ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 15 giugno 2021

la crisi dei carismi

La personalità come risorsa e come problema della chiesa. (Papa Francesco e i movimenti, 2)


Proseguo la riflessione sul recente decreto vaticano che regola il governo delle associazioni laicali riconosciute dalla Santa Sede cercando di allargare la prospettiva. Vi è stato chi, in questi giorni, ha fatto notare come quell’intervento si collochi in una linea di riduzione degli spazi di libertà all’interno della chiesa, se non addirittura in un «processo di costrizione e omologazione» delle esperienze ecclesiali che caratterizzerebbe l’attuale pontificato e che si sarebbe già espressa, ad esempio, nelle norme relative alle comunità religiose di vita contemplativa femminili emanate qualche anno fa. 

Si veda, in proposito, l’interessante opinione di Stefano Fontana sulla Nuova Bussola Quotidiana, qui: https://lanuovabq.it/it/movimenti-al-guinzaglio-mai-stata-meno-liberta-nella-chiesa. È un punto di vista sicuramente meritevole di attenzione, però nel caso specifico non si può tacere che a monte del provvedimento del Dicastero per il Laici vi sia anche la presa d’atto di un problema reale, costituito dal rilevante numero di casi di «appropriazione del carisma, personalismi, accentramento delle funzioni nonché espressioni di autoreferenzialità, che facilmente cagionano gravi violazioni della dignità e della libertà personali e, finanche, veri e propri abusi», come recita la Nota esplicativa che accompagna il decreto. Ci si può domandare se il rimedio proposto sia adeguato al difetto che intende curare, ma è difficile negare che il problema esista.

A tale proposito, mi permetto di rinviare il paziente lettore a ciò che scrivevo giusto un anno fa qui: https://leonardolugaresi.wordpress.com/2020/05/31/fondatori-affondati/ evitando di ripetere cose che mi sembrano non smentite ma confermate dai recenti sviluppi della situazione. Come dicevo allora, dobbiamo guardarci bene dal fare di ogni erba un fascio, perché ogni caso andrebbe considerato singolarmente e soprattutto dovrebbe essere studiato approfonditamente prima di esprimere delle valutazioni di merito, data l’estrema delicatezza della materia; tuttavia il numero degli “scandali” che si sono accumulati negli ultimi anni è così elevanto che, a mio parere, non si può più parlarne come se fossero “casi isolati”, sia pur ripetuti. Siamo invece in presenza di un fenomeno complessivo, inquietante e per certi versi misterioso, che potremmo chiamare di crisi dei carismi. Quaranta anni fa la chiesa, e in primis il papa, guardava con entusiasmo alla fioritura dei “movimenti” (NB: uso qui la parola in senso generale, per indicare in modo improprio l’insieme delle “nuove fondazioni”, a prescindere dalla loro forma istituzionale e dalla loro autodefinizione). Si vedeva in essi il segno di una nuova primavera della chiesa, nella prospettiva missionaria di una “nuova evangelizzazione” del mondo non più cristiano e di un rinnovato impulso al primo annuncio ai popoli che ancora lo attendevano; si confrontava il loro giovanile vigore con la decadenza senile di altre forme storiche di vita religiosa e si diceva che tutta la chiesa doveva, in un certo senso, diventare sul loro esempio un movimento … Oggi il clima è radicalmente mutato, anche (ma non solo) perché papa Francesco, a differenza di Giovanni Paolo II, sembra avere pochissima simpatia per i movimenti ecclesiali (mentre ne ha moltissima per i “movimenti popolari”). Di mezzo c’è stata una serie di avvenimenti che non può non incidere nella percezione che oggi abbiamo del fenomeno – che, intendiamoci, rimane grandioso nel suo complesso – delle “nuove fondazioni”.

Questi fatti, ecco il punto che voglio ora cercare di mettere a fuoco, hanno tutti a che vedere, per un verso o per l’altro, con la personalità carismatica dei fondatori, ed è per questo che a mio avviso sarebbe importante allargare la prospettiva della riflessione a quello che potremmo chiamare il problema della personalità ecclesiale. Si tratta, come ho detto, di vicende che non possono essere messe sullo stesso piano; però, volendo tentare una sia pur sommaria tipizzazione, si potrebbe dire che in alcuni casi c’è stato lo scandalo derivante dalla scoperta dell’indegnità del fondatore, il che comporta comprensibilmente la messa in questione della verità del suo carisma. L’esempio più eclatante e terribile è ovviamente quello del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, sulla cui tenebrosa vicenda preferisco non dire nulla, tanto mi sembra intrisa di perversione diabolica. Mi limito a ricordare che quell’uomo, venerato da migliaia di suoi seguaci («nuestro padre», lo chiamavano) e portato in palmo di mano dalle gerarchie ecclesiastiche, è risultato essere un pervertito e un satanico mentitore. La domanda su come sia stato possibile che gli indizi di tale perversione, già conoscibili a quanto pare sin dagli anni cinquanta, siano stati ignorati dalle autorità della chiesa fino a che Benedetto XVI, a prezzo di sforzi che solo lui e il buon Dio conoscono, è riuscito a mettere una pezza su quello sconcio (senza però poter nemmeno lui mandare a processo canonico Maciel, come sarebbe stato assolutamente necessario!), resta come una ferita aperta e sanguinante. Si potrebbero fare altri nomi, sulla stessa linea, ma basti qui accennare alle pesanti ombre che si addensano ora anche su padre Josef Kentenich, fondatore del Movimento di Schönstatt, di cui è aperta la causa di beatificazione ma che è stato recentemente accusato di abusi sessuali e di potere ai danni di alcune religiose del suo movimento. Per documentarsi su tali accuse si veda qui: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2021/03/23/il-fondatore-di-schonstatt-e-stato-smascherato-ma-i-suoi-si-ostinano-a-volerlo-santo/.

Su un altro piano, certo meno tenebroso ma pur sempre inquietante, sta un secondo tipo di situazioni che si sono venute a creare: quella di fondatori che, pur senza essere accusati di abusi sessuali o finanziari o di altri gravi delitti, ad un certo momento “danno scandalo” (cioè, in senso etimologico, sono di ostacolo) alle loro comunità perché diventano “insopportabili” a motivo della loro stessa personalità. Un caso esemplare, in questo senso, sembrerebbe essere quello di Enzo Bianchi, fondatore della comunità di Bose, il quale, a quanto pare, su istanza del suo successore e della maggioranza dei membri della comunità da lui fondata, è stato severamente punito dal papa che lo ha praticamente “cacciato da casa sua” perché la sua presenza era ormai considerata nociva alla vita della comunità. Dalle scarne notizie che sono filtrate è difficile capire che cosa abbia fatto di così grave e, se posso dire la mia, sarà per una forma mentis che mi porta istintivamente a simpatizzare con gli sconfitti, a me l’impressione che nei suoi confronti sia stata fatta un’ingiustizia resta. Però il punto è un altro: di chiunque sia la maggiore responsabilità, lo “scandalo” qui consiste nel fatto, paradossale, che la personalità del fondatore da elemento generativo del movimento si trasforma in fattore divisivo e ostativo alla continuazione della sua vita. Non siamo di fronte ad un padre snaturato, come sopra, ma ad un padre ingombrante, che è meglio che se ne vada via di casa.

Una terza situazione, del tutto diversa ma pur sempre problematica, è quella in cui anche quando la personalità del fondatore continua invece a stagliarsi nitida e pura nella luce di una santità che il tempo, lungi dall’offuscare, rende anzi sempre più splendida e avvincente (come è ad esempio il caso del Servo di Dio Luigi Giussani, e siano rese grazie a Dio per questo!), le difficoltà nascono in rapporto alla definizione del ruolo, dei compiti e della natura dei suoi successori. In questo caso, quando il padre se ne va, è la casa che non sembra più quella. Ed è di nuovo un problema che ha a che fare con la personalità.

Ma di che cosa stiamo parlando, in definitiva? Che cos’è questo problema della personalità nella chiesa a cui sto ripetutamente alludendo? Provo a metterlo a fuoco per come ne sono capace, alla buona e in termini molto elementari, grato sin d’ora a chi volesse aiutarmi a capire meglio, e magari a integrare e correggere il mio approccio forse troppo ingenuo.

Penso che si possa dire che nel cristianesimo si dà, essenzialmente, una tensione polare tra due principi, o due dimensioni, che sempre coesistono: quello dell’universalità e quello della personalità (che si connette geneticamente al mistero dell’elezione). Dio infatti ama tutti gli uomini, senza eccezione, e dunque a tutti si rivela non lasciando alcuno nell’impossibilità di avere una qualche conoscenza di Lui. Tuttavia, se per una parte la Sua autorivelazione è universale, in forma cosmica (cfr. Romani 1, 19-20), essa per lo più si compie in forma storica e particolare, attraverso il mistero dell’elezione. Dio, che avrebbe potuto rivelarsi universalmente a tutti gli uomini in eguale misura, facendo udire a tutti la sua voce e mostrando a tutti gli stessi segni della propria azione nel mondo, ha invece imperscrutabilmente voluto rivelarsi scegliendo. (Il che significa, in modo urticante per noi adepti della moderna ideologia delle pari opportunità, “discriminando” alcuni eletti da tutti gli altri). C’è una krisis divina, che sceglie Abramo, a preferenza di tutti gli altri uomini; e poi la sua discendenza, a preferenza di tutte le altre genti; e anche dentro il suo popolo, continuamente elegge persone (come i profeti) per ravvivare, correggere, incrementare la fede del popolo eletto nella Sua rivelazione. Dio procede sempre così, fino alla scelta suprema di Maria come madre del suo Figlio incarnato, il quale a sua volta sceglie pochi uomini, dodici, e solo a loro “spiega ogni cosa” (cfr. Mc 4, 34), per mandarli infine ad essere suoi testimoni «fino ai confini della terra» (Atti 1, 8).

Ora, scegliere persone, per farne il “veicolo” della propria rappresentazione nel mondo a beneficio di tutti gli altri, significa necessariamente anche scegliere delle personalità. E la personalità, per definizione, è sempre particolare. Essa non attinge mai alla totalità, in quanto può esprimere e corrispondere solo ad alcuni aspetti dell’intera realtà umana, e non ad altri. Di conseguenza, ogni personalità è facilitata ad incontrare, comprendere e valorizzare certi aspetti dell’umano, mentre risulta meno idonea, o addirittura inabile ad entrare in rapporto con altri. Sta qui la faglia, se così posso dire, in cui si scarica la tensione polare di cui sopra. Come questa tensione si risolva nella persona di Gesù Cristo, che è vero uomo (cioè una persona particolare) e vero Dio (cioè la totalità dell’essere), è il più vertiginoso dei misteri. Giustamente Romano Guardini, che ha scritto un prezioso libro sul La realtà umana del Signore. Saggio sulla psicologia di Gesù, avverte che «la categoria della “personalità” non gli si addice» perché «l’esistenza di Gesù non ha una sua “figura” che possa essere indicata e circoscritta umanamente. […] La realtà di Gesù […] non si restringe a nessuna forma particolare di questa esistenza, ma è in grado di appellarsi a tutte, di penetrare in tutte e di trasformarle tutte». Ma ciò che vale per Gesù, non vale più per nessuno dei suoi discepoli: ciascuno dei suoi, per quanto seriamente si sforzi di “imitare Cristo” e di farlo vivere in se stesso, ha e mantiene una sua personalità, quindi anche una propria struttura etica e psicologica che sarà, inevitabilmente, attrattiva e facilitante all’incontro per alcuni e, al contrario, per altri repulsiva e ostacolante (fino al limite della tentazione di scandalo in casi estremi).

La storia della chiesa assume pienamente questo dato di realtà e lo valorizza nella concezione dei carismi come doni particolari dello Spirito che si incarnano appunto in personalità carismatiche. Don Giussani, a questo proposito, ha svolto considerazioni illuminanti analizzando con molta finezza il rapporto tra carisma temperamento. «Il cristiano» – egli osserva in Perché la Chiesa. Volume terzo del PerCorso – «diventa e rimane tale, cioè strumento del divino, mantenendo il proprio temperamento particolare. […] la comunicazione di Dio è incarnata nel temperamento dell’uomo. Esso costituisce una “condizione” che Dio accetta e trasforma in “strumento” del suo disegno. […] L’unità della Chiesa, la sua forza propulsiva verso tutti gli uomini, la sua interna necessità di essere il più efficace possibile nel portare un messaggio unico e irripetibile all’umanità sono servite da temperamenti diversi, addirittura da progetti fenomenicamente opposti […] Tutto questo non può essere né obiezione né motivo di adesione al messaggio: non ci si può attardare né sul fascino delle grandi personalità, né sui loro limiti. Si aderisce o si rifiuta qualcosa per il suo contenuto, per la sua verità […]». Il punto è molto delicato, perché come Giussani chiarisce altrove, il temperamento «è parte di un carisma» perché un carisma «è definito anche dalla capacità di persuasività con cui il modo di percepire e di presentare il fatto cristiano è dato», ma occorre una «responsabilità verso il proprio temperamento» per evitare che esso prevalga sul dono dello Spirito di cui deve rimanere umile strumento.

Se quella della personalità carismatica è, come sopra si è suggerito, la faglia in cui si scarica la tensione tra i due poli della totalità della rivelazione divina e della particolarità della persona eletta a trasmetterne l’annuncio, non stupisce che vi siano in essa movimenti sismici anche violenti e rovinosi. Forse – ma è solo un’ipotesi che azzardo – la terribile prova che stiamo attraversando con la crisi dei carismi di cui sopra è un salutare scossone che serve alla chiesa per purificare e rettificare la propria consapevolezza di quel dono. Questo mi parrebbe un buon punto da cui meditare su tutta la dolorosa vicenda.

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