IL GIORNO DEL RICORDO
«Maria nell'abisso della foiba: così Marco restituì la pietas»
Il Giorno del Ricordo si celebra in clandestinità a causa dell'eredità culturale e negazionista del Pci. La Bussola incontra il papà di Marco Martinolli, cattolico morto in odore di santità, che onorò di pietas cristiana gli italiani uccisi dai comunisti e che in quel dramma si immedesimò fino a calarsi nel buio delle cavità: «Lasciava cadere dall'imboccatura delle foibe i santini della Madonna. Un giorno raggiunse l'Abisso Bertarelli per collocarvi una statuetta della Vergine».
Marco davanti all'imboccatura della foiba di Tarnova in Slovenia
C’è una ragione fondamentale per la quale la giornata di oggi passerà pressoché nel dimenticatoio: ed è la presenza di un eredità culturale del Pci nelle scuole e nei media che anestetizzeranno il Giorno del ricordo, istituito per fare memoria dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata. La principale differenza con la Giornata della Memoria sta tutta qui. Ed è una differenza ancora ingombrante a cento anni dalla nascita di quel partito che nella tragedia di migliaia di italiani massacrati e infoibati nelle doline carsiche ha una responsabilità precisa.
Anzitutto perché contribuì con la sua propaganda a sostenere l’operazione dei partigiani titini. E poi sostenendo apertamente “la tattica delle foibe” in un collaborazionismo che nei decenni si è fatto negazionismo come dimostrano le recenti e vergognose azioni di ostracismo da parte dei nipotini del Pci come nel caso delle lapidi e delle vie negate a ricordo di Norma Cossetto.
UNA TRAGEDIA CLANDESTINA
C’è dunque un motivo preciso se la giornata di oggi passerà nella clandestinità più completa o al massimo nell’annacquamento del suo significato: ed è il riflesso mancante nei libri di storia che gli studenti non leggeranno e nei film che non vedremo sulla Rai e nemmeno nelle piattaforme Sky e Netflix dove invece, per l’olocausto, non si esita addirittura a dedicare canali appositi.
Ma il Giorno del ricordo va invece alimentato perché la tragedia delle foibe non sia del tutto dimenticata e quello di oggi non diventi un giorno del non ricordo tenuto vivo soltanto da una storiografia residuale e accusata di essere sprezzantemente “di destra”.
La Bussola ha scelto di onorare questa data parlando di un giovane italiano scomparso prematuramente che al dramma degli infoibati ha dedicato un pezzetto della sua breve ma intensa vita.
ITALIANO E CATTOLICO
Lui è Marco Martinolli, un italiano, un cattolico, morto a 40 anni nel 2010 in odore di santità per la sua instancabile opera di apostolato. Martinolli, che era un appassionato di montagna e che ricoprì anche la carica di presidente del Cai di Monfalcone, la sua città, aveva capito che il ricordo delle foibe era una condicio sine qua non per arrivare a quella pacificazione che è stata negata per troppo tempo nel Paese. E per poterlo fare, e farlo da cristiano, era necessario portare proprio là, in fondo a quell’abisso di desolazione dove la ferocia dell’uomo contro i suoi simili si compì in maniera particolarmente cruenta, un segno della presenza di Cristo salvatore.
Il padre di Martinolli, Giovanni, custodisce ancora gelosamente le fotografie della sua opera instancabile e appassionata e ne promuove il ricordo.
«Nelle sue ricerche storiche – spiega Giovanni -, nate non soltanto da ragioni di studio, ma anche per un profondo senso della giustizia e della compassione nei confronti di migliaia di nostri connazionali (il giovane perse il nonno, che non era mai stato fascista, ucciso dai partigiani comunisti ndr.), Marco si è particolarmente occupato della tragedia delle Foibe di questo nostro confine orientale».
Nel 2007 volle incontrare i testimoni dell’epoca che portarono avanti le coraggiose esplorazioni nelle foibe, fornendo preziose e importanti notizie che smentiscono ogni tentativo di occultare o di negare l’orribile verità̀ di questo crimine comunista.
DOLORE NON SEPOLTO
«Marco intervistò Stefano Pantea che fece parte della spedizione del 1946 curata dallo speleologo Lino de Pangher alla quale presero parte una decina di ragazzi provenienti dallo scoutismo e dall’Azione Cattolica. Nell’ambito delle attività̀ che si svolgevano attorno al Santuario della Madonna Marcelliana di Monfalcone i giovani decisero con entusiasmo di mettersi alla ricerca e di calarsi nelle foibe per recuperare i corpi degli infoibati, ancora non rimossi»
In momenti successivi i giovani riuscirono ad individuare sette corpi e attivare le autorità̀ di Trieste, che, anche se con scarso entusiasmo, recuperarono quelle ossa per poter dare loro una degna sepoltura.
Quel racconto, grazie a Marco Martinolli, divenne anche un dvd che il giovane cattolico chiamò “Dolore non sepolto”.
IL RICORDO E IL MARTIRIO
Successivamente, Marco si impegnò per dare una dignità storica a quelle vittime di una guerra civile che chiamava in causa i titini, tanto ammirato – spiace dirlo – dall’ex presidente Sandro Pertini, ma anche italiani conniventi col regime comunista, e riuscì non senza fatica a realizzare due monumenti per il ricordo degli infoibati e dell’esodo giuliano-dalmata: uno ai piedi del colle di Sant’Elia a Fogliano-Redipuglia e un altro a Monfalcone, nel Parco della Memoria. «In entrambi i monumenti il nome di Marco è ben visibile in segno di riconoscenza per il suo appassionato interesse», ricordano oggi i genitori con orgoglio.
Ma Marco aveva capito anche un’altra cosa: che le foibe erano anche un luogo di martirio, che andava onorato come un territorio sacralizzato, proprio a causa del sangue innocente versato. Non è un caso, e qui la Chiesa ha fatto la sua parte certamente, se il primo martire italiano beatificato in odium fidei per i fatti del dopoguerra e della guerra civile provenga proprio da quelle cavità ancora oggi in parte inesplorate. Si tratta di don Francesco Bonifacio, sacerdote prelevato dai partigiani del maresciallo Tito e ucciso a guerra finita nel 1946, il quale è stato beatificato sotto il pontificato di Benedetto XVI nel 2008, diventando così il primo esponente del clero ad essere collocato sugli altari, dopo essere stato ucciso per il solo fatto di essere un prete cattolico.
Ebbene, Martinolli, che conosceva la storia di don Bonifacio, il cui corpo non è mai stato trovato, sentiva forte il bisogno di far arrivare la consolazione di una pietas spesso negata fin nelle profondità di quegli abissi melmosi e rocciosi.
MARIA NEGLI ABISSI
Nel 2008 scese nell’Abisso Bertarelli, nell’attuale Slovenia, e qui, sul fondo più nero e limaccioso, vi collocò una statuetta della Madonna di Medjugorje. Molte altre immagini della Vergine sono poi state collocate, ad esempio, sotto il Monte San Michele del Carso, dove si è riusciti anche a creare una nicchia nella quale adagiare la statuetta della Madre di Dio.
In altre foibe, come ad esempio in quella di Tarnova si recava spesso e là piangeva. Non poteva scendere perché si tratta di luoghi impervi riservati esclusivamente agli speleologi, ma, girando attorno all’imboccatura, Marco era solito pregare e lanciare dei piccoli santini con impressa l’effige di Maria e la scritta: “Se sapeste quanto vi amo piangereste di gioia”». «Lo faceva perché sentiva il bisogno di immedesimarsi in quella tragedia, voleva provare a calarsi in quegli abissi, respirare l’aria rarefatta dove gli ultimi della fila morivano di stenti». I prigionieri venivano infatti legati uno all’altro col filo spinato e le milizie con ferocia sparavano al primo che moriva sul colpo, trascinando nella bocca della gola tutti gli altri che poi morivano di fame, freddo e sete tra atroci sofferenze.
Ricevette anche accuse di far parte di un partito violento di estrema destra «ma questo è falso», ribadisce papà Govanni. «Marco non si è mai messo in atteggiamenti di rottura, aveva tantissimi amici sloveni, però entrò in conflitto con le amministrazioni di Sinistra del nostro comune per le celebrazioni delle vittime e questo ha dato fastidio».
Quella di Martinolli è una testimonianza di un italiano, di un cattolico, grazie al quale, quel che rimane ancora dei tanti resti rimasti nelle bocche dell’abisso può trovare la consolazione di una presenza della Mamma Celeste che, anche qui su quella terra che non li riesce a onorare, stende comunque il suo manto.
Andrea Zambrano
https://lanuovabq.it/it/maria-nellabisso-della-foiba-cosi-marco-restitui-la-pietas
Foibe e fobie
Le foibe finirono nell’omertà sin da quando furono perpetrate. Perché tiravano in ballo le responsabilità del Pci e dei partigiani rossi nei massacri; perché incrinavano il rapporto con la vicina Jugoslavia di Tito; perché c’era il tabù della cortina di ferro che spartiva due mondi, l’occidente filoamericano e l’est filosovietico e non si dovevano sfrucugliare gli assetti stabiliti. Furono per decenni il ricordo atroce di una minoranza di profughi e il ricordo polemico di una minoranza di “patrioti”, in prevalenza legati al vecchio Movimento Sociale Italiano e ai monarchici. Infine fu ufficializzato il suo ricordo con l’istituzione della giornata. È assurda e meschina la pretesa di bilanciare con la giornata del ricordo il Giorno della Memoria. Per ogni ricordo delle foibe ci sono cento ricordi istituzionali e mediatici della Shoah. Certo, i numeri delle vittime delle due tragedie sono imparagonabili. Ma l’orrore delle foibe assume grande rilievo, numericamente più rilevante della stessa shoah, se è inteso come un capitolo nostrano degli orrori perpetrati del comunismo nel mondo, che si contano – come scrisse Stéphane Courtois – in ottanta milioni di vittime, in gran parte non in tempo di guerra. Ma i paragoni contabili sono odiosi.
Quando il ricordo è forte e vivo non c’è bisogno di dedicarvi una giornata ufficiale e rituale per ricordare. Personalmente preferirei, come già ho detto altre volte, che fossero abolite le giornate mnemoniche e “vittimarie”, non esaurendo la memoria storica nell’orrore. E che si concentrasse in una festa d’Italia, unica e condivisa, la giornata dell’amor patrio e del nostro legame comunitario, che non può ridursi al ‘900 e ai suoi orrori.
La caratteristica delle nostre feste civili è che vengono tenute in piedi e alimentate da un’intenzione polemica: sono sempre feste contro qualcuno, commemorano i giorni del Male o celebrano la cacciata del Maligno, non sono giornate positive della concordia. Sono giornate allusive, contro i presunti eredi del Male. E sono sempre state feste incentrate su reduci, cioè su persone ancora viventi. In fondo le feste dedicate alla Prima guerra mondiale si spensero quando sparirono gli ultimi ragazzi del ’99; così sta accadendo con le commemorazioni legate alla Seconda guerra mondiale. Con ridicoli tentativi di ripescare reduci fino a ieri ignoti, che dopo ottant’anni di silenzio raccontano di essere stati deportati e vittime delle atrocità (sempre dalla stessa parte, naturalmente).
Una festa nazionale ha grande valore simbolico quando annoda le generazioni e racconta un mito di fondazione che si tramanda nei secoli. L’Italia, che è forse il paese più ricco di storia millenaria, converte la sua bulimia di eventi in anoressia celebrativa, la sua memoria antica e sovraccarica si rovescia in amnesia. “Scurdammoce o’ passato” resta alla fine l’unico inno nazionale. Ci unisce l’oblio.
Una raccomandazione alle autorità. Non menatela per favore coi fanatismi nazionalistici per spiegare e al contempo per deviare la tragedia delle foibe. Non fu semplicemente il frutto di una guerra tra odii nazionalistici. L’orrore delle foibe fu perpetrato dai partigiani comunisti di Tito con l’appoggio del comunismo mondiale e dei comunisti italiani, che sposarono – come scrissero in un documento infame dell’epoca, “la tattica delle foibe”. Abbiate l’onesto coraggio di citare il comunismo a proposito delle foibe, senza reticenze. È come se nella Giornata della Memoria non fosse mai citato il nazismo ma ce la prendessimo con il comunismo. Certo, il nazionalismo fu una delle cause che inasprì i rapporti sui confini orientali; così come è noto che l’Unione Sovietica dette una mano a Hitler nell’invasione della Polonia e poi nella caccia e lo sterminio degli ebrei. Ma in entrambi i casi non si può tacere il principale colpevole dello sterminio e va citato per nome: il nazismo per la shoa e il comunismo per le foibe o per i gulag.
Lo sterminio degli italiani nelle foibe e la loro espulsione-espropriazione obbedì a una triplice guerra: la guerra del comunismo contro l’Italia fascista; la guerra di classe dei proletari comunisti contro i benestanti borghesi; la guerra etnica contro gli italiani. Non saltate i due precedenti passaggi e abbiate l’onesto coraggio di chiamare i sicari per nome: furono comunisti. Il nazionalismo in questo caso c’entra assai meno, tant’è vero che collaborazionisti di Tito furono anche i comunisti italiani, i quali si sentivano prima di tutto comunisti, e solo dopo, ma molto dopo, italiani. Per senso storico e carità di patria, teniamo a mente che i carnefici del passato non hanno eredi.
MV, La Verità 9 febbraio 2021
http://www.marcelloveneziani.com/articoli/foibe-e-fobie-2/
Foibe, il coraggio di non dimenticare
O Dio, Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre, dalla profondità di questa terra e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te.
Ascolta, o Signore, la nostra voce. “De profùndis clamàvi ad te, Dòmine; Dòmine, exàudi vocem meam”.
Oggi tutti i Morti attendono una preghiera, un gesto di pietà, un ricordo di affetto. E anche noi siamo venuti qui per innalzare le nostre povere preghiere e deporre i nostri fiori, ma anche apprendere l’insegnamento che sale dal sacrificio di questi Morti.
E ci rivolgiamo a Te, perché Tu hai raccolto l’ultimo loro grido, l’ultimo loro respiro.
Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra, costituisce una grande cattedra, che indica nella giustizia e nell’amore le vie della pace.
In trent’anni due guerre, come due bufere di fuoco, sono passate attraverso queste colline carsiche; hanno seminato la morte tra queste rocce e questi cespugli; hanno riempito cimiteri e ospedali; hanno anche scatenato qualche volta l’incontrollata violenza, seminatrice di delitti e di odio.
Ebbene, Signore, Principe della Pace, concedi a noi la Tua pace, una pace che sia riposo tranquillo per i Morti e sia serenità di lavoro e di fede per i vivi.
Fa che gli uomini, spaventati dalle conseguenze terribili del loro odio e attratti dalla soavità del Tuo Vangelo, ritornino, come il figlio prodigo, nella Tua casa per sentirsi e amarsi tutti come figli dello stesso Padre.
Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo Nome, venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà.
Dona conforto alle spose, alle madri, alle sorelle, ai figli di coloro che si trovano in tutte le foibe di questa nostra triste terra, e a tutti noi che siamo vivi e sentiamo pesare ogni giorno sul cuore la pena per questi Morti, profonda come le voragini che li accolgono.
Tu sei il Vivente, o Signore, e in Te essi vivono. Che se ancora la loro purificazione non è perfetta, noi Ti offriamo, o Dio Santo e Giusto, la nostra preghiera, la nostra angoscia, i nostri sacrifici, perché giungano presto a gioire dello splendore del Tuo volto.
E a noi dona rassegnazione e fortezza, saggezza e bontà. Tu ci hai detto: “Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia, beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio, beati coloro che piangono perché saranno consolati, ma anche beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati in Te, o Signore, perché è sempre apparente e transeunte il trionfo dell’iniquità.
O Signore, a questi nostri Morti senza nome, ma da Te conosciuti e amati, dona la Tua pace. Risplenda a loro la luce perpetua e brilli la Tua luce anche sulla nostra terra e nei nostri cuori. E per il loro sacrificio fa che le speranze dei buoni fioriscano.
Domine, coram te est omne desiderium meum et gemitus meus te non latet. Amen
Mons. Antonio Santin, Arcivescovo di Trieste-Capodistria, 1959.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc1378_Preghiera_per_le_vittime_delle_foibe.html
Dall'Anpi lezione negazionista: 'Foiba Basovizza, solo un pozzo'
Una serie di tweet dell'Anpi di Brescia scatenano la polemica sui social. Bastoni (Lega): "L'odio evidentemente non conosce lo scorrere del tempo"
Una serie di tweet dell'Anpi di Brescia scatenano la polemica sui social. Bastoni (Lega): "L'odio evidentemente non conosce lo scorrere del tempo"
Nel giorno della memoria delle vittime delle foibe è bufera sulla sezione bresciana dell'Anpi. Nel mirino un serie di tweet in odore di negazionismo. Si va da "foibe fantastiche e dove trovarle, in una sequenza aberrante di pseudo fonti storiografiche già smentite nelle indagini del dopoguerra" a "squallidi tweet in cui si mette in discussione ciò che gli stessi autori dei massacri hanno ammesso".
Fino alle lamentele per l'equiparazione "dettata dai neofascisti" tra vittime delle foibe e della Shoah. "L'odio evidentemente non conosce lo scorrere del tempo", denuncia il consigliere lombardo della Lega Max Bastoni.
"L'Anpi - sottolinea il consigliere leghista come riporta AdnKronos - nega ironizzando due stragi dimenticate proprio in territorio bresciano. In via Ghiacciarolo, a Botticino, è stato restaurato il ceppo delle vittime degli eccidi di Sant'Eufemia e della frazione Sera del 1945. Il 13 maggio 1945 furono rastrellati soldati fascisti e presunti fiancheggiatori, quasi tutti anticomunisti, a Lumezzane e Toscolano. Orribilmente seviziati, 23 vennero uccisi di fronte alla chiesa di Sant'Eufemia mentre altri 16 furono gettati in una fossa a Botticino, in una località detta Mulì de l'Ora. I responsabili dell'eccidio furono i partigiani comandati da Tito Tobegia che per scampare alla giustizia italiana fuggi nel 1957 in Cecoslovacchia dai suoi compari". E all'"odio negazionista" dell'Anpi di Brescia che liquida gli eccidi come "vendette sugli occupanti fascisti", Bastoni contrappone due esempi segnalati da Toni Capuozzo. Due casi in cui nemmeno la subita persecuzione nazista li ha sottratti dalla pulizia etnica rossa. "Angelo Adam, - scrive Bastoni su Facebook - ebreo fiumano che il 2 dicembre 1943 era stato deportato dai nazisti a Dachau, con il numero di matricola 59001. Era sopravvissuto ed era tornato alla sua città. Nel 1945 venne prelevato con la moglie dai titini e scomparve. Come la figlia diciassettenne, che aveva chiesto notizia dei genitori".
Durissima anche la reazione del capogruppo di Zaia Presidente a palazzo Ferro Fini, Alberto Villanova. "Oggi tutta Italia commemora il massacro delle foibe e l'esodo giuliano-istriano-dalmata. E scandaloso che la strage ordinata dal Maresciallo Tito, un criminale di guerra, trovi giustificazione in frasi aberranti di chi, come l'Anpi di Brescia, con un post su Facebook, descrive la foiba di Basovizza solo come un pozzo minerario abbandonato. Sono affermazioni gravissime che offendono la memoria di migliaia di morti innocenti".
Il consigliere regionale intervenendo sulla polemica innescata dai post di matrice negazionista dell'Anpi, non risparmia una frecciata sul professato pacifismo dell'associazione. "Il Parlamento ha istituito questa giornata per far riflettere sugli orrori dei crimini accaduti sul confine orientale dopo la guerra - ricorda Villanova - Spiace che una associazione come l'Anpi, che si professa detentrice della pace e della verità storica, proprio oggi utilizzi questa ricorrenza per sostenere tesi vergognose al solo scopo di fare polemica. Non basta leggere fogli scritti da storici improvvisati per affermare che a Basovizza non si perpetrò un crimine: quello dello storico è un lavoro fondamentale per la società civile e molto difficile".
E dopo l'indignazione per le affermazioni offensive e anti-storiche dell'Anpi, Villanova giura battaglia. "Dovrebbe essere ormai ben chiaro che chi si reca in pellegrinaggio nei Balcani sulle orme di un dittatore non è certo una fonte attendibile cui attingere - osserva Villanova - Per rispetto degli innocenti morti nelle foibe, per gli esuli istriano-dalmati costretti ad abbandonare le proprie case, l'Anpi prenda immediatamente le distanze da questo post su Facebook e si scusi pubblicamente - chiede il consigliere - In caso contrario, mi impegnerò personalmente in ogni modo, presso tutte le sedi istituzionali, affinché venga data dignità a una giornata così solenne, che è stata macchiata da questa infamia".
Contro l’odio e il negazionismo dell’Anpi di Brescia voglio ricordare, grazie al suggerimento di Toni Capuozzo, una sola vittima della violenza titina: si chiamava chiamava Angelo Adam, meccanico, ed era di Fiume. Il 2 dicembre 1943 era stato deportato dai nazisti a Dachau, con il numero di matricola 59001. Era sopravvissuto ed era tornato alla sua città. Nel 1945 venne prelevato con la moglie dai titini e scomparve. Come la figlia diciassettenne, che aveva chiesto notizia dei genitori. Angelo Adam aveva 45 anni, era italiano, era antifascista, ed era ebreo.
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