LUTERO, WOJTYLA E RATZINGER
Quando le Poste Vaticane, nel 2017, decisero di celebrare la ricorrenza dei cinquecento anni dalla pubblicazione delle 95 Tesi di Lutero a Wittenberg, emettendo un francobollo che raffigurava Gesù Crocifisso, con lo stesso Lutero e il suo seguace Melantone ai piedi della croce, ma senza Maria Santissima, né san Giovanni evangelista, qualche anima bella avrà pensato che era un’iniziativa di pessimo gusto, certo, ma che in fin dei conti non coinvolgeva direttamente la gerarchia cattolica e, in ogni caso, non costituiva un atto di magistero, almeno fino a che qualcuno non saprà dimostrare che le Poste Vaticane sono una fonte legittima del magistero.
E quando Bergoglio, sempre in quella occasione, decise di recarsi in Svezia per assistere a una messa, cioè, volevamo dire, a una “cena” luterana, e si lasciò sfuggire, con la sua abituale disinvoltura (chiamiamola così, anche se non sarebbe la parola giusta), che dopotutto, sulla questione della giustificazione, Lutero aveva ragione, molte anime belle si consolarono, pur restando ferite nel profondo, al pensiero che costui, in fin dei conti, non aveva espresso una verità ufficiale della Chiesa, né aveva impegnato l’infallibilità papale, dal momento che non aveva parlato ex cathedra su una questione di fede, ma aveva semplicemente espresso un’opinione personale, oltretutto nel corso di una chiacchierata coi giornalisti, che a stento si poteva definire intervista, sebbene la stampa di tutto il mondo si fosse affrettata, come è logico, a diffondere quel giudizio privato in tutto l’orbe terracqueo.
Il francobollo emesso dalle Poste Vaticane nel 2017 per celebrare la ricorrenza dei cinquecento anni dalla pubblicazione delle 95 Tesi di Lutero a Wittenberg.
Potremmo citare molti altri esempi di questo genere, i quali ci porterebbero tutti alla medesima conclusione: quando la realtà è troppo sgradevole per essere accettata, molte persone preferiscono cercare di non vederla e si arrampicano sugli specchi pur di trovare qualche spiegazione alternativa a quella più ovvia, che risparmi loro la dura verità dei fatti. Ebbene, quelle anime belle avevano torto: perché non da Bergoglio, ma da Giovanni Paolo II, e col pieno sostegno dell’allora cardinale Ratzinger, la Chiesa cattolica si era impegnata in una Dichiarazione congiunta con la Federazione Luterana Mondiale sulla questione centrale che segna il discrimine fra cattolicesimo e protestantesimo: la dottrina della giustificazione. Voi che state leggendo, probabilmente sarete rimasti a quanto il magistero ha sempre insegnato su questo punto fondamentale, e il Concilio di Trento ha solennemente ribadito: vale a dire che la giustificazione, ossia la “giustizia” e perciò la salvezza davanti a Dio, si ottiene per mezzo della fede e delle opere. Ma c’è una cosa che non sapevate, e cioè che dal 1999 questo non è più vero, perché la Chiesa cattolica, con 500 anni di ritardo, ha dato pienamente ragione a Lutero, firmando un documento nel quale afferma che l’uomo viene giustificato per mezzo della sola fede, indipendentemente dalle opere buone, e perciò indipendentemente dalla vita che ha vissuto, buona o cattiva, per quanto se ne può vedere.
Bergoglio in Svezia a una “cena” luterana!
Ci sono voluti 500 anni, ma infine Lutero ha riportato piena vittoria, con la sua dottrina sulla giustificazione per mezzo della sola fede (sola fide) sulla dottrina cattolica della giustificazione con la fede e le opere. Non si può dubitare di questo, dopo aver preso contezza del documento intitolato Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, datato 31 ottobre 1999 e sottoscritto dalla Federazione Luterana Mondiale e dalla Chiesa cattolica romana. Allora il pontefice era Giovanni Paolo II, che tante anime belle ricordano come il campione dell’ortodossia, sorvolando su inezie come gli incontri di preghiera interreligiosi di Assisi, da lui inaugurati nel 1986, antecedenti diretti del prossimo sabba infernale di Astana; e prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede era il cardinale Joseph Ratzinger, che di lì a cinque anni sarebbe stato a sua volta eletto pontefice col nome di Benedetto XVI e che tante altre anime belle tuttora rimpiangono rispetto a Bergoglio, vedendo in lui l’ultimo papa cattolico prima del diluvio modernista, eretico e apostatico dei nostri giorni.
Wojtyla al Concilio Vaticano II
Leggiamo infatti, nella parte iniziale di questo documento, del quale non molto si è parlato all’epoca, e che tutt’oggi molti cattolici ignorano:
1. La dottrina della giustificazione ha avuto un’importanza fondamentale per la Riforma luterana del XVI secolo. Essa l’ha considerata l’«articolo primo e fondamentale» e, al tempo stesso, la dottrina che «governa e giudica tutti gli altri aspetti della dottrina cristiana». Essa è stata particolarmente sostenuta e difesa, nella sua accezione riformata e nel suo valore particolare a fronte della teologia e della Chiesa cattolica romana del tempo, le quali sostenevano e difendevano da parte loro una giustificazione dagli accenti diversi. Dal punto di vista riformato, la giustificazione era il fulcro attorno al quale si cristallizzavano tutte le polemiche. Gli scritti confessionali luterani e il Concilio di Trento della Chiesa cattolica emisero condanne dottrinali che sono valide ancora oggi e che hanno un effetto di separazione tra le Chiese.
2. Per la tradizione luterana, la giustificazione ha conservato tale particolare valore. Per questo motivo essa ha assunto fin dall’inizio un posto importante anche nel dialogo ufficiale luterano-cattolico.
3. Si rimanda, in primo luogo, ai rapporti Il Vangelo e la Chiesa (1972) e Chiesa e giustificazione (1994) della Commissione mista internazionale cattolica-luterana, al rapporto Giustificazione per fede (1983) della Commissione cattolica-luterana negli Stati Uniti e allo studio Lehrverurteilungen - kirchentrennend? (Le condanne dottrinali dividono ancora le Chiese ?) (1986) del Gruppo di Lavoro ecumenico composto da teologi protestanti e cattolici in Germania. Alcuni di questi documenti di dialogo sono stati oggetto di una ricezione ufficiale. Esempio importante, a questo riguardo, è la ricezione delle conclusioni dello studio sulle condanne dottrinali del XVI secolo. La Chiesa evangelica luterana unita della Germania, assieme ad altre Chiese protestanti tedesche, ha redatto una presa di posizione su tale documento alla quale è stato conferito il massimo riconoscimento ecclesiale (1994).
4. Nella discussione sulla giustificazione tutti i documenti di dialogo citati e le prese di posizione ad essi relative mostrano in alto grado un orientamento comune e un giudizio 7 comune. È giunto quindi il momento di tracciare un bilancio e di riassumere i risultati dei dialoghi sulla giustificazione per informare con la necessaria precisione e concisione le nostre Chiese e permettere loro di esprimersi in modo vincolante sull’argomento.
5. La presente Dichiarazione congiunta ha precisamente tale scopo. Essa vuole mostrare che, sulla base di questo dialogo, le Chiese luterane e la Chiesa cattolica[9] che lo sottoscrivono sono ormai in grado di enunciare una comprensione comune della nostra giustificazione operata dalla grazia di Dio per mezzo della fede in Cristo. Questa Dichiarazione non contiene tutto ciò che si insegna in ciascuna Chiesa sulla giustificazione; tuttavia essa esprime un consenso su verità fondamentali della dottrina della giustificazione, mostrando come elaborazioni che permangono diverse non sono più suscettibili di provocare condanne dottrinali.
Nella foto: 27 febbraio 1977, monastero di Weltenburg (Baviera): il prof. Ratzinger con Karl Rahner, l’abate e i dottorandi di Ratisbona (archivio Institut Papst Benedikt di Ratisbona)
Ed ecco le osservazioni sulla Dichiarazione fatte da Ratzinger a caldo, quindi non ancora eletto successore di Wojtyla, nel libro-intervista scritto col giornalista Peter Seewald, Dio e il mondo (titolo originale: Gott und die Welt. Glauben und Leben in unserer Zeit, Stuttgart-München, 2000; traduzione dal tedesco di Olivia Pastorelli, Edizioni San Paolo, 2001, pp.412-413):
D. Alla fine del secolo appena trascorso teologi protestanti e cattolici hanno formato la cosiddetta ”Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione”, secondo la quale non contano tanto le azioni umane, le “opere”, perché l’uomo è giustificato solo dalla grazia di Dio, indipendentemente dal modo in cui ha vissuto. È davvero un passo significativo in direzione dell’ecumenismo? Non si deve, pur con tutti i punti di convergenza, preservare con la massima precisione anche la specificità della fede perché non corra il rischio di smarrire la propria identità?
R. Non ci è purtroppo riuscito di comunicare fino in fondo il contenuto di questa Dichiarazione di consenso perché nessuno sa più oggi cosa si intenda per “dottrina della giustificazione”. All’epoca di Lutero è stata un tema molto dibattuto, che ha scosso e diviso gli animi, anche se l’avanzata del protestantesimo non era dovuta solo ad essa, ma anche ad esempio, agli interessi dei principi, che si ripromettevano dei vantaggi da una rapida diffusione della Riforma. Oggi non è più un tema che sollevi un grosso interesse, nemmeno nella cristianità protestante. Così l’opinione pubblica ha colto soltanto che ora le opere non contano più davanti a Dio ma solo la fede. Così non è stato solo il pensiero di Lutero a essere grossolanamente semplificato. Si disconoscono soprattutto le questioni che l’uomo moderno pone al cristianesimo. Alla fine, nei cinquecento anni trascorsi dalla Riforma, tutta la cristianità ha fatto nuove esperienze e ha subito un mutamento epocale. Non posso ora entrare nei dettagli. Basti dire che nella “Dichiarazione comune” si è iniziato col confermare che l’inizio di una vita con Dio proviene da Dio stesso. Noi non siamo in grado di innalzarci a lui, lui solo può trarci a sé. Quell’inizio, che porta l’uomo sulla via giusta, è la fede. E la fede è, a sua volta, espressione dell’iniziativa di Dio, che noi non siamo in grado di determinare o di meritare.
La Chiesa cattolica, in sede di elaborazione di questo “Consenso”, ha posto l’accento da un lato sul pieno riconoscimento dell’iniziale intervento di Dio, dall’altro sulla presa d’atto di ciò che l’iniziativa autonoma di Dio opera nel credente. Ha sottolineato il coinvolgimento umano voluto da Dio, che affida all’uomo la responsabilità e lo sollecita a collaborare fecondamente con lui, e ha messo in evidenza il giudizio cui sarà sottoposta la corresponsabilità del credente. Questo è il secondo pilastro di quella dichiarazione, che però è stato recepito scarsamente dalla pubblica opinione.
Per dirla in altri termini. Dio non vuole degli schiavi che lui rende semplicemente retto e che lui stesso non prende sul serio. Vuol avere negli uomini partner effettivi, soggetti reali, messi in grado di collaborare con lui dal domo dell’iniziativa divina e di assumersi la responsabilità di questa collaborazione. Direi che entrambi questi pilastri sorreggono l’impianto della”dottrina della giustificazione”. In loro è stato accolto ciò che dell’esperienza di Lutero corrispondeva davvero alle Scritture. Ma insieme vi è stato immesso ciò che la Chiesa cattolica non ha mai smesso di dire e che è per lei irrinunciabile e si è stabilito un equilibrio tra questi due elementi, tra queste due tradizioni.
Lutero infine ha vinto, grazie a Wojtyla e Ratzinger? Dov’era ciascuno di noi negli ultimi 50 anni?
È una cosa triste e penosa vedere come Ratzinger si serva della propria raffinata intelligenza per cercar di confondere le idee al lettore, come Abbondio tentò di fare con Renzo sfruttando la propria conoscenza del latino, lingua che quest’ultimo ignorava. Non potendo negare l’evidenza, e cioè che con la Dichiarazione la Chiesa cattolica si è rimangiata la dottrina professata da sempre della salvezza mediante la fede e le opere, per abbracciare incondizionatamente la falsa dottrina luterana della salvezza mediante la sola fede, fa un complicato giro di parole che si può così sintetizzare: è vero, abbiamo dato ragione a Lutero, ma allo stesso tempo abbiamo ribadito la dottrina cattolica del libero arbitrio, perché Dio non vuole dei servi, ma dei collaboratori volontari. Però l’iniziativa della salvezza parte da Dio, perché l’uomo non è in grado d’innalzarsi fino a Lui: il che equivale a dire che le opere non contano più nulla, ma conta solo la fede. Ratzinger cerca di confondere le acque sostenendo che la posizione di Lutero è stata indegnamente ”semplificata” nella percezione comune di quel documento, e ancor più è stata fraintesa la posizione cattolica; in altre parole, getta sul pubblico la responsabilità di non aver capito quel bellissimo documento e di aver fatto confusione. Peggio ancora: afferma che oggi nessuno capisce più cosa s’intenda con l’espressione “dottrina della giustificazione”, il che evidentemente renderebbe la cosa meno importante. E infatti non si perita di affermare che oggi, dopo cinquecento anni, l’uomo moderno ha fatto nuove esperienza e quindi pone al cristianesimo nuove domande. Sì, il succo del discorso è questo, tristemente storicista e perciò modernista: non è il cristianesimo ad interrogare l’uomo, l’uomo di ieri, di oggi e di domani, ma è l’uomo, anzi l’uomo moderno, a interrogare il cristianesimo. Come dire che l’uomo moderno sa più cose e quindi è più maturo del credente di un tempo, e che, da credente “adulto”, non può accontentarsi delle risposte che soddisfacevamo i suoi antenati. Qui c’è puzza di Rahner, c’è puzza di Teilhard, c’è puzza di Nouvelle Théologie. La fede è un prodotto storico, che si determina storicamente nel corso del tempo: la coscienza dell’uomo rivolge a Dio le sue domande e ancora la coscienza formula le risposte. A meno d’immaginare che Dio si adegui all’uomo di oggi e riformuli il Vangelo secondo le necessità del mondo moderno, rendendosi conto che il Vangelo di Gesù, come la Chiesa l’ha insegnato per duemila anni, ora non è più abbastanza convincente. Che tristezza; e quanta ipocrisia nel far ricadere sul comune fedele la responsabilità di non aver compreso la meravigliosa sottigliezza dei teologi. Questo è un mettere la propria intelligenza al servizio di una causa intellettualmente disonesta: ingannare i fedeli e condurli, senza che se ne avvedano, e casomai quasi per colpa loro, sul terreno di una dottrina nuova e diversa, quindi dell’eresia e dell’apostasia. E infatti Benedetto XVI, con Giovanni Paolo II, è stato il principale sostenitore dell’ermeneutica della continuità del Concilio Vaticano II. Ma come si può parlare di continuità, se dichiara che la fede è un dono di Dio al quale l’uomo non collabora che in un secondo tempo, poiché non è capace d’innalzarsi da solo fino a Lui? Questo è un giocare con le parole. Certo che l’uomo non può innalzarsi fino a Dio e quindi ha bisogno della grazia, senza la quale non potrebbe che fermarsi al livello della ragione naturale, ammettendo e riconoscendo il Dio creatore, ma senza poter dire nulla del Dio rivelato. Qui però si vede fino a che punto Ratzinger è imbevuto dall’idea protestante della fede, che è un’idea essenzialmente luterana. Lutero era un sentimentale (e un collerico), come lo Renan, Loisy, Tyrrell, Buonaiuti e tutti i modernisti; e come lo è anche Teilhard de Chardin, nonostante il suo esteriore scientismo. È sentimentale identificare la fede con un sentimento che viene da Dio e illumina l’uomo.
Una cosa è certa: il male neomodernista non nasce con Bergoglio, ma col Vaticano II e si aggrava con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, suoi strenui fautori e, da giovani, suoi protagonisti nelle file dell’episcopato progressista!
Per la dottrina cattolica di sempre, ad esempio per san Tommaso d’Aquino, la fede non è un sentimento, ma un atto della volontà, mediante il quale l’uomo aderisce alle verità rivelate. In questo senso, che è il senso del magistero perenne, l’uomo concorre alla propria salvezza non solo in un secondo tempo, ma fin dal principio: perché è la sua volontà a dire sì a Dio; se così non fosse, se egli dicesse di sì solo dopo che Dio gli ha fatto il dono della grazia, evidentemente l’uomo non sarebbe libero, e tutta la dottrina del libero arbitrio non sarebbe che una presa in giro. Come può essere libera la volontà umana, se la fede non è un atto della volontà, ma un sentimento che viene ispirato dall’alto? Perciò dire, come fa Ratzinger, che la fede è espressione dell’iniziativa di Dio, che noi non siamo in grado di determinare o di meritare, equivale a dar ragione a Lutero, senza “se” e senza “ma”, e dunque a negare il libero arbitrio. Di nuovo, con Lutero e contro Erasmo da Rotterdam; ricordate? In poche parole: i cattolici potevano risparmiarsi mezzo millennio di errori e meglio avrebbero fatto a riconoscere fin da subito che Lutero aveva ragione, che la Chiesa avrebbe dovuto abbracciare le sue idee e quindi fare quel che sta facendo, così in ritardo e così male, ai nostri giorni: auto-dissolversi. Allora avrebbe potuto essere una auto-demolizione controllata, eseguibile con un certo ordine; oggi è solamente caotica, e nessuno ci sta facendo una bella figura. Né Bergoglio, il quale dichiara che Dio non è cattolico; né il clero tedesco, ben deciso a benedire sull’altare le unioni omosessuali; né i professori di teologia come don Ivo Seghedoni a Modena, i quali tranquillamente insegnano che non è poi così importante andare alla santa Messa, o comunicarsi nel Sacrificio Eucaristico, anzi sono quasi più apprezzabili i cattolici non praticanti, perché almeno non si danno tante arie per la banale circostanza di andare in chiesa nelle feste comandate. E allora, se non è poi così importante andare alla santa Messa, vuol dire che non lo sono nemmeno i Sacramenti, perché in chiesa i cattolici vanno per riceverli (mentre i protestanti ci vanno per ascoltare la “parola”); di conseguenza non è importante nemmeno il clero, che a celebrare i Sacramenti è destinato. Di nuovo: aveva ragione Lutero. Niente Sacramenti, niente clero; a cosa serve il clero, se non a impinguare le casse del papa? Bastano dei “pastori” per leggere il Vangelo. Che bel risultato: complimenti.
Il teologo gesuita della "Svolta antropologica" Karl Rahner con l'amico "neo-modernista" e futuro papa Joseph Ratzinger? Benedetto XVI, con Giovanni Paolo II, è stato il principale sostenitore dell’ermeneutica della continuità del Concilio Vaticano II!
Una cosa è certa: il male neomodernista non nasce con Bergoglio, ma col Vaticano II e si aggrava con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, suoi strenui fautori e, da giovani, suoi protagonisti nelle file dell’episcopato progressista. È troppo facile gettare ogni colpa su Bergoglio, e magari guardare a Benedetto come al “vero” papa, al papa che ingiustamente è stato messo da parte, che è stato costretto a dimettersi, eccetera, eccetera. I cattolici che si aggrappano a questo fuscello di speranza, e pensano di risolvere tutto dicendo “Benedetto” anziché “Francesco” al momento dell’una cum, sono davvero patetici. Non hanno capito nulla, perché non vogliono capire. E magari lodano von Balthasar e De Lubac, credendo con ciò di sconfessare Bergoglio e rimettere le cose a posto. Care anime belle ratzingeriane, il male della Chiesa è assai più profondo e più antico di quel che credete, e implica un serio esame di coscienza da parte di tutti. Dov’era ciascuno di noi negli ultimi 50 anni?
Lutero infine ha vinto, grazie a Wojtyla e Ratzinger
di Francesco Lamendola
http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/cultura-e-filosofia/la-contro-chiesa/10141-lutero
“LA CHIESA È ANCHE TRANS”. LA PRESA DI POSIZIONE DELLA CHIESA LUTERANA SVEDESE SPACCA L’OPINIONE PUBBLICA
Sta facendo parlare di sé la Chiesa luterana svedese, per le ultime dichiarazioni fatte, pubblicate in una lettera sul proprio sito internet.
“La Chiesa è anche trans, nel senso che accoglie anche le persone più diverse, tra queste anche i transgender”. È quanto viene affermato dalla più importante istituzione ecclesiastica del Paese e la più grande denominazione in Europa, che da sola raccoglie il 54,4% della popolazione svedese.
Con questa lettera la Chiesa luterana è voluta entrare direttamente nel dibattito sul transgender, prendendo una posizione netta:
“Una chiesa è fatta di persone. Le persone sono diverse. Abbiamo cresimandi, impiegati, amministratori, rappresentanti, organizzazioni no profit e altri parrocchiani che si definiscono persone transgender. La chiesa è quindi composta anche da persone trans. Pertanto, la chiesa potrebbe essere descritta come trans” – questo l’incipt della lettera.
Nel documento i luterani svedesi pongono l’accento sulle discriminazioni che le minoranze di genere sarebbero costrette a subire quotidianamente, sia sui media che nell’opinione pubblica.
“Per lungo tempo abbiamo dovuto constatare come si sia voluta limitare la facoltà di espressione delle persone diverse, oggi non possiamo più tacere” – spiegano.
Nonostante la Chiesa luterana svedese sia conosciuta per le sue posizioni liberali, la lettera ha suscitato reazioni diverse nella società, che si è divisa tra chi ha applaudito alla scelta e chi invece si dice pronto ad abbandonare la Chiesa che avrebbe superato ogni limite.
Tra i critici c’è chi sostiene, non senza una velata ironia, che la Chiesa luterana sia in cerca di nuovi adepti e che le posizioni così nette siano semplicemente una strategia di marketing ecclesiastico.
Nel 1980 la Chiesa luterana in Svezia comprendeva quasi 8 milioni di membri, il 92% della popolazione. Nel 2000 è scesa all’82%, mentre nel 2019 al 56,4%. Un calo consistente, ora resta da capire se tra le cause della perdita di fedeli ci sia anche la scelta ultra-liberale dei luterani svedesi, opzione che però questi ultimi attuerebbero per conquistare persone che erano in precedenza estranee alla fede cristiana, ovvero le minoranze di genere.
“Crediamo in una chiesa e in un Dio che accoglie persone andando oltre i confini nazionali, l’etnia, l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Un’umanità con i colori dell’arcobaleno, assolutamente fantastica e infinita nella sua diversità” – concludono nella lettera i luterani svedesi
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