"La Chiesa deve liberarsi dall'agenda mondialista"
Il Coraggioso Rubicone dei Vescovi USA. Commento di Robert Royal.
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, penso che sia interessante offrire alla vostra attenzione e riflessione questo commento di Robert Royal, su The Catholic Thing. Tratta della decisione a grande maggioranza dei vescovi americani di continuare a lavorare su un documento che illustri il valore e il senso dell’eucarestia. E anche – indirettamente – su che cosa voglia dire essere cattolico, contro la strumentalizzazione che alcuni personaggi politici (Nancy pelosi e Joe Biden saltano alla mente) fanno della religione. Buona lettura.
§§§
Quasi tre quarti dei vescovi statunitensi (166-58) hanno votato venerdì per preparare un documento sui cattolici che ricevono la Santa Comunione. La bozza sarà poi discussa e votata al loro incontro annuale di novembre. La conferenza episcopale non ha l’autorità di dire a specifici politici come Joe Biden e Nancy Pelosi di non presentarsi alla messa (anche se i singoli vescovi possono). Il che è un peccato, perché la Chiesa ha raggiunto una specie di Rubicone in America.
Il momento è senza precedenti. Il vescovo Liam Cary di Baker, Oregon, l’ha detto proprio così: “Non abbiamo mai avuto una situazione come questa in cui l’esecutivo è un presidente cattolico che si oppone all’insegnamento della Chiesa”. Diversi vescovi – Gomez, Naumann, Daly, Hying e altri – hanno anche parlato coraggiosamente. E l’arcivescovo di SF Cordileone (“cuore di leone”) lo ha detto senza mezzi termini: “La nostra credibilità è in gioco. Gli occhi di tutto il paese sono su di noi in questo momento”.
Non è una sorpresa che sia sorto uno scontro sulla ricezione e sulla natura stessa dell’Eucaristia ora che abbiamo una presidenza cattolica progressista. Sappiamo già che la maggioranza dei cattolici americani pensa – se ci pensa affatto, visto che tre quarti non partecipa mai alla Messa – che l’Eucaristia non è il Corpo e il Sangue di Cristo. Le forze ostili alla Chiesa sono felici di citare questo fatto.
Permettere ai leader – ai più alti livelli di governo ora – che si definiscono cattolici di continuare a promuovere vigorosamente l’aborto (dimenticate il “personalmente contrario” dei giorni passati), l’omosessualità e i limiti alla libertà religiosa significa che quel poco di influenza pubblica che la Chiesa ancora mantiene è su una strada veloce verso l’oblio. Siamo in pericolo di attraversare una linea dopo la quale la Fede sarà sotto attacco non solo da un mondo aggressivo con una comprensione completamente diversa di ciò che significa essere umani – ma dagli stessi cattolici ribelli.
Per esempio, sempre venerdì, sessanta membri del Congresso (tra i quali i capisaldi dell’aborto come Rosa De Lauro e Alexandria Ocasio-Cortez) hanno firmato una lettera congiunta ai vescovi, su carta intestata del Congresso, presumendo di istruirli sull’insegnamento cattolico. Potete leggere qui questo testo strabiliante, che esorta i vescovi a non fare un passo drastico per “una questione”. In queste due parole, la sfida ai vescovi diventa chiara: per un gran numero di cattolici pubblici, la distruzione di centinaia di migliaia di vite umane nell’utero ogni anno è solo un’altra “questione”.
La stampa laica e certi cattolici progressisti hanno propagandato la lettera (sebbene siano stati stranamente incuriositi dal fatto che 17 cattolici democratici non si siano uniti agli altri 60). Essi sostengono che la lettera è in armonia con i metodi non conflittuali di Papa Francesco: invitare le persone, piuttosto che condannarle. Ma questo approccio è stato provato per decenni. E non c’è stato alcun “effetto Francesco” recente – una marea di persone che tornano alla Chiesa a causa dell’approccio più morbido. Se questa fosse una strategia pastorale efficace, la Germania sarebbe piena di convertiti e reduci. Il che, purtroppo, non è il caso.
I sessanta membri del Congresso si appoggiavano pesantemente al Concilio Vaticano II, che invitava a leggere i “segni dei tempi”. (Gaudium et Spes, ¶4) Qualunque fosse la situazione nel 1965, i segni dei tempi ora indicano tutti il continuo declino della Chiesa e la rapida ascesa di varie correnti sociali attivamente ostili al cattolicesimo.
Siamo abituati ai politici che fanno dichiarazioni pubbliche a proprio favore. Questi membri del Congresso hanno ripreso l’argomento di pochissimi vescovi che non ci dovrebbe essere una “weaponization” dell’Eucaristia. In parte hanno ragione. Ma chi sta cercando di minacciare chi, quando la Chiesa sta semplicemente cercando di mantenere le proprie discipline di fronte all’amministrazione più aggressivamente anti-cattolica di sempre?
L’insegnamento della Chiesa sull’Eucaristia e su chi dovrebbe riceverla rimane quello che è sempre stato. Persino Papa Francesco, in uno sforzo calcolato per suggerire diversamente riguardo al divorzio e ai risposati, si è limitato a suggerire piccoli cambiamenti in due ambigue note a piè di pagina in Amoris Laetitia. Questa diffidenza indica che persino lui – che molti sostengono essere contrario alle attuali mosse dei nostri vescovi – non è disposto a contraddire apertamente ciò che la nostra tradizione ha affermato fin dall’inizio.
Triste a dirsi, alcuni vescovi americani – i soliti sospetti – continuano con argomenti stiracchiati e molto deboli contro l’azione. Il Cardinale Cupich ha sostenuto che prima che i vescovi possano fare qualcosa, dovrebbero coinvolgere i legislatori cattolici pro-aborto per scoprire perché credono e agiscono come fanno.
C’è qualcuno che non lo sappia già? O chi pensa che sollevare questo punto sia qualcosa di diverso da una (piuttosto povera) tattica dilatoria? È sicuro che il cardinale sa esattamente perché, diciamo, il senatore Dick Durbin (D-IL) sostiene l’aborto e molto altro. Il precedente arcivescovo di Chicago ha incontrato Durbin più di una volta e gli ha spiegato perché ha sbagliato. L’ha fatto Cupich?
Tra gli altri soliti sospetti, il vescovo di San Diego Robert McElroy ha ripetuto la sua accusa di “armare” l’Eucaristia e si è persino spinto a dire che disciplinare i dissenzienti sarebbe una “teologia dell’esclusione e dell’indegnità”. Ma il vescovo californiano sta confondendo qui i termini politici e religiosi.
Può essere impossibile nell’America post-postmoderna “escludere” o chiamare qualcuno indegno. Ma Gesù stesso, che non era un triangolatore politico, avvertiva spesso le persone che, con le loro azioni, potevano escludersi dalla vita eterna. E San Paolo, che conosceva la fede quanto chiunque a San Diego, scrisse: “Perciò chiunque mangerà questo pane e berrà questo calice del Signore indegnamente [Greco: anaxios], sarà colpevole del corpo e del sangue del Signore”. (1 Corinzi 11:27)
I nostri vescovi americani hanno fatto qualcosa di coraggioso, persino bello. E dovranno affrontare giorni turbolenti e brutti per questo. Non hanno iniziato questa battaglia, e alcuni – che non erano responsabili della cattiva catechesi con cui abbiamo sofferto per decenni – pagheranno il prezzo di altri che sono stati lassisti o riluttanti a parlare. Ma hanno affrontato un momento decisivo. Vincere o perdere nell’arena politica, meritano il nostro rispetto e la nostra gratitudine.
23 Giugno 2021 7 Commenti
Mons. Bux: I carismi, i movimenti e la Chiesa.
Sul Decreto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, “Le associazioni di fedeli che disciplina l’esercizio del governo nelle associazioni internazionali di fedeli, private e pubbliche…” abbiamo già rilanciato due interventi (qui e qui), riportiamo ora la posizione di mons. Nicola Bux, già consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Congregazione delle cause dei santi sotto i papati di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, e consultore dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice. Mons. Bux è stato anche docente a Gerusalemme, Roma e Bari.
di Nicola Bux Papa Leone I, il Grande, quello che fermò Attila, nel festeggiare il giorno della sua elezione (Discorso 4,1-2; PL 54, 148-149), descrive la Chiesa nei suoi gradi gerarchici distinti, in modo che l’intero sacro corpo sia formato da membra diverse. Oggi, si afferma spesso che la Chiesa è popolo di Dio, ma si dimentica che non è una massa informe, ma è ‘gerarchicamente ordinato’ con a capo Gesù Cristo nel quale siamo uno: questo rende la Chiesa comunione indissolubile sulla base di una comune dignità (cfr 1 Pt 2,5 e 9). Non c’è solo il servizio specifico del ministero petrino – osserva san Leone – perché tutti i cristiani sono rivestiti di un carisma spirituale e soprannaturale che li rende partecipi del popolo regale, sacerdotale e profetico che è la Chiesa. Pertanto, ciascuno deve sentire come onore personale l’elezione di un membro della gerarchia ad un determinato ministero, perché l’unzione che riceve, rifluisce in varia misura dai gradi più alti a quelli più bassi. Questa è la comunione, dice papa Leone, pertanto – applicandola a sé – invita a non fermarsi a considerare la “nostra povera persona” – i papi usavano il ‘noi’ proprio per proteggere il munus petrino dalla personalizzazione – ma “soprattutto colui che si trovò vicino alla sorgente stessa dei carismi e da essa ne fu riempito e come sommerso”: si riferisce a san Pietro, e conclude: “Ecco perché molte prerogative erano esclusive della sua persona e, d’altro canto, niente è stato trasmesso ai successori che non si trovasse già in lui”. Chi riveste il ruolo di papa, deve far quasi scomparire la sua persona, altrimenti si alimenta la papolatria.
In breve, è descritta la teologia dei carismi e dei ministeri, nel quadro della comunione ecclesiale, fatta a immagine del corpo di Cristo. Ora, se la sacra potestà del papa e dei vescovi, non è assoluta, né ereditaria, tantomeno il carisma dei fondatori dei movimenti monastici, religiosi ed ecclesiali e dei loro successori. E’ esclusa ogni prerogativa di comando, perché Gesù non vuole che i suoi assomiglino ai capi delle nazioni (Mc 10,42-43). Chi, poi, si trovasse ad avere un compito ministeriale o un carisma sappia che esso finisce con la sua morte; resta l’attrattiva più o meno grande che ha esercitato, non a se stesso ma alla sequela di Cristo nella Chiesa: le sue virtù, specie se riconosciute dalla Chiesa come eroiche, diventano ‘esempio, merito e intercessione’, e servono unicamente per arrivare prima a Gesù Cristo. In questo senso, il carisma vive nel popolo e l’autorità è al servizio della conservazione del carisma. I capi non si possono canonizzare da vivi, pena lo scadere nel culto della personalità. Se v’è stata fama di santità sarà accertato, altrimenti trasformerà quel popolo, o movimento, o ordine religioso in strumento ideologico.
I carismi dei movimenti poi, sono finalizzati all’evangelizzazione, come ha insegnato Giovanni Paolo II, e questo li differenzia dai movimenti popolari socio-politici, che badano ad un messianismo terreno. I pastori hanno l’onere del discernimento, che è l’unione del retto pensiero e della virtuosa intenzione: è pure un carisma legato al ministero (se un sacerdote non ce l’ha, non deve essere ordinato vescovo).
Se gli ordini religiosi e i movimenti laicali entrano in crisi e si spaccano, dipende in buona parte dal mancato esercizio del discernimento dei pastori sulla dottrina e sulla disciplina, come dimostra il caso di Bose. Se i carismi, come dice Leone, attingono alla fonte che è Gesù Cristo, come può essere ritenuto tale quello di chi come Bianchi, ha dubitato o negato che sia il Figlio di Dio (qui e qui)? Né ci si può scusare ricorrendo al temperamento, che, come diceva don Luigi Giussani, è solo umile strumento del carisma; dove umile significa che si tiene basso, esortava Giovanni Paolo I. Ma se non si crede in Gesù Cristo Figlio di Dio, è difficile sentirsi basso, perché questi spogliò se stesso (Fil 2,7). Dio sceglie ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. L’unico requisito del carisma, ancor più se associato a un ministero, è di rendere testimonianza integrale a Cristo in ogni ambito dell’esistenza umana, affermando ogni giorno, come Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
https://www.sabinopaciolla.com/mons-bux-i-carismi-i-movimenti-e-la-chiesa/
Sul Decreto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, “Le associazioni di fedeli che disciplina l’esercizio del governo nelle associazioni internazionali di fedeli, private e pubbliche…” abbiamo già rilanciato due interventi (qui e qui), riportiamo ora la posizione di mons. Nicola Bux, già consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e della Congregazione delle cause dei santi sotto i papati di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, consultore della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, e consultore dell’Ufficio delle celebrazioni liturgiche del sommo pontefice. Mons. Bux è stato anche docente a Gerusalemme, Roma e Bari.
Papa Leone I, il Grande, quello che fermò Attila, nel festeggiare il giorno della sua elezione (Discorso 4,1-2; PL 54, 148-149), descrive la Chiesa nei suoi gradi gerarchici distinti, in modo che l’intero sacro corpo sia formato da membra diverse. Oggi, si afferma spesso che la Chiesa è popolo di Dio, ma si dimentica che non è una massa informe, ma è ‘gerarchicamente ordinato’ con a capo Gesù Cristo nel quale siamo uno: questo rende la Chiesa comunione indissolubile sulla base di una comune dignità (cfr 1 Pt 2,5 e 9). Non c’è solo il servizio specifico del ministero petrino – osserva san Leone – perché tutti i cristiani sono rivestiti di un carisma spirituale e soprannaturale che li rende partecipi del popolo regale, sacerdotale e profetico che è la Chiesa. Pertanto, ciascuno deve sentire come onore personale l’elezione di un membro della gerarchia ad un determinato ministero, perché l’unzione che riceve, rifluisce in varia misura dai gradi più alti a quelli più bassi. Questa è la comunione, dice papa Leone, pertanto – applicandola a sé – invita a non fermarsi a considerare la “nostra povera persona” – i papi usavano il ‘noi’ proprio per proteggere il munus petrino dalla personalizzazione – ma “soprattutto colui che si trovò vicino alla sorgente stessa dei carismi e da essa ne fu riempito e come sommerso”: si riferisce a san Pietro, e conclude: “Ecco perché molte prerogative erano esclusive della sua persona e, d’altro canto, niente è stato trasmesso ai successori che non si trovasse già in lui”. Chi riveste il ruolo di papa, deve far quasi scomparire la sua persona, altrimenti si alimenta la papolatria.
In breve, è descritta la teologia dei carismi e dei ministeri, nel quadro della comunione ecclesiale, fatta a immagine del corpo di Cristo. Ora, se la sacra potestà del papa e dei vescovi, non è assoluta, né ereditaria, tantomeno il carisma dei fondatori dei movimenti monastici, religiosi ed ecclesiali e dei loro successori. E’ esclusa ogni prerogativa di comando, perché Gesù non vuole che i suoi assomiglino ai capi delle nazioni (Mc 10,42-43). Chi, poi, si trovasse ad avere un compito ministeriale o un carisma sappia che esso finisce con la sua morte; resta l’attrattiva più o meno grande che ha esercitato, non a se stesso ma alla sequela di Cristo nella Chiesa: le sue virtù, specie se riconosciute dalla Chiesa come eroiche, diventano ‘esempio, merito e intercessione’, e servono unicamente per arrivare prima a Gesù Cristo. In questo senso, il carisma vive nel popolo e l’autorità è al servizio della conservazione del carisma. I capi non si possono canonizzare da vivi, pena lo scadere nel culto della personalità. Se v’è stata fama di santità sarà accertato, altrimenti trasformerà quel popolo, o movimento, o ordine religioso in strumento ideologico.
I carismi dei movimenti poi, sono finalizzati all’evangelizzazione, come ha insegnato Giovanni Paolo II, e questo li differenzia dai movimenti popolari socio-politici, che badano ad un messianismo terreno. I pastori hanno l’onere del discernimento, che è l’unione del retto pensiero e della virtuosa intenzione: è pure un carisma legato al ministero (se un sacerdote non ce l’ha, non deve essere ordinato vescovo).
Se gli ordini religiosi e i movimenti laicali entrano in crisi e si spaccano, dipende in buona parte dal mancato esercizio del discernimento dei pastori sulla dottrina e sulla disciplina, come dimostra il caso di Bose. Se i carismi, come dice Leone, attingono alla fonte che è Gesù Cristo, come può essere ritenuto tale quello di chi come Bianchi, ha dubitato o negato che sia il Figlio di Dio (qui e qui)? Né ci si può scusare ricorrendo al temperamento, che, come diceva don Luigi Giussani, è solo umile strumento del carisma; dove umile significa che si tiene basso, esortava Giovanni Paolo I. Ma se non si crede in Gesù Cristo Figlio di Dio, è difficile sentirsi basso, perché questi spogliò se stesso (Fil 2,7). Dio sceglie ciò che nel mondo è debole per confondere i forti. L’unico requisito del carisma, ancor più se associato a un ministero, è di rendere testimonianza integrale a Cristo in ogni ambito dell’esistenza umana, affermando ogni giorno, come Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente.
https://www.sabinopaciolla.com/mons-bux-i-carismi-i-movimenti-e-la-chiesa/
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.