La legge della discordia
Dopo anni passati a fiancheggiare lo "spirito del mondo" ora la gerarchia vaticana prende di petto la legge Zan denunciando una palese violazione del Concordato. Una sortita improvvisa e in controtendenza con il pontificato di Bergoglio, fino ad oggi punto di riferimento assoluto per le sinistra fucsia e arcobaleno. Come si spiega questa improvvisa inversione di tendenza? Nel parliamo a "Dietro il Sipario" in compagnia di Alessandro Meluzzi, Francesco Carraro, Fulvio Grimaldi e Aldo Maria Valli
Il risveglio della Chiesa
Eppur si muove. La Chiesa tuona contro le storture del ddl Zan che vincola la libertà di pensiero. Di tutti, non solo dei cattolici. Lo fa a sorpresa, senza troppe liturgie, con un atto inusuale che i detrattori del Papa ammantano di fragilità per svilirne la potenza, ovattarne il fragore. E invece è un sussulto d'orgoglio che fa tremare chi pensava di poter addomesticare un pensiero che sopravvive immutato da migliaia di anni. E che risveglia un senso di appartenenza un po' sfiorito sotto i colpi della secolarizzazione, ammonendo tutti che la liquidazione dei cattolici è ancora di là da venire. È come negli anni Settanta, osserva qualcuno, quando la Chiesa ha scommesso contro l'aborto e il divorzio. Ha perso una battaglia, certo. Ma non la sua identità. Con questa nuova scommessa il Vaticano rivendica il suo bottino, la supremazia dei suoi valori non negoziabili, striglia una classe politica imbelle, le ricorda che non si possono mescolare diritti e desideri e superare indenni la traversata del Tevere.
Certo, passata la paura per la scossa che ha terremotato il Parlamento, l'armata Brancaleone del ddl Zan ha schierato i suoi cavalli e i suoi alfieri a difesa della laicità dello Stato. Ex sacerdoti sposati con uomini, cantanti convintamente mai battezzati, laici di professione, tutti insieme appassionatamente a sperticarsi di esegesi biblica, a interpretare la parola di Dio al Vaticano e alla Cei, ad ammonire i cattolici, a vagheggiare di una Chiesa profondamente divisa. Come se uno juventino volesse spiegare il tremendismo granata al Grande Torino, e fa già ridere così. Anziché entrare nel merito del ddl Zan e della sua deriva ideologica si ritira fuori il solito distillato anticlericale, «pénsino ai preti pedofili», «e allora l'Imu», «aboliamo il Concordato». Chi lodava il Bergoglio pro immigrazione ora ne reclama l'interferenza, smascherando la sua sulfurea ipocrisia. Puoi parlare finché reciti a memoria il pensiero unico. Ma non praevalebunt, non prevarranno. Non questa volta.
La ferita al Paese aperta negli anni Settanta brucia ancora. Per spezzare «in nome del popolo sovrano» un legame deciso a tavolino, senza sentimenti e pieno di violenza, abbiamo svuotato i legami familiari, abusandone fino a codificarli in mediocri contratti. Per togliere al padre padrone qualsiasi diritto sul corpo della donna abbiamo spento la luce a milioni di creature la cui unica colpa è non avere parola, figurarsi diritto di voto. Oggi la risposta è una famiglia frammentata, l'utero che si voleva proteggere si svende al mercato della genetica. Il nuovo, comodo alibi si chiama «omotransfobia», lo spauracchio è la violenza contro gli omosessuali. Fenomeno spregevole, già ampiamente normato e lontano dall'essere un'emergenza, a meno di una difficile alchimia statistica. Lo dice un costituzionalista «laico» come Michele Ainis: «Il ddl Zan è superfluo perché le fattispecie che enumera sono tutte già nel nostro codice penale».
Imporre una giornata sulle teorie gender alle scuole elementari, cattoliche o meno, è un abominio. Si vuole manipolare la chimica, la biologia e financo l'italiano per rivendicare una presunta molteplicità di identità di genere, rendere eguali nelle officine dell'ipocrisia le diversità, imbrigliare l'intimità e renderla mutevole in base a una «percezione», indipendentemente da un «percorso di transizione sessuale». Una fictio juris, che inventa una realtà che non esiste. Come sempre la Chiesa, che mette al centro la persona, non i suoi desideri, rivendica una verità cristallina. Eppure, in questi tempi è un atto rivoluzionario, il peso di una croce che solo la Chiesa può sollevare senza il timore di soccombere.
Felice Manti
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/risveglio-chiesa-1956885.html
La Santa Sede contro il «testo unico Zan»
La «nota verbale» è un gesto cattolico che difende le libertà di tutti. Un gesto squisitamente politico, grave, laico
Se ne ha notizia oggi, data dal Corriere della Sera, il quale riferisce di un documento «redatto in modo “sobrio” e “in punta di diritto”». Be’, avrebbe potuto essere altrimenti? Come rispondere, infatti, a una proposta di legge se non in termini di diritto? Come replicare, infatti, a una proposta massimalista e censoria se non con la serenità del buon senso e la pace che deriva dalla verità delle cose?
Il “CorSera” riferisce il passaggio nodale del documento vaticano: «Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato».
A nessuno può, deve sfuggire l’importanza della notazione. La Santa Sede chiama direttamente in causa il patto stretto con l’Italia, quel patto che sancisce e che rispetta le prerogative della Santa Sede, dunque che contribuisce a regolare la presenza della Chiesa Cattolica in Italia. Quel patto che, se violato, attenterebbe alla libertà della Chiesa Cattolica che è in Italia, ponendo l’Italia nella posizione di chi frodasse, di chi non mantenesse la parola data, di chi prevaricasse.
Se dunque l’Italia approvasse il «t.u. Zan» trasgredirebbe quel patto fondamentale e violerebbe la libertà della Chiesa Cattolica che è in Italia: violerebbe la libertà religiosa di cui la Chiesa Cattolica che è in Italia deve invece godere per effetto del patto che l’Italia ha sottoscritto.
Il “CorSera” definisce l’intervento vaticano «un atto senza precedenti nella storia del rapporto tra i due Stati» (aggiungendo «o almeno, senza precedenti pubblici») e lo etichetta come «destinato a sollevare polemiche e interrogativi». Perché? Perché, dice, «mai […] la Chiesa era intervenuta nell’iter di approvazione di una legge italiana, esercitando le facoltà previste dai Patti Lateranensi (e dalle loro successive modificazioni, come in questo caso)».
«Polemiche», «interrogativi»: non sono i termini giusti. Meglio dire che l’intervento vaticano avrà conseguenze. Senza processi alle intenzioni, è infatti evidente che parlare già di «polemiche» e di «interrogativi» significa imbeccare e innescare lo scontro. Quali «interrogativi», infatti, se non mettere in dubbio la legittimità dell’atto vaticano? Quali «polemiche», infatti, se non contestare il gesto come ingerenza indebita?
Ma, proprio come ricorda il “CorSera”, né di illegittimità né di ingerenza indebita si tratta. La Santa Sede ha infatti il diritto di compiere il gesto formale che ha compiuto perché quel diritto lo conferisce alla Santa Sede il patto da essa siglato con l’Italia: è cioè l’Italia a riconoscere formalmente quel diritto alla Santa Sede. E nientemeno che nella propria stessa Costituzione.
Ciò di cui si parla sono infatti i cosiddetti «Patti Lateranensi», gli accordi sottoscritti tra l’allora Regno d’Italia e la Santa Sede l’11 febbraio 1929, i quali, pur sottoposti a revisione nel 1984, regolano i rapporti fra la Repubblica Italiana e la Santa Sede. Quegli accordi sono stati inseriti nella Costituzione italiana del 1948 all’articolo 7. Insomma, non si possono bypassare se non modificando la Costituzione italiana.
I patti fra Santa Sede e Italia, nella revisione del 1984, assicurano alla Chiesa «libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale» e garantiscono «ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Ma proprio queste, com’è stato oramai ampiamente documentato, sono le libertà che una eventuale legge Zan limiterebbe pesantemente.
La Chiesa Cattolica è dunque nel proprio pieno diritto di azione se chiede all’Italia di non procedere oltre lungo una strada che violerebbe gravemente i patti vigenti, conculcando le libertà.
Inoltre, nell’esercitare quel proprio diritto pieno, la Santa Sede conforta culturalmente anche l’azione di quegli italiani, tanti, tantissimi, che chiedono ora al Senato italiano di non procedere oltre lungo una strada che violerebbe gravemente i patti vigenti fra l’Italia e i propri cittadini, cittadini cui attengono i diritti alla libertà religiosa, alla libertà di pensiero, alla libertà di espressione e alla libertà di organizzazione sanciti dalla Costituzione dello Stato italiano.
L’azione, legittima e giustificata, della Santa Sede, mira ovviamente a garantire la Chiesa Cattolica che è in Italia nelle libertà che la Costituzione italiana assicura a essa, ma contribuisce anche a garantire tutti i cittadini italiani nelle libertà che la Costituzione italiana assicura loro, siano quei cittadini italiani cattolici, non cattolici, credenti in altra religione o atei.
La «nota verbale» della Santa Sede è insomma un gesto cattolico che difende le libertà di tutti. È un gesto squisitamente politico, squisitamente grave, squisitamente laico e la giornata di oggi è letteralmente storica: universale, laica, di buon senso, libera.
Quella parte dell’Italia, invece, che mira a conculcare le libertà dei cittadini tutti sancite dalla nostra Costituzione, offre un esempio pessimo di bigottismo confessionale al servizio d’interessi ideologici di parte. E forse anche un padre Giacomo Costa potrebbe pensare a un nuovo editoriale.
https://ifamnews.com/it/la-santa-sede-contro-il-testo-unico-zan-
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