ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 1 aprile 2021

«Meno messe, più messa»??

«È chiusa, la messa».

https://citynews-romatoday.stgy.ovh/~media/original-hi/10279024017887/villa-celimontana-e-chiusa-da-mesi.jpg (immagine aggiunta)

Così dice il mio nipotino Marco, due anni e mezzo e precoci segni di una preoccupante intelligenza, quando lo porto a fare l’altalena e lo scivolo davanti alla nostra parrocchia e vede sbarrate le porte della chiesa. La sua metonimia mi pare centratissima: una chiesa “è” la messa; senza messa, non è niente. Fosse anche un monumento insigne, un “patrimonio dell’umanità” come dicono quelli dell’Unesco, da cristiano mi interesserebbe non più di qualsiasi altro edificio storico. 

Una chiesa cattolica, anche la più brutta, è invece il luogo più prezioso del mondo solo perché lì si compie il sacrificio di Cristo e anche quando non si celebra la messa c’è quel lumino rosso che attesta che Cristo è presente nel sacramento eucaristico, h24, 7/7, 365 giorni all’anno. Alla domanda: “dov’è Dio?” un cattolico ha molti modi per rispondere, il più diretto dei quali è indicare la chiesa più vicina: “Dio è lì, nel tabernacolo, che ti aspetta giorno e notte”.

Per questo, senza entrare troppo nel merito di una questione dai contorni per me poco chiari, la recente disposizione ecclesiastica che, a quanto si è appreso, ha stabilito che in san Pietro a Roma d’ora in poi si svolgano non più di quattro messe al giorno, tutte rigorosamente concelebrate – ponendo bruscamente fine alla tradizione che da sempre prevedeva la possibilità per ogni sacerdote di chiedere di celebrare, anche sine populo in quel luogo santo “vicino a Pietro” – mi pare frutto di cecità.

Non stravedo per la basilica di San Pietro, e tutte le volte che ci sono stato non ho mai provato le emozioni che altri riferiscono e che da giovane anch’io avrei ingenuamente desiderato. Purtroppo sono impermeabile alla sua retorica monumentale e ai suoi simbolismi: il cupolone, la piazza, il colonnato del Bernini “che abbraccia il mondo”, la finestra del palazzo apostolico da cui appare la bianca figura del papa, eccetera eccetera, sono tutte cose che, dal punto di vista religioso, mi lasciano pressoché indifferente. Non che me ne vanti, beninteso, mi limito a constatarlo. Per quanto mi riguarda, fossi stato al posto di papa Giulio II avrei continuato a restaurare la basilica costantiniana che c’era prima e mi sarei tenuto quella (che oggi farebbe la gioia di noi tardoantichisti). Tutta quella magnificenza rinascimentale, del resto, è costata cara alla chiesa: non parlo di soldi (che è l’argomento di Giuda), ma della rottura luterana. Magari i tedeschi lo scisma l’avrebbero fatto lo stesso, dato che “Los von Rom” è una loro fissa (anche adesso, a quanto pare, ne stanno preparando uno); ma chissà, magari sarebbe stato meno devastante. Comunque sia, se un giorno il papa dovesse decidere di vendere tutto l’immobile e San Pietro diventasse un museo (o una moschea), certo mi dispiacerebbe molto, ma non ne farei una tragedia. La fine della basilica non sarebbe la fine del cristianesimo.

La messa no. La messa è un’altra cosa. Senza la messa non resta più niente. La “strana” norma che limita le messe in san Pietro mi ha fatto venire in mente questo pensiero bizzarro. Nel mondo vi sono più di quattrocentomila sacerdoti cattolici, senza contare tutti quelli validamente ordinati nelle altre chiese che hanno la successione apostolica. Ipotizzando che la grande maggioranza di loro dica messa tutti i giorni e tenendo conto della diffusione del cristianesimo in ogni parte del mondo e dei diversi fusi orari, si può immaginare che attualmente in ogni momento del tempo che scorre si stia celebrando la messa. In ogni momento del tempo, da qualche parte del mondo, in una chiesa o in qualche altro luogo (comprese le prigioni) sta avvenendo l’unico sacrificio redentore di Cristo. E forse il mondo sopravvive proprio per questo. Forse il peso enorme dei suoi peccati non schiaccia l’umanità solo perché in ogni momento, da qualche parte, un sacerdote alza l’ostia consacrata verso il cielo.

Se lo scisma è la fissa dei tedeschi, quella dei liturgisti, almeno da cinquant’anni a questa parte, è «meno messe, più messa». Sulla prima parte del programma, direi che si sono portati molto avanti e il nuovo regolamento di san Pietro segna un ulteriore passo verso il traguardo; sulla seconda mi pare invece che sia buio pesto. Quando, per via dei pochi sacerdoti rimasti, per giunta “obbligati” a concelebrare, e solo cum populo (perché si sa, se non c’è el pueblo …), di messe ce ne saranno molte meno di adesso e quella catena sacrificale che forse tiene in piedi il mondo sarà sempre più spesso interrotta. Allora, che ne sarà di noi? (Ma questa è solo la divagazione di un vecchio mentre spinge l’altalena del nipotino).

https://leonardolugaresi.wordpress.com/2021/03/31/e-chiusa-la-messa/

«C’era un Grillo in un campo di lino …». Anche Giuda scelse il “bene possibile”: il suo bene, non quello che Cristo gli propose  

«C’ERA UN GRILLO IN UN CAMPO DI LINO …». ANCHE GIUDA SCELSE IL “BENE POSSIBILE”: IL SUO BENE, NON QUELLO CHE CRISTO GLI PROPOSE

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Secondo il teologo sacramentarista, quei cattivoni della Congregazione per la Dottrina della Fede hanno avuto l’ardire di presentare il matrimonio dell’uomo e della donna come bene ordinato e benedetto da Dio, mentre quello tra due uomini o tra due donne come male.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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PDF  articolo formato stampa

 

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Navigando su Facebook non ho potuto non notare la condivisione di un post del teologo Andrea Grilloche annunciava l’imminente uscita di un suo contributo su una rivista cattolica dal titolo: “Benedizione: stile per dare la parola al bene possibile”.

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L’articolo integrale uscirà domani sul mensile Jesus, diretto dai Padri Paolini fondati dal Beato Giacomo Alberione. Sia per ciò beninteso che nessuno fino a domani potrà elogiare o criticare questo scritto, anche se già dalla prima pagina condivisa sul profilo Facebook del teologo si capisce il tema dell’argomento. Si parlerà di benedizioni con il chiaro riferimento ai fatti riguardanti la liceità o meno di benedire le coppie dello stesso sesso. E ciò detto, in attesa della felice uscita di questo articolo su un mensile diretto da una famiglia religiosa, possiamo invece parlare di quel che da giorni il teologo sacramentarista va scrivendo e dicendo in giro [Cfr. QUIQUIQUI, etc ..]. 

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La posizione ovvia del competente dicastero della Santa Sede per l’ortodossia della fede, ha destato da più parti del malumore: dal sanguigno nostrano don Giulio Mignani della diocesi spezzina che si rifiuta di benedire le palme e gli ulivi nella Domenica di Passione; al clero germanico che anticipa già come sacramento il matrimonio omosessuale, comparabile a quello tra uomo e donna se non più nobile perché, come sostenevano gli antichi, l’amore omodiretto è più puro perché non inficiato dalle complicanze della riproduzione (!?).  

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Ora è la volta del teologo Andrea Grilloche ― con una nota di indiscutibile superiorità accademica ― inquadra il responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede in materia di unione di persone dello stesso sesso come un fatto puramente manicheo che individua e distingue il bene dal male. Insomma, una postilla da bigotti che pretendono di dividere il mondo o tutto in bianco o tutto in nero.

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… quando l’insolenza aggressiva parla da se stessa … 

Secondo il teologo sacramentarista, quei cattivoni della Congregazione per la Dottrina della Fede hanno avuto l’ardire di presentare il matrimonio dell’uomo e della donna come bene ordinato e benedetto da Dio, mentre quello tra due uomini o tra due donne come male. Con l’aggravante ― precisa questo accademico che per inciso insegna teologia sacramentaria in ben tre università ecclesiastiche ― che questo modo di fare teologia, sia come dogma che come prassi ridurrebbe nella tradizione ― non si capisce se quella della Chiesa o quale altra ― il senso della realtà e l’adesione alla profezia.  

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Insomma, dopo neanche trenta righe di presentazione dell’articolo, sorge il ragionevole dubbio che sia Andrea Grillo che dovrebbe fare i conti con il proprio personale senso di realtà e di prudenza. In quanto teologo sacramentario dovrebbe solo obbedire a quanto la Congregazione preposta stabilisce e invece, sul finire dell’anteprima del suo articolo, egli si può permettere di esordire così: «Se due donne e due uomini che vivono in comunione di vita e d’amore» …. scusate ma di che cosa stiamo parlando? Quando un teologo che ripeto insegna in più istituzioni accademiche, utilizza l’espressione «comunione di vita e d’amore» che formula e inquadra senza ombra di dubbio la realtà sponsale coniugale modellata sul rapporto che Cristo ha con la Chiesa, che cos’altro ci si dovrebbe aspettare nel proseguo del ragionamento?

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Il fatto è, miei cari lettori, che siamo davanti a un problema teologico che tocca quella particolare virtù teologale che è la fede. Gli omosessuali non c’entrano nulla, ma proprio nulla, assolutamente! Per alcuni personaggi della Chiesa sarebbe opportuno consentire e impartire benedizioni selvagge a tutti i costi così come si fa con i like sui social network. E se ancora non si è giunti a sacramentalizzare certe realtà, almeno si cerca di strappare il consenso alla benedizione che è un sacramentale perché, come ha avuto modo di dire don Giulio Mignani, una benedizione non la si nega più a nessuno. È un po’ come dire: “Caro fratello gay, adesso non ti posso celebrare il matrimonio in Chiesa però ti do la benedizione che è un primo passo per sdoganare in futuro il tuo matrimonio. Perché sai, il tuo matrimonio nella Chiesa è visto ancora come un matrimonio di periferia ma che possiede già un certo bene e valore. E visto che la Chiesa non è solo centro ma anche periferia, adesso stringi i denti e spera in tempi migliori”.

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… quando l’insolenza aggressiva parla da se stessa … 

Lo ripeto ancora una volta, il problema non è dato dalle persone con orientamento omosessuale, che sono care persone, forse persino migliori in certi casi di tanti cristiani praticanti; migliori di certi vescovi e di molti di noi preti. Il problema è Dio, che pone ― Lui sì ― il confine tra bene e male, tra la santità e la lontananza dalla santità.

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Temo che il problema di certi teologi laici o in sacris è accettare un Dio che ci tratta da adulti ponendoci davanti anche la scelta dell’inciampo «la vita e la morte, la benedizione e la maledizione» [cf. Dt 30,19] e che attraverso il suo Figlio chiama l’uomo alla scelta definitiva ed esclusiva senza inganni:

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«Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. Quand’ero con loro, io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li ho custoditi; nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si adempisse la Scrittura» [cf. Gv 17,11-12].

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In questi giorni di Settimana Santa e di Passione riviviamo tragicamente la vicenda dell’uomo Giuda, che non scelse il bene che Cristo gli propose ma preferì il suo bene personale. Un bene comprensibile e condivisibile, umanamente possibile, inteso come salvezza e redenzione alla portata dell’uomo della strada, ottenuto magari con l’appoggio del Sinedrio e di qualche accondiscendente ufficiale dell’Impero Romano. Sono certo che se oggi Giuda dovesse andare a processo risulterebbe assolto, qualunque azzeccagarbugli di avvocato riuscirebbe a salvarlo perché egli è in fondo umano, anzi troppo umano.

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Paolo Poli, filastrocca Il Grillo e la Formica

È di una salvezza umana che noi oggi ci vogliamo accontentare, una redenzione capace di non scontentare nessuno e di avvicinare tutti, salvo poi fallire miseramente così come capita quando a tutti si dà ragione.

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Lasciamo le benedizioni alla Chiesa, a quell’ambito sacrale che ci parla di Dio e che a Lui si accompagna. Dolci e preziose benedizioni che scaturiscono da una giusta comprensione dalla grazia sacramentale e che attraverso questa gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificati nelle varie circostanze della vita [cf. SC, 60; CCC, 1667 e Can. 1166]. Benedire equivale a santificare, santificare equivale a cercare il Santo, Dio, il quale chiama tutti alla comune conversione e al giusto proponimento di distacco dal peccato.

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Farsi benedire senza questo desiderio è caduta nella superstizione che a qualcuno potrà forse aiutare, non però per trovare Dio, perlomeno il Dio incarnato in Gesù, unigenito figlio di Dio, che è uno con il Padre e lo Spirito Santo. 

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Laconi, 31 marzo 2021

Settimana Santa

http://isoladipatmos.com/cera-un-grillo-in-un-campo-di-lino-anche-giuda-scelse-il-bene-possibile-il-suo-bene-non-quello-che-cristo-gli-propose/


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