ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 17 aprile 2021

Gli entusiasti del controllo della popolazione

Il principe che voleva farsi virus

Aveva fondato il WWF e per salvare l'ambiente avrebbe volentieri sacrificato una parte dell'umanità, al punto di dichiarare che avrebbe voluto reincarnarsi come un virus letale. Intriso di ideologia neo-malthusiana, era figlio e promotore di una cultura eugenetica. Ecco il lato meno conosciuto del marito della Regina Elisabetta, Filippo di Edimburgo, di cui si svolgono oggi i funerali.

"Se mi potessi reincarnare, vorrei tornare come un virus mortale, per contribuire a risolvere il problema della sovrappopolazione". Questa frase del principe Filippo, il cui funerale viene celebrato oggi al Castello di Windsor, nel sud dell'Inghilterra, mette in luce un aspetto importante della sua vita che è stato ampiamente trascurato nelle commemorazioni dopo la sua morte avvenuta lo scorso 9 aprile.

A differenza di alcune delle sue gaffe, questo non era uno di quei commenti improvvisati che hanno formato la sua reputazione. Al contrario, con questo egli esprimeva una profonda convinzione che ha determinato tutta la sua azione. La citazione, tratta da un'intervista del 1988 affidata a Deutsche Press-Agentur, si aggiunge ad altre numerose interviste e conferenze da lui tenute sul tema della conservazione. La salvaguardia dell'ambiente era un compito che aveva assunto con dedizione e invitava a fare altrettanto a tutti gli uomini di potere perché, per definizione, questi hanno un impatto diretto sul comportamento di chi è al di sotto di loro.Ma la frase sull’ipotetica reincarnazione, il fatto che il Duca di Edimburgo volesse tornare come virus mortale per "curare" il mondo dalla sua presunta malattia, la sovrappopolazione, uccidendo milioni di persone, creò un certo sbalordimento. Peraltro non ha mai chiarito se provasse qualcosa per l'immensa sofferenza che avrebbe inflitto a coloro che infettava.

Tuttavia, il controllo della popolazione, come suggerisce il suo commento, non era l'obiettivo principale del principe Filippo, piuttosto era il mezzo per raggiungere un fine. La sua preoccupazione era preservare un ambiente sostenibile e, a suo avviso, la crescita incontrollata della popolazione era il cancro che, se non curato, alla fine avrebbe portato alla sua scomparsa. Vedeva la questione della crescita incontrollata della popolazione allo stesso modo impassibile con cui vedeva la necessità di abbattere gli animali per mantenere il delicato equilibrio della sostenibilità naturale. Il principe Filippo ha ben chiarito questa sua convinzione usando l'esempio del successo di un progetto delle Nazioni Unite negli anni '40 che ha eradicato la malaria in Sri Lanka. "Quello di cui le persone non si sono rese conto è che la malaria stava effettivamente controllando la crescita della popolazione. La conseguenza è stata che in circa 20 anni la popolazione è raddoppiata. Ora devono trovare qualcosa da far fare a tutte quelle persone e un modo per nutrirle".

Filippo diceva sempre quello che aveva in mente e una volta che aveva preso una decisione, la portava fino in fondo. La sua posizione di consorte della regina del Regno Unito ha ovviamente moltiplicato le occasioni a sua disposizione per raggiungere un vasto pubblico; e il messaggio ambientalista che ha diffuso nel mondo è rimasto scolpito nella pietra. Fred Hauptfuhrer lo intervistò per People nel 1981, per un articolo intitolato “Le razze scomparse preoccupano il principe Filippo, ma non tanto quanto la sovrappopolazione”.

Alla domanda “quale considera la principale minaccia per l'ambiente?”, il principe Filippo ha risposto: “La crescita della popolazione umana è probabilmente la più grave minaccia alla sopravvivenza a lungo termine. Sarebbe un grave disastro se non venisse frenata, non solo per il mondo naturale, ma per il mondo umano. Più persone ci sono, più risorse consumeranno, più inquinamento creeranno, più combatteranno. Non abbiamo alternative. Se il numero non è controllato volontariamente, sarà controllato involontariamente da un aumento delle malattie, della fame e della guerra ".

Alla domanda: “Il controllo delle nascite fa parte della soluzione?” Il Duca ha risposto: "Sì, ma non puoi legiferare su questi problemi. Devi convincere le persone a capirne la necessità: le persone più importanti, quelle che hanno responsabilità e possono effettivamente fare qualcosa per risolvere il problema. Chi non ha responsabilità deve farlo perché è il destinatario. Devono accettare le misure".

Fin dall'inizio, il principe Filippo era intenzionato a lasciare un segno. Ha fondato il World Wildlife Fund (WWF) nel 1961 e ne è stato presidente del Regno Unito dal 1961 al 1982, presidente internazionale dal 1981 e presidente emerito dal 1996. Ha contribuito a fondare l'Australian Conservation Foundation e nel 1963 è stato anche presidente della Zoological Society of London per due decenni, ed è stato nominato membro onorario nel 1977. Tuttavia, per gli animalisti più accesi è stato un alleato improbabile e spesso hanno faticato a comprendere un messaggio che vedevano ambiguo se non ipocrita. Non riuscivano a capire come potesse giustificare allo stesso tempo il diritto alla caccia e la lotta contro l'estinzione delle specie. Da parte sua il principe Filippo si lamentava invece che i suoi critici non comprendevano il nodo della questione: Quando ero presidente del WWF, dalle persone ho ricevuto più lettere sul modo in cui venivano trattati gli animali negli zoo che su qualsiasi preoccupazione per la sopravvivenza di una specie. La gente non riesce a comprendere l’idea della sopravvivenza di una specie, è più preoccupata per come tratti un asino in Sicilia o cose del genere ( ...) Penso che ci sia una differenza tra essere preoccupati per la conservazione della natura e coccolare i conigli", ha detto a Fiona Bruce della BBC nel 2011.

Nella sua mente, parlare di conservazione della natura e di crescita stabile della popolazione significava riconoscere che entrambi avevano bisogno l'uno dell'altro se la vita voleva sopravvivere sulla terra. Significativo da questo punto di vista il discorso su “Persone e Natura” che tenne il 30 marzo 1990 alle Nazioni Unite a New York come Rafael M. Salas Lecture: "Oltre 25 anni fa – disse - ho iniziato a rendermi conto che, mentre la specie umana deve un grande credito a scienziati e tecnologi, l'esplosione della popolazione umana che ne è risultata è diventata la causa principale del degrado dell'ambiente naturale e responsabile dell'estinzione di specie selvatiche di piante e animali. (…) Deve essere ovvio ormai che un'ulteriore crescita della popolazione in qualsiasi paese è indesiderabile. (…). Ciò che conta è la dimensione della popolazione in proporzione allo spazio disponibile (...). Il nostro pianeta terra è una palla di dimensioni fisse (…) La miccia della bomba della popolazione è già stata accesa e le conseguenze dell'esplosione per il mondo futuro saranno molto più devastanti di qualsiasi olocausto nucleare".

Chi poi dovesse disinnescare la bomba e prendere le decisioni concrete per garantire la sopravvivenza della specie, era una questione successiva. Subito dopo venne chi doveva disinnescare questa bomba e prendere le decisioni esecutive per garantire la sopravvivenza delle specie. Questa fu la sua risposta: “Non ho dubbi che l'UNFPA sia preoccupata per la conservazione della natura, e il WWF promuove la pianificazione familiare nei suoi progetti di conservazione. (...) Spero di aver chiarito che sia il controllo del numero della popolazione umana che la conservazione della natura si occupano a modo loro della salute e del benessere futuri del pianeta terra e di tutti i suoi abitanti viventi. ... I leader nel pensiero, nella politica e nell'amministrazione, [dovrebbero] iniziare ad affrontare i fatti e compiere seri sforzi per trovare i modi per risolvere la crisi".

La bizzarra dichiarazione del principe Filippo, che è tornata di attualità  dopo che Buckingham Palace ha annunciato la sua morte, ha ovviamente provocato nuovo stupore in questo tempo di pandemia e le sue osservazioni sono state collegate alle morti provocate dal COVID-19. Ma quello che molti non comprendono è che le politiche di controllo della popolazione praticate dalle agenzie delle Nazioni Unite, trovano le loro radici nel movimento eugenetico – diffuso nel Regno Unito e negli Stati Uniti - che era già una forza al momento della nascita del principe Filippo nel 1921. Si spera, una volta che sia venuta meno la narrazione politicamente corretta sull’eredità di Filippo, che qualcuno potrà ricostruire le verità omesse sulla sua figura.

Fino ad allora, gli entusiasti del controllo  probabilmente incroceranno le dita nella speranza che il principe Filippo torni davvero come un virus orribile e li aiuti a finire il lavoro! Ma se dovesse deluderli, suo figlio Carlo e suo nipote William, futuro erede al trono, hanno ripreso il suo testimone e lo stanno già rendendo orgoglioso.

Patricia Gooding-Williams

https://lanuovabq.it/it/il-principe-che-voleva-farsi-virus

I DUE STUDI

Gli interventi per il “cambio di sesso” sono pericolosi

Il Journal of Sexual Medicine ha pubblicato due ricerche sulla popolazione che si è sottoposta ad operazioni chirurgiche per apparire del sesso opposto al proprio. Le complicanze dovute agli interventi sono molte. Persino un noto psicologo non contrario alla pratica ha affermato «sospettavo che fossero sottovalutate, ma non immaginavo fossero tali». Con leggi come il Ddl Zan si potranno ancora pubblicare studi simili?


Una regola non scritta sembra dominare i grandi media rispetto al tema del transgenderismo: bisogna parlarne bene. Sempre, senza eccezioni. Tutti i riscontri, ancorché di sicura provenienza scientifica, che invece sul «cambio di sesso» raccontano un’altra storia, mettendo in luce criticità anche pesanti sulle condizioni di salute di chi ad esso si sottopone vanno omessi e trascurati, se non addirittura insabbiati.

Nulla – tanto più con la legge Zan ancora da approvare -, deve insomma trapelare oscurando il dogma arcobaleno secondo cui ciascuno, a prescindere dalla propria identità biologica, deve esser libero di diventare «ciò che si sente di essere». Uno stratagemma mediatico che, in effetti, sta funzionando.

Tuttavia, per quanto silenziati, gli studi che sollevano ombre pesanti sul «cambio di sesso» continuano ad essere pubblicati e mettono in luce criticità allarmanti. In particolare, nelle ultime settimane sono usciti almeno due lavori che evidenziano come per chi è nato femmina “diventare uomo” (cosa che non potrà mai avvenire veramente) sia un pessimo affare. Il primo è uno studio uscito sul Journal of Sexual Medicine che ha, appunto, considerato 1.212 pazienti adulti «transmasculine»; di questi, 129 - quindi poco più del 10% - hanno scelto di sottoporsi alla falloplastica, intervento certo impegnativo e complesso nell’ambito della chirurgia ricostruttiva genitale, ma inevitabile per la riassegnazione di genere soggetti che desiderino appropriarsi fino in fondo della loro «nuova identità».

Ebbene, a seguito di tale intervento gli esiti non sono stati esattamente confortanti. Infatti, quei 129 pazienti hanno riportato 281 complicazioni – in media, più due per paziente – richiedendo 142 «revisioni». Più precisamente, la fistola uretro-cutanea ha interessato il 40% dei casi, la stenosi uretrale il 32% e in un caso su cinque si è osservato anche un peggioramento della salute mentale. «Questi esiti», hanno concluso gli autori di questa ricerca, «confermano le segnalazioni aneddotiche secondo cui i tassi di complicanze a seguito della ricostruzione genitale affermativa di genere sono più alti di quelli comunemente riportati nella letteratura chirurgica».

Anche James Cantor, psicologo clinico e sessuologo che segue con attenzione gli sviluppi della letteratura su questi temi - e che, beninteso, non è contrario a priori alla riassegnazione sessuale - è rimasto molto colpito dalle conclusioni dello studio: «Sospettavo che le complicanze di questi interventi fossero sottovalutate, ma non immaginavo fossero tali». Attenzione, perché non è finita.

Sempre sul Journal of Sexual Medicine è in questi giorni è uscito un altro lavoro realizzato su un insieme di casi ancora più esteso – 309 soggetti transgender – che ha messo in luce come tra gli uomini trans, che costituivano circa metà del campione, si sia registrato un significativo aumento del rischio cardiovascolare dovuto ad una alterazione del metabolismo lipidico indotto dalla cosiddetta terapia ormonale affermativa; tale aumento non si è invece verificato, a quanto pare, nelle donne trans.

Ora, perché questi due lavori sono entrambi interessanti? Essenzialmente per una ragione: perché pongono in evidenza rischi per la salute per chi si sottopone al cosiddetto “cambio di sesso” e perché tali rischi – essendo direttamente correlati a procedimenti chirurgici e a trattamenti ormonali – non hanno nulla a che vedere con la vera o presunta transfobia che aleggerebbe nella società. Infatti, uno dei grandi miti rilanciati dal movimento arcobaleno in questi anni è quello secondo cui tutte le criticità legate alla condizione transessuale sarebbero dovute a discriminazioni e pregiudizi da combattere, preferibilmente, brandendo il codice penale. Tuttavia, le recenti pubblicazioni scientifiche di cui si è poc’anzi data notizia, evidentemente, raccontano un’altra storia: e ce ne sono diverse altre, beninteso, che vanno in questa direzione.

Tutto questo alimenta quindi almeno due dubbi: chi – specie le nate femmine – oggi si sottopone a trattamenti di riassegnazione del genere, in Italia e non solo, viene compiutamente informato di questi rischi che non i cattolici ma l’evidenza medica mette in luce? E soprattutto: se malauguratamente dovesse essere approvata la citata legge Zan, si potranno ancora diffondere i contenuti di questi studi scientifici o si verrà iscritti nel registro degli indagati per transfobia? Non sono, in un caso né nell’altro, questioni da poco.

Giuliano Guzzo

https://lanuovabq.it/it/gli-interventi-per-il-cambio-di-sesso-sono-pericolosi

Perché non siamo guariti. Ce lo spiega il Ministro della pandemia con suo libro, scritto e poi ritirato dalle librerie

Il caso del libro scritto dal titolare della Salute Roberto Speranza nel pieno della prima fase della pandemia è un giallo. Perché guariremo. Dai giorni più duri a una nuova idea di salute fu annunciato da distributori e librerie, ma è introvabile o quasi, perché i negozianti non hanno avuto dall’editore Feltrinelli il permesso di venderlo. Ma il libro esiste e copie (illegali…) circolano anche, pure acquistabili online. Un libro con cui si può misurare la distanza che separa la narrazione del Ministro della Salute dal disastro che abbiamo sotto gli occhi, nel mondo reale in cui viviamo noi. Questo esilarante libro innanzitutto è la prova che suo autore ha sbagliato mestiere e che mai sarebbe dovuto essere nominato ministro, della Salute poi.


La frase shock del libro, che da sola meriterebbe non soltanto le dimissioni ma l’arresto dell’autore, per provocata strage, è il “ringraziamento” alla pandemia, che «ha dissodato per la sinistra un terreno politico molto fertile», un tempo in cui «dopo tanti anni controvento perla sinistra ci sia una nuova possibilità di ricostruire un’egemonia culturale su basi nuove».


Riportiamo di seguito due contributi su Libero Quotidiano dell’amico e collega Renato Farina che ci spiega per filo e per segno di cosa si tratta: Roberto Speranza, “l’Italia merita di meglio”. Nel libro in piena pandemia, le parole di uno che ha sbagliato mestiere del 15 aprile 2021 e Roberto Speranza: “Ho chiuso per imporre la cultura di sinistra”. Una vergogna che sa di stalinismo: il ministro peggiore del 14 aprile 2021.


Roberto Speranza, “l’Italia merita di meglio”. Nel libro in piena pandemia, le parole di uno che ha sbagliato mestiere
di Renato Farina
Libero, 15 aprile 2021

Ci fu chi scrisse del diritto a dire di un libro: non l’ho letto, ma non mi piace. Qui si va più in là, che è un problema di coscienza: è possibile recensire un saggio che però non risulta esistere? Però l’abbiamo trovato lo stesso. Uno di quei casi di oggetti emersi da mondi paralleli, come teorizzato da alcuni arditi scienziati, probabilmente inclusi nel Comitato tecnico scientifico. Ci riferiamo all’opera di Roberto Speranza Perché Guariremo. Dai giorni più duri a una nuova idea di salute (Feltrinelli. 234 pagine). Sulla copertina c’è scritto euro 15,00, ma a noi, come è giusto per le cose provenienti da un’altra dimensione come gli Ufo, ci è costato assai di più: 54 euro e rotti. Il libro in sé viene via a poco: 4,99 euro perché in quell’altra galassia, fuori dal tempo e dallo spazio, c’è il comunismo e tutto è a buon mercato come l’autore prevede che capiterà anche a noi grazie alla pandemia, ma le spese di spedizione assommano a 49 euro. Lo si trova su Ebay, i più abili lo recuperano a prezzi minori tramite Amazon Francia. Che dire? Ne vale la pena. I diritti d’autore finiranno ad associazioni benefiche, e impareremo leggendolo a conoscere quale siano i contenuti di una delle zucche più pure della sinistra contemporanea. Abbiamo capito perché Speranza sia stato convinto a ritirarlo precipitosamente dai magazzini da cui stava per essere smistato alle librerie in Italia nello scorso ottobre. Dev’ essere capitato come alle mascherine cinesi procurate dal suo sodale Domenico Arcuri: facevano un po’ schifo, secondo i suoi consiglieri. In realtà è un testo molto istruttivo. La sintesi è questa, e Speranza si mette subito una medaglia da solo, altro che il generale Figliuolo: «È un libro di attualità e di impegno civile». Come Franz Kafka, ma a differenza di Marcel Proust che «andava a letto presto la sera», questo volume immortale è stato scritto «nelle ore più drammatiche della tempesta, nelle lunghe notti in cui il sonno mi sfuggiva».

Sentimentalismi

È un saggio dove, modestamente, l’autore «propone idee, valori, progetti», ma che a noi pare anche un documento imperdibile di letteratura romantica. Lui forse ha creduto di porsi soltanto sulla scia biografica del “giovane Marx”, che però non fu mai ministro, o più probabilmente del “giovane Koba-Stalin”, ma qui siamo davanti anche agli esperimenti giovanili di uno Shakespeare. Si immagini trasferito a teatro un dialogo come questo. Siamo in piena pandemia. Sono «ore difficilissime». Come Alessandro Magno prima della battaglia di Guagamela, 331 a.C., annota nel suo diario napoleonico il momento in cui lascia la sua tenda al luogotenente, in questo caso Domenico Arcuri, detto Mimmo il Tenace. Roberto Speranza in quel momento sta per tornare al campo base,lasciando la casamatta al Commissario straordinario per l’emergenza. E qui trascriviamo senza sciupare una virgola, mandando a capo per non perdere i sussulti di poesia, l’arte delle pause, questa pagina di diario datata 14 marzo 2020. «Mentre lascio la sede della Protezione civile per tornare a lavorare al ministero, mi volto verso Federica e Massimo (gli attendenti, ndr), che mi stanno accompagnando. Mi colpisce un pensiero: non posso lasciare solo Domenico Arcuri. «Voi restate qui, per favore», dico ai miei collaboratori. «Ma tu come fai da solo?», protestano. «Poi vediamo. Intanto date una mano a Domenico» (pag. 126, da ritagliare e incorniciare se non fosse un sacrilegio rovinare un volume raro). Sublime, non trovate? Del resto tutto è un impegno civico, ma soprattutto una tremenda necessità spirituale. Impossibile trattenere la penna: «La forza dei tanti ricordi che si rincorrono nella mia mente è straripante», e infatti straripano. Come può non raccogliere in questa esondazione del grande fiume che è la sua mente questo frammento foscoliano? Racconta la gioia di tagliarsi i capelli alla riapertura dei barbieri: «Finalmente, posso anch’ io tagliarmi i capelli. Era dai tempi del mio Erasmus a Copenaghen che non li avevo così lunghi, ma quella volta era stato per scelta». È molto bello immaginarselo capellone. E per fortuna non mancano simpatici flash-back sulle sue avventure giovanili. Del resto, si definisce «esponente della generazione Erasmus», proprio così “esponente”, magari capogruppo o qualcosa del genere. Spiega i capisaldi di quella generazione, con enormi zaini, in tre arrivano a Parigi. Vanno a ritrovare al cimitero Jim Morrison e Oscar Wilde (segnatevi l’indirizzo: camposanto Père Lachaise). Lui però è già un europeista, e trascina i suoi sventurati compagni in pellegrinaggio alla sede del parlamento europeo a Bruxelles. Dopo di che si precipitano nel sud della Francia. «A Marsiglia, una notte, incappammo in un uomo con il coltello che voleva derubarci. Provai ad argomentare che non avevamo nulla e rapinarci era quindi assolutamente inutile: funzionò. Me la cavai dando all’aspirante ladro un pacco di biscotti». Speranza fa rilucere qui le sue doti di mediazione. Deve aver fregato così le Regioni nelle trattative sulla zona rossa, un biscottino e via.

Esame di coscienza

Questa trattativa felicemente conclusa lo ha di sicuro sospinto ai vertici della Sinistra Giovanile, da cui è rimbalzato a 34 anni a capogruppo del Pd alla Camera nel 2013. Bisogna riconoscere che ha saputo dimettersi da questo posto di potere, finendo nel gruppuscolo separatista di Pierluigi Bersani, in Articolo 1, poi Leu: «Non era quella che si usa definire una mossa politica astuta. La coerenza, d’altra parte, spesso non coincide con l’astuzia». Ma un po’ di presunzioncella gli è rimasta attaccata, questa superiorità morale, per cui è molto portato «all’esame di coscienza», ed esaminata la coscienza per lungo tempo si è creduto il miglior ministro della Salute dell’orfanotrofio. Per puro scrupolo offriamo alcuni diamanti pescati tra le pagine. Frasi che saranno presto patrimonio immateriale tutelato dall’Unesco. La vita interiore: «La vaga inquietudine che provo… si coagula in preoccupazione»; «La nube che mi pesa sulla mente si solleva». Il ruolo della donna: «Sandra Zampa, persona seria e leale… mi impone di mangiare e bere quando non ho nemmeno il tempo di respirare»; «Nella mia stanza comparirà ogni giorno Silvia con tè e biscotti». Anatomia dei sentimenti: «Io penso anche a questo, ai nostri anziani»; «Non dimenticherò mai i medici cubani». Considerazioni di geopolitica: «Viviamo su un unico pianeta». Soprattutto, a pagina 142, la confessione definitiva: «Il Paese merita molto di più».


Roberto Speranza: “Ho chiuso per imporre la cultura di sinistra”. Una vergogna che sa di stalinismo: il ministro peggiore
di Renato Farina
Libero, 14 aprile 2021


Il punto di fragilità di questo governo è Roberto Speranza. Non dura. Non al ministero della Salute, perlomeno. La zavorra va gettata a mare, oppure trasferita su qualche zattera imbandierata dove il giovane lucano si occupi senza far danni di materie innocue, tipo organizzazione di campeggi per amici del Vietnam o per figli della lupa bolivariana. Mario Draghi lo aveva salvato qualche giorno fa, caricandoselo sulle spalle e sottraendolo mezzo morto alle bordate di Matteo Salvini: «Ho detto a Salvini che l’ho voluto nel mio governo e che lo stimo molto». Così recitò in conferenza stampa, dove però si era ben guardato dal tenerselo al fianco. È successo l’8 aprile, ma sembra passato un secolo. Adesso il gravame è diventato insopportabile. Non è una questione di immagine, ma di sostanza: il fiore della gioventù comunista lucana, già pupillo di Sergio Mattarella, e oggi soltanto di Pier Luigi Bersani (tra i vivi) e di Giuseppe Stalin (tra i defunti), coincide agli occhi del popolo con la sciagurata gestione della pandemia. Il relitto del governo Conte sarebbe ancora stato restaurabile senonché alla chiara impreparazione i è aggiunta un’aggravante tombale: il fatto di essersi circondato di una ciurma di collaboratori che ha occultato scientemente la verità, taroccando e cancellando la relazione per l’Oms di una squadra di scienziati di Venezia sui gravissimi errori del suo ministero che hanno aggravato il bilancio dei morti. L’indagine della procura di Bergamo è devastante. Sapeva o non sapeva, Speranza? Opto personalmente per il no. Ma questo è un dilemma che attiene alla sua moralità, però chi ha venduto patacche predispostegli dai suoi fidati consiglieri deve salutare tutti, o almeno gentilmente spostarsi. Se no? Non è che va a fondo soltanto un governo, ma naufraga l’Italia nella sfiducia.

Emerge altro che rende incompatibile la presenza di un ministro siffatto in un governo che si regge su una maggioranza dove il centrodestra è decisivo. Ci tocca citare un libro di Roberto Speranza che non c’è ma purtroppo esiste. Parlo del volume Perché guariremo, dai giorni più duri a una nuova idea di salute ( Feltrinelli. 226 pagine) mai uscito in Italia ma in vendita tramite Amazon in Francia e Spagna (ma anche su eBay in Italia al prezzo esorbitante di circa 50 euro perché «libro rarissimo»). Accanto a pagine patetiche, da ragazzo della via Paal, ci sono affermazioni che sono accettabilissime in una democrazia liberale, cioè comunismo puro, rivendicazione di una strategia cinica pur di arrivare al potere eccetera. Ma non quando passa da parola ad azione governativa. Qual è il problema? Egli candidamente dichiara che il suo lavoro di ministro è una galoppata sul cavallo della pandemia per guidare il popolo nella terra dove gli italiani finalmente vivranno nel paradiso invano cercato da Gramsci, Togliatti e forse D’Alema. Non che scriva questa confessione apertis verbis. È una filigrana ideologica che è individuabile perfettamente nel manifesto compiacimento di istituire il lockdown dovunque e comunque e le zone rosse non tanto per ragioni di salute fisica ma come pedagogia per il popolo, così da insegnargli a sottomettersi a ukaz del potere centrale. La pura essenza manipolatrice del governo giallo-rosso sta tutta in questa frase: «Non si poteva lasciar pensare agli italiani che ci fossero regioni dove si viveva meglio». Con uno così si lotta contro. Non si governa insieme. Impossibile.

Il fatto è che ci sono pagine in cui la dissimulazione sparisce per l’entusiasmo. Quando scrive questo libro, nell’estate del 2020, Speranza è convinto che in «pochi mesi» si potrà tornare alla normalità. Ma non la vecchia normalità, ma – grazie a questa alleanza sinistra-M5S – una nuova normalità. In fondo, la pandemia porta con sé l’alba di un altro mondo. Sembra di sentire una sinfonia di Shostakovich al Bolschoi di Mosca con il Grande Timoniere dai baffi inzuppati di pianto. Grazie pandemia, che «ha dissodato per la sinistra un terreno politico molto fertile», un tempo in cui «dopo tanti anni controvento perla sinistra ci sia una nuova possibilità di ricostruire un’egemonia culturale su basi nuove». Cito per la terza volta Stalin, e mi scuso con il vecchio georgiano, ma mi tocca. Speranza, mutando i termini per non inciampare nelle censure del politicamente corretto, ripristina il grande vaglio dell’«origine sociale» come criterio per selezionare la classe dirigente in Urss, e prossimamente su questi schermi. Non il merito, ma la «pura origine proletaria». I proletari non ci sono più, ma ci si prova. Nel governo Conte 2, scrive Speranza, «nessuno è figlio dell’establishment, nelle biografie di molti di noi c’è un connotato popolare vero». Visto che adesso è arrivato Draghi, che diremmo essere abbastanza establishment, magari per coerenza e per pudore, dovrebbe darsi a una certa clandestinità. E lasciare cavalcare la pandemia a chi vuole semplicemente ucciderla invece che ringraziarla. E se non lo fa da solo, che faceva Stalin? La purga.



16 Aprile 2021   Blog dell'Editore

di Vik van Brantegem

http://www.korazym.org/59578/perche-non-siamo-guariti-ce-lho-spiega-il-ministro-della-pandemia-con-suo-libro-scritto-e-poi-ritirato-dalle-librerie/

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