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Verità scientifiche e fake news sui vaccini anti-Covid-19
(Emmanuele Barbieri) Nelle ultime settimane girano sul web alcuni video che sembrano prodotti ad arte per screditare il mondo pro-life. Per dimostrare l’immoralità della vaccinazione contro il Covid, in assenza di motivazioni teologico-morali, ci si basa su fake-news, in italiano “bufale”, confutate una tale quantità di volte, da far dubitare sulla buona fede di chi continua a farle circolare.
Quali sono queste “bufale”? La prima è la affermazione secondo cui i vaccini contro il Covid sono frutto di un traffico di organi, in cui si estraggono feti vivi, con il parto cesareo, per produrre i vaccini; la seconda è l’affermazione secondo cui le cellule dei feti abortiti vengono iniettate nel corpo di chi le riceve, attraverso un processo di “cannibalizzazione”; la terza è che i vaccini sintetici anti-Covid (Pfizer e Moderna) modificano il DNA umano. Una prima considerazione è di ordine metodologico. Questi video, nella loro sistematica disinformazione, ignorano l’immensa letteratura scientifica esistente su questi temi per limitarsi a queste uniche fonti: a) un testo contro la vaccinazione di Pamela Acker; b) alcune dichiarazioni, rese in un processo, del prof. Stanley Plotkin; c) i video occultamente girati nella sede di Planned Parenthood dall’attivista pro-life David Delaiden. Va osservato però che:
a) Pamela Acker è una americana, laureata in biologia, senza alcuna competenza specifica. Presentarla come un’esperta di biologia non sarebbe diverso dal presentare come un esperto di diritto un semplice laureato in legge. Per di più, è decisamente curioso che la biologa, che afferma d’essere un’esperta di vaccini e, dunque, rilascia interviste sulla base del principio di autorità, non abbia all’attivo alcuna pubblicazione scientifica che attesti tale autorità. Tale evidenza può essere attestata da una semplice ricerca su Scopus, una piattaforma che raccoglie i dati di tutti i ricercatori del mondo, dove, inserendo nome e cognome della biologa, non risulta neanche un suo profilo attivo. Qualcuno potrebbe obiettare che certi scienziati, siano “sistematicamente censurati” in quanto non conformi alla narrazione ufficiale. Dunque, la mancanza di un profilo Scopus potrebbe essere dovuta alla suddetta censura. Sed contra, notiamo che persino il Dr. Stefano Montanari, che non ha assolutamente posizioni filo-vacciniste, ha un profilo Scopus che riporta ben 27 documenti, citati 278 volte e con un impatto scientifico dato da un h-index pari a 9.
Entrando più nello specifico, l’unica pubblicazione di Pamela Acker di cui si ha traccia, Vaccination: A Catholic Perspective, pubblicato dal Kolbe Center for the Study of Creation, non tocca che incidentalmente il caso dei vaccini anti-Covid (pp. 73-77, ovvero 5 su 85 pagine), ma è dedicato a rifiutare qualsiasi tipo di vaccinazione. La sua tesi (“Good Health”, pp. 80-83) è che tutti i vaccini siano nocivi alla salute e che bisognerebbe sostituirli con la vita fisica all’aria aperta, una corretta alimentazione e rimedi tratti dalla natura. Pamela Acker ha scoperto che scienziati come Edward Jenner, Louis Pasteur o Robert Koch non avrebbero portato alcun beneficio all’umanità e vuole convincere i suoi lettori che abbiano perso tempo, senza fornire alcuna seria prova in merito.
b) Per quanto riguarda il dott. Stanley Plotkin, professore emerito di virologia all’Università di Pennsylvania, ci troviamo invece di fronte ad un’autorità nel suo campo, perché è uno dei ricercatori che hanno contribuito al vaccino contro la rosolia. Nel 2018, il dr. Plotkin, fu chiamato a testimoniare in un processo in cui marito e moglie avevano opinioni contrapposte sulla vaccinazione del loro figlio. Su YouTube sono disponibili tutti i video della sua testimonianza (8 ore di filmato), ma in rete circola un video di soli 7 minuti, in cui sono isolate una parte delle parole da lui pronunciate. Il dr. Plotkin afferma di avere lavorato nelle sue ricerche su 76 feti abortiti, ma ciò non riguarda i vaccini attualmente utilizzati contro il Covid. La sperimentazione su embrioni o feti provenienti da aborti procurati è moralmente illecita, che sia su uno o su cento feti, e la sua testimonianza non aggiunge né toglie nulla al problema dell’uso dei vaccini anti-Covid.
Dai 76 feti abortiti si passa con disinvoltura a quelli estratti con parto cesareo, per poter prelevare i loro organi. E qui la “prova” sarebbe una serie di video realizzati con telecamera nascosta in cui l’attivista pro-life, David Daleiden avrebbe dimostrato l’esistenza di traffici di organi di bambini abortiti intercorsi tra la Planned Parenthood e le industrie farmaceutiche o le università. Questi video, se non sono stati manipolati, confermano che la Planned Parenthood svolge programmi di ricerca intrinsecamente immorali, ma né queste ricerche, né l’eventuale coinvolgimento dell’associazione nel traffico di organi, hanno qualcosa a che vedere con i vaccini anti-Covid.
Sul piano scientifico, il problema che ci interessa, per quanto riguarda i vaccini anti-Covid, è il loro rapporto con tessuti fetali provenienti da aborti procurati. I vaccini anti-Covid ad oggi sviluppati utilizzano culture di cellule viventi, chiamate linee cellulari, principalmente la linea HEK 293 (Pfizer, Moderna, Astra Zeneca), la linea MRC-5 (Astra Zeneca) e la PER.C6 (Johnson & Johnson).
Dal momento che questi sono i vaccini attualmente utilizzati per la campagna vaccinale, ci limiteremo ad alcune considerazioni sulle linee cellulari da essi utilizzati. Chi avesse desiderio di approfondire lo sviluppo dei vaccini con linee cellulari, potrà farlo attraverso il sito del College of Physicians of Philadelphia. Una lista completa dei vaccini attualmente prodotti e delle linee cellulari impiegate può essere trovata anche sul sito della Children of God for Life, un’associazione che ha come missione specifica quella di garantire alternative vaccinali etiche, che dunque non utilizzino linee cellulari provenienti da aborti, conformemente a quanto richiesto dalla PAV nel 2005.
La linea HEK 293, che è quella attualmente coinvolta nella produzione della quasi totalità dei vaccini anti-Covid, sembra avvolta dal mistero circa le effettive origini, sebbene molti concordino sul fatto che sia una linea cellulare ottenuta originariamente da un aborto indotto nel 1972. Riportiamo in merito la traduzione della testimonianza del dottor Alex Van der Eb, che è stato coinvolto nella sua produzione e che viene riportata in un documento ufficiale (PDF) della Food and Drug Administration (FDA): «[…] il feto proveniva da una storia familiare sconosciuta ed è stato ottenuto probabilmente nel 1972. La data precisa non è più nota. Il feto, almeno per quel che ricordi, era completamente normale. […] Le ragioni per le quali l’aborto è stato eseguito mi sono ignote. Probabilmente a quel tempo ne ero a conoscenza, ma le informazioni sono andate perdute» (A. van der Eb, Testimony before the Vaccines and Related Biological Products Advisory Committee, May 16, 2001, FDA Center for Biologics Evalution and Research meeting transcript, p. 81).
Per quanto riguarda la linea cellulare PER.C6, sempre nello stesso documento, il dottor Van der Eb ne ricorda, stavolta più dettagliatamente, l’origine: «Dunque, isolai la retina da un feto, un feto in salute per quel che potei vedere, di 18 settimane. Non c’era nulla di speciale nella storia famigliare, la gravidanza era completamente normale fino alle 18 settimane, ma in seguito è sfociata in un aborto provocato per ragioni sociali – semplicemente perché la donna desiderava sbarazzarsi del feto». «Il padre era sconosciuto, almeno per l’ospedale […] e di fatto questa è la motivazione per la quale l’aborto è stato richiesto». «[…] nel 1985 le cellule erano congelate e immagazzinate nell’idrogeno liquido, nel 1995 una di queste fiale è stata scongelata per la generazione della linea PER.C6» (ivi).
PER.C6 è stata dunque una linea cellulare ottenuta dalla retina di un feto abortito nel 1985 alla 18a settimana di gestazione per ragioni totalmente indipendenti dalla ricerca scientifica vaccinale.
La linea cellulare MRC-5, d’altra parte, secondo quanto riportato nel database del Coriell Institute for Medical Research, è stata ottenuta nel settembre 1966 a partire dal tessuto fibroblastico polmonare di un feto maschio abortito a 14 settimane di gestazione da una donna ventisettenne per ragioni psichiatriche. Nuovamente, le motivazioni sono ben lontane dall’essere legate ad interessi farmaceutici.
Vorremmo citare, come ultimo esempio, anche se non è direttamente implicata nello sviluppo dei vaccini anti-Covid, il caso della linea cellulare WI-38, che è stata ottenuta da un feto femmina abortito a 12 settimane di gestazione negli anni ‘60. Dalla testimonianza stessa del Dr. Leonard Hayflick, che sviluppò tale linea cellulare grazie alla collaborazione del Dr. Sven Gard al Wistar Institute, scopriamo che la ragione dell’aborto risiedeva nel fatto che la madre credeva di avere “troppi figli” (Gamma Globulin Prophylaxis; Inactivated Rubella Virus; Production and Biologics Control of Live Attenuated Rubella Virus Vaccines [no author given], in American Journal of Diseases of Children 118.2 (August 1969), pp. 377–278).
All’inizio degli anni Sessanta l’aborto era interdetto in tutta l’Europa occidentale. Il primo paese che lo legalizzò fu infatti l’Inghilterra, nel 1967. Negli Stati Uniti, il Colorado fu il primo stato a depenalizzare l’aborto in caso di stupro, incesto o qualora la gravidanza potesse portare alla disabilità della donna. Simili normative furono emanate in altri Stati, finché, a livello federale, l’aborto venne introdotto il 22 gennaio 1973, in seguito alla sentenza della Corte Suprema Roe contro Wade. Le sperimentazioni condotte sui tessuti fetali in quegli anni erano dunque illecite non solo dal punto di vista morale, ma anche dal punto di vista giuridico. Tuttavia nessuna di queste sperimentazioni fu compiuta con l’intenzione di produrre vaccini.
I vaccini Astra Zeneca e Johnson & Johnson sono vaccini virali, che utilizzano rispettivamente la linea MRC-5 e la PER.C6 nelle varie fasi di sviluppo, test e produzione del vaccino. I vaccini Pfizer e Moderna, che utilizzano la linea HEK 293, sono invece vaccini sintetici, ad acido ribonucleico messaggero (mRNA) che la utilizzano solo per il test anti-virus, ma non per la loro produzione. Per questa ragione i vescovi americani hanno rilasciato una dichiarazione sul vaccino Johnson & Johnson COVID-19 recentemente approvato per l’uso negli Stati Uniti, in cui affermano che, pur essendone lecito l’uso, se si ha la possibilità di scelta, i vaccini di Pfizer o Moderna dovrebbero essere preferiti rispetto a quelli di Johnson & Johnson, per il loro minor legame con le linee cellulari derivanti dall’aborto.
Sull’accettabilità dei vaccini anti-Covid si può leggere anche la dichiarazione del Ethics & Public Policy Center a firma di eminenti studiosi di etica, teologia e filosofia in alcune delle più importanti università di teologia e filosofia del mondo. Quel che è certo è che nessuno dei vaccini contiene cellule di feti abortiti. Nei vaccini virali, come testimoniato da eminenti studiosi, ci sono forse nanogrammi di frammenti di DNA ancora presenti nel vaccino, forse miliardesimi di grammo. I vaccini sintetici contengono solo l’informazione genetica che serve alla cellula per costruire copie della proteina Spike (la chiave che il virus utilizza per penetrare all’interno delle cellule) da cui bisogna proteggersi per non essere infettati. Né è vero che i vaccini sintetici, modificano il DNA. Rimandiamo a questo proposito all’articolo di Paul A. Offit, pediatra nella Divisione di Malattie Infettive del Children’s Hospital of Philadelphia, nel quale si parla profusamente e con dovizia di particolari dei miti più diffusi sull’utilizzo dei vaccini, incluso quello secondo cui in essi sarebbero contenute notevoli quantità di cellule fetali umane e che il loro DNA potrebbe influire sul codice genetico del ricevente. In tale articolo, reperibile Open Access su PubMed, una piattaforma di riferimento per il mondo della medicina, il dr. Offit afferma che: «[…] Il DNA umano è fortemente sensibile alla distruzione tramite processi chimici, e gran parte del DNA coinvolto nella creazione di questi vaccini viene distrutto durante il processo (di produzione/test ndr.). Il risultato finale contiene solo quantità minimali di DNA residuale, totalmente frammentato, e nessuna di esse costituisce un genoma viabile (i.e., in grado di costituire organismi a se stanti ndr.). Per di più, porzioni isolate di DNA non hanno modo di incorporarsi in un nuovo genoma senza che siano coinvolti processi addizionali. Infatti, ciò riguarda molte delle principali questioni che rendono difficoltosa la terapia genica».
Un’altra considerazione interessante, che riportiamo, riguarda il rischio che tali frammenti di DNA possano costituire un fattore di oncogenicità: «La sicurezza di piccolissime quantità di DNA umano residuo è stata studiata da almeno due gruppi di investigatori che hanno utilizzato sia modelli probabilistici che animali. Tutti questi studi concordano generalmente sul fatto che sarebbero necessari equivalenti di dose dell’ordine da milioni a trilioni (miliardi di miliardi ndr.) della quantità di DNA contenuta nei vaccini prima che il rischio, ad esempio, di un evento oncogeno, diventi apprezzabile» (S. Geoghegan, K.P. O’Callaghan , P. A. Offit, Vaccine Safety: Myths and Misinformation. Front Microbiol. 2020; 11:372. Published 2020 Mar 17). Il lettore può consultare anche ulteriore letteratura scientifica su come la scienza si impegni da anni nel ridurre il DNA residuale nei vaccini fino a raggiungere quantità del tutto irrisorie (cfr. Harry Yang, Zi Wei, M. Schenerman, A statistical approach to determining criticality of residual host cell DNA, J Biopharm Stat 2015; 25:234-246); H. Yang, Establishing acceptable limits of residual DNA, PDA J Pharm Sci Technol 2013; 67 (2), pp. 155-163; H. Yang, Lanju Zhang, Mark Galinski, A probabilistic model for risk assessment of residual host cell DNA in biological products, in “Vaccine” 28, 26 April 2010, pp. 3308-3311).
Come mostrato, la causa primaria dell’utilizzo di linee cellulari non risiede nella necessità di produrre vaccini, ma nella sciagurata diffusione dell’aborto, come una pratica diffusa da oltre cinquant’anni. Ad oggi, infatti, l’aborto è legale in una notevole quantità di paesi nel mondo e dunque il materiale fetale da utilizzare non manca per questa ragione. Risulta perciò chiaro che solo una battaglia integrale contro l’aborto e la sua matrice culturale e filosofica potrà fermare anche la sperimentazione su tessuti fetali. Viceversa, una crociata contro il vaccino, per quanto in alcuni possa essere animata da buoni intenti, non potrà mai eliminare la realtà dell’aborto, che continuerà a sussistere e a mietere vittime anche senza un’industria farmaceutica che ne tragga vantaggio. Chi afferma pertinacemente che l’aborto esiste solo in funzione di tali industrie o mente sapendo di mentire oppure, più semplicemente, ignora la reale origine della cultura abortista e il pilastro sul quale si fonda: l’idea, tipicamente gnostica, che esistano vite umane del tutto sacrificabili, secondo il principio del fine che giustifica i mezzi. Solo attraverso una concezione antropologica, filosofica e teologica di stampo realista e aristotelico-tomista sarà possibile combattere alla radice la cultura abortista e, distruggendola, spingere la ricerca scientifica a seguire linee moralmente accettabili.
https://www.corrispondenzaromana.it/verita-scientifiche-e-fake-news-sui-vaccini-anti-covid-19/
Allora è tutto a posto possiamo vaccinarci felici e contenti con questa approfondita spiegazione. Sta di fatto che chi ha messo in giro il covid e lo stesso che ci sta dando la soluzione...qualcosa dovrà pur significare
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