Il ddl Zan è la “Bibbia” del totalitarismo relativista
Il disegno di legge Zan rappresenta l'estremo stadio di una continua pressione per la limitazione del principio di libertà di espressione in atto da più di mezzo secolo ad opera della sinistra, intenta a delegittimare e criminalizzare tutti i suoi avversari. Prima ha usato l'antifascismo come clava per criminalizzare tutti quelli che erano anticomunisti. Poi, nel post-guerra fredda, ha subìto una mutazione genetica passando dal collettivismo comunista al progressismo relativista, imperniato sul multiculturalismo e su un'idea radicalmente soggettivistica dei diritti individuali. Ora, il culmine del processo di relativizzazione integrale della cultura civile viene raggiunto con l'imposizione dogmatica della dottrina gender.
Presentato dai suoi promotori come un necessario argine contro violenze e discriminazioni, il ddl Zan in realtà non apporta nessun contributo originale da questo punto di vista, se non l'aggiunta dell'odio di genere alla lista dei reati a sfondo razzista nell'articolo 406 bis e ter del Codice penale. La natura del testo, infatti, è essenzialmente ideologica: esso espone una vera e propria visione del mondo, e classifica come discriminatrici le concezioni diverse da essa.
Si tratta di un'iniziativa legislativa coerente, in tal senso, con una lunga storia. Il disegno di legge rappresenta infatti l'estremo stadio di una continua pressione per la limitazione del principio di libertà di espressione nell'ordinamento italiano, in atto da più di mezzo secolo ad opera del ceppo principale della sinistra: intenta a più riprese a delegittimare e criminalizzare tutti i suoi avversari, indicandoli come un pericolo per la democrazia e la convivenza civile. Prima, quando il suo modello di riferimento era il comunismo sovietico o cinese, quella sinistra ha usato l'antifascismo come un lasciapassare automatico di democraticità, e contemporaneamente una clava per criminalizzare tutti quelli che erano anticomunisti, liberali, moderati, conservatori, tacciati per ciò stesso di essere eversori. Poi, nel post-guerra fredda, essa ha subìto una mutazione genetica passando dal collettivismo comunista al progressismo relativista, imperniato sul multiculturalismo e su un'idea radicalmente soggettivistica dei diritti individuali. E conseguentemente ha cominciato ad additare come “razzista” chi rivendicava la fedeltà ai principi della civiltà occidentale, all'umanesimo ebraico-cristiano, all'identità nazionale.
Nella sua ridefinizione di modelli e bersagli polemici il nuovo progressismo italiano si è inserito, con tratti propri, nel solco generale di quello occidentale, sempre più dominato dal relativismo culturale, dalla “politica dell'identità”, dall'”utopia diversitaria”. In tale tendenza rientra soprattutto l'applicazione dello stigma di razzismo, e quindi la censura e la punizione, a qualsiasi critica all'immigrazione clandestina e indiscriminata e a qualsiasi sottolineatura della violazione dei diritti umani in determinate culture e religioni (in particolare quella islamica). Elementi alla luce dei quali si comprende meglio anche la genesi della legge Mancino del 1993, poi confluita nell'aggiornamento dell'articolo 406 del Codice penale nel 2018, che ridefinisce il contrasto alle discriminazioni accentuando fortemente la punibilità di opinioni e movimenti politici in base ad una definizione di razzismo molto ambigua, fatalmente esposta a interpretazioni giudiziarie declinate in termini di valutazione politica.
Ora, il culmine del processo di relativizzazione integrale della cultura civile viene raggiunto con l'imposizione dogmatica della dottrina gender. Il ddl Zan è la piena realizzazione, in Italia, di questo disegno. In esso l'idea secondo cui ciascuno ha il diritto di essere considerato giuridicamente, dal punto di vista del genere, come si percepisce e “rappresenta” viene consacrata come vera e propria dottrina di Stato. Non a caso, nell'articolo 7 esso prevede l'istituzione di una “Giornata nazionale” contro le più varie “fobie” nei confronti di omosessuali e transessuali, destinata a diventare occasione di ricorrenti manifestazioni pubbliche di propaganda, dalle istituzioni alle scuole all'informazione.
Il disegno di legge si qualifica come strumento ideologico fin dal suo primo articolo, in cui si azzarda addirittura una definizione generale del sesso, del genere e dell'identità di genere, che ad avviso dei firmatari dovrebbe dare una solida base all'enunciazione delle fattispecie di reato previste. In particolare vi si sostiene, in termini piuttosto involuti, che “per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico”, per genere “qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso”, e per identità di genere “l'identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Si vorrebbe, insomma, “desessualizzare” del tutto l'identità di genere, presentandola come puro prodotto dell'autodeterminazione soggettiva, anche contrapposta alle “aspettative” sociali.
Da ciò si fa discendere la tesi secondo cui idee e opinioni non aderenti all'identità di genere “decisa” da qualcuno rappresenterebbero un'istigazione alla discriminazione nei suoi confronti, anche se non viene esercitata alcuna violenza fisica né si venga a creare a una situazione di concreta disuguaglianza in base ai princìpi costituzionali e giuridici vigenti. Un'idea condensata nell'articolo 4, secondo il quale “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
Ma chi decide quando un convincimento o un'opinione è “idoneo a determinare il concreto pericolo” di tali atti? E' chiaro che se si riduce la realtà a rappresentazione soggettiva, e se si fa del riconoscimento sociale e giuridico di quella rappresentazione un diritto soggettivo, l'individuo che si “identifica” in un dato modo può considerare qualsiasi pensiero o parola espresso da altri in senso diverso come un'offesa, una fonte di sofferenza e di umiliazione. Più in particolare, qualunque opinione sulla sessualità, sulla maternità, sulla famiglia fondata su una concezione naturalistica o oggettivistica, sulla dottrina e sulla tradizione cristiana, potrebbe essere considerata tout court come una potenziale fonte di opposizione violenta all'affermazione della concezione “fluida” di un'autodeterminazione assoluta, propria della “dottrina” affermata. E, per esempio, potrebbe essere equiparata ad una discriminazione violenta ogni opposizione al matrimonio tra persone dello stesso sesso, alla transizione di genere anche per i minorenni, all'utero in affitto, al riconoscimento della condizione di genitore indipendentemente dalla compresenza di figura paterna e materna. Come, ingenuamente, ha posto in evidenza nei giorni scorsi il giornalista Alessandro Cecchi Paone, uno dei più entusiasti sostenitori del provvedimento, quando ha sostenuto, nella trasmissione radiofonica “La Zanzara”, che chi dice che l'unica famiglia è quella formata da un uomo e da una donna incita all'odio perchè “crea infelicità negli esseri umani”, e dunque dovrebbe essere perseguibile.
L'intento dei presentatori del ddl è dunque, palesemente, innanzitutto quello di incutere, in chiunque non condivida l'idea che l'identità di genere sia totalmente svincolata da una base naturale, il timore di manifestare la propria opinione.
In altri termini, lo scopo del provvedimento è quello di determinare l'effetto “vestiti nuovi dell'imperatore”: se il sovrano asserisce di essere vestito, benché agli occhi degli astanti sia nudo, bisogna fare finta di vedere i suoi abiti e lodarne la bellezza. E qui il “sovrano”, nel solco dell'ideologia “diversitaria”, sono i gruppi auto-definiti che la narrazione dominante ha eletto a titolari di diritti speciali in quanto discriminati e dunque legittimamente aspiranti ad un “risarcimento”: quelli che orwellianamente vengono considerati dalla narrazione in questione “più uguali degli altri”.
Eugenio Capozzi
- LA "ZAN" INGLESE ACCUSA DI TERRORISMO IL PASTORE di Benedetta Frigerio
https://lanuovabq.it/it/il-ddl-zan-e-la-bibbia-del-totalitarismo-relativista
di Annarosa Rossetto
C’è un battage mediatico impressionante dei sostenitori del ddl Zan che ripetono ossessivamente da tutti i canali informativi, social media, radio, tv, giornali, che questa legge è necessaria e urgente per proteggere gli omosessuali dalle violenze e dalle discriminazioni, e rispondendo sdegnati a chi avanza perplessità sulla indeterminatezza di certe definizioni che metterebbero a rischio la libertà di espressione, che questo è un pericolo assolutamente infondato.
Poi capita che a qualche esponente della “comunità LGBT” scappi detto qualcosa di meno rassicurante.
È il caso di quanto detto da Alessandro Cecchi Paone alla trasmissione radiofonica “La zanzara” a proposito della necessità di approvare il ddl Zan. Ha sostenuto che dire che l’unica famiglia è quella tra un uomo e una donna rappresenta un incitamento all’odio “Perché crea infelicità negli esseri umani. Quindi per me sei perseguibile”. In pratica una conferma delle preoccupazioni di chi vede in questo disegno di legge un grave rischio per la libertà di espressione e associazione.
Sabato 8 maggio, poi, c’è stata una manifestazione a Milano a favore del Ddl #Zan.
Interessanti, al di là della solita retorica sulla presunta “emergenza omofobia”, alcuni discorsi che rivelano quali sono i veri obiettivi dei promotori. Particolarmente significativo l’intervento di Marilena Grassadonia (Famiglie Arcobaleno) che ha espresso a chiare lettere il programma delle associazioni LGBT:
la parte più importante del testo del ddl Zan è la giornata contro l’omofobia: “È importante entrare nelle scuole”.
La strategia dell’Unar prevede infatti, tra altre cose, l’accreditamento delle associazioni LGBT nelle scuole come enti di formazione. Ha proseguito dicendo che il Ddl Zan è solo il primo passo: seguirà la riforma della legge 40 sulla fecondazione assistita per far accedere le donne single (e ovviamente tra queste le donne in coppia), la legalizzazione dell’utero in affitto (addolcito per il pubblico chiamandolo Gestazione per Altri o “solidale”), seguirà la revisione della legge 164/1982 (sul “cambio di sesso”), per arrivare al “self id”, cioè alla situazione in cui ognuno possa veder riconosciuto il genere che si sente senza troppa burocrazia (e interventi medici).
“Siamo solo all’inizio”, ha ribadito.
https://www.sabinopaciolla.com/ddl-zan-come-ce-la-raccontano-e-cosa-vogliono-davvero/
Cosa vuole davvero il DDL Zan
Se la vera ragione del ddl Zan fosse la lotta contro la discriminazione, allora esso sarebbe giusto ma anche superfluo, perché tutto è già previsto nella legge italiana così com’è. La verità è che il DDL Zan mira ad altro: a combattere come discriminazione tutto ciò che non rientri nel nuovo ordine mentale eroticamente corretto a genderizzazione integrale dell’immaginario e delle condotte.
https://www.diegofusaro.com/cosa-vuole-davvero-ddl-zan/
di Angela Comelli
Come al culmine di un rito sacrificale, il rumore dei tamburi si fa sempre più forte e non lascia spazio né modo di ascoltare altro. Il discorso si è appiattito e ridotto a slogan: se sei contro il DDL Zan, anzi se solo osi criticarlo anche in minima parte, sei omofobo, discorso chiuso.
Tutti quelli che sono bravi, belli e buoni si dipingono la mano scrivendo DDL ZAN e postano la foto sui social, gli altri farebbero meglio a tacere perché sono brutti, sporchi e cattivi.
Coloro che hanno provato ad elencare punti critici e rischi del ddl sono stati travolti dalla marea di una propaganda che va tutta in una sola direzione e che viene amplificata da ogni mezzo di comunicazione possibile ed immaginabile, non ultimo il palco del concerto del 1 maggio. Per non parlare di insulti, minacce, offese…
Contro ogni pronostico, però, si levano, sempre più numerose, voci contrarie e, per colmo, provenienti dalla stessa area politico-culturale che ha fatto del DDl Zan la propria bandiera.
L’opposizione al pensiero unico non è più appannaggio di cattolici retrogradi ed illiberali, ma viene portata avanti anche da importanti esponenti del mondo femminista, di arcilesbica, della sinistra.
Solo qualche esempio tra i tanti.
– Intervista a Monica Ricci Sargentini, giornalista del Corriere della Sera femminista della differenza e membro della Coalizione internazionale contro la maternità surrogata (Ciams)- Marco Guerra, Interris.it, 24/4/2021
Alla domanda del giornalista: “….vorremmo sapere quali sono i timori delle femministe rispetto a ‘sto ddl…”
Ricci Sargentini risponde: “In primis il fatto che introduce, in maniera molto vaga, nell’ordinamento italiano il concetto di identità di genere slegato dal sesso biologico, c’è il rischio che uno si auto certifichi secondo la sua percezione di sé. Insomma la cosiddetta self identity che in molti Paesi sta creando una marea di problemi. Se bastasse sentirsi donna per esserlo avremmo tutte le conseguenze del caso che vediamo dove questa cosa è possibile, ad esempio luoghi come spogliatoi, bagni e carceri non sarebbero più sicuri per le donne perché chiunque potrebbe accedervi. Una legge sulla “self id” è stata bocciata dalla Gran Bretagna, perché la maggior parte degli britannici si è dimostrata contraria. Un’altra cosa che ci dà fastidio è che nella legge hanno introdotto anche la misoginia, come se le donne fossero una minoranza e non la metà dell’umanità, le donne non hanno mai chiesto questo e non si capisce perché dovrebbe essere inserita la misoginia in un ddl a tutela delle minoranze”.
–Ddl Zan, quel no (inaspettato) alla legge sull’omofobia di femministe e Arcilesbica .
E’ il titolo di un articolo a firma Alessandra Arachi, apparso sul corriere.it del 3 maggio scorso, in cui si legge:
“Non soltanto la maggioranza, il ddl Zan divide l’universo femminista. E divide anche le famiglie: Cristina Comencini guida lo schieramento delle donne che il testo sull’omotransfobia vorrebbero emendarlo, mentre la sorella Francesca sta con le femministe che vorrebbero approvarlo così com’è.
…«Aver esteso il ddl Zan anche ai reati di misogenia e disabilità fa regredire le donne nel passato, le considera una categoria, una minoranza mentre siamo più della metà del paese», commenta Francesca Izzo, storica del pensiero moderno e contemporaneo e storica femminista. E aggiunge: «Anche sull’identità di genere bisognerebbe fare dei cambiamenti».
È Marina Terragni a spiegarci quali cambiamenti per l’identità di genere. Storica femminista che ha fatto le battaglie accanto al Mit, Movimento italiano transessuali, Terragni dice: «L’identità di genere è un oggetto non definito e non puoi mettere in una legge penale un oggetto non definito. Nel testo si parla di identità autopercepita che è l’ambiguità che apre la porta alla “Self Id”, l’autopercezione del genere. Per capire: in California, dove il self-Id è diventato legge ci sono stati 270 detenuti che si sono dichiarati donne e hanno chiesto di andare nel carcere femminile, con il terrore delle detenute. In Gran Bretagna è successo lo stesso con uno stupratore che si è dichiarato donna. Non basta l’autocertficazione per cambiare sesso ci vuole un percorso». Per Terragni è da modificare anche l’ingresso nelle scuole per parlare della Gravidanza per altri (l’utero in affitto): «Non si capisce, per l’ora di religione ci vuole il consenso dei genitori e per questo no, perché lo decide una legge»…..”
– Si spinge oltre Aurelio Mancuso, dirigente del PD, giornalista italiano, già presidente nazionale di Arcigay, che, sulla sua pagina Fb, invita a sottoscrivere un appello per cambiare il DDL Zan , dicendo, tra l’altro:
“…Vogliamo presto un provvedimento che combatta in maniera severa l’omotransfobia, ma con amarezza rileviamo che questo disegno di legge si è trasformato in un manifesto ideologico, che rischia di mettere in secondo piano l’obiettivo principale e di ridurre pesantemente diritti e gli interessi delle donne e la libertà di espressione.
E’ un testo che va emendato prima di essere approvato, perché una legge scritta male porta a delle interpretazioni ed applicazioni controverse che riducono i diritti e non ne consentono la piena tutela.
Il ddl Zan facendo leva su un tecnicismo che appare secondario e terminologico introdurrebbe, se non emendato, una pericolosa sovrapposizione della parola “sesso” con quella di “genere” con conseguenze contrarie all’art. 3 della Costituzione per cui i diritti vengono riconosciuti in base al sesso e non al genere e non in armonia con la normativa vigente, legge n. 164/82 (e successive sentenze della Corte Costituzionale), che ammette e consente la transizione da un sesso ad un altro sulla base non di una semplice auto-dichiarazione. La definizione di ‘genere’ contenuta nel ddl Zan, che non è accettata dagli altri Paesi, crea una forma di indeterminatezza che non è ammessa dal diritto, che invece ha il dovere di dare certezze alle relazioni giuridiche e di individuare le varie fattispecie“
–Omofobia. Via dal non dibattito. Via l’identità di genere
E’ il titolo di un articolo di Marina Terragni, pubblicato su Avvenire il 6 maggio scorso.
“……..Il non-dibattito sul ddl Zan sull’omobitransfobia è avvenuto a lungo in questo clima tribalistico-identitario: prova a dire qualsiasi cosa su quel testo, prova a mettere il piede in quel « safe space » e ti arriverà addosso di tutto, dagli insulti alle minacce di morte (e non per dire). «Quel testo non si modifica»: così Monica Cirinnà ha chiuso perentoriamente ogni discussione. Il fatto è che la discussione non si è mai aperta. Quel ddl è passato alla Camera senza che quasi nessuno se ne accorgesse: non per essere benaltristi, ma in effetti a novembre avevamo ben altri problemi, con le terapie intensive che tornavano a riempirsi. In verità la discussione deve ancora cominciare.
Discussione che deve essere ampia, approfondita, e prendersi tutto il tempo necessario com’è stato per altri temi sensibili (divorzio, per esempio, o aborto). E anche se a prima vista non sembrerebbe, questo è un tema sensibilissimo che riguarda tutte e tutti: vedremo perché. Prima però l’aggiornamento del bollettino dell’odio: dopo le manganellate social che si sono abbattute su Paola Concia, Valeria Valente, Luana Zanella intervistate da questo giornale, e solo per avere garbatamente esposto alcune riserve critiche, eccoci alle minacce di morte. «Vi ammazzo tutte, schifose maledette». «Il giorno in cui cominceremo ad ammazzare i porci come lei sarà sempre troppo tardi».
…… Torniamo al perché il ddl Zan riguarda tutte e tutti, e non solo le minoranze omo e transessuali, che giustamente si prefigge di tutelare: il concetto di identità di genere, vero architrave del ddl, va a toccare in radice e per tutti la sessuazione umana sostituendo il concetto di transessualità – condizione ben definita e regolata dalla legge 164/82 e successive sentenze – con un ‘percepito’ (sentirsi donna o uomo, o né l’una né l’altro) che si vorrebbe riconosciuto senza alcun percorso, né perizie, né sentenze. Un cambiamento epocale che impatterebbe sulla vita collettiva. Anche, e non positivamente, sulla vita delle stesse persone trans…………….”
Il ddl Zan è stato portato avanti con protervia, come priorità assoluta in un momento storico in cui le emergenze del Paese e delle persone sono altre, senza la possibilità di un confronto sereno ed approfondito su temi così sensibili, nascondendo, sotto una montagna di slogan, la realtà. Quella realtà che in maniera palese dice che in Italia non c’è un aumento dei crimini d’odio legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere, che nel nostro ordinamento penale non c’è un vuoto legislativo per punire tali crimini, che nel DDL Zan non c’è determinatezza del contenuto del reato che rischia di essere legato a percezioni soggettive con la gravissima conseguenza di ritenere istigazione alla violenza anche la semplice espressione di legittime opinioni, come già sta accadendo nei Paesi che hanno adottato leggi simili. Una realtà che dice che il DDL Zan non deve essere emendato, deve essere semplicemente bocciato e buttato nel cestino della storia.
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