Draghi e il nichilismo religioso: la sua non è laicità
La lezioncina sulla laicità dello Stato che ci ha impartito Draghi è impropria. Il tema in discussione non è religioso, ma è politico, giuridico ed etico, ossia laico. Draghi deve essere stato preso da un abbaglio: siccome a protestare contro l’approvazione del disegno di legge Zan sono soprattutto i cattolici, allora bisogna rivendicare la laicità dello Stato. Ma gli interventi dei cattolici critici del disegno di legge sono svolti nel merito etico-giuridico-politico della legge e non con criteri religiosi o confessionali.
Le poche parole che il presidente del Consiglio Mario Draghi ha detto a commento della Nota della Segreteria di Stato sulle possibili violazioni del Concordato se il ddl Zan venisse approvato, meritano un breve commento critico. Esse infatti segnano la grande lontananza della cultura politica attuale da come dovrebbero andare invece le cose. Le parole di Draghi – come si ricorderà – riguardano la laicità dello Stato italiano, la libertà del Parlamento di legiferare, la distinzione tra quanto compete al parlamento e quanto al governo.
A proposito della laicità va subito fatta un’osservazione. Che bisogno c’era di tirar fuori l’argomento? La Nota della Segreteria di Stato era forse una ingerenza (come ha maldestramente affermato poi il Presidente della Camera Fico)? Evidentemente no, insigni giuristi l’hanno in seguito confermato. Il Concordato è un accordo tra due Stati sovrani, chiederne il rispetto e segnalare eventuali abusi all’orizzonte, fa parte della logica dell’accordo stesso e non è minimamente una forma di ingerenza. Ricordando che l’Italia è uno Stato laico, Draghi ha sottolineato una cosa che non era da sottolineare perché il contesto non minacciava in alcun modo tale laicità.
Il nostro presidente ha poi voluto anche precisare, con l’aiuto di una sentenza della Corte Costituzionale, coma debba intendersi la laicità. Egli ha detto che la laicità dello Stato non significa neutralità verso la religione ma difesa della libertà di religione e quindi del pluralismo religioso. Questa precisazione, oltre che ugualmente inutile come la precedente, perché la Nota vaticana non rappresentava nessuna minaccia al pluralismo religioso, è anche molto problematica e piuttosto carente.
Detta come l’ha detta Draghi, la laicità sarebbe indifferenza dello Stato rispetto alle verità proposte dalle religioni, sarebbe quindi indifferentismo religioso. Lo Stato, come un vigile urbano, garantirebbe solo che i veicoli religiosi transitassero davanti a sé nel rispetto formale delle regole del traffico, senza interessarsi se dentro quei veicoli ci siano persone rapite, armi o denaro sporco. In questo modo lo Stato considera utile per il bene comune la semplice espressione della scelta religiosa, senza valutare politicamente, alla luce appunto del bene comune, i contenuti di quella scelta. Questa non è laicità, è nichilismo religioso ed è la rinuncia della politica a fare fino in fondo il proprio dovere.
Vorrei chiedere a Draghi: signor presidente, lo Stato accetterebbe tutte le religioni? Veramente tutte? Anche una religione che violasse i più elementari diritti dell’uomo e la sua dignità? E se la risposta fosse no, chiederei ancora: signor presidente, davanti a quale contenuto religioso secondo lei lo Stato dovrebbe fermarsi e dire di no alla libertà di religione?
Se il presidente Draghi mi rispondesse indicando questo punto non oltrepassabile – non negoziabile – allora la definizione di laicità da lui fornita nel suo comunicato a commento della Nota vaticana sarebbe sbagliata o quantomeno imprecisa; se non rispondesse, lasciando aperto il problema del limite, la sua posizione sarebbe veramente di nichilismo religioso, dato che “nulla” sarebbe in grado di limitare la libertà religiosa.
Ma la precisazione di Draghi sulla laicità dello Stato italiano e la lezioncina sulla laicità che egli ci ha impartito sono improprie anche e soprattutto per un altro motivo. Il tema in discussione – ossia il disegno di legge Zan – non è un tema religioso, ma è un tema politico, giuridico ed etico, ossia laico. Draghi deve essere stato preso da un abbaglio: siccome a protestare contro l’approvazione del disegno di legge Zan sono soprattutto i cattolici, allora bisogna rivendicare la laicità dello Stato. Ma gli interventi dei cattolici critici del disegno di legge sono svolti nel merito etico-giuridico-politico della legge e non con criteri religiosi o confessionali.
La critica riguarda il diritto naturale, che il ddl Zan non rispetta, riguarda la legge morale naturale cui la politica dovrebbe ispirarsi, riguarda il concetto antropologico di identità sessuata, il concetto di giustizia, di libertà … e così via. Quando i cattolici criticano la legge in questione sono certo aiutati a fare chiarezza nelle loro idee dalle Lettere di San Paolo, ma essi non fondano la loro critica sulle Lettere di san Paolo, ma sul diritto naturale e chiedono che alla realtà non sia sovrapposta l’ideologia. Il piano del contendere non è quindi religioso, mentre il presidente Draghi lo trasforma in un contendere religioso e si sente in dovere di ribadire la laicità dello Stato. Evidentemente Draghi non ha mai letto il Discorso di Benedetto XVI al Parlamento tedesco del 2011.
In questa faccenda dell’intervento di Draghi c’è un fatto singolare da segnalare. Non c’era bisogno che il presidente ribadisse la laicità dello Stato perché nessuno, e tantomeno la Nota della Segreteria, l’aveva messa in discussione. Così facendo, però, Draghi ha evidenziato gravi carenze nella sua visione della laicità, carenze sue e di quanti si sono subito affrettati ad appiattirsi su di lui, come Fico o Letta. La precisazione, nata per un errore occasionale, ha messo in luce un vero e proprio errore sostanziale. La laicità vera non è quella di Draghi.
Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/draghi-e-il-nichilismo-religioso-la-sua-non-e-laicita-1
Ddl Zan e Concordato
Martedì 22 giugno si è appreso che il 17 giugno, per conto e a nome della Santa Sede, Mons. Paul Richad Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati, ha trasmesso al governo italiano, una nota verbale di protesta per segnalare che alcuni contenuti della proposta legislativa contro l’omotransfobia nota, dal nome del suo primo proponente, come disegno di legge Zan , attualmente all’esame del Senato (dopo essere stata approvata dalla Camera), comporta violazioni del Concordato fra Stato e Chiesa, così come revisionato nel 1984. Le violazioni riguarderebbero (ma il condizionale è chiaramente di troppo) in particolare la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato.
Un’iniziativa sicuramente inaspettata. Tanto da un mondo cattolico, provato e intimidito da quella che, in maniera sempre più evidente nel periodo della pandemia da Covid 19 e del conseguente lockdown, è stata da molti sentita come una eccessiva remissività della Chiesa nei confronti dello Stato (iniziale totale chiusura dei luoghi di culto, rinuncia a troppe tradizionali celebrazioni, sostituzione all’ingresso nelle chiese dell’amuchina all’acqua benedetta ecc. ecc.). Quanto da parte di tutto quel mondo, politico e culturale del “pensiero unico”, sedicente “laico”, che ha proposto e sostiene come irrinunciabile il disegno di legge Zan. E’ di quest’ultima reazione, tutta all’insegna dell’ingerenza di un’entità estranea in vicende riservate alla sovranità dello Stato italiano, che intendo qui occuparmi, prendendo a riferimento, come tipiche, le dichiarazioni del presidente della Camera dei deputati Roberto Fico e dello stesso on. Alessandro Zan. Il primo si è affrettato, a mettere in campo l’assoluta libertà del legislatore, presentato, in quanto tale, come legibus solutus. Difatti: “Il Parlamento è sovrano, i parlamentari decidono in modo indipendente quello che voglio votare. Il Ddl Zan è già passato alla Camera e adesso è in Senato, noi come Parlamento non accettiamo ingerenze. Il Parlamento è sovrano e tale rimane sempre”.
La reazione dell’on. Zan – sostanzialmente identica – è stata all’insegna della sorpresa e addirittura dell’ostentata incredulità, perché è la prima volta che il Vaticano pone la questione sul Concordato e lo fa su una legge, non ancora in vigore, approvata solo dalla Camera (difatti – va detto per precisione di linguaggio – non è o non è ancora una legge, ma soltanto un disegno di legge). Nemmeno è mancato, a giustificazione della sorpresa, un accenno alla famosa frase di Papa Francesco; “Chi sono io per giudicare?”. In definitiva, piena concordia e sintonia con il giudizio dell’on. Fico: “Il Parlamento è sovrano, deve essere libero di discutere senza alcuna ingerenza da uno Stato estero”.
Commenti che rivelano tutta la sprovvedutezza di un mondo politico che evidentemente, nonostante due (per altro alquanto timidi) precedente richiami della CEI, ha totalmente ignorato l’esistenza del Concordato e ancora oggi mostra di non avere la minima idea di cosa sia un Concordato e, in particolare, il nostro “Concordato”, che, per loro sventura, dopo la revisione del 1984 non possono nemmeno definire “fascista”. Nessuno dubita della sovranità del Parlamento, ma questa sovranità si esercita nell’ambito della Costituzione, anzi esiste perché c’è la Costituzione. Una Costituzione (chissà se per questi soggetti è ancora “la più bella del mondo”?) che per volontà dei Padri costituenti ha, all’art. 7, costituzionalizzato, per quanto riguarda i rapporti con la Chiesa cattolica, il “principio concordatario”.
Il che significa – in tal senso la giurisprudenza della Corte costituzionale (in particolare sentenze n.ri 30,31, 32 del 1971, n. 1, del 1977, 16 e 18 del 1982) – che se le disposizioni contenute nel Concordato non sono totalmente equiparate alle norme costituzionali, tuttavia si pongono su un piano più elevato rispetto alle leggi ordinarie, che sono quindi tenute a rispettarle, incorrendo ove non lo facciano nel vizio di illegittimità costituzionale in quanto in contrasto col riconoscimento dato dalla Costituzione al “principio concordatario”.
In parole povere i Padri costituenti hanno voluto che in Italia i rapporti fra Stato e Chiesa cattolica siano affidati non già alla libera determinazione dello Stato (come avveniva nel XIX secolo con le cosiddette, storicamente tormentatissime e contestatissime da entrambe le parti “guarentigie”), ma a mutui accordi con la Chiesa stessa. Ne consegue che il Concordato ha sì la natura di un Trattato internazionale fra Stati, ma per effetto della costituzionalizzazione, è sottoposto a un regime particolare (per il diritto internazionale, a differenza dei soliti Trattati, non è possibile la denuncia unilaterale) secondo regole che, per il diritto interno, la dottrina giuridica ha così dedotto dalla giurisprudenza della Corte: “I Patti Lateranensi vennero posti tra le fonti atipiche dell’ordinamento italiano, vale a dire che le disposizioni dell’atto non hanno la stessa natura delle norme costituzionali, ma hanno un grado di resistenza maggiore rispetto alle fonti ordinarie. Pertanto i Patti lateranensi devono essere modificati col procedimento ordinario nel caso ci sia mutuo consenso tra Stato e Chiesa (come è avvenuto nel 1984), con il procedimento aggravato proprio delle leggi costituzionali nel caso sia lo Stato unilateralmente a modificare il testo dell’atto. Inoltre, le disposizioni dei Patti possono essere dichiarate costituzionalmente illegittime solo se contrastano con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale”.
In conclusione, altroché intervento di uno Stato estero! Indipendentemente dall’intervento del Vaticano (che comunque ha fatto benissimo ad intervenire) il legislatore italiano, essendo suo primario dovere il rispetto della Costituzione, avrebbe dovuto, se ne fosse in grado, ma commenti come quelli degli on. Fico e Zan (e di tutti i loro supporter, partitici e massmediatici) ne fanno dubitare, si sarebbe dovuto porre da solo il problema.
Da Francesco Mario Agnoli
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2021/06/ddl-zan-e-concordato/#more-156083
Mantovano sulla nota del Vaticano sul ddl Zan: «La soluzione sta nella piena attuazione del Concordato»
Dopo lo scoop del Corriere della Sera, la giornata di ieri ha visto tutti i media rincorrersi nel lanciare la notizia del «Vaticano contro il ddl Zan», come riportava il titolo dell’Ansa. La cronaca è dunque nota (qui un nostro pezzo in merito): lo scorso 17 giugno il segretario per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, monsignor Paul Richard Gallagher, avrebbe consegnato all’ambasciata italiana presso la Santa Sede una “nota verbale” inerente i rischi di violazione del “nuovo Concordato”, o Accordo di Villa Madama, da parte del disegno di legge – attualmente in discussione – in materia di omotransfobia. Nota che ora è passata alla Farnesina e che dovrà quindi essere presa in considerazione dal Governo, con lo stesso Mario Draghi che ha dichiarato che nella giornata odierna risponderà nel merito.
Per cercare di comprendere meglio e approfondire la portata di questa azione del tutto inedita nel rapporto tra Stato e Chiesa, Il Timone ha contattato Alfredo Mantovano (nella foto a lato), magistrato, consigliere alla Corte di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Livatino.
Dottor Mantovano, nella “nota verbale” della Santa Sede si rende presente che l’attuale versione del ddl Zan comporterebbe una riduzione della libertà della Chiesa, così come è garantita in particolare dall’articolo 2 dell’Accordo di Villa Madama, inerente «le garanzie in ordine alla missione salvifica, educativa e evangelica della Chiesa cattolica». In particolare, nel primo comma dell’articolo in questione emerge il tema della libertà religiosa: in che modo il ddl Zan andrebbe a comprometterla?
«Il 6 febbraio 2014, un cardinale della Chiesa Cattolica, Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona, veniva iscritto nel registro degli indagati per “omofobia”, per aver rilasciato un’intervista a un quotidiano nella quale, sulla premessa che la sessualità è strutturalmente orientata anzitutto alla procreazione, faceva presente che all’interno di una relazione omosessuale tale finalità era preclusa. Nello stesso periodo, in Canada, la Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Legge ha avviato un procedimento amministrativo contro un’università protestante, la Trinity West University, e ha chiesto agli Ordini degli Avvocati di non ammettere alla pratica forense i laureati di quell’ateneo perché “omofobi”. I suoi studenti infatti sottoscrivono un codice di comportamento col quale ci si impegna a non accedere a siti pornografici utilizzando il wi-fi dell’università, a non assumere alcool nel campus e ad astenersi “da forme di intimità sessuale che violino la sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna”. La discriminazione qui risiederebbe nel riferimento alla “sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna”, ovvero al fatto che sia menzionato solo questo matrimonio e non quello fra omosessuali. La Santa Sede ha un dimensione territoriale, ma un respiro universale. Le vicende di gravi e reiterate violazioni della libertà religiosa – i casi prima ricordati sono due di una lunga serie – attestano quel che accade in ordinamenti che hanno già al proprio interno norme c.d. antiomofobia. La genericità delle disposizioni penali incriminatrici contenute nel d.d.l. Zan permette una applicazione estesa oltre il limite dell’arbitrio, tale da condizionare non poco la libertà della Chiesa di annunciare il Vangelo».
Non c’è tuttavia solo questo aspetto: nella “nota” la Santa Sede richiama anche il comma 3 dell’art. 2 del “nuovo Concordato”, che estende il discorso a tutti i cattolici e alle loro associazioni in merito alla «piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione». Una conferma del fatto, spesso richiamato da chi paventava i pericoli del ddl Zan, che si tratta di una vera e proprio “legge bavaglio”?
«In Francia, dove con la c.d. legge Taubira sono state estese alla discriminazione fondata sull’orientamento sessuale le discriminazioni razziali – esattamente come si vorrebbe fare in Italia con l’ampliamento delle ipotesi previste dalla c.d. legge Mancino, contenute oggi agli art. 604 bis e 604 ter cod. pen. -, si è giunti ad arrestare persone ree di indossare in pubblico una felpa recante il logo della Manif pour tous, cioè un disegno con le sagome di un papà, di una mamma e di due bambini, ritenendo discriminatoria l’esibizione di un capo d’abbigliamento recante quell’immagine. E non vi è soltanto la prospettiva di una condanna definitiva, bensì pure quel che può accadere nel corso delle indagini: i tetti di talune sanzioni previste dal d.d.l. Zan permettono al pubblico ministero di attivare intercettazioni telefoniche e ambientali, e di ottenere dal Gip misure cautelari restrittive della libertà. Tutto ciò si traduce in un pesante condizionamento nell’affermazione della dottrina naturale e cristiana in tema di distinzione fra i sessi, di matrimonio, di procreazione, e così via».
La Santa Sede nella “nota” chiede quindi di “modificare” il testo del ddl Zan. E lo fa, in maniera del tutto inedita, attraverso una comunicazione formale. Da giurista esperto, a suo avviso quali saranno i prossimi atti di questa vicenda e quali i possibili esiti?
«Va considerato che la ‘nota verbale’ non costituisce un pur importante contributo a un dibattito interno a una singola Nazione, come può essere il comunicato di una Conferenza episcopale. È un passo formale fra autorità – lo Stato Italiano e la Chiesa cattolica – che, come con identica formulazione sanciscono l’art. 7 Cost. e l’art. 1 del Accordo di revisione del Concordato del 1984, “sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. È l’atto col quale una delle due autorità segnala all’altra il rischio imminente di violazione dell’Accordo: questo si fonda (art. 2) sul riconoscimento da parte della “Repubblica italiana […] alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione”, e sulla conseguente assicurazione della “libertà […] di esercizio del magistero”. Se le norme hanno un senso, a una ‘nota verbale’ con un tale contenuto non può far seguito uno scambio di opinioni da talk show, bensì la strada tracciata dal Concordato stesso. Al fine di prevenire conflitti di competenze, la soluzione non sta nella sospensione unilaterale del principio pattizio, bensì nella sua piena attuazione, con la previsione all’art. 14 che “se (…) sorgessero difficoltà di interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti (fra cui gli art. 1 e 2 richiamati dalla ‘Nota’), la Santa Sede e la Repubblica italiana affideranno la ricerca di un’amichevole soluzione a una Commissione paritetica da loro nominata”. A meno che, prima di attivare tale Commissione, Governo e Parlamento non concordino una pausa di riflessione».
Questo passo fatto dalla Santa Sede contiene insito in sé un possibile equivoco, che forse sarà poi quello che cavalcheranno i media mainstream: si potrebbe infatti far passare l’idea che si tratti di un gesto “salva preti”, che interessa solo lo Stato e la Chiesa. Molto in sintesi, potrebbe invece accennare come mai il ddl Zan è da considerarsi anche incostituzionale?
«Le posizioni contrarie al d.d.l. espresse dall’area del femminismo storico, oltre che da studiosi radicali, progressisti e libertari, dimostrano l’esatto contrario».
(Fonte foto in evidenza: Imagoeconomica)
Il Presidente Mario Draghi è miglior oratore quando parla di economia.
RispondiEliminaQuella di Draghi è stata una sceneggiata, ha fatto capire che dopo la fanfaronata sullo stato laico e bla bla bla qualche modifica nelle parti peggiori del DDL ci sarà.
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