ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 16 maggio 2021

Il magico unicorno

La copertina dell’Espresso è perfetta nel rendere chiaro l’obiettivo della legge Zan

La cover dell’Espresso è buon giornalismo, perché chiarisce in modo definitivo che il vero obiettivo della legge Zan è l’identità di genere, verso la libera autocertificazione o self-id. Le cittadine e i cittadini hanno diritto di saperlo. E di discuterne per il tempo che serve.

Ha fatto centro ancora una volta la femminista Marina Terragni nella sua critica alla legge Zan. Ecco il suo ultimo articolo ripreso da feministpost.it. 

 

La copertina dell’Espresso è perfetta perché informa in modo eccellente sul ddl Zan, più di molti editoriali, trasmissioni tv e Zoom meeting, centrando perfettamente l’obiettivo: una donna incinta -solo le donne restano incinte- che si identifica come uomo, si è sottoposta a doppia mastectomia -cicatrici evidenti- e assume testosterone -barba e peluria-. Quella donna esigerà di essere definito “uomo che partorisce”, accuserà di misgendering e di transfobia chiunque dica, eventualmente a rischio di essere perseguito (è già capitato in giro per il mondo) che solo le donne partoriscono. Basta semplicemente dire che le donne hanno la vagina per passare un guaio: qui l’ultimo episodio.

La cover dell’Espresso è perfetta perché illustra il vero core del ddl Zan, l’identità di genere: non due ragazzi per mano o due donne che si baciano, ma un “uomo trans” che a quanto sembra non potrà più allattare, ma potrà partorire perché ha conservato intatti i suoi organi riproduttivi di donna. Forse, se posso, anziché un disegno avrei scelto una fotografia, ma il pudore è comprensibile.

 

 

Giusto una settimana fa a Milano dal palco della manifestazione pro-ddl Zan Marilena Grassadonia, leader di Famiglie Arcobaleno nonché responsabile diritti di Sinistra Italiana, ha chiarito che la legge Zan è solo l’inizio del percorso per arrivare alla riforma della legge 164/82 (ovvero la libera autocertificazione di genere, la piattaforma di legge è già pronta) e il libero accesso a utero in affitto (vedere qui). Nessuno l’ha smentita, a cominciare dallo stesso Zan. Del resto ci si sta provando in tutto il mondo, Europa compresa: in Spagna, dove infuria il dibattito sulla Ley Trans, in Germania, dove il 19 maggio il Bundestag discuterà una proposta di legge sul self-id. Con una significativa differenza: altrove l’obiettivo è esplicito, qui si fa di tutto per non discuterne apertamente. Per questo la cover dell’Espresso è un ottimo passo avanti.

La cover è giornalisticamente perfetta anche per un’altra ragione: dà un’informazione corretta sulle transizioni. Sceglie infatti un trans FtM, da donna a uomo, oggi il 75-80% delle transizioni tra i minori: si tratta di bambine e ragazze che cercano di sfuggire all’apparente miseria di essere donna in un mondo di maschi oppressori (“fuggire dalla casa in fiamme”) “identificandosi” con l’oppressore: è la tappa estrema, l’ultima e definitiva, dell’emancipazionismo (vedere qui). Anche la chirurgizzazione riguarda soprattutto ragazze: in 9 casi su 10 i trans MtF, da uomo a donna, conservano il loro corpo e i loro genitali intatti, mentre quasi sempre le ragazze FtM si fanno mastectomizzare e assumono ormoni.

Un paio di settimane fa abbiamo pubblicato su La Stampa un sondaggio realizzato in crowdfunding che puntava l’obiettivo sull’identità di genere (vedere qui) che ha registrato la contrarietà della maggioranza di cittadine e cittadini. Che cosa c’entra il ddl Zan, ci è stato contestato, con l’autocertificazione di genere? La cover dell’Espresso lo chiarisce definitivamente: l’identità di genere, come abbiamo sempre detto, è l’architrave della legge, il punto irrinunciabile insieme alla giornata di celebrazione contro l’omobitransfobia nelle scuole di ogni ordine e grado (senza necessità di consenso da parte dei singoli genitori) e alla formaziome Lgbtq.

In quei corsi si parlerà ben poco di amore omosessuale. Non si proietteranno film sull’amore tra donne e tra uomini -come gli splendidi Ritratto della giovane in fiamme o Moonlight-. Si parlerà soprattutto di identità di genere: anzi, se ne parla già. Si parlerà di carriera alias e varianza di genere (ovvero della possibilità di essere chiamati con il nome del genere prescelto e non quello anagrafico): anzi, se ne parla e si fa già da tempo, si vedano ad esempio le linee guida scuola “per bambini e adolescenti con varianza di genere” elaborate da Regione Lazio. Ai più piccoli, come in Canada, forse si presenterà Gegi (vedere qui) il magico unicorno che li accompagnerà a scoprire la loro gender identity gender expression (slogan: non dirlo a mamma e papà, dillo a Gegi).

Si parlerà di utero in affitto, che è pur sempre un gran bel business da promuovere insieme al mercato della chirurgia e degli ormoni. Anzi, se ne sta già parlando molto nelle scuole italiane con grand tour dedicati. Quindi: benissimo la cover dell’Espresso, che spazza via ogni dubbio. La legge Zan è una della principali vie d’accesso alla civiltà transumana o postumana.

Può essere una cosa bellissima, oppure no. Quel che è certo, se ne deve discutere, a lungo e approfonditamentenon può essere la frettolosa decisione di pochi imposta alla maggioranza degli inconsapevoli. In Gran Bretagna dove se ne è parlato tanto, la stragrande maggioranza dei cittadine e i cittadini hanno detto no al self-id (94 per cento di contrari, secondo il sondaggio di The Times) e la formazione Lgbtq nelle scuole non si fa più. In Svezia, dopo avere avviato alla transizione migliaia di bambine e bambini poche settimane fa hanno deciso di vietare i puberty blocker.

Bene quindi la cover dell’Espresso che contribuisce alla chiarezza.

Marina Terragni

https://www.sabinopaciolla.com/la-copertina-dellespresso-e-perfetta-nel-rendere-chiaro-lobiettivo-della-legge-zan/?

Io non bevo «L’Espresso»

Certa informazione ligia al pensiero unico perde il pelo ma non il vizio


L’Espresso negli anni 1970, L’Espresso nell’era LGBT+. È cambiato solo il direttore. Oggi è Marco Damilano, allievo di Pietro Scoppola, testimonial rotondo di quella sbornia che si chiama cattolicesimo democratico.

Da Arcilesbica a “Arcistronze”. Ecco come si finisce con il DDL Zan.

di Lucia Comelli 

Il Ddl Zan spacca ulteriormente il movimento Lgbt: la presidente di Arcilesbica Cristina Gramolini denuncia in un post (vedi sotto) su Facebook atti di vandalismo ad opera di ignote persone transessuali contro la sede a Bologna dell’associazione, e un clima di intimidazione crescente all’interno della comunità. Contrarie all’utero in affitto e all’introduzione della categoria fluida di identità di genere, ree per avere chiesto emendamenti in proposito sul ddl Zan, le attiviste sono da tempo bersaglio di feroci attacchi soprattutto da parte della comunità trans, che invece vorrebbe vedere riconosciuto il proprio diritto all’auto certificazione (self id) in tal senso. Le posizioni in controtendenza di Arcilesbica aveva già causato all’associazione la cacciata nel maggio 2018 dalla storica sede LGBT del Cassero. In seguito allo sfratto, la Gramellini si era sfogata su Facebook con un’immagine tesa ad indicare il sopruso subito: una bandiera arcobaleno macchiata dal fango (dell’intolleranza), inoltre, commentando l’accaduto, aveva sottolineato che l’incompatibilità burocratica della sede (motivazione ufficiale dello sfratto) era emersa proprio dopo i dissensi degli ultimi mesi su utero in affitto e prostituzione, giudicate dalle attiviste dell’associazione due forme di sfruttamento della donna:“ArciLesbica non si è allineata alla richiesta di legalizzazione dell’utero in affitto, promuovendo invece l’accesso alle adozioni; abbiamo denunciato l’assurdità di rivendicare farmaci bloccanti della pubertà per i bambini e le bambine con comportamenti non conformi alle aspettative di genere, chiedendo invece di lasciare libera l’infanzia di esprimersi al di là degli stereotipi di genere; abbiamo criticato l’assistenza sessuale alle persone con disabilità, chiedendo per loro il pieno inserimento sociale e la non mercificazione dell’affettività; abbiamo respinto lo slogan Sex work is work, perché non normalizziamo l’uso sessuale delle donne”.

arcilesbica, nazionale, pagina facebook 11-05-2021
arcilesbica, nazionale, pagina facebook 11-05-2021


La verità per restare liberi. Migliaia in piazza contro il Ddl Zan

Migliaia di persone ieri pomeriggio a Milano, in Piazza Duomo, per partecipare a Restiamo Liberi e dire no al Ddl sulla cosiddetta omotransfobia. Molti gli interventi, perlopiù di membri dell’associazionismo pro famiglia, oltre ad alcuni politici. Una piazza di persone comuni, bistrattate dai grandi media e che chiedono solo cose normali: poter continuare a difendere la famiglia naturale, senza finire in carcere, ed educare liberamente i propri figli.


Dieci minuti di silenzio. L’inizio ufficiale della manifestazione che si è svolta ieri pomeriggio a Milano, promossa dalla rete di associazioni di Restiamo Liberi per dire no al Ddl Zan, è consistito in dieci minuti di silenzio (come richiesto dalla moderatrice, Maria Rachele Ruiu) a simboleggiare il bavaglio che il disegno di legge sulla cosiddetta “omotransfobia” vorrebbe imporre su chi ancora difende, pubblicamente, la famiglia naturale.

Tra palloncini rossi e cartelli con scritte critiche, migliaia le persone giunte in Piazza del Duomo, su cui è caduta una pioggia a intermittenza, come intermittente è stato il coro che è echeggiato sotto la Madonnina: «Libertà, libertà». Molti gli interventi al microfono, perlopiù di membri dell’associazionismo pro famiglia. Presenti anche alcuni politici, tra cui Matteo Salvini, che prima dell’inizio della manifestazione si è soffermato a rispondere alle domande dei giornalisti, ma senza poi salire sul palchetto allestito per l’occasione. A salirvi, invece, e a prendere il microfono tra i politici sono stati il senatore Simone Pillon (Lega), l’eurodeputato Carlo Fidanza (Fratelli d’Italia), e il senatore Lucio Malan (Forza Italia).

In mezzo, come dicevamo, tanti interventi di esponenti piuttosto noti del variegato mondo pro family italiano. E tante, specie per il frangente storico in cui viviamo, persone comuni, giovani e anziani, cattolici ed evangelici (specie, questi ultimi, del Ministero Sabaoth fondato da Roselen Boerner, intervenuta anche sul palco). A dispetto dei tentativi di mistificazione del mainstream mediatico - che è sempre a caccia della parola fuori posto per squalificare o gettare fumo su tutte le ragioni del dissenso - sono persone che chiedono cose normali: poter continuare a dire (senza rischiare il carcere o multe salate) che la famiglia nasce solo dall’unione tra un uomo e una donna, educare liberamente i propri figli in base a principi fondati sulla legge naturale, non subire imposizioni (a partire dalle scuole) contro questa libertà, ecc.

Il primo a intervenire, dopo i dieci simbolici minuti di silenzio, è stato Massimo Gandolfini, il quale ha annunciato nuove iniziative che dovrebbero culminare in una grande manifestazione da tenersi a Roma, verso fine giugno, per sostenere «poche ma importanti cose. Primo, il Ddl Zan è da bocciare dall’inizio alla fine perché è un bavaglio alla libertà democratica, introduce un reato d’opinione» e, perciò, «ha un’ispirazione profondamente dittatoriale». Il leader del Family Day ha sottolineato tra l’altro il danno e la confusione enormi che il concetto di identità di genere, slegato dal sesso biologico, crea tra bambini e ragazzi, la cui educazione spetta alla famiglia. Gandolfini ha ricordato a Mario Draghi che il suo Governo «di unità nazionale» è nato per affrontare le conseguenze del Covid e non per approvare il Ddl Zan che «divide il Governo, il Parlamento, il Paese. Le nostre famiglie sono in un momento di sofferenza enorme, non c’è bisogno di dividere il Paese su leggi che hanno dei risvolti etici e spirituali così importanti».

Al microfono è intervenuta poi Anna Bonetti, che ha smontato l’idea che il Ddl Zan possa servire a combattere le discriminazioni contro i disabili, una categoria introdotta nel disegno di legge in corso d’opera, con il fine di renderlo più vendibile (così è stato anche per il contrasto alla “misoginia”, ma molte femministe non hanno abboccato). «Questo Ddl vuole creare un’élite di persone più privilegiate delle altre, io non ci sto. Parlo da persona disabile, sono sorda dalla nascita, e trovo vergognoso che questo Ddl strumentalizzi disabilità come la mia per i propri interessi», e «in nome di una falsa libertà», ha detto la Bonetti, evidenziando poi l’assurdità delle vite (spesso di disabili) soppresse nel grembo materno o prodotte, per l’egoismo degli adulti, con l’utero in affitto.


A sottolineare i pericoli, per le stesse persone con tendenza omossessuale, del Ddl Zan e della sottostante «ideologia che da decenni guida l’attivismo Lgbt», è stato Giorgio Ponte, scrittore e insegnante che già nel 2015 si era esposto per difendere la famiglia naturale, malgrado la sua attrazione verso persone dello stesso sesso. «Ho sostenuto che la donna è donna e che l’uomo è uomo, e che un bambino non può esistere senza l’unione tra un uomo e una donna. (…). Dire la verità non vuol dire né discriminare, né odiare, vuol dire essere liberi e fare liberi gli altri», ha spiegato Ponte. «Se un domani questa legge passasse, anch’io, pur avendo attrazione omosessuale, sarei passibile di denuncia, solo per aver testimoniato la mia esperienza di vita. Per questa mia testimonianza ho perso amici, lavori, persino una rubrica che tenevo su una rivista». Lo scrittore vuole che «si sappia che il Ddl Zan non è una legge voluta dagli omosessuali in toto. Chiunque vive un’attrazione omosessuale ma non si identifica con essa ed è in grado di riconoscere la natura fondamentale dell’uomo, come uomo e donna, sappia che non è solo. Voi non siete soli. Siamo in tanti ridotti al silenzio, molti più di quanti crediate», ha aggiunto Ponte, dicendo di essere «un figlio di Dio amato».

Nel bel mezzo di Restiamo Liberi c’è stata una contromanifestazione di poche decine di adolescenti che a un certo punto hanno gridato cori offensivi contro Pillon (dei “vaffa”) e hanno avuto momenti di tensione con la polizia, che li ha fatti allontanare per evitare disordini. E intanto, tra i pro family, Jacopo Coghe chiedeva: «Un domani questa piazza [di Restiamo Liberi] sarà possibile? Si potrà dire che un bambino ha bisogno di una mamma e un papà?».

Sul piano giuridico, il magistrato Pino Morandini ha ricordato che il nostro ordinamento già prevede tutte le tutele necessarie verso ogni forma di violenza o ingiusta discriminazione, mentre questo Ddl «è stato fatto per imporre un’ideologia ben precisa, decostruendo la sessualità». C’è il problema, aggiunge Morandini, che «non si può usare il carcere come strumento di coazione sociale». Al riguardo, va anche detto che la Ruiu ha avuto modo di richiamare la censura compiuta dalla Feltrinelli verso il libro dei giuristi del Centro Studi Livatino, che analizzano punto per punto il Ddl Zan e i relativi pericoli.

Uno degli esempi, questo, tra i tanti ricordati ieri - dal caso del pastore settantunenne arrestato a Londra per aver citato la Genesi fino alla gogna verso don Bruno Borelli - che dimostrano come il clima e la limitazione della libertà contro i pro famiglia siano già pesantissimi, sia all’estero che nel nostro Paese. Come ha spiegato l’avvocato Francesco Fontana, fondatore di Iustitia in Veritate: «Il primo attacco del Ddl Zan è contro la libertà religiosa». Se questo è il quadro, cosa succederà in caso di approvazione?



Ermes Dovico

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