA DALLA CARNI: – tutti i Venerdì dell’anno (tranne se vi cade una festa di precetto).

GIORNI DI ASTINENZA E DI DIGIUNO: – Mercoledì delle Ceneri; – ogni Venerdì e Sabato di Quaresima; – il Mercoledì, il Venerdì e il Sabato delle Quattro Tempora; – le Vigilie di Natale (24 Dicembre), di Pentecoste, dell’Immacolata (7 dicembre), d’Ognissanti (31 Ottobre).

GIORNI DI SOLO DIGIUNO SENZA ASTINENZA: tutti gli altri giorni feriali di Quaresima (le Domeniche non c’è digiuno).

 

POSSONO NON PRATICARE L’ASTINENZA:

– i poveri che ricevono carne in elemosina e non hanno altro da mangiare;

– gli infermi, i convalescenti, i deboli di stomaco, le donne che allattano, le donne incinte se deboli; – gli operai che fanno lavori più pesanti quotidianamente;

– mogli, figli, servi, tutti coloro che esercitano un servizio essendovi costretti, e che non possono avere altro cibo sufficientemente nutriente.

 

 POSSONO NON PRATICARE IL DIGIUNO:

– coloro che digiunerebbero con grave incomodo: ammalati, convalescenti, deboli di nervi, donne che allattano o incinte;

– poveri che hanno già poco cibo a disposizione;

– coloro che esercitano un lavoro che è moralmente e ordinariamente incompatibile con il digiuno (es: lavori pesanti);

– coloro che fanno un lavoro intellettuale molto faticoso (es. studenti sotto esami);

– chi deve fare un lungo e faticoso viaggio, per un maggiore bene o per un’opera di pietà più grande se questa è moralmente incompatibile con il digiuno (es: assistenza ai malati).

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