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martedì 29 giugno 2021

Mysterium non fidei

“Viva Francesco!”. I seri rischi di una personalizzazione del papato


Non è un mistero che papa Francesco abbia pochissima simpatia per quei movimenti ecclesiali – dai focolarini ai neocatecumenali, dai legionari ai carismatici – che invece erano tanto amati da Giovanni Paolo II. Ne è prova il decreto dello scorso 3 giugno che ha imposto stringenti limiti temporali alle loro cariche di governo, in alcuni casi di fatto decapitandoli.

Il silenzio con cui i movimenti hanno reagito al decreto è un indizio di quanto lo abbiano mal digerito. Va però detto che in questi ultimi anni vi sono stati in essi fin troppi casi di “appropriazione del carisma, personalismi, accentramento delle funzioni nonché espressioni di autoreferenzialità, che facilmente cagionano gravi violazioni della dignità e della libertà personali e, finanche, veri e propri abusi”, come recita la nota esplicativa che ha accompagnato il decreto.

Il numero degli “scandali” che hanno segnato alcuni movimenti ad opera dei loro stessi fondatori è ormai talmente elevato da far dire a un acuto osservatore della vita della Chiesa come Leonardo Lugaresi, studioso dei primi secoli cristiani, che “siamo in presenza di un fenomeno complessivo, inquietante e per certi versi misterioso, che potremmo chiamare di crisi dei carismi”.

In un suo recente articolato commento, Lugaresi ha analizzato la natura profonda di questa crisi. e l’ha individuata in quella tensione polare che è tipica del cristianesimo, tra l’universalità dell’amore di Dio per gli uomini e il “mistero dell’elezione” da parte di Dio di una singola persona, o di un singolo popolo, tramite cui il suo amore salvifico arrivi a tutti.

Nella persona di Gesù vero Dio e vero uomo questa tensione polare si risolve nel “più vertiginoso dei misteri”. Ma ciò che vale per Gesù, e per lui solo, “non vale più per nessuno dei suoi discepoli”. Ciascuno ha una sua “personalità” che non sempre sa farsi trasparente al “carisma” donato dallo Spirito. E “forse la prova che la Chiesa sta attraversando, con la crisi dei carismi, è un salutare scossone che serve per purificare e rettificare la nostra consapevolezza di quel dono”.

Ma attenzione. Lugaresi avverte che “nella presente situazione ecclesiale, il problema della personalità sembra investire direttamente anche l’istituzione Chiesa, cioè precisamente quel polo che dovrebbe stare, per sua natura, in benefica tensione con i carismi personali”.

E questo vale anche per il papa, perché “nella Chiesa è in atto da tempo un processo che potremmo chiamare di personalizzazione del papato”, un fenomeno da molti “considerato provvidenziale”, ma di cui “ora si scorgono meglio anche gli aspetti negativi”.

Lugaresi lo scrive e lo spiega, nella parte finale del suo saggio che è riprodotta poco più sotto.

Ma è l’intero suo commento che è tutto da leggere, in quest’altra pagina di Settimo Cielo:

> Il problema della personalità nella Chiesa. Il papa e i movimenti

Di Lugaresi è imperdibile anche l’ultimo libro, pubblicato nel 2020 ma già anticipato in un suo saggio del 2018 rilanciato su Settimo Cielo, sul cristianesimo dei primi secoli portato ad esempio per i cristiani di oggi, minoranza in un Occidente secolarizzato:

> “Vivere da cristiani in un mondo non cristiano”

*

QUANDO TUTTI CREDONO DI CONOSCERE IL PAPA

di Leonardo Lugaresi

Nella Chiesa è in atto da tempo un processo che potremmo chiamare di personalizzazione del papato. Con questa espressione intendo il prevalere, nella percezione dei fedeli ma anche nello stile di esercizio dell’autorità papale, di elementi che attengono alla personalità di colui che ne è il titolare “pro tempore”, rispetto al suo peso istituzionale che invece prescinde dalla persona che di volta in volta lo porta sulle spalle.

Detto nei termini più semplici, ciò significa che ormai, per quasi tutti noi, Francesco, o Benedetto, o Giovanni Paolo o chi si voglia, contano assai più che non la funzione del papa in quanto tale. Sarebbe molto interessante studiare storicamente le fasi di tale processo, che va tenuto ben distinto dall’analisi, storiograficamente già ben approfondita, dello sviluppo istituzionale del papato. […]

Azzardo l’ipotesi che una prima tappa in tale evoluzione personalistica del papa “percepito”, che sempre di più mette in ombra quello reale, si sia compiuta intorno alla figura di Pio IX. Non per nulla, già san Giovanni Bosco (che aveva la vista lunga!) ammoniva i suoi ragazzi a non gridare mai “Viva Pio IX!” ma piuttosto “Viva il papa!”.

È probabile che uno snodo determinante, nell’evoluzione personalistica del papato, sia stato poi rappresentato dal pontificato di Pio XII, il “Pastor angelicus” a cui, non per nulla, fu dedicato nel 1942 un celebre film documentario la cui visione, sotto il profilo che qui ci interessa, è molto istruttiva. L’accentramento della Chiesa nella figura del papa fu un tratto caratterizzante di quel pontificato e vale solo fino ad un certo punto l’obiezione che in quel caso era la persona di Eugenio Pacelli ad annullarsi nel ruolo istituzionale e non viceversa, perché comunque, anche in quella forma che apparentemente la negava, trascendendola e sacralizzandola, era pur sempre la personalità a venire in primo piano.

Anche la percezione del pontificato di Giovanni XXIII, nell’universale sentimento popolare, fu determinata essenzialmente dalla personalità del “papa buono” (come si disse, con formula inaudita sulla cui fortuna ci sarebbe molto da riflettere), che da allora ha fatto ampiamente aggio su ogni altro aspetto del suo governo.

Nel pontificato di Giovanni Paolo II, poi, il processo di personalizzazione – questa volta fondato senza infingimenti e senza complessi sulla gigantesca personalità umana di Karol Wojtyla, per tanti di noi così irresistibilmente affascinante – ha compiuto passi da gigante, con effetti probabilmente irreversibili o molto difficilmente reversibili.

In tutto ciò, naturalmente, ha giocato un ruolo determinante quel più generale fenomeno di mediatizzazione dell’esperienza che ci coinvolge tutti in uguale misura, dentro e fuori la Chiesa, ma che non so se sia stato ancora adeguatamente studiato e compreso proprio nella sua influenza sulle vicende ecclesiali del XX e del XXI secolo.

La fisiologica tensione tra la dimensione istituzionale dell’autorità e la personalità del soggetto che “pro tempore” la esercita, che è sempre esistita, nell’odierna società dello spettacolo viene esasperata (e in parte anche deformata) dal sistema di comunicazione dei media, che esalta, amplifica e deforma la personalità del leader e lo rende illusoriamente vicino e familiare al popolo, proiettandone la sagoma sullo schermo della rappresentazione pubblica in modo tale da coprire la sua funzione istituzionale. Tutti credono di conoscerlo, e anzi di essergli in qualche modo familiari, perché lo hanno visto infinite volte sugli schermi ma ancor più perché lo hanno sentito parlare ed agire secondo uno stile comunicativo fatto apposta per dare – a distanza! – l’impressione che egli si stia rivolgendo a ciascuno di noi, come in una relazione di stretta prossimità.

Un tempo, chi mai poteva dire di “conoscere il papa”, a parte gli abitanti di Roma? Per tutti gli altri, nell’ecumene cattolica, il papa regnante era poco più che un nome. I suoi atti di governo e di magistero passavano quasi esclusivamente attraverso le istituzioni periferiche della Chiesa, per via strettamente gerarchica: dal papa ai vescovi, dai vescovi ai parroci, e da questi ai fedeli.

Oggi, all’opposto, sono sempre di più i cristiani che magari non sanno neanche chi sia il loro parroco, ma conoscono benissimo (cioè credono di conoscere) il papa. Prende così sempre più piede l’idea del papa come “parroco del mondo”: si pensi, in questo senso, alla funzione svolta dalle messe quotidiane di Francesco a Santa Marta durante i lunghi mesi della sospensione pandemica della liturgia.

Perché dunque avanzo la tesi che qui vi sia, oltre che un'innegabile opportunità pastorale, anche un problema per la Chiesa? Perché, come si è detto, la personalità – ogni personalità! –, nella sua funzione di strumento per la trasmissione dell’annuncio cristiano (cioè di vaso di creta che racchiude un tesoro, secondo l’imprescindibile metafora di san Paolo) non può che risultare di aiuto per alcuni e di ostacolo (o quantomeno non di aiuto) per altri.

Ora, se si fa riferimento alle personalità carismatiche che guidano i vari movimenti ecclesiali, questo dato viene compensato dalla libertà fondamentale che, nei loro confronti, ogni battezzato ha di aderire o non aderire al tipo di appello che ciascuna di esse lancia; e le “molte dimore” dei  diversi carismi che continuamente lo Spirito suscita nella Chiesa permettono a chiunque lo voglia di trovare quella più confacente alla propria personalità.

Con l’istituzione Chiesa, invece, la faccenda è più complicata, perché da un lato le sue strutture gerarchiche riguardano e governano tutti, e nessuno può impunemente chiamarsene fuori, mentre dall’altro lato anch’essa non può fare a meno di incarnarsi in persone, ciascuna con la propria personalità.

Se il rapporto tra “personalità istituzionale” e istituzione non è condotto con il massimo dell’autenticità cristiana e del rigore metodologico, è inevitabile che nascano dei problemi, anche gravi.

Finché si resta ai livelli bassi e intermedi, l’inconveniente costituito da una personalità che metta in ombra in modo non positivo per la fede altrui la propria funzione istituzionale può essere risolto in maniera relativamente facile, in forza della libertà riconosciuta ai fedeli. Se, per esempio, la debordante personalità del mio parroco non mi è di aiuto ma di ostacolo nel cammino di fede, nulla mi impedisce di andare in un’altra parrocchia.

Ma col papa, ovviamente, tutto questo non funziona, perché di papa ce n’è uno solo (anche adesso, checché ne dicano alcuni male informati!) e vale per tutti. Che egli abbia, come tutti, una personalità è naturale. Che però, nel concreto esercizio della funzione petrina, in questi ultimi centocinquanta anni, per una serie di ragioni che qui non è possibile approfondire, il peso della personalità papale sia andato sempre crescendo, fino a diventare predominante, come oggi è, non credo che sia un bene.

L'eccesso di personalità, se posso esprimermi così, nel caso del papa può diventare addirittura divisivo, finendo così, paradossalmente, per contraddire una delle istanze fondamentali del ministero di Pietro, la salvaguardia dell’unità.

Mi fermo qui, perché non pretendo certo di essere in grado di esaurire un problema tanto delicato e complesso. Mi basta averlo posto, avanzando la tesi che occorra proteggere il “munus” petrino dal rischio della personalizzazione, correggendo, per quanto possibile, una tendenza pluridecennale che forse in passato molti di noi hanno considerato provvidenziale, vedendone solo gli aspetti positivi, ma di cui ora si scorgono meglio anche quelli negativi.

di Sandro Magister 

Settimo Cielo

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2021/06/29/%E2%80%9Cviva-francesco%E2%80%9D-i-seri-rischi-di-una-personalizzazione-del-papato/

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