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venerdì 28 maggio 2021

Non basta un pò di zucchero..

DDL Zan, Pera al card. Bassetti: “Suvvia, un po’ di chiarezza di linguaggio, un po’ di onestà intellettuale, e un pizzico di coraggio”

Card. Bassetti, “Suvvia, un po’ di chiarezza di linguaggio, un po’ di onestà intellettuale, e un pizzico di coraggio. Dopotutto, si tratta di evitare il carcere a quei cristiani che credono nella Scrittura e professano la fede. Possibile, Eminenza, che di questa trappola – un altro strappo alle radici giudaico cristiane dell’Europa – si siano accorti tanti laici, mentre Lei sia ancora lì a nicchiare?”

Firmato: Marcello Pera
Marcello Pera e card. Gualtiero Bassetti
Marcello Pera e card. Gualtiero Bassetti


Avevo già scritto a proposito del Card. Bassetti, presidente del vescovi italiani, quando, a margine di una messa del 16 maggio scorso, aveva detto ad un giornalista che il testo della legge Zan “andrebbe più corretto che affossato”. In quella occasione avevo titolato: “Eminenza Card. Bassetti, la legge Zan non può essere né ‘corretta” né “chiarita”. Può essere solo “affossata”!

Le parole dette dopo la messa erano in netto contrasto con il comunicato pubblicato dalla CEI proprio a giugno dell’anno scorso in cui si diceva che:

Anzi, un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, come insegna l’esperienza degli ordinamenti di altre Nazioni al cui interno norme simili sono già state introdotte.

Viste le critiche che quelle parole avevano raccolto, uno avrebbe pensato più ad un incidente di percorso, a parole scappate di bocca, e invece…. Il fatto che il cardinale le abbia ripetute qualche giorno fa davanti ad oltre duecento vescovi, durante l’assemblea generale all’Hotel Ergife di Roma, fa molto pensare. «Ribadiamo come ci sia ancora tempo per un “dialogo aperto” per arrivare a una soluzione priva di ambiguità e di forzature legislative», aveva detto.

Sarà stato questo ribadire o forse altro, fatto sta che Marcello Pera, già presidente del Senato, ha preso carta e penna ed ha scritto un articolo per Il Foglio

Marcello Pera spiega che il DDL Zan non è una semplice aggiunta della legge Mancino, ma qualcosa di più e di assai controverso perché introduce una nozione nuova che è respinta da tanta gente, l’identità di genere appunto.

Infatti, una cosa è il sesso biologico, qualcosa che riporta alla reatà oggettiva, e un’altra è l’identità di genere che, come dice la proposta di legge, “si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso”. L’identità di genere è qualcosa di percepito o dichiarato ad arbitrio da una persona. In questo secondo caso la realtà scompare per far posto alla percezione. Infatti, in un’altra parte del DDL Zan si legge: “Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.

Ed è dopo questo passaggio che Pera sottolinea: “Questo è il punto e il nodo del disegno di legge. Esso distingue e separa il sesso dal genere e affida il genere ad una costruzione sociale o a una deliberazione personale. Non si dirà più ‘Tu sei come la natura ti ha fatto nascere’, bensì ‘Tu sei ciò che vuoi essere’. Scompare la biologia, perché il sesso non è più elemento determinante per la definizione del genere, e ci si affida alla psicologia, perché ciò che tu percepisci o desideri è ciò che è. Muore la natura, vince la cultura.” (grassetto mio)

E a sottolineare ancora il punto, Pera precisa che questa distinzione tra biologia e cultura, tra oggettività e percezione non ha nulla a che fare con la discriminazione. Infatti, chi negasse questa distinzione tra sesso naturale e genere culturale, chi non facesse propria questa distruzione della realtà a favore della percezione, non starebbe attuando alcuna discriminazione, semplicemente mantiene la distinzione, confermando il dato di realtà. E se qualcuno volesse colpire con una legge chi non abbracciasse una tale propaganda della identità di genere, colpirebbe la libertà di opinione, mettendo le basi per un regime ideologico. 

E noi che siamo cristiani, e che crediamo che il piano di Dio sia quello che “maschio e femmina Dio li creò”, saremmo i primi ad essere portati in tribunale, e magari in carcere, se questa legge passasse. 

Quindi l’obiettivo primo del DDL Zan è quello di introdurre una nuova antropologia diversa da quella fondata sui dati naturali e sul credo giudaico cristiano.

Spiegata una cosa tanto chiara quanto semplice da capire, Pera conclude con una certa durezza: 

Il cardinale Bassetti, presidente della Cei, ha fatto finta di non capire. E si comprende bene perché. Stretto, da una parte, dal dettato cristiano e dall’adesione dei credenti a tale dettato, e, dall’altra parte, dalla cultura secolarista e da Papa Bergoglio, il cardinale ha detto che il disegno di legge Zan non deve essere affossato, bensì corretto, omettendone il concetto di identità di genere. No, Eminenza, ci rifletta. Se al disegno di legge Zan toglie questo concetto, ne toglie anche lo scopo vero e ultimo, e della proposta non resta più nulla. Neppure la sola punizione delle discriminazioni o dell’incitamento all’odio, che già sono proibite dalla nostra legge vigente. Suvvia, un po’ di chiarezza di linguaggio, un po’ di onestà intellettuale, e un pizzico di coraggio. Dopotutto, si tratta di evitare il carcere a quei cristiani che credono nella Scrittura e professano la fede. Possibile, Eminenza, che di questa trappola – un altro strappo alle radici giudaico cristiane dell’Europa – si siano accorti tanti laici, mentre Lei sia ancora lì a nicchiare?



di 
Sabino Paciolla

 

https://www.sabinopaciolla.com/ddl-zan-pera-al-card-bassetti-suvvia-un-po-di-chiarezza-di-linguaggio-un-po-di-onesta-intellettuale-e-un-pizzico-di-coraggio/ 

Perché la scienza non può e non deve sostituirsi alla politica 

Le decisioni politiche non possono essere prese dalla scienza, le separa un invalicabile limite epistemologico.

Il governo degli scienziati era stato teorizzato Francis Bacon nella Nuova Atlantide, il racconto utopico pubblicato postumo nel 1627 nel quale essi sarebbero stati sacerdoti laici in abito bianco e illuminati dispensatori della scienza, sotto di loro l’umanità avrebbe conosciuto una nuova Età dell’Oro.

Su quell’idea venne poi realizzata la Royal Society che nacque dopo tre decadi, nel 1660, un’istituzione che avrebbe dovuto guidare l’Inghilterra e il mondo intero verso una nuova era.
A quell’idea e a quella istituzione, anche se inconsapevolmente, si deve la pretesa di molti che a governarci debba essere “la scienza”, anche se a questo termine non si sa cosa debba esattamente corrispondere.

La scienza della Nuova Atlantide e dei giorni nostri appare come il principio che anima quel Leviatano che Thomas Hobbes descrisse efficacemente nel 1651, Hobbes finì poi per essere escluso dalla nascente Royal Society probabilmente per i suoi contrasti con Robert Boyle, altro grande protagonista di quell’epoca.

La scienza sperimentale si basa sulla possibilità di fare misurazioni, cioè quelle operazioni nelle quali la mente confronta tra loro delle grandezze quantificabili, fare una misura è dare una quantità ad una qualità, ad esempio volume, lunghezza o peso, sono qualità che noi possiamo quantificare con un’unità di misura, che a sua volta è una quantità nota presa per fare il confronto stesso.
Del resto anche il concetto di “razionale” esprime in matematica qualcosa che può essere espresso con una frazione n/m dove “n” ed “m” sono quantità intere e quindi esattamente determinabili.
La parola “mente” stessa deriva dall’indoeuropeo “MA”, che significa appunto misurare.
Il limite della scienza sperimentale è nel fatto che la realtà non sempre è misurabile e che spesso le “qualità” non sono confrontabili, ad esempio posso dire che un Kg di patate è il doppio di 500 gr di patate ma non posso dire che sia il doppio di 500 gr di carciofi.
Dove il confronto non è quantificabile deve intervenire il “giudizio”, stabilire con quante patate posso scambiare 500 gr di carciofi è una questione di giudizio che può variare nel tempo in base a fattori anch’essi non quantificabili.

L’esempio più comune di giudizio che permette di confrontare due qualità incommensurabili è il concetto di “prezzo”, ogni giorno noi confrontiamo cose incommensurabili attribuendo a ciascuna di loro un prezzo e poi confrontando quelli ottenuti.
Dare un prezzo è attribuire un valore e il valore di qualcosa (termine che deriva da “vis”, in latino “forza”) è letteralmente la forza che attribuisco a qualcosa nel confronto con un’altra, al riguardo è interessante notare come il peso sia in fisica una forza e quindi il giudizio di valore è anche in senso figurato un riportare qualcosa di incommensurabile ad una misura, i piatti della bilancia che non posso usare per confrontare patate e carciofi in base alla loro “forza peso” tornano come misurazione della loro “forza valore” che posso esprimere come quantificazione economica.

Ma l’immagine della bilancia che pone a confronto il contenuto dei due piatti è anche fortemente legata alla giustizia, nelle aule dei tribunali di tutto il mondo possiamo trovare questa raffigurazione del giudizio della legge.
Quale degli argomenti presentati dai due contendenti prevarrà non può essere stabilito con un algoritmo, non esiste un modo per attribuire un numero agli elementi di un processo, nessuna formula e nessun computer potrà sostituire un giudice perché questi non possono lavorare su qualcosa che non è esprimibile come quantità.

Come sappiamo non solo esistono qualità non confrontabili fra loro, i carciofi e le patate, ma esistono anche qualità non quantificabili al loro interno, non è ad esempio possibile fare un confronto fra due “amori”, stabilire con una misurazione se si voglia più bene ad una persona o ad un’altra, non si può misurare un sentimento e neanche la bellezza, una competizione musicale o un concorso di bellezza richiedono una giuria.

Analogamente ci sono questioni che riguardano la vita sociale che non sono commensurabili e quindi richiedono l’intervento di un “giudizio” che in questo caso è di tipo politico.
Prendendo il caso della pandemia non è un procedimento corretto prendere come elemento di valutazione il numero delle vittime giornaliero a scapito di altre considerazioni come il danno economico e le sofferenze psichiche che non posso quantificare allo stesso modo, nel momento in cui “la scienza” tramite i suoi esperti compie questa valutazione ha compiuto un puro atto politico dando più peso alla mortalità che agli altri elementi, la presunta scientificità dei provvedimenti è viziata da un errore di origine che vede una decisione politica su cosa abbia più valore precedere la presunta oggettività scientifica.

Una politica che si affida alla “scienza” tradisce unicamente l’incapacità di assumere le proprie decisioni che vengono quindi demandate ad una presunta quanto impossibile oggettività scientifica che nella sua inconoscibilità finisce col diventare esattamente come quelle sentenze divine dalle quali la scienza stessa aveva avuto l’ambizione di svincolarci, i giudizi della scienza diventano così giudizi di una volontà divina, il diritto si ricongiunge con “Ious” il nome romano di Giove dal quale G. B. Vico faceva derivare il termine “Ius”.

Il giudizio della scienza diventa così un giudizio divino di tipo materialista, è la scienza che viene elevata a divinità non discutibile che parla nella persona dei suoi sacerdoti eletti mediaticamente fra i tanti e che non possono essere contraddetti, di fatto è la realizzazione della Nuova Atlantide.

Ma è una realizzazione che non mette realmente al comando gli scienziati in realtà è espressione di un potere che si cela dietro gli scienziati che a loro volta influenzano la classe politica, sottraendosi alle responsabilità che proprio dall’esercizio del potere derivano.
La scienza divinizzata finisce così per somigliare all’immagine dipinta dal Signorelli, quella del falso Cristo che parla con le parole che gli vengono sussurrate nell’orecchio dal vero autore di quelle parole.

Mentre la classe politica si rivolge alla scienza per ascoltarne le verità rivelate e ripararsi dalle conseguenze delle proprie azioni, la “scienza” stessa si mostra come un simulacro dietro il quale agisce il vero potere, che è quello di chi detiene i media e i mezzi di comunicazione, un potere che si nasconde dettando cosa debba essere detto e creduto e quindi fatto.

Link al video di CCS su Rumble

https://rumble.com/vh1u4z-cose-che-la-scienza-non-pu-dire.html

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